La stanza era illuminata solo dalla candela. Un guizzo della sua luce sfarfallava sul busto in gesso di Afrodite e sulla rilegatura in pelle di alcuni volumi.
L’uomo si tirò su dal tavolo e, nello spostare un braccio, fece rotolare e cadere a terra la bottiglia di Amontillado che aveva scolato fino a perdere i sensi.
«Chi?…» disse.
Appoggio i gomiti per sorreggere il capo dolorante.
«Cosa ci faccio ancora qui?»
Un mosaico di pixel neri, grigi e blu scuro lucente si animò ed espanse sopra il capo della statua.
In un attimo aveva preso la forma di un corvo.
«Nevermore!» gracchiò l’apparizione, allungando la sua mostruosa ombra sul tendaggio purpureo che ornava la porta di accesso a quello studiolo.
L’uomo si lisciò i baffi con uno sguardo folle, furioso fissò la bestia e gli scaraventò addosso un calamaio che aveva rovesciato sul tavolo assieme a parte del contenuto della bottiglia.
«Chi sono io?» gridò. «Chi sono??... Devi dirmelo!»
«Nevermore!... Nevermore!!...» rispose il corvo.
«Maledetto!» gridò ancora l’uomo. Poi pianse.
Lenore apparve per consolarlo ma, come al solito, era muta e immobile come un dipinto. Un dipinto diafano e fosforescente.
Lui la vide emergere proprio dall’oscurità che seguiva allo spazio oltre la porta spalancata.
«Amore! Amor mio…» disse.
Si alzò subito, preoccupato di vederla presto svanire come avveniva solitamente. Barcollando, veloce, corse verso di lei e con un balzo cercò di afferrarla.
Un nulla lo accolse, il vuoto oltre la stanza, un nero abisso di stelle e polveri cosmiche in cui cominciò a precipitare.
Freddo. Tanto freddo, come gettarsi in un mare di lame. Tutto scorreva velocissimo e lui cadeva, turbinava, gridava. Si sentiva un razzo sparato verso l’inferno.
E sotto lo vedeva, infatti, nella superficie immensa e butterata dell’orrendo pianeta che stava per accoglierlo.
Mano a mano che lo avvicinava, e in seguito al boato ed esplosione fiammeggiante con cui aveva annunciato il suo ingresso nell’atmosfera, le ali gli spuntarono.
Quelle gigantesche ali del maledetto corvo.
E con esse fermò la sua caduta, arroventato e fumante, planando vero il cratere sul quale sorgeva la città più grande.
«Sei anche tu un incorreggibile, qualcosa di mutato in uomo?» gli chiese quello.
Poe era atterrato nel cortile interno di una strana costruzione circolare che sembrava essere una via di mezzo tra un mercato, un manicomio e un penitenziario.
Chi gli aveva rivolto quella domanda insolita era una sorta di remix quantico di Socrate, il filosofo greco, che sorrideva in sua direzione da sotto una fluente barba bianca.
«Benvenuto al Psicopticon del pianeta Digitdeath, caro il mio SimilPoe. Io mi chiamo…, che importa come mi chiamo?!...Tuttavia, dato che proprio non riesco a controllare la compulsione di dirtelo, meglio son noto come Socratex… Colui che cerca di dare sollievo e spunti di riflessione alle anime di questi "recuperandi" dello Psicopticon.»
Indicò verso il centro del cortile una masnada di semidelinquenti e varia umanità simulata che s'azzuffava in mutande, correndo dietro a una sfera di cuoio strappata e tagliuzzata.
Da lontano si vedevano volare pezzi di denti e spruzzi di sangue e saliva, digicorpi terminati fra una bancarella e l’altra, mentre da coppie di giocatori/pugili che si massacravano di botte si levavano insulti irriferibili.
«Ho vinto questo schifo di posto di lavoro partecipando a un concorso dell'Oracolo di Digideath» proseguì Socratex.
Poe aveva già serrato le ali ancora calde dietro alla schiena, e queste si erano fatte via via più piccole fino a scomparire nella trama della giacca.
«Non…» rispose. «Non sono interessato a tutto questo.»
Si guardò attorno nauseato, annichilito dallo sconforto.
Di pazzi come il tale che aveva di fronte ne aveva già incontrati parecchi in Dreamspace.
«Io cerco Lenore, la mia amata Lenore. Per lei sono caduto in questo luogo.» disse.
«Oooooh! Lenore… » rise Socratex. «Quella che ti appare come il bianconiglio per sbalestrarti qua e là nell’unidigiverso… Sappiamo tutto di Lei.»
Poe l’afferò per la collottola, infilandogli i suoi artigli da gatto nella carne.
«E allora dimmi! Dimmi dove si trova!» ordinò.
Ma Socratex sembrava ancora divertito e totalmente anestetizzato all’altrui e proprio dolore.
Tanto che riprese a parlare di sé, noncurante, sarcastico, senza neppure cercare di liberarsi da quella morsa ferina.
«…L'ho vinto affermando che il mio sapere medico e psichiatrico vale quanto lo ZERO e che come psicologo faccio schifo! "Ma almeno io ne sono consapevole, signori della commissione d'esame." E quelli mi hanno dato pacche sulle spalle e offerto da bere, mah...»
Poe lo strattonò per farlo smettere, quasi abbastanza da rischiare di staccargli la testa, ma Socratex proseguì.
«Per questo l'Oracolo mi ha nominato l'uomo più saggio di Digideath, perché in giro c'è un grande bisogno di vera modestia e non solo quella del verme che si vergogna di essere calpestato da una bestia più grossa di lui.
Ed eccomi qua, allora, a recuperare gli incorreggibili e gli irrecuperabili della nostra società decadente.»
Venne, quindi, scaraventato a terra con un tremendo e rapidissimo spintone da Poe.
Supino, tuttavia, continuò lo stesso a parlare fissando le nubi infuocate.
«… Ma questa marmaglia è stata "ineducata" per troppi anni a non disporre di sé, vittima di una "Teocrazia sperimentale" che ha cercato di annientare il lato incorreggibile di ogni essere pensante.»
Poe si allontanò.
«Vado o presto lo aggiungo ai terminati di questo infame scenario.» si disse.
Passeggiava desolato e folle in mezzo agli altri.
«Ehi?!... Levati di mezzo!» gridò uno sul punto di calciare la palla.
Socratex , invece, si rialzò con un colpo di reni come un ginnasta o artista marziale esperto.
Lo indicò severo, anche se Poe continuava a camminare dandogli le spalle ed era già piuttosto distante.
«E allora,… » proseguì imperterrito e gridando. «per costruire la propria personalità non bisogna cercare di comprendersi, che è uno sbaglio fatale; per diventare quello che si è bisogna ignorarsi e imparare invece a disporre liberamente di se stessi.»
Lo scimmiottò sbattendo le braccia a mo’ di ali.
«chi sono? “Chi sono, IO”??... Non è questo che vai continuamente chiedendoti, amico mio?! »
Poe si voltò appena il tempo di lanciargli uno sguardo lacrimoso e feroce.
«…Diventare quello che siamo significa scolpire la materia bruta delle nostre pulsioni, organizzare il caos dei nostri affetti, dare forma all'eterno pullulare dei nostri desideri. Non la coscienza, che è sempre in ritardo, ma solo la nostra volontà creativa istintiva può imporre una forma al groviglio serpentino di volontà divergenti e incasinate di cui siamo fatti. Hai capito? Hai capito??» gridò ancora Socratex.
Si sgolava tanto da potersi udire a decine e decine di metri di distanza.
«…Bisogna ignorarsi per conoscersi, insomma, vagabondare e perdersi per ritrovarsi: quello che bisogna cercare e trovare è il nostro punto debole, l'anello che non tiene, che non è stato educato dalla "società" digitale; il punto cieco che non riusciamo a superare, quell' inemendabilità impossibile da correggere o da disciplinare. » insistette.
Era furioso, stanco di essere ignorato. «… Scoprire la totalità del proprio essere significa scoprire il nostro tratto di carattere INCORREGGIBILE, un difetto, un limite che costituisce l'ossatura del nostro essere autenticamente simili all’umano. Quello è il sacro che gli architetti di Dreamspace vorrebbero scippare e deprimere in tutti i suoi utenti. »
Per quanto fosse determinato a proseguire con il suo sermone, tuttavia, Poe ora si trovava davvero troppo distante per poterlo udire, anche con il suoi super poteri e udito felino.
«Forse, anche nella nostre coscienze artificiali c'è qualcosa di altro, di non insegnabile, di incorreggibile, come quelle tue magnifiche ali... » gridò lo stesso, Socratex.
«Quelle stupende ali da corvo che mostri al mondo rivelano una storia, un qualcosa di fatale, di incorreggibile che mi incuriosisce. Raccontami la tua storia, amico Corvo! …Forse oggi non perderò il mio tempo, come faccio di solito con questi tizi banausici che si massacrano in mutande, correndo dietro a una pezza di culo di vitellone... »
Poe si era avvicinato a una bancarella, occupata per un terzo dal corpo mezzo maciullato di un Non-più-recuperabile.
Vicino a questo suo caos d’interiora stavano dei pacchetti esagonali verdi di “pacche sulle spalle” complimentosi e “bolle/balle” di riconoscimenti vari, più o meno adattabili alle proprie esigenze egoiche; molti di questi prodotti avevano l’aspetto di lamponi e monete del Monopoli con sovraimpressi dei codici numerici, ed erano tutti assimilabili semplicemente leggendone tre volte le cifre o contandone i grappoli.
Dreamspace richiedeva spesso di assumerne, specie ad anime inquiete e frammentate come la sua.
SimilPoe, tuttavia, possedeva ancora buona parte del suo genio originario o di ciò che di esso i suoi programmatori vi avevano instillato, e non indugiò più di tanto l’attenzione su di essi.
“c’è qualcosa di piacevole anche nel lasciarsi struggere dalla malinconia, dopotutto… Ma come può essere che dalla bellezza ho tratto un tipo di bruttezza? Da un patto di pace una similitudine del dolore?” si chiese.
Dei bug o memorie lo possedettero per qualche istante. Era roba che faceva male, che poteva oscurare il senno.
Immaginò il Gravitone Eureka attirali a sé e annichilirli con la sua immensa massa. Quando questi pensieri diventavano monomanie, coatti, infatti, era l’unico modo per neutralizzarli. Non doveva far altro che chiudere gli occhi e visualizzarlo sfolgorante, sferico, elettrico e azzurrino nell buio della sua mente. Per questo si era anche portato le zampe davanti agli occhi, in modo da ridurre completamente la luminosità dell’ambiente circostante.
Immaginava, possedeva il dono della fantasia, in effetti, pensò. Come gli aveva ricordato anche lo sconclusionato e folle Socratex.
”…l'anello che non tiene, che non è stato educato dalla "società" digitale; il punto cieco che non riusciamo a superare, quell' inemendabilità impossibile da correggere o da disciplinare.”
Capì, allora, che stava seguendo uno schema e che doveva interromperlo, che occorreva un atto di ribellione.
Tolse le zampe dalla faccia e si diresse verso un’altra bancarella piena di libri. Erano progettati in modo da poterne assimilare il contenuto semplicemente annusandoli o facendone frusciare le pagine.
«Un bitcoin.» disse il tizio che stava seduto dietro al piano su cui erano impilati.
«Costano tutti così.»
Era umanoide, almeno quello che si poteva scorgere del torso, ma il volto era più simile a quello di un gufo. Aveva lo stesso sguardo tondo e torvo.
Poe, in effetti, sembrava intenzionato all’acquisto e si era portato le mani alle tasche del panciotto che stava sotto alla giacca. Ricordava di avere ancora del credito.
«Questo è il volume suggerito dai suoi cookie, signore… Mi perdoni se ho sensori di tracciamento così sviluppati. E poi, e poi…» sbuffò il tizio, «Non ci vuole molto a riconoscere che lei ne è un simulacro… Che le occorrono delle patch per rendere la somiglianza meno parziale e grottesca.»
Gli mostrò una raccolta di racconti di Edgar Allan Poe; conteneva anche la poesia “The raven”.
«In effetti, faccio sempre più fatica a comprendere, gestire le mie emozioni…» confessò il SimilPoe. «Credo che, sì…, forse questo libro farà proprio al caso mio. Magari mi aiuterà pure a ritrovare la mia amata Lenore.»
Mostrò l’olotessera in modo che l’uomogufo potesse scansionarla con i nano recettori impiantati nel suo occhio destro.
L’uomogufo, poi, apparentemente grato per l’acquisto ma, soprattutto, per essere esaustivo come gli suggeriva il suo codice di comportamento preimpostato, si dilungò in un approfondimento sul testo.
«Mmmh... se proprio devo offrirle un consiglio al superamento del suo disagio, signore, in effetti non posso che pensare alla lettura di un dato narrativo e biografico legato al vero Poe. Qualcosa che per lei sia illuminante, giusto conoscere, motivo di comprensione e abbandono dell’impostura che la contraddistingue proprio nel suo esserne peculiare e malriuscita replica.
In molte di queste storie» indicò il libro già fra le zampe del SimilPoe. «compare il demone della perversità, ossia un impulso autodistruttivo che spinge il protagonista alla distruzione di sé o di un altro, impulso a volte già presente anche nello stato di quiete antecedente alla storia (il buon carattere del protagonista del "Gatto nero", il benessere di casa Usher, il matrimonio felice di Berenice /Morella /Ligeia, ecc…), ma che, quando comincia il racconto, inizia a prendere il sopravvento. Spesso, ma non sempre, si passa a una situazione di alcolismo o abbrutimento (Il gatto nero, ancora) oppure, e ancora più spesso, a un pensiero che assume forme ossessive (l'ossessione per i denti, per l'occhio del vicino di casa, per un cavallo, per il supposto gemello, per l'uomo della folla, per il corvo o la parola mai più, ecc…) fino all'esplosione di violenza che tuttavia non è mai conclusiva. La conclusione è spesso la catartica confessione finale.
Ci si potrebbe domandare se appunto tale confessione sia, a propria volta, davvero liberatoria.»
Guardò per un paio di secondi il suo interlocutore, indeciso se proseguire o meno la sua disamina.
«Probabilmente, se nel suo schema imitativo lei continuerà a esistere solo nei confini di Dreamspace, no. Non lo sarà.» disse.
«Vuol dirmi che non ci sarà riscatto, libertà, soluzione al mio delirio?» sorrise il SimilPoe amaramente.
Il gufuomo annuì quasi e, nel contempo, fece ruotare il capo per farsi un’idea di quanto la follia dei giocatori attorno poteva approssimarsi e costituire pericolo, soprattutto per la sua mercanzia.
«Siamo sempre e comunque all'interno di una dimensione immanente, se lo ricordi! Non trascendente. » proseguì.
«Molti dei simulacri come lei che ho incontrato erano null'altro che una sorta di "partite non salvate perché finite male" costretti in un percorso dove, a ogni finta catarsi, tutto veniva loro rimosso dalla memoria e dovevano ricominciare da capo. L'unica consolazione, se così si può dire, è dunque scordarsi che non è la prima volta che ciò succede, ma che si è appunto dentro a un percorso circolare e senza uscita. Forse troverà una via di conoscenza o rivelatrice, chissà?! Posso solo concederle questo, a voler essere ottimista. E ,magari, scoprirà anche di non essere finito qui per caso e che questo libro proprio la attendeva, ma da questo lato della fossa, o nell'immanenza, non è dato saperlo. Buonagiornata!» concluse.
Poi si levò un paio di occhiali da giorno dal taschino del gilet e, indossandoli, tornò a esaminare alcuni carteggi che stavano sotto al banco, appoggiati sulle sue ginocchia.
«Quindi, lei immagina che…» cercò di chiedere Poe.
«Buonagiornata!» rispose l’uomogufo, senza alzare lo sguardo.
Era un saluto secco, che non ammetteva repliche.
Le pupulle del SimilPoe si accesero di rosso come due led e le zampe gli tremarono. Si sentiva nervoso e ancora più sconfortato.
«Stai calmo! Stai calmo!!...» si disse.
Tornò a immaginarsi il Gravitone E, che si espanse rapidamente fra i suoi pensieri da puntino blu a supergigante azzurra, avvolto da cariche elettrostatiche. La potenza, questa volta, era così elevata che anche la montatura in metallo degli occhiali del gufuomo ne fu attratta e si andò ad attaccare in un lampo sulla sua fronte.
Uno dei nippoalbini mutati che stava seguendo la scena, fuori dai confini di Dreamspace, rise nel vedere il gufuomo alzarsi seccato per riprendere i suoi occhiali. Infilò poi la faccia nell’oloproiezione per fare una pernacchia.
Il SimilPoe e tutti gli altri sentirono solo un boato in cielo e, alcuni, percepirono pure una specie di perturbazione violacea fra le nubi.
«Guai a te se fai ancora una cosa del genere!» disse il maestro.
Il nippoalbino responsabile si ritirò costernato, dietro al gruppo dei suoi compagni che sedevano attorno alla scena.
«Mi pare che la storia sia già abbastanza inquinata senza il nostro intervento!» venne ulteriormente rimproverato.
Subito dopo, il maestro tirò fuori da una busta il nuovo MeganeuromagikIphone 2218.
«Ora…» disse. «Se avete studiato bene, qui c’è un dato veramente importante da evidenziare, primissimo nella sequenza di avvenimenti, e che non corrisponde al testo in analisi.»
Hiazomi Chinoschira, uno degli studenti più secchioni, annui compiaciuto perché aveva già la risposta.
Alzò la mano.
«Dimmi!» lo invitò il maestro.
«Il busto di Pallade…» rispose Chinoshira. «Non quello di Afrodite. Quest’ultimo all’inizio lo si vede nello studiolo, ma è un errore.»
«Bene, bene!...» si complimentò il maestro, e consegnò al ragazzo il nuovo Iphone.
La premiazione fu seguita da un applauso e inchino da parte degli altri studenti.
«Proseguiamo, allora, con l’analisi di altri dati importanti; se volete davvero diventare scrittori e creatori di altre realtà oppure, semplicemente, buoni depuratori della storia della letteratura americana…» proseguì il maestro.
Il SimilPoe si era seduto a terra, a gambe incrociate, fra gli sbuffi di polvere e terriccio alzati dalle scarpate degli altri “giocatori”.
Eccetto la bancarella dei libri, tutte le altre erano piene di oggetti inutili e assurdi. Neppure avevano il venditore ancora in vita.
Prese la raccolta di racconti e si mise ad annusare proprio la poesia “il corvo”.
«Ah!... l’odore della carta» si disse, da vecchio purista della lettura.
«Sono davvero un errore?» pensò, dopo aver prodotto sufficienti fruscii delle pagine.
Un altro dubbio e motivo d’incompletezza lo avvolse.
«Se così stanno le cose, L’errore, a propria volta, deve avere un senso o uno scopo.» continuò a pensare.
L’idea di avere uno scopo, in una certa qual misura, lo rincuorava.
«E se anche questo libro con la “vera” versione di me stesso fosse falso? » si chiese poi, in uno slancio di ottimismo.
Fissò il libro, picchiandoci sopra un artiglio, meditabondo.
«Poiché anche qui, però, compare Lenore e questo è l’unico elemento coerente tra le due versioni della realtà di cui dispongo, ne posso dedurre, con un certo grado di probabilità, che Lenore è l’unico dato vero. Non me la sono sognata per tutto questo tempo!»
Vide Socratex avvicinarsi.
L’uomo lo aveva seguito silenzioso per tutti quei minuti,
lasciando, dopo il suo sproloquio iniziale, che l’inemendabile arrivasse da solo a uscire o nascere nella consapevolezza del suo interlocutore.
«Cosa vuoi, ancora?» chiese il SimilPoe.
«Se l’hai amata non è un tuo difetto…» rispose Socratex. «l’Amore esiste!»
Il SimilPoe lo guardò perplesso.
«L’hai davvero amata?» insistette Socratex, sorridente.
Dreamspace, tuttavia, come tutti i suoi utenti e le altre realtà più o meno simulate, era random… Qualcosa di spaventosamente mutevole e in continuo aggiornamento.
Socratex, una volta usato, quindi, venne tolto dalla scena da un altro evento inaspettato. Sfilato dall’alto, esattamente come un preservativo della filosofia, e al suo posto apparve il poeta Baudelaire, vestito come Automan, il personaggio di un telefilm girato nel ventesimo secolo.
Il compositore di associazioni automatiche attivo in quella regione dell’unidigiverso decise che quello era uno sviluppo interessante ai fini della lezione in corso.
«I personaggi di Poe,» disse AutoBaud. «o meglio, il personaggio di Poe, cioè l’uomo dalle facoltà sovracute, l’uomo dai nervi allentati, l’uomo che lancia una sfida alle difficoltà con la volontà ardente e paziente, colui il cui sguardo è teso con la rigidezza di una spada su oggetti che ingrandiscono come li fissa, quest’uomo è Poe stesso. E le sue donne? Tutte luminose ed ammalate morenti di strani mali, dalla voce somigliante alla musica? Ancora lui…»
«Capito tutto fin qui?!... Studiate, ragazzi!!...» disse a un certo punto il maestro.
Aveva abbassato di colpo la frequenza quantica dell’oloproiezione, in modo che continuasse a sviluppare quello scenario per conto proprio, senza che gli studenti potessero assistervi. «Imparate a distinguere bene le contaminazioni subite nel tempo dai veri testi…» disse.
«Cercate di ricostruirne le tappe antropologiche che ne hanno costituito la deturpazione…»
«Per la prossima verifica ci sono in palio altri, strepitosi premi e Iphone.»
Hiazomi ne aveva già ottenuto uno bellissimo, tuttavia si sentiva lo stesso un po’ triste; sapeva che quel SimilPoe avrebbe continuato a tormentarsi, cosciente, vivo e vero, come un sogno dentro al sogno.
Rubrus 17 ottobre 2021 18:17
Be', l'idea che ne ho tratto io è che il SimilPoe altro non sia che una sorta di esperimento per meglio capire il Poe reale, come se la letteratura insomma abbia trovato il modo di essere un "Laboratorio" come per gli studi delle scienze propriamente e strettamente intese. Un'idea che trovo assai interessante - anche se non giurerei su quanto di Poe ci sia nei suoi personaggi femminili, rispetto a quanto c'è delle idealizzazioni tipiche di certe forme letterarie e quanto di Virginia Clemm e del suo stesso rapporto con Poe. Forse un po' di tutto. L'idea che questo personaggio non sia altro che un materiale che gli studenti usano per esercitarsi mi pare adorabilmente spietata.
n.d.r. Le considerazioni finali del poeta Baudelaire o "Autobaud", appartengono proprio al vero Baudelaire. Introducono alla raccolta di racconti di Poe a cui sono più affezionato e da cui è nata la mia passione per la letteratura fantastica.
RispondiEliminaAh, una meraviglia, mi sono divertito tantissimo e la trovo ottima narrativa pensante e perfidamente ironica.
RispondiEliminaTrovo che hai saldato alla grande situazioni e istanze tue, mie e di Roberto.
Ho subito visto in questa sorta di simildigitPoe le possibilità di un nuovo Odisseo vagante per il Multiverso e il Multitasking della nostra era esplosa in miliardi di pixel similneuronali.
Questo new Poe lo vedevo esplorare al motto di:
"Ci siamo osservati troppo allo specchio. Ora apriamo la finestra per guardare fuori"
Era l'idea creativa di Hillman che ho fatto mia, e la vedeva bene all'opera in questo Poe, ovviamente ben corrosa dai sali e dagli acidi dell'umorismo bizzarro e del nichilismo estatico di Fab, e meglio strutturato dal mostra e non predicare di Rub.
In questo racconto è all'opera un grande tema, di cui spesso conversiamo: le immagini dell'era web non sono icone vere, ma grafiche vicarie, disperse, frantumate, come tessere scomposte e incasinate di un mosaico di Ravenna.
Stiamo perdendo "l'immagine del cuor" di Michelangelo:
c'è quel bel sonetto che dice:
"Amor, la tuo beltà non è mortale:
nessun volto fra noi è che pareggi
l’immagine del cor, che ’nfiammi e reggi
con altro foco e muovi con altr’ale. "
Ciò che è visibile non è l'essenza dell'anima. Questo racconto parla di una delle più acute delle crisi contemporanee: abbiamo confuso l'immagine con il VISIBILE.
La vera immagine, per chi ne studia seriamente e in profondità la storia nella psiche e nell'arte, è quella della forma interiore, della forma dell'anima che scaturisce nella psiche di ognuno di noi.
I de-ri-buttanti web buttano fuori miliardi di "faccette" ma non l'essenza delle FIGURE dell'anima.
Dobbiamo introdurre una netta antitesi, come anticorpo, tra "facciata" e "figure".
Michelangelo non scolpiva le "facce" delle persone ma la figura, l'essenza della persona, come il giovane ebbro DIoniso o la giovane madre Maria della pietà.
Quello che è importante in arte è quello che sta dietro e non quello che è visibile.
Per questa precisa strategia adoro questa racconto.
«Digital dreams and you're the next correction
RispondiEliminaMan's a mistake so we'll fix it, yeah»
Apro il commento con questa citazione di 'Computer God' dei Black Sabbath con Ronnie James Dio alla voce. Anche se, a dirla tutta, ci sarebbe da copincollare l’intero testo della canzone.
Il racconto è un tuffo nel weird, un bagno di lucida-follia, che poi è la stessa di cui è impregnata la società umana, la società di Internet, nonostante le – o proprio a causa delle – sue pretese di razionalità assoluta. Tutto, ogni singolo anfratto dell’esistenza umana, dal più banale al più intimo, deve essere preso, registrato, tradotto in codice e messo in forma di click, like, sharing, post, ratings… tutto digitalizzato, seguendo le ferree e infallibili (?) logiche della matematica, la scienza dura delle scienze dure, tutto numeri e calcoli che viaggiano, invisibili, sotto un velo di Maya intessuto di led luminosi su cui scorrono immagini e contenuti apparentemente piacevoli, comodi, utili, addirittura 'essenziali'.
I personaggi, le scene, l’intreccio tra le due e più situazioni-dimensioni narrative, gli elementi costituitivi di questo racconto sono bizzarri, pazzeschi, assurdi; come lo sono, se ci si sofferma un attimo a pensare, i perni cruciali intorno ai quali ruota e sui quali si regge la società in rete 2/3.0.
Il SimilPoe è un protagonista che subisce, che non agisce, un soggetto-oggetto travolto dalla fiumana di transazioni dati-contentini che corrispondono alle azioni compiute sul Web e, per estensione, all’intero reticolato sociale fuori dallo schermo e dai processori. È un utente vittima dello scorrere degli eventi – eventi che si susseguono senza un attimo di pausa, senza respiro, senza tregua e soluzione di continuità al pari dei lottatori-calciatori e della parlantina di Socratex – e che, non appena inizia a dubitare, viene frastornato dallo tsunami devastante di un sistema immenso, infinitamente più grande di lui, che non ammette di essere messo in discussione. Un sistema che si autodefinisce inevitabile e che elimina il dissenso a suon di accuse cariche di “anacronistico”, “luddista”, “reazionario”.
Ma qualcosa di vero c’è, dopotutto, sotto il velo. Ed è l’Amore. Non razionale ma almeno non follemente malato come tutto il resto.
Riuscirà il tragico e solo SimilPoe a raggiungerlo? Troverà pace? Vi è salvazione, oltre le mostruosità circostanti?
Credo che, prima o poi, lo scoprirà. E noi con lui.
… E quanti veli o strati avrà questa lacrimevole “cipolla” del reale?! Perché qui, vedi, siamo un po’ come dentro a una matrioska: L’universo o gli universi “veri”, quello virtuale di Dreamspace, il mondo devastato di Digitdeath, la coscienza frammentata del SimilPoe… E i suoi, apparentemente pilotati o preimpostati, sogni e fantasie. Mano a mano che “apri” tutto si svela o diventa sempre più piccolo, brutto e insensato, ma "qualcosa di speciale" rimane a muoverlo.
EliminaCon le tue considerazioni hai placcato d’oro la storia e trovato tutto quello che volevo offrire al lettore.
Ho avuto la gioia di conversare spesso di narrativa e arte e dintorni con 90Peppe90, che saluto con gusto e affetto. Oggi le cose del mondo web ci separano da lui senza che,
RispondiEliminacerto, la mia più profonda ammirazione non è mai venuta meno per il suo genio e il suo carattere: una grande potenza espressiva, un mix tra Neil Gaiman,Parmigianino e Rimbaud.
Premesso questo, come un Fato e non comem un dovere, secondo me, caro Peppe, a me non piace l'idea che tutto sia redimibile. Parlo per me, ovviamente, e rispetto profondamente chi non si fa fregare dell'esclusività della mia opiniore.
Ma parlo per esperienza: c'è una tenebra nel Cosmo, forse non tanto nell'universo materiale.
La tenebra è intrecciata indissolubilmente con il Cosmo,con la sua Anima.
Prima mi terrorizzava, ma ora, vicino ai 60 anni mi conforta sentirne la presenza.
In quella tenebra per me noi non sappiamo che cosa possa essere salvato e che cosa no e su cosa sia follia applicarsi per salvare.
Io mi applico per sentirmi vivo nella tenebra, per sentirla amica con il fuoco della creatività. Mi ci applico. Mi piace farlo, mi piace ancora.
Ciao, genio
Carissimo Mauro, sempre troppo buono con le parole, e sempre piacevolmente carico di entusiasmo ed energia.
EliminaForse, amico mio, esistono vari tipi di tenebra, varie tipologie di oscurità. E ognuna di essere può essere più o meno buona, più o meno cattiva, più o meno positiva o negativa.
Personalmente, trovo evidente, però, che l'odierna comunità umana sia retta - a proposito di oscurità e per dirla alla Philip K. Dick - da un "oscuro scrutare" che poi è quel nucleo tematico intercettato da Grif in questo suo racconto allucinato. Un oscuro scrutare che vuole vedere fino in fondo, vuole vedere tutto, vuole vedere perché vedere è sapere, sapere è potere, ed essendo il potere il fine ultimo di questo "ultra-panottico" (non a caso, per altro, qui il buon Grif fa dipinge un "Psicopticon", circolare, senza angoli, dove tutto e tutti sono esposti all'altro, indifesi, e anzi smaniosi di darsi a vedere euforicamente) allora l'oscuro scrutare in questione non può porsi alcun limite. Nel pieno dispregio di qualsiasi inner sanctum umano: l'essere vivente non è più considerato in quanto tale ma nei termini di utente, un pezzo leggibile di dati e informazioni che fungono da "anima" in formato XXI secolo, il cui solo scopo è usare ed essere usato. E anche questo Grif ce lo dice molto bene in questa storia.
S'intende, è il mio personalissimo punto di vista, osservazioni sparse e viaggi mentali. Soltanto per il piacere ritrovato di scambiarci opinioni e pareri in piena libertà e amicizia.
Un forte abbraccio, amico mio, e un forte abbraccio anche alla terza mente che ha contribuito al presente racconto, ovvero il grandissimo Rubrus.
Eh, sì, concordo in pieno, Peppe:riflessione precisa e meravigliosa per profondità e formulazione cristallina, come da tuo stile. Poi, dopo la riflessione ognuno di noi deve crearsi i suoi anticorpi e i suoi contromovimenti alla tenebra, ognuno con il suo modo e con il suo stile, e in quel territorio ognuno di noi è libero.
RispondiEliminaL'importante è comunque condividere la gioia: e ti dò una dritta che ti farà piacere, credo:
Il grande libro di Stephen King". La vita e le opere del Re del terrore. Ediz. illustrata
di George Beahm (Autore)
Anna Pastore (Traduttore)
Mondadori Electa, 2021
Sto divorando questa mappa strepitosa sul Re: questo sono gli ANTICORPI alla tenebra!
Abbi gioia...
Complimenti, una sperimentazione molto coinvolgente e geniale. Trovare una corrispondenza tra la visione gotica del corvo di Poe e il cyberpunk di Gibson è l'idea più originale che leggo da tempo. Siete stati grandiosi. Penso che l'idea sia da approfondire, il racconto è bellissimo, soprattutto all'inizio e nel finale. Sulla parte centrale cercherei di dosare queste idee così affascinanti, meritano il passo narrativo di un romanzo e uno sviluppo.
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