martedì 26 dicembre 2017

Libri nella Rete


Fantascienza, horror, pulp o fantasy?... 


Oppure il delirio di un pazzo??


Bill, Allan, Norberto e Liria sono i quattro personaggi principali del romanzo breve “Divinità Elettriche”.
Fra alieni volanti a forma di polpetta e automi tenteranno di risolvere l’enigma che li vede intrappolati in un misterioso e gigantesco parallelepipedo rosso al cui interno è replicata la cattedrale di Notre-Dame…


Ecco le recensioni degli amici:



Rubrus
23/12/2019

Tommaso d’Aquino, di fronte a un problema complesso, pare solesse dire “unumquemque principale esse videtur, hoc maxime ineo” cioè “mi concentro soprattutto su quella sola cosa che sembra essere la più importante”. Tommaso, benché religioso e santo (deve essere stato parente, alla lontana, di Hans Dellbruck, lo scienziato e santo di “Frankenstein Junior”) era un razionalista discepolo di un razionalista, cioè Aristotele, e troverete un razionalista anche qui, dentro “Divinità elettriche”.
Proviamo allora a dargli retta.
Penso che per arrivare al nocciolo del romanzo sia opportuno non lasciarsi distrarre troppo dalle citazioni e dai rimandi – come quelli che ho sciorinato nel paragrafo sopra.
Quelli vanno bene nella fase ludica della lettura e vanno bene per gustarsi l’intreccio, ma parlarne vorrebbe dire, appunto, parlare dell’intreccio e questo, specie per chi il romanzo non l’ha letto, non va bene: troppi spoiler. Mi limito quindi ad osservare che, a mio parere, la struttura è la seguente: posta una premessa, segue un evento non congruente, o non del tutto congruente, con quella premessa, il che costringe i personaggi a rivedere le ipotesi formulate sulla base della premessa. Invitato a fare altrettanto, sovente per bocca dei personaggi, è il lettore. A rendere più intrigante l’opera, poi, c’è il fatto che, da un certo momento in poi, le linee narrative si sdoppiano e… de hoc satis, cioè basta così, per rimanere al latino.
Credo comunque che, visto che ci sono arrivato, il “principale” di “Divinità elettriche” sia appunto il concetto di “Duplicità”. Quasi tutto è, a più livelli, doppio, a cominciare dai personaggi, per passare ai luoghi (per favore non parliamo di “location”, eh? Se esiste un equivalente italiano, usiamolo) e per finire col senso stesso del romanzo. Difficile non sentire l’eco di P.K.Dick. Dato che parlare dello sdoppiamento di luoghi e persone equivarrebbe a dire troppo, mi fermo per poco sullo sdoppiamento di senso. I personaggi, per un buon tratto di libro, s’interrogano sulla loro stessa natura chiedendosi “agisco” oppure “sono agito?” e “se sono un doppio, qual è il vero io?”. Siamo insomma alla messa in dubbio del principio di identità cartesiano, tema – appunto – caro a Dick e il percorso narrativo può essere descritto come il tentativo, sovente frustrato, di comporre o ricomporre questa frattura. Sempre come in Dick, però, questa frattura, da un lato vuole ostentatamente essere vista, dall’altro vi è da dubitare che voglia essere ricomposta (se lo fosse, d’altra parte, forse il romanzo non esisterebbe). Che tale dilemma voglia esistere e chieda di essere riconosciuto, imponendosi alla coscienza dei personaggi prima e a quella del lettore poi, emerge da una costante narrativa: qualcosa “sfugge sempre”. Per quanto i personaggi tentino di dare un senso a quanto accade, per quanto lo trovino, vengano smentiti e quindi ne trovino un altro, e per quanto il romanzo abbia un epilogo e una chiusa (e anche una morale), ci sono delle contraddizioni, degli enigmi marginali, delle non – soluzioni che si ostinano a rimanere tali. La duplicità si annuncia già nel titolo: “Divinità elettriche” - quindi parliamo di esseri immanenti o trascendenti oppure di tutte e due le cose insieme e/o qualcosa di diverso ancora? E, soprattutto, si esplica e si esplicita nelle dinamiche dei personaggi, che spesso si evolvono in conflitto, e, ancor di più e conclusivamente, nel modo in cui il romanzo affronta la domanda “perchè?”. Leggendolo, veniamo a sapere o intuire chi sono i burattinai dietro le quinte di “Divinità Elettriche” (e non a caso viene citato “Il grande tempo” di Leiber), scopriamo che sono (ancora, e come i personaggi) in contrapposizione e scopriamo come, più o meno, manipolino o provino a manipolare i personaggi (i quali, ripeto, non solo sono portati a chiedersi quale delle due metà del doppio siano, ma, anche, se agiscono o se sono agiti). Non scopriamo, o almeno non scopriamo in modo definitivo, “perché”. Scopriamo, lovecraftianamente, che trafficare con certe entità, o meglio ancora con certi temi, è ferale e porta alla perdita dell’umanità, anche se non possiamo non farlo. Sempre come HPL aveva intuito, scopriamo che non soltanto l’universo è più strano di quanto immaginiamo, ma di quanto possiamo immaginare. Scopriamo che i doppi sono intercambiabili (due vengono da un piano, per così dire, e due da un altro) e questo in qualche modo ricompone la frattura, ma impedisce una risposta “aut, aut” e perpetua la duplicità. Scopriamo, infine, che se sopravviviamo a questo “non senso” o riusciamo a vivere ignorandolo (altro concetto di derivazione lovecraftiana) probabilmente è solo perché “siamo fortunati”.


Yohv ha risposto al commento di Rubrus:

Oltre alle varie considerazioni che si possono fare su argomenti quali il profitto indiscriminato, la ricerca di un’energia pulita, ecc… É un’interpretazione molto vicina a quanto mi sono proposto di esprimere, almeno come idea generale e struttura narrativa, specie riguardo al tema della dualità e del doppio con i suoi vari rimandi letterari (bellissimo, a tal proposito, anche il commento di Mauro Banfi che vede l’opera come “un cocktail variopinto e frizzante che si muove da Philip K. Dick, passa dal New Weird, dalla Bizzarro Fiction e arriva a Raul Cremona/Mago Oronzo!” Anche il mostro o minaccia principale, comunque, è qualcosa di “spaccato in due”, in conflitto con sé stesso e la sua natura trascendente, munito di due cuori e due code uncinate. Un essere potentissimo, ma completamente incapace di mantenere “stabile” la sua identità.
Quando ho cominciato a lavorarci, immaginare i pensieri e le reazioni dei protagonisti, come credo appaia sin dai primi capitoli, ero fissato soprattutto sull’idea di quanto fosse facile ingannare chiunque e in qualunque modo privandolo della memoria. Anche a livello culturale, ovviamente, e volendo stendere un altro parallelismo con la realtà. Vediamo, infatti, quanto le persone, private di un certo tipo di conoscenza -o private ad “arte” di questa distorcendogliela a piacimento attraverso i media e altre forme di condizionamento- possano arrivare a credere anche nei fatti più assurdi fino, addirittura, a compiere scelte altrettanto insensate, stupide o disumane.

 

Roberto Carta
30/7/2019

Fabio Cavagliano possiede un maledettissimo superpotere: sa sorprendere.
Mi spiego meglio, gente. Credo di aver letto quasi ogni racconto pubblicato dal buon vecchio “Grifabio” fin da quando … beh, diciamo che è passata un bel po' d’acqua sotto i ponti. Mi sono abituato ai suoi voli pindarici, alle atmosfere psichedeliche ed irreali, a personaggi quasi fastidiosi tanto erano “weird”. Poi è arrivato questo “Divinità Elettriche” su cui mi sono gettato aspettandomi di uscirne tramortito come d’abitudine. E invece no; mi sono ritrovato al cospetto di una storia costruita con ingegno e precisione, dove tutto scorre come dovrebbe (nell’ottica di questo non-genere, ovvio). Badate bene, non mancano di certo gli elementi caratteristici della prosa Fabiesca, ma il tutto è amalgamato in maniera da non risultare mai stridente ne eccessivo.
E’ un romanzo piuttosto affollato Divinità Elettriche; i personaggi sono tutti caratterizzati con forza ed alcuni (non tutti purtroppo) sembrano letteralmente saltare fuori dalla pagina. Tra di essi è quasi impossibile non identificarsi in qualcuno; personalmente non ho potuto non immedesimarmi con Ed, più che altro per vicinanza letteraria e di look “adolescenziale”. Tra l’altro, e qui apro e chiudo velocemente una piccola parentesi, mi sembra che la figura reale cui Ed è ispirato sia molto più vicina alla controparte letteraria di quanto lo stesso autore voglia ammettere.
Parlando di personaggi non si può fare a meno di accennare alle ambientazioni in cui questi si muovono. Gli ambienti, sopratutto la cattedrale, sono descritti con dovizia di particolari e con un uso ridondante degli aggettivi, in modo da dare una percezione chirurgica del dove e del come. Potrebbe apparire che questo appesantisca la lettura, ma così non è. Il tutto scorre velocemente e con fluidità, mentre si passa da un colpo di scena ad un altro.
La domanda che sorge spontanea a questo punto potrebbe essere: “Ma tutto questo carrozzone di meraviglie, a quale genere letterario potrebbe essere ascritto?”. La risposta è : non lo so. In effetti il romanzo, pur conservando diversi elementi Weird/horror, possiede una forte connotazione fantascientifica. Inoltre al di là della trama apparentemente “leggera” e di puro intrattenimento, pone diversi quesiti profondi circa l’esistenza e la sopravvivenza della nostra scellerata specie. Quindi per quanto riguarda il genere penso che ogni lettore possa dare la sua risposta.
Potrei concludere qui ma …. ho conservato per ultimo la parte migliore, la proverbiale ciliegina sulla torta: LE CITAZIONI.
Ciò che più di ogni altra cosa mi entusiasma ed appaga, in qualsiasi forma o genere dell’arte, sono le citazioni. Credetemi amici, quest’opera è letteralmente cosparsa, invasa e infarcita di citazioni. Non ci si limita a quelle letterarie; qui si spazia dalla cultura pop anni 80/90 (e non solo) al cinema di fantascienza alla letteratura del secolo scorso. Insomma un tripudio per gli occhi di gente come me.
Unico neo dell’opera? Più disegni Fabio, più disegni!                                                         

Per concludere giudico Divinità elettriche un' ottima prova letteraria che, spero, sia solo la prima di una lunga serie.


Yohv ha risposto al commento di Roberto Carta:

Grazie. “ingegno” e fatica, direi, anche se buona parte del testo risulta scorrevole.
Il primo capitolo, in effetti, sia pure breve, si presenta come il più ostico da leggere per abbondanza di descrizioni. Volevo, tuttavia, inquadrare bene la scena, inserire il lettore nel contesto della narrazione aiutandolo subito a visualizzare con precisione scenario e personaggi. Per il resto, molto si evince dai dialoghi sui quali, come ben sai, ho maggiore talento.
Le citazioni sono anche i semi e le suggestioni da cui è germogliato tutto il racconto. Fra ufologia, pseudoscienze, arte, cinema e follia… Credo di averci messo buonissima parte delle mie passioni.



90Peppe90
26/8/2017

Ciao Fabio e ciao a tutti, ragazzi.
Ultimata, due giorni fa, la lettura di “Divinità elettriche”, sono qui per postare il mio personale, e perciò del tutto trascurabile, parere sul libro in questione.

Devo ammettere che “Divinità elettriche” è abbastanza differente da come me lo sarei aspettato: pensavo a una storia totalmente folle, tutta violenza e sangue, di quelle alle quali Fabio mi ha abituato negli ultimi anni.
Invece, Divinità elettriche (do molta importanza ai titoli e questo, insieme ai titoletti dei vari capitoli, mi piace davvero tanto) è qualcosa di diverso. Per certi versi, una storia più “normale” ma che mantiene, comunque, ritmi narrativi veloci e serrati che mi hanno spinto in uno sprint inarrestabile verso il traguardo... e, perciò, pur non sposando le mie aspettative, non posso certo dire che mi abbia deluso.
Personaggi simpatici, affascinante – a mio avviso – la figura di Bill, con i quali sono quasi subito entrato in sincronia (fra questi, Johnny B. è, sempre a mio modestissimo parere, il più divertente e il più “fabioso” mentre Norberto è il mio preferito in assoluto e per distacco) e che si muovono in ambienti caratterizzati da descrizioni essenziali ed efficaci.
A livello di trama, ho preferito la prima parte della storia, più misteriosa e intrigante, con una seconda parte che, nonostante non mi abbia convinto appieno, ha il merito di chiudere coerentemente il cerchio di una questione che coinvolge un gran numero di personaggi “particolari”, con una buona conclusione e tanti riferimenti culturali, fra letteratura, cinema e musica.
Ottimo l’inserimento dei disegni (forse qualcuno in più non avrebbe guastato affatto!) ma, si sa, ho un debole per lo stile di Fabio...
Nel complesso, una lettura che mi ha divertito senza mai annoiarmi e, diciamocelo, in fondo, o forse non poi tanto “in fondo”, è questa la cosa più importante.



Yohv ha risposto al commento di 90Peppe90:

Ti ringrazio. Concordo su tutto e apprezzo la sincera analisi. La seconda parte, in effetti, è quella che ho “pasticciato” e rimaneggiato più volte (nella prima versione del libro, fra l’altro, mi sono accorto che l’azione di Allan non poteva essere sincrona a quella di Liria e Norberto e quindi ho dovuto ricombinare e correggere alcuni capitoli). Restano sempre dei “buchi” o nonsensi, in ogni caso e a ben leggere, spero perdonabili nel contesto di una narrazione così ricca di elementi fantastici. Tuttavia, se un buon lettore/scrittore come te è riuscito comunque a trovarla godibile e a non annoiarsi è già per me un ottimo risultato.



Mauro Banfi
3/9/2017


“La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità.”
Nikola Tesla

La citazione iniziale dell’opera, sempre di Tesla, è un’altra, e l’affido al lettore.
Scelgo questa perché è inerente alla recensione, e credo, al sottotesto del libro digitale.
Il racconto è quanto mai divertente e appagante, un vero numero di magia fantastica e umoristica, un cocktail variopinto e frizzante che si muove da Philip K. Dick, passa dal New Weird, dalla Bizzarro Fiction e arriva a Raul Cremona/Mago Oronzo!
Ogni numero di magia, si sa, è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "la promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare che sia davvero reale... sì, inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia.
L’illusorietà dell’esperienza nell’epoca della riproducibilità tecnica: Walter Benjamin.
Ma come, questo sarebbe il tema divertente?
Lasciamolo allora dire a K. Dick, allora:
“La vita che viviamo è solo una finzione. Mettitelo in testa. Hanno disegnato questa realtà come più gli faceva comodo: secondo un'alternanza di conflitti violenti, leader mediocri e merci da consumare”.
Il secondo atto è chiamato "la svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire.

L’idea alla base del racconto è che la nostra realtà sia interamente simulata, manipolata, mistificata, o quantomeno controllata, da qualcuno che ci osserva da lontano per studiarci e anatomizzarci.
In una società massificata e simulata e maneggiata, sembra dirci tra una risata e una weirdata il buon Cavagliano, l’unica possibile ricerca della verità si configura come ricerca della memoria.
Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "il prestigio".
Quel “qualcosa” riappare.
Solo la memoria, infatti, garantendo il principio d’identità, consente all’essere umano di rimanere un soggetto, un individuo, una persona.
“Memini ergo sum”: ecco l’antidoto alla merda di plastica colorata mista a silicio pieno di sangue e cocaina che ci circonda. Un semplice, sfolgorante, elettrico atto di memoria può abbattere i mulini a vento di cartapesta.
Il nostro presente pullula di tracce del nostro passato. Noi siamo storie per noi stessi. Racconti di pezzi di memorie che sconfiggono gli alieni invasori delle nostre menti e i draghi spetazzoni e vomitafuoco.
E va bene, Dick, la realtà è quella cosa che, anche se fai finta di non crederci, non sparisce, come non svaniscono i leader mediocri, le guerre tra bambocci idioti, i pacchi delle multinazionali e le merci da consumare per incendiare quello che resta dell’anima del mondo. 
Però, come suggerisce il buon Fabio, possiamo immaginarla diversa e riderci su.
Orsù, ecco il prestigio: immaginare e ridete, nuovi bizzarri weirders!
E lottare, lottate per i vostri atti di memoria!




Yohv ha risposto al commento di Mauro Banfi:

 “la Storia si ripete”
Sei stato bravo a individuare uno dei temi che soggiace alla trama e non può che rendermi entusiasta la tua esposizione, densa di azzeccati riferimenti e citazioni.
Sì, è vero, noi siamo le nostre memorie. 
È un tema caro alla fantascienza, fra l’altro, e lo avevo già affrontato nel racconto “La croce di San Giorgio”, se ben ricordi, dove esiste pure un parallelismo con la figura del drago o male di origine ignota … “un male di cui si è persa la memoria”, appunto. 
L’aspetto Bizarro è quello che mi ha agevolato di più nella messinscena per ottenere il senso di estraniamento, con quel suo caos di eventi straordinari e vuoto di spiegazioni plausibili (di cui si lamenta anche e con un pizzico di metanarrazione uno dei personaggi. Lavorare alla caratterizzazione dei protagonisti, fra l’altro, è sempre una delle cose che mi divertono di più).
Senza memoria non possiamo progredire, ovviamente. Non ci sono conquiste, possiamo credere a tutto o a niente… E pare proprio che, aldilà della continua manipolazione a cui sono più o meno mediaticamente sottoposte le nostre menti, sia anche connaturata una certa deficienza dell’animo umano a evitare di ripetere gli stessi errori. Peggio ancora, poi, quando alcune conquiste intellettuali o soluzioni che potrebbero migliorare la qualità della vita vengono deliberatamente nascoste o in qualche modo ostacolate per preservare un interesse economico.
Gli abissi dello spazio profondo, allora, che siano popolati da demoni o dei, altruistiche e quasi magiche intelligenze artificiali o quant’altro, ecco che qui diventano quasi nulla a confronto del nostro sconfinato e potentissimo egoismo.
Citazione per citazione, quindi, quella che hai scelto può accompagnare a meraviglia il senso di questa mia avventura.
“da Philip K. Dick… al Mago Oronzo…” , quindi. 
😂 Certo. È proprio così!... E la trovo una fantastica quanto comica e veritiera analogia, caro Mauro… Perché, come tu sai, è uno dei modi che spesso adotto per procedere verso la scrittura (“dall’alto verso il basso” come direbbe un amico…).








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