Racconto di Morituri
I campanelli votivi che portava legati al polso tintinnarono mentre impugnava l’ elsa della spada. Sanada Daisuke, samurai dello shogun, abbassò leggermente lo sguardo e vide la sua mano scossa da un leggero tremito. Incupito aggrottò la fronte: tremare? Era semplicemente inconcepibile per un uomo nella sua posizione; una posizione piuttosto scomoda e rischiosa a dire il vero … e tutto a causa della condotta di suo padre. La scalata al monte Sasao era stata tutt’ altro che semplice, nonostante Daysuke avesse scelto di non indossare l’ armatura per rendere più agevoli i propri movimenti: non solo il pendio era più ripido del previsto, ma anche la rigogliosa vegetazione lo ostacolava al punto che dopo un primo tratto a cavallo, fu costretto ad abbandonare l’ animale per proseguire a piedi.
Il monte Sasao, oltre trent’ anni prima, aveva assistito alla grande battaglia di Sekigahara che vedeva contrapposti,Tokugawa Ieyasu, e la coalizione Toyotomi di cui all’ epoca i Sanada erano vassalli. In quegli anni il futuro shogun era lanciato alla conquista del potere e proprio la sua vittoria in quella battaglia avrebbe sancito il suo dominio su tutto il paese. Daysuke non poteva saperlo, ma il potere che egli attualmente serviva avrebbe dominato, tra alterne vicende, l’ arcipelago giapponese per i successivi due secoli. Alle pendici del monte, all’ epoca dello scontro, aveva allestito il proprio campo il molto onorevole Mitsunari Ishida, alleato anch’ egli dei Toyotomi, e proprio li era morto ricoprendo di gloria il nome del suo clan. Negli anni successivi alla battaglia il monte era rimasto totalmente inviolato; non lo frequentavano ne i taglialegna ne i cacciatori. Nemmeno i banditi, sebbene braccati, osavano cercare rifugio tra i suoi boschi. La foresta ben presto aveva ripreso il sopravvento sui pochi sentieri tracciati dal passaggio degli esseri umani. All’ inizio della scalata, sul limitare della foresta, Daysuke aveva notato delle statuette votive appese agli alberi; la maggior parte erano di legno scolpito ma ve ne erano anche in pietra ed alcune addirittura in avorio. Senza dubbio avevano lo scopo di commemorare i caduti della grande battaglia ma anche ma anche quello di scacciare i demoni e gli spiriti vendicativi. Era noto infatti che il monte e suoi boschi fossero infestati da presenze malvagie, tanto che negli ultimi anni i raccolti della zona, notoriamente fertile, si erano dimostrati assai scarsi. Sicuramente in qualche grotta nelle vicinanze si nascondeva un Oni, qualche strega o un mezzo demone; proprio per questo Daysuke era stato inviato li dallo Shogun in persona. Dopo una prima indagine presso i recalcitranti contadini della zona era venuto a conoscenza di strane storie che narravano di luci provenienti da un versante del monte e di un latrare il cui eco nelle notti silenziose giungeva fino a valle. Non era un tipo superstizioso, si era dunque risoluto ad esplorare il monte nonostante le ammonizioni della megera che gli aveva legato i campanelli al polso.
A metà pomeriggio si appoggiò al tronco di un albero per riposare, la vegetazione in quel punto era particolarmente intricata: pini e querce torreggiavano imponenti su un sottobosco in cui cespugli di stimmi, felci e muschi prosperavano. A dire la verità pareva che le piante ostacolassero il suo cammino di proposito: aveva il volto già tutto graffiato dai rami che sembravano opporsi consapevolmente al suo cammino. Mentre riprendeva fiato ripensò per l’ ennesima volta al compito assegnatogli: che vergogna! Dar la caccia ai demoni dovrebbe essere compito di un monaco non di un nobile, e del suo lignaggio poi! Ricordava il divertimento malcelato che aveva letto sui volti dei notabili dell’ impero qualora lo shogun in persona lo aveva convocato per assegnargli l’ incarico. Ma del resto non c’ era molta scelta per il capo di un clan caduto in disgrazia come il suo, le conseguenze di un rifiuto sarebbero state l’ annientamento della sua famiglia e, ovviamente, il seppuku per lui. Aveva dunque chinato il capo, obbediente ai voleri del suo signore, mentre meditava vendetta nei confronti di chi lo derideva. Eppure, pensò, c’ era stato un tempo in cui il nome Sanada veniva pronunciato con reverenza e timore in tutto il paese. Da nord a sud tutti sapevano che suo padre, Sanada Yukimura era un impareggiabile guerriero; lo chiamavano “Demone cremisi della guerra”, per il colore della sua armatura, e si diceva che un eroe simile potesse apparire solo una volta ogni cent’ anni in Giappone. Avevano forse dimenticato, quei cortigiani irrispettosi,di come suo padre, molti anni prima, avesse respinto l’ attacco di un esercito di quarantamila uomini che assediavano il suo castello potendo contare solo su duemila soldati?. Eppure dopo Sekigahara il nome Sanada era caduto in disgrazia, non tanto perché questi fossero stati alleati dei Toyotomi, quanto per l’ irrilevante ruolo svolto nella battaglia tanto da suo padre quanto da suo nonno Masayuki. Daysuke ignorava cosa avesse impedito ai due di conquistare il giusto onore sul campo, anche solo fare accenno all’ argomento era severamente vietato. Fatto sta che, paradossalmente,mentre da un lato la mancata scesa in campo aveva garantito la vittoria a Tokugawa , dall’ altro il loro comportamento era stato considerato tanto riprovevole da relegarli tra i paria della nascente società dei nobili. A Yukimura era stato risparmiato l’ obbligo di commettere suicido rituale, ma ciò gli aveva riservato l’ eredità ben più amara di vivere nel disonore. Attualmente era ridotto a un vecchio stanco che sopravviveva rinchiuso nel proprio castello, un inutile spettro di se stesso prigioniero di ricordi e rimpianti. In definitiva l’ onere di risollevare le sorti del clan gravava interamente sulle spalle del giovane Daysuke, soprattutto da quando suo fratello Dahiachi era fuggito verso occidente. Daysuke e Dahiachi erano stati rigorosamente istruiti , già a partire dei sei anni, nella nobile arte del bushido . Tanto i loro corpi quanto i loro spiriti erano stati forgiati tramite la ferrea disciplina che aveva sempre regolato la condotta della casta militare cui essi appartenevano; Daysuke in particolare era uno spadaccino formidabile. In realtà non aveva mai combattuto in battaglia, del resto da quando era stato istituito lo shogunato il paese godeva di un lungo periodo di pace e prosperità. Tuttavia egli aveva sostenuto innumerevoli duelli, prevalentemente con dei ronin di passaggio sulle sue terre, uscendone sempre vincitore e indenne. Ciò gli aveva permesso di mettersi parzialmente in luce a corte dove, scoprì ben presto, si tessevano intrighi di ogni genere: ormai il castello dello shogun era il vero campo di battaglia dei moderni samurai. Quanto si era caduti in basso rispetto alle usanze del passato! A dispetto della sua abilità, l’ infamia legata al suo nome lo precedeva e, strategicamente, questa sarebbe stata una buona occasione per cancellare l’ onta del passato … sempre che avesse svolto egregiamente il compito affidatogli. Era perso in questi pensieri quando, alle soglie del tramonto, quasi non si accorse della leggera pioggia che cominciava a cadere sul finire della sera. Riscossosi riprese il cammino sbucando poco dopo in una strana radura; questa era delimitata da un intrico di rovi particolarmente tenaci, ma la cosa davvero singolare era che al suo interno non cresceva assolutamente nulla. Non un filo d’ erba ricopriva il suolo spoglio e pietroso, perfino le chiome degli alberi parevano ritrarsi da essa, mentre sull’ ambiente regnava il più assoluto silenzio. Su un lato della radura, del diametro di non più di trenta passi, sorgeva una parete di roccia dove si apriva l’ imboccatura di un cunicolo. Daisuke vi si diresse, spinto dalla pioggia sempre più battente, mentre un nuovo tremito gli serpeggiava tra le membra: ancora tintinnio di campanelli. S’ impose autocontrollo, con acciarino e pietra focaia accese la sua torcia, rivolse uno sguardo al tramonto e varcò la soglia. Per quanto è noto non rivide mai più la luce del sole.
Oscurità … la mia fiaccola offre ben poca protezione contro le tenebre, sembrano aggredire e consumare anche la poca luce che essa produce. Freddo … sto gelando fino alle ossa e non riesco a capire quanto mi sono spinto in fondo nelle viscere della madre terra. E infine inquietudine … viva … palpabile in questo silenzio argenteo, con solo lo scoppiettio della fiamma a farmi compagnia. Mi sembra di arrancare da un eternità in questo schifo di galleria; eppure la luce che mi guida arde ancora, quindi dovrei essere qua sotto da non più di un paio d’ ore. Allora perché? Per gli Dei, perché mi sento così? Ripeto a me stesso, ossessivamente come un mantra, che dovrei essere l’ impavido guerriero, fiero e felice di incontrare la morte. Felice? Che strano suono questa parola … solo ora mi rendo conto di essere sempre andato avanti, fin dalla più tenera infanzia, solo spinto dalla rabbia per un destino infausto. Non ho mai considerato l’ ipotesi di seguire qualcosa di simile alla felicità. Diverso è stato per mio fratello … ma non voglio pensare a queste cose. Mi fermo un attimo giusto per riprendere fiato, mi sento soffocare; il bagliore della fiamma disegna ombre strane e distorte sulle pareti, sembrano volti deformi, talvolta familiari. Ecco, rivedo quello di mio padre … il suo sguardo … quegli occhi, incavati in una ragnatela di rughe, sembravano quasi divertiti quando gli annunciai che sarei partito per cercare di riscattare l’ onore del clan. Certo, lo so, non doveva avere troppa fiducia in me, dopo tutto . Nonostante i miei successi non ero io il suo favorito bensì Dahiachi. Anche a dispetto di tutti i miei sforzi per compiacerlo, sono sempre stato in secondo piano rispetto a lui; così raffinato e intelligente. Eppure alla fine sono stato io a rimanere saldo al mio posto, mentre lui è scappato: un uomo alla deriva. Certo per il romantico e viziato fratellino doveva essere insopportabile l’ idea di un matrimonio combinato, foss’ anche per le ragioni di stato; certo lui aveva occhi solo per Kumiko … quella sguattera. Se solo nostro padre sapesse … invaghirsi di una serva! Scappare con lei addirittura! Dahiachi non ha mai accettato il concetto di sacrificio, non come ho fatto io del resto. Non ho forse rinunciato a frequentare il mio piccolo e tenero Sasuke, non appena nostro padre è venuto a conoscenza della nostri incontri al chiaro di luna? Che sofferenza al solo pensarci! Una nuova sosta per riposare, con la schiena appoggiata alla parete, quanto in profondità sono sceso? Davvero qui manca l’ aria e noto che l’ intensità della mia fiaccola va scemando. Ecco, tra poco l’ ultima fiammella manderà un guizzo di luce su queste pareti e poi, finalmente, più nulla. Sasuke, voglio che il mio ultimo pensiero sia per te: so che un giorno saremo di nuovo insieme.
Lo spettrale riverbero verde lo colse del tutto impreparato; impossibile da vedere attraverso la luce della fiaccola accesa, si materializzò all’ improvviso nell’ istante in cui questa morì. Era a poche centinaia di metri da lui e pulsava ritmicamente, quasi fosse dotato di vita propria. Assumeva di volta in volta sfumature che andavano dal verde acqua al viola scuro, ma era comunque il verde a prevalere in quel caleidoscopio. Quasi stregato da quell’ incandescenza Daisuke vi si diresse senza indugiare. La grotta in cui sbucò era di dimensioni immense: la volta era tanto alta da non poterne vedere la fine nonostante quella luminescenza invadesse ogni angolo. Le rocce stesse sembravano esserne l’ origine e,per un istante, Daisuke si chiese quali stani minerali potessero brillare di luce propria. Una sottile nebbiolina invadeva lo smisurato ambiente e un vago odore di zolfo pervadeva l’ aria. Tuttavia esso era strano più che sgradevole, sembrava quasi intorpidire i sensi. In sottofondo udiva lo scrosciare dell’ acqua dietro le pareti di roccia, più che probabile che in quella zona scorresse una sorgente termale; l ambiente in effetti era caldo e umido.
Percepì un movimento alla sua destra, nulla di rilevante in effetti, quasi poco più di un intuizione, ma cio bastava ai suoi riflessi. In un attimo era già in posizione: la spada sguainata e il corpo basso pronto a scattare. Ciò che vide spuntare da dietro una roccia che quasi lo fecce stramazzare al suolo per lo stupore: due bambini, poco più che in fasce, insoliti e bellissimi con la loro pelle candida come il latte, gli occhi color della giada e i capelli che parevano fili d’ oro. Sbucarono fuori gattonando ed emettendo i comici farfuglii tipici della loro età; non parevano essere intimoriti da lui, al contrario sembravano curiosi, come se lui fosse qualche strano, nuovo essere vivente. Daisuke abbasso la spada e fece per inginocchiarsi, voleva toccare una di quelle meraviglie quasi per assicurarsi che fossero reali.
“Ti piacciono?” La voce di donna , melodiosa e dolce come nessuna, lo sorprese alle spalle, da vicino.
“Chi siete?” chiese il samurai voltandosi.
“Ha importanza?...Vieni”.
No, non aveva alcuna importanza perché la visione che aveva davanti agli occhi era quanto di più stupefacente si potesse immaginare. Il corpo della donna, nudo e di un candore abbacinante, lo chiamava con le braccia aperte e lui si avvicinò come in trance, mentre un profumo di fiori di pesco si spandeva nell’ aria. Stava per dire qualcosa ma lei lo fece tacere posandogli una mano sulla bocca mentre con l’ altra gli afferrava la sua e se la portava al seno, morbido e liscio come la seta. Lascio cadere la spada e con entrambe le mani ne prese il volto contemplando l’ oceano che erano i suoi occhi; si baciarono a lungo prima di sdraiarsi al suolo. Lei lo spoglio accarezzandogli il corpo muscoloso e ad ogni tocco lui sentiva uno strano languore impossessarsi delle sue membra. Senza sapere come le fu sopra e subito sentì un onda di calore fluirgli attraverso mentre lei cantilenava ipnoticamente in una strana lingua. Non aveva mai provato nulla di simile, neanche con l’ amato Sasuke, ed era certo che nemmeno suo fratello avesse mai sperimentato un ebbrezza di quelle proporzioni. Ma chi era poi suo fratello? Ne aveva mai avuto uno? Anche i ricordi sembravano svanire nelle nebbie del piacere. Entrò in lei con vigore e la sentì gemere e fremere sotto di se; parevano essere un tutt’ uno eppure era come se, al contempo, egli fosse estraniato dal proprio corpo, anzi di più: estraneo al mondo intero. Ora non contavano affatto cose come l’ onore o il dovere,ormai non c’ erano da porsi inutili domande sulla felicità e sul senso della vita: tutto era racchiuso li, in quel momento estatico che pareva eterno. Continuò a provare piacere anche quando lei inizio a lacerargli profondamente la schiena con unghie adunche, che lui prima non aveva notato. Lungo il suo corpo scorreva abbondante il sangue per numerose piccole ferite provocate da una serie di aculei che sembravano esserle spuntati lungo tutto il corpo. Ora non la sentiva più morbida come una nuvola ma rigida come un cadavere. La sua voce non era calda e seducente ma continuava a ripetere incessantemente una nenia isterica. Con la coda dell’ occhio vide i piccoli che si avvicinavano, solo che non erano più le effimere bellezze di poco prima. Gli parve che strisciassero, più che gattonare; la loro pelle ora squamosa rimandava riflessi bluastri durante il movimento sinuoso; gli parve addirittura di scorgere una piccola coda agitarsi dietro quei corpicini viscidi. La sua mente registrò tutto questo distrattamente come se lo stesse vedendo qualcun altro; fu solo dopo il primo doloroso morso che realizzo di non avere alcuna speranza; ma andava bene anche morire così, purché quell’ estasi durasse ancora un po’ , solo un altro po’ . Nell’ultimo istante di vita si accorse marginalmente che le piccole creature si erano arrampicate su di lui e stavano iniziando a divorarlo,lentamente, con pazienza.
Il mezzo demone aspettò che i suoi cuccioli finissero il loro pasto, poi li condusse verso l’ esterno in un’ apertura che dominava l’ intera valle. Era l’ alba ormai e i piccoli si ritrassero dalla sgradevole luce del sole. Lei sorrise divertita, erano ancora vulnerabili ma presto sarebbero cresciuti, sarebbero andati via dalle amorevoli cure materne per cercare un nuovo spazio nel mondo: il loro territorio di caccia. Rivolse lo sguardo al panorama sottostante e poiché i suoi occhi erano in grado di squarciare il velo del tempo, vide lo Shinkansen sfrecciare lungo i binari nel paesaggio steso sotto di loro come un lenzuolo. Sì, pensò, ci saranno tempi duri,il cibo non ci pioverà per sempre in grembo, come oggi; probabilmente saremo costretti ad andare a vivere nelle città degli uomini pur di nutrirci , ma prima di questo c’è ancora tempo, c’è ancora molto tempo.
Morituri
Come avevo già scritto, è un racconto di cupa sconfitta; fedele a tutto ciò che definisce lo scorcio di giappone feudale e il paesaggio. la cosa che più mi colpisce, tuttavia, e che ancora apprezzo come trovata narrativa, e che Daysuke, pur scalando una montagna, raggiunge una grotta che puzza di zolfo come sprofondato negl’inferi o specie di abisso personale. E non c’è niente che lo possa salvare o aiutare a portare a termine il suo incarico, neanche l’arte più affinata del combattimento. L’onta, il disonore, tutti i ricordi e il dolore lo accompagnano fino al truce e al contempo sensuale “harakiri “ finale.
RispondiEliminaBello.
Grazieeee
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