domenica 16 luglio 2017

Cinema e vampirismo


- a cura di Mauro Banfi “il Moscone” -

“ Ci sono vampiri e vampiri, e non tutti succhiano il sangue.”
Fritz Leiber, “ La ragazza dagli occhi famelici.”



Rispetto al suicidio, il Cinema ha il merito di farti passare una giornata solitaria mantenendoti vivo.
Entrambi sono riti, il primo antichissimo e il secondo inventato a fine ottocento.
Questi culti prevedono il ritorno all’utero materno: nel primo caso il ventre natale assomiglia in modo preoccupante alla tomba.


- Astyanax Jordani, il Caracide cieco delle caverne -
Il cinema invece ti rende un Caracide delle caverne, un pesce delle grotte sotterranee dagli occhi atrofizzati, ma alla fine è una questione di gusto.
Mi è sempre piaciuto arrivare vivo fino al fondo di una giornata desolata.
E’ una grande soddisfazione essere vinto ma non morto.


Pertanto compro il biglietto e prendo una bottiglietta d’acqua naturale e del pop-corn poco salato, simboli materiali dell’entrata nell’Ade di celluloide e della mia trasformazione in vampiro.
L’offerta a Cerbero, l’acqua di grotta e i semi di mais scoppiato sono solo i preliminari della discesa nel mondo delle Immagini.
La linfa che succhio in quest’antro è un frullato di Parvenze e i vampiri si chiamano Guardoni.
Mi sono mutato in 
Guardone: questa la definizione contemporanea del vampiro gotico.



Le luci soffuse, le coppiette si tengono per mano; uomini e donne solitari portano le mani in grembo e verso i genitali.
C’è sempre una sensazione di umidità in sala, eccitante, erotica, prima della trasmissione di un film.
Mi guardo intorno: siamo tutti animali soli, fragili, morenti e saremo salvati dal sacro rituale del Cinema, il suicidio ci avrebbe aperto solo le infinite porte della notte.
Il Cinema è invece un rito come il tramonto: 
non c’è notte che non riveda il giorno.
I film sono collezioni di figure morte sottoposte all’inseminazione artificiale delle nostre mani che allagano fighe, inturgidiscono cazzi, sorseggiano acqua carsica e scoppiano tra gli incisivi pop-corn: comincia la trasformazione, il corpo esiste solo per il beneficio degli occhi, splendidi prismi famelici;


s’abbassano le luci, arrivano le ombre…tutto avviene così in fretta, il fascino della paura della morte, il bisogno imperioso, urgente come una minzione di venire a patti con la Realtà, mediante l’assorbimento interiore delle Immagini e di una Madre Storia.
“Costruirò un Cosmo dentro la tua testa, Guardone, e da lì potrai confrontarti con la Realtà.”
Così parlò il dio Cinema, dio ermafrodita come la sua arma, la cinepresa.


L’antefatto della storia comincia, non puoi farci niente, sei dentro alle Immagini, cullato dalle radiose braccia di Mamma Trama. Non puoi più scappare ora dietro le tue chimere, non puoi più correre dietro al potere e al profitto, non puoi più ignorarti.
Il Cinema ti ha fottuto e ti penetra dolcemente tra le palpebre, ma con ritmo implacabile come un amante sudato e infoiato: ora sei costretto a guardarti dentro.
Sperma, fluidi vaginali, acqua, mais scoppiato, le offerte sono consumate: l'intreccio abbia inizio, la mutazione è completata. Ululi o godi, masturbatore, voyeur licantropo, compulsivo autoerotizzatore, Guardone?
No, il proiettore ha illuminato le pareti della tua caverna, la tua gioia visiva è oltre la volgarità dei fazzolettini di carta che puliscono umori sessuali.
Del resto, quando guardi il tuo amante riposare, sbavato e incrostato dalle tue eruzioni corporee, non ti commuovi?
Non mi vergogno a dire che mi sembra di essere in un’immensa, umida, pulsante fica che mi sta spingendo verso la rinascita…



Sullo schermo passa in immagine la storia di Jeremiah Reynolds.
Costui era un avventuriero che nel 1829 allestì una spedizione marinara e scientifica per esplorare l’Antartide.
Voleva verificare la teoria del Buco di Symmes, seconda la quale i due Poli, Sud e Nord, essendo bucati, sarebbero state le porte per discendere all’interno della Terra.
Insomma, Jeremiah Reynolds vampirizzò una fantasia dello scrittore 
John Cleves Symmes e partì per l’Antartide.
Non trovò nulla di straordinario, a dire il vero, e ritornato in America, si mise a scrivere resoconti di meraviglie sorprendenti, che a quasi tutti i lettori risultarono delle balle gigantesche, frutto della mente malata di un miserabile frustrato.
Ma tra quei lettori cinici c’era un altro vampiro dotato di genio:
 Hermann Melville.
L’emarginato avventuriero Reynolds, nel 1810, aveva raccolto al largo del Cile, vicino al promontorio di Mocha, alcune memorie su una terribile balena, di un grigio quasi bianco, che seminava la morte e la distruzione tra i suoi cacciatori; una volta tornato a casa dall’Antartide pubblicò un opuscolo: 
“Mocha Dick: o la Balena Bianca del Pacifico”.




- al largo delle coste del Cile c'è un'isola dalla forma di capodoglio, chiamata La Mocha, e non lontano un promontorio caratterizzato da uno scoglio fallico, detto Mocha Dick (in inglese volgare Dick è il membro maschile in stato d'erezione) anch'esso. In queste acque un terribile capodoglio di colore grigio-bianco lottò strenuamente con i suoi cacciatori fino a quando venne infilzato da una baleniera svedese. Melville s'ipirò a questi avvenimenti reali per il suo capo d'opera Moby Dick. 

Melville leggendolo divenne un Guardone, e lo succhiò e concepì un romanzo immortale: Moby Dick.

A questo punto entrò in scena un altro vampiro/Guardone: lo scrittore Edgar Allan Poe.
Questo strano giornalista di Boston volle incontrare di persona lo scapestrato navigatore Jeremiah Reynolds, che gli narrò del terrore infinito provocato dall’interminabile sequenza di ghiacci e dal loro BIANCORE accecante…



Così, nel 1837, Edgar Allan Poe scrisse la Storia di Arthur Gordon Pym di Nantucket, un romanzo di avventura ed esplorazione dell’Antartide, che viene a sua volta assorbito ematicamente da altri Guardoni.


Robert Louis Stevenson prese il “Grampus”, la nave del Gordon Pym, e il suo cuoco terribile per modellare il personaggio principale della sua L'Isola del tesoro: il luciferino filibustiere ipocrita John Silver.



Melville ancora ( supervampiro, pluriGuardone!) plasmò il suo ramponiere nativo polinesiano Queequeg sul prototipo del personaggio di Dirk Peters del romanzo di Poe, e imitò l’incipit di Poe “My name is Gordon Pym” con il memorabile “Call me Ishmael”, chiamatemi Ismaele, che apre epicamente il Moby Dick.
Joseph Conrad incorporò nei suoi globuli rossi dal Gordon Pym il senso della “nekya”, della discesa agli inferi che dominerà il suo Cuore di Tenebra, ambientato su un fiume africano;
  


il francese Jules Verne scrisse addirittura la continuazione del Gordon Pym, un libro intitolatoLa sfinge dei ghiacci e H.P. Lovecraft ambientò il racconto Le montagne della follia là dove Arthur Gordon Pym scompare…






Alla parola “fine” tra gli spettatori/Guardoni si leva un brusìo pieno di commenti e spasmi postorgasmo.



Tutti sanno che ogni film dipende da tutti gli altri e conduce ad altri ancora.
La dinastia dei vampiri gotici ci ha accolto tra i Guardoni.
Ora sono dentro un mondo che mi permetterà di rivaleggiare con la Realtà.
Ora conosco la tecnica della seduta spiritica per controbattere il nichilistico rituale del Suicidio.
Ora so dove indirizzare sperma, fluidi vaginali, acqua naturale e pop-corn.
Ora so come tenere a bada il fascino della morte.
E’ una grande soddisfazione
 essere vinto ma non morto.





NOTE DELL'AUTORE
·             Il racconto è tratto dalla sceneggiatura del mio film "Voyeur"; eventuali produttori cinematografici interessati possono contattarmi tramite i link inseriti nel mio profilo.
·             Un grazie a Rubrus per avermi fatto scoprire alcuni grandi racconti di Fritz Leiber, tra i quali "La ragazza dagli occhi famelici".
·             Viva il cinema, l'ottava  Musa non morirà mai.

Mauro Banfi (2013)


1 commento:

  1. Il sacrificio è la chiave per comprendere il cinema.

    "Il sacrificio è un viaggio - collegato a una distruzione. Viaggio da un luogo visibile a un luogo invisibile, con ritorno. Il punto di partenza può essere ovunque. Anche il punto di arrivo, purché abitato dal divino. Ciò che viene distrutto è l'energia che muove il viaggio: un essere animato o inanimato. Ma sempre considerato un essere vivente - animale o pianta o anche un liquido che viene versato o una sostanza commestibile o un oggetto (un anello o una pietra preziosa o magari qualcosa di non prezioso, se non per il sacrificante)."

    Roberto Calasso, "L'Ardore".

    Oggigiorno, dopo il trionfo della DAD, che di fatto - ma è un non-fatto - ha consegnato la vittoria totale globale del post-umano al web, si pensa a internet come a qualcosa di ineluttabile, di sacro per l'appunto.
    Non vi fate ingannare dal Potere dei non-fatti, amanti del weird e del cinema: solo il sacrificio è qualcosa d'ineluttabile e di preistorico nella nostra anima; è un fatto - da cui discendono tutti gli altri fatti nella physis della nostra vita - che la vita disponga di un surplus di energia di cui bisogna pur far qualcosa.
    La vita si mantiene solo bruciando una certa quantità di energia supplementare e tutta la differenza tra le culture e le persone sta in ciò che esse decidono di fare di questo surplus.
    Chi entra in un cinema, nevvero, con questo sacrificio alla cosiddetta "realtà" si trasforma in voyeur, però, autoerotismo a parte, da letterale trasforma la sua vita in simbolica, pneumatica, estatica in un modo molto preciso e rigoroso e spirituale.
    Usando la metafora dell'esercito, là sullo schermo, la storia, la sceneggiatura, la fotografia e sopratutto il montaggio ti hanno strappato i gradi, ti hanno degradato a guardone, sei stato sacrificato nel sacrificio.
    Se il film è un buon film ti ha cambiato, subito, ti ha dato una botta di mètanoia: uscito dalla sala, dopo, sono falli tuoi, ma almeno sei cambiato.
    Ragazze e ragazzi, non sto facendo accademia, esempi pratici, i due ultimi film che mi hanno cambiato nel profondo, e non c'è dubbio, in meglio:
    La pandemia di Covid-19 narrata dai mass-media - nemmeno Orson Welles può raggiungere tale livello di pratica del chaos - e
    "In My Father's Den" di Brad McGann con Emily Barclay e Matthew MacFadyen, dove la spiritualità raggiunge il top nella perfetta sceneggiatura di un thriller da sei stelle. Oh, il thriller come la via all'estasi...è sicuro, credetemi, non c'è migliore surplus nella vita.
    Lì mi sono chiesto: saprò tornare alla normalità? Oppure è la normalità il problema?
    Solo dei guardoni simbolisti ed estatici possono arrivare a tanto, con il sacrificio del cinema...

    RispondiElimina

Commenti offensivi, volgari o inappropriati verranno rimossi.