domenica 31 dicembre 2017

Nemesi


Racconto di Morituri

La mole di Mirko “Tre passi” emerse dalla macelleria col solito passo svelto e le narici che pizzicavano già alle nove del mattino. Era un enormità di ventisettenne perennemente vestito da rapper con l’ immancabile berrettino calato sui Police modello “La mosca” e lo sguardo dietro sempre incazzato. 
Sotto la felpa teneva il pacchetto del macellaio: un chilo di vitello di quello buono e ,nascosti in mezzo alla carne, tre etti di bamba, di quella buona pure lei; insomma una consegna come tante. Lo chiamavano “Tre passi” perché quando aveva storie brutte con qualcuno per prima cosa sfilava il ferro, promettendo che se quello se ne fosse andato subito non lo avrebbe ridotto a un colapasta; ma, appena lo sfigato di turno faceva tre passi indietro, lui allungava una delle sue grasse mani, lo afferrava e gliele dava fino a fargli passare pure la fantasia di stare al mondo.

Come sempre si diresse verso Piazza Udine, il luogo abituale per lo scambio; non doveva tardare: Leone s’ incazzava di brutto quando i corrieri non erano puntuali, era uno preciso lui. Leone era salito alla ribalta nell’ ambiente già da qualche anno, ritagliandosi la sua nicchia tra le micro bande che affollavano Milano, ma all’ inizio era solo un bulletto di periferia: ogni volta che se la vedeva brutta chiamava il fratello avvocato per farsi togliere dalla merda. Certo ora iniziava ad essere qualcuno, e lo consideravano pure i pezzi grossi, ma per “Tre passi” rimaneva sempre un morto di fame. Lui invece no, lui lo sapeva di avere la stoffa, e voleva diventare davvero Qualcuno; ancora un paio d’ anni di consegne e pizzo, magari qualche buon colpo, giusto per farsi notare, e poi gliel’ avrebbe fatto vedere lui a Leone chi aveva davvero le palle.
Mentre camminava sentiva l’ “appetito” crescergli dentro, certo con tutta quella roba appresso non era facile pensare ad altro, magari sarebbe stato bello fermarsi da qualche parte a farsi un tiro …. solo che poi Leone … Provò a scacciare il pensiero, ma quello gli si era insinuato nel cervello come un tarlo “ Cazzo, quello ha tutta la roba che vuole e quando vuole, che differenza fa …”. Aumentò l’ andatura, ma intanto il tarlo era diventato un topo impazzito che gli rosicchiava la mente, mentre le narici bruciavano da matti. 
“Merda! Un tiro e basta, tanto al limite faccio fare un taglio in più, cosa costa”.
Era sul punto di cedere quando passò davanti al bar di “Bella Napoli”; decise di entrare
“Faccio una partita al videopoker, almeno penso ad altro”.
Non gli piaceva quel posto, apparteneva ad un terrone di Castellammare che era un maestro nell’ arte di assumere in nero gli extracomunitari. 
Il bastardo si teneva la metà degli stipendi, inoltre pare possedesse un paio di appartamenti accoglienti come bare dove alloggiava i suoi dipendenti, che quindi gli pagavano pure l’ affitto. In questa maniera guadagnava talmente bene da comprarsi metà della municipale che bazzicava in zona e poteva fottersene dei controlli dell’ ispettorato. 
Ad ogni modo lui lo detestava quel posto, sempre pieno di cani stranieri. Negri di merda, cinesi di merda, rumeni di merda; gli davano il vomito. Ma oggi era diverso: era già su di giri e doveva distrarsi. Entrò e da dietro il bancone una faccia gli sorrise.
La faccia apparteneva a Rohan Siluvarasa un cingalese ventisettenne anche lui che, da quando era in Italia, si faceva chiamare Marco perché gli avevano detto che un nome italiano avrebbe aiutato la sua “integrazione”.

Rohan “Marco” Siluvarasa sorrideva con quell’ espressione cortese provata tante volte davanti a uno specchio, fino a farla sembrare naturale e intanto pensava a sua moglie e ai suoi quattro figli, rimasti nello Sri Lanka. Pensava anche ai duecento Euro che ogni mese spediva a casa, una piccola fortuna nel suo paese. Pensava agli altri duecento Euro con i quali avrebbe dovuto strisciare fino al mese successivo; ma soprattutto pensava, continuamente, al pezzo di terra che si sarebbe comprato al suo ritorno a casa, una risaia per portare avanti degnamente il suo nome. Improvvisamente Marco si rese conto che il cliente gli stava rivolgendo amorevoli parole:
- Stronzo, mi senti o no! Versami una birra coglione! Ma la parli o no la mia lingua!?! Cazzo ma questo da quale buco di culo è uscito!-
Marco si riscosse e rispose - Subito, subito … mi scusi, ora glie la verso-
-Subitosubitosubito- lo scimmiotto Tre passi - Vaffanculo, vado al cesso- sbottò mentre iniziava a smascellare.
Si diresse verso il bagno, ormai era quasi del tutto ottenebrato dalla “fame”. Una volta dentro si lavo la faccia e si guardo allo specchio. In quel momento decise.
- Ok, facciamo così - disse rivolto alla sua immagine riflessa - ora sazio questa cazzo di fame, poi vado fuori e do una lezione veloce al cinesino, poi corro da “Bilancino” e mi faccio fare un taglio alla roba, tanto mica Leone se ne accorge, basta che arrivo puntuale all’ appuntamento, e poi? Se “bilancino” spiffera? No, ma che cazzo a quello se gli faccio vedere il ferro si caga subito in mano e tiene la bocca ben cucita -
Il pensiero volava veloce ma le mani lo erano ancora di più mentre srotolava il pacchetto, preparava la striscia e arrotolava una banconota da cinquanta. Inspirò forte chiudendo gli occhi e attese la scossa che non tardò ad arrivare
“Biancaneve non delude mai” pensò mentre riapriva gli occhi arrossati sul suo stupefacente, nuovo mondo. Con la mano sinistra si strofinò le narici mentre la destra afferrava il calcio della pistola. Uscì dal bagno puntando la pistola verso il bancone
-Tre passi indietro!- urlò - tre passi indietro stronzo!-
Marco non si mosse, le fauci secche gli tremavano, le membra erano di marmo: era paralizzato dal terrore
- Come preferisci cazzone - disse Mirko mentre prendeva la mira.
Marco ebbe giusto il tempo di chiedersi perché fosse venuto a morire in quel paese, prima che il proiettile si portasse via metà della sua faccia e tutti quanti i suoi progetti.

Le scale di casa sembravano interminabili anche facendole quattro a quattro; trafelato entrò a casa sua, era nel soggiorno. L’ odore della polvere da sparo sembrava aleggiare anche lì; cercò di calmarsi, rallentare il respiro, pensare ma uno sciame di vespe gli ronzava nel cervello.
“Oh Cristo! – pensava – mi sono fregato da solo, c’ era un sacco di gente in quella bettola, tutta colpa di quell’ orientale e di quel suo sorriso di merda. Cazzo! E quel che è peggio ho lasciato la merce di Leone in bagno! Quello ora mi ammazza”.
Accese una sigaretta mentre girava in cerchio come un cane che si insegue la coda. A un certo punto schizzo verso la camera da letto, rovistò un poco tra la rete e il materasso del letto ed estrasse un involucro: la sua scorta personale. La soppesò sul palmo della mano e digrignò i denti “Meno di un etto … sono fottuto” il ronzio delle vespe stava aumentando.
Tornò in soggiorno, barcollava mentre il cuore gli pompava a mille l’ adrenalina nelle vene; doveva esserci una soluzione, non poteva finire così. Se solo fosse riuscito a concentrarsi …. Senza pensarci troppo preparò al volo un paio di strisce sul tavolino, si chinò rapidamente e inspirò la prima; aspettò la scossa … che non arrivò.
- Che cazzo?! – esclamò guardandosi intorno, Biancaneve alla fine lo aveva tradito; le vespe nella sua testa erano davvero furiose. Si chinò sul’ altra striscia e tirò ancora, con più forza: ancora niente, eppure la roba era buona, ne era certo.

Fu a metà della terza striscia che il dolore lo colse fulmineo. Partì dalla spalla sinistra propagandosi in un attimo lungo il braccio e invadendogli il petto, lo costrinse a piegare il collo mentre la bamba gli imbrattava il muso contratto dallo spasmo. 
Rimase per qualche istante supino a terra, con gli occhi chiusi; il dolore era sparito e si sentiva stranamente leggero. Si mise a sedere sul pavimento per alcuni secondi, poi alzandosi si voltò. Fu allora che lo vide: il suo corpo giaceva al suolo in una posa scomposta, quasi comica, mentre dalla bocca aperta fuoriusciva un’ abbondante schiuma bianca che mascherava la droga sul mento. 
Il terrore si impossessò di lui; non era possibile, era uno spettro. Fece per scappare, ma dopo pochi passi sentì qualcosa serrargli il collo; istintivamente portò la mano alla gola e sentì il cappio che la avvolgeva. Allora si girò verso la direzione da cui tirava la corda ed ebbe un sobbalzo; in piedi vicino a lui c’ era Rohan Siluvarasa, ex Marco che, con la metà ancora buona della faccia gli sorrideva con quell’ espressione provata tante volte davanti allo specchio. L’ altra metà del volto invece era solo un buco nero dai contorni irregolari e, guardandovi dentro, Mirko seppe, al di là di ogni dubbio, quale sarebbe stata la sua esistenza d’ ora in avanti. Seppe che avrebbe avuto solo tre passi di autonomia dal suo eterno compagno, il quale se lo sarebbe portato a spasso come un cagnolino; seppe che avrebbe rivisto all’ infinito i luoghi frequentati in vita, dove si spaccia e ci si fa, e il suo nuovo padrone avrebbe tirato forte la corda ogni volta che si fosse avventato sulla droga di cui sentiva ancora il bisogno e che lo avrebbe osservato compiaciuto mentre vomitava le budella in preda alle crisi di astinenza senza fine.
Seppe tutto ciò ed ebbe un tremito, mentre Rohan si voltava con calma e si incamminava: era l’ ora della passeggiata.




4 commenti:

  1. Spoiler inside.
    Un buon racconto che si dipana in maniera molto semplice e lineare e che gode, a mio avviso, di due particolari punti d'alta tensione: la morte di "Marco" - brutale e improvvisa, mi ci ha fatto restare malissimo! - e il finale che è una vera e propria BOMBA del weird!
    Complimentissimi.

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    1. Ooook. Tanto per cominciare chiedo scusa per il ritardo nella risposta ( dovuta a cause tecnico/informatiche). E poi ... Hey ha fatto colpo la morte di un extracomunitario di questi tempi! Allora son proprio bravo! Scherzi a parte, grazie infinite; che un racconto così datato (sotto il punto di vista stilistico) e lineare piaccia ancora è una gran bella soddisfazione.

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  2. Avevo già letto questo racconto sul mitico Scrivendo.it, poi sul recentemente chiuso Neteditor, ed ora eccolo qui…
    In tutto il suo cupo, cupissimo splendore. Eh!... il Karma ha giustamente ridotto e mantenuto tutto a tre passi dal protagonista...
    Ottima soluzione finale. Ottima scrittura.

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    1. Grazie Fabio! E ricordo perfettamente che grazie al tuo commento all'epoca di scrivendo.it ebbi il piacere di scoprire quel genio di Lansdale.

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