mercoledì 23 ottobre 2013

Un tempo senza eroi


La visione


Si stava arrampicando velocemente e con l’agilità di una scimmia, finché qualcosa che poteva sembrare un astro infuocato attraversò con un boato assordante il cielo immobilizzandolo per un attimo su un cornicione.
Era Quetzalcoatl, il serpente piumato, venuto a spianare con un po’ del suo sacro fuoco la strada ai cavalieri dell’apocalisse.
"Lascerà a bocca aperta quei quattro…" pensò, mentre le sue lingue di fuoco saettavano verso l’orizzonte, e si fece schermo con le mani per tentare di ripararsi gli occhi dalle lunghe e abbaglianti scie lasciate in cielo.
Poi fu investito e ridotto all’ istante in cenere da un’immensa deflagrazione.
SVAAAAAaaaaaaam!!!… Come un lampo di luce bianca, e si rivegliò appena in tempo per non cadere.

…Una delle tante città degli sciocchi.

Pennywise stava nel suo ufficio appartamento, intento a gustarsi articoli di odio e contestazione riportati dei vari blog che lo riguardavano, quando sentì picchiare sui vetri della grande finestra che aveva davanti a sé.
Non si scompose, anche se era da solo e all’ultimo piano del suo mostruoso  grattacielo neogotico.
È arrivato.” pensò, allargando un bel sorriso da pescecane.
Poi appoggiò il suo sigaro e in tutta calma si levò dalla scrivania per dare un’occhiata là fuori, dal momento che spesse tende non lasciavano passare altro che un piccolo ritaglio della notte.
Vrrrrraaaaak!
Le scostò, separandole con un vigoroso spalancare di braccia, e annuì compiaciuto per l’esattezza della sua intuizione.
Poco sotto al davanzale, appollaiato sul gargoyle che sporgeva dalla parete, c’era infatti il Vendicatore.

 

“Avanti!…” disse. “…Proprio non mi va di vederti mandare in frantumi le vetrate con qualche stupida mossa di kung fu.”
In effetti, era il tipo di dinamismo che potevano suggerire all’immaginazione il costume e la corporatura atletica del ragazzo.
Pennywise aprì, dunque, bene bene la finestra e tornò alla sua sedia e al suo sigaro senza curarsi di quello che il suo avversario avrebbe realmente deciso di fare e, dopo qualche secondo, lo vide issarsi sul davanzale.
“Immagino che sarai venuto qui per uccidermi?!…, eh eh!” disse.
Una densa nuvola di fumo lo avvolse, non riuscendo però a celare la vivida  ferocia dei suoi occhi scintillanti.
“Di sicuro non mi sono fatto quaranta piani di free climbing per venire a portarti dei pasticcini…” rispose il Vendicatore.

“C’è qualcosa di personale?” chiese Pennywise.
“Anche…” rispose il ragazzo. “… In una sparatoria organizzata dai tuoi uomini e rimasta coinvolta mia nonna.”
“Eh! Eh! Morta?”
“No, ma si è presa un bello pavento. Un proiettile le ha portato via mezzo orecchio.”
“Glielo facciamo rimettere, e più bello di prima…” disse il clown. “…Che ne dici? Non bado a spese.”
“Adesso non me ne frega un cazzo di quello che puoi fare coi tuoi soldi.”
“Allora cosa diavolo vuoi, ragazzo?”
“Restituire un po’ di sogni e di speranze a questa città…” rispose il Vendicatore. “…Gotham non è più  quella di una volta.”
“Gotham non è più quella di una volta?!…” ripeté il clown con un ghigno isterico e carico di perplessità. “…Ma che diavolo stai dicendo? Qual tipo di banalità e frase fatta è mai questa?!…: Gotham  è sempre stata un giocoso parco divertimento dei bastardi. Eh! Eh!… Hai forse dimenticato il Joker, Due facce, Riddler e tutti gli altri mascalzoncelli che mi hanno preceduto?”
“Affatto, ma c’era ancora l’illusione di poter combattere per qualche ideale di giustizia e, in ogni caso, mai nessuno dei miei ci aveva rimesso qualcosa.”
“Senti, senti!!… Se vuoi posso anche fartela clonare tua nonna, fartene avere una tutta nuova; pure una di scorta per quando crepa. Basta che ti levi in fretta dai coglioni, visto che ho delle cosucce parecchio importanti da fare sul mio portatile!”
Lo riaprì e, sollevando lo schermo, si rimise tranquillamente a leggere.
Due minuti buoni di sorprendente indifferenza nei confronti del suo ospite.
Poi sentì un “trik trluk” di pallottole caricate in un otturatore, alzò lo sguardo e si accorse che forse era il caso d’interrompere nuovamente la lettura.


“Hmmm…” fece. “…Sei un duro, allora?!”
“Proprio!” rispose il Vendicatore.
Aveva montato sull’avambraccio destro una specie di cannoncino i cui comandi di fuoco erano posizionati sul palmo della mano.
Glielo puntò dritto dritto sulla palla rossa che gli ricopriva il naso.
Pennywise, dunque, chiuse le pagine che aveva caricato dalla rete e aprì la cartella del suo archivio  collaboratori.
“Forse è utile che ti spieghi una cosa, ragazzo…” disse, volgendogli lo schermo del pc. “…Non mi si può uccidere; anche se, certo, quando assumo un corpo posso soffrire o morire per qualche secondo. Perché, vedi,  io non sono solo uno di quei mostri che soltanto il sacro fuoco dell’apocalisse può eliminare, ma un modello di comportamento, una casta…”
“Una casta?”
“Sì…” rispose Pennywise “…Una CASTA! La vedi tutta questa gente qui? È quella che tira le fila di Gotham: uno più figlio di puttana dell’altro, e tutti in coda a difendere o prendere il mio posto.”
Il Vendicatore si avvicinò allo schermo.
“Eh! eh! Sì, guarda bene ragazzo. Ci sono fior fiore  di politici, economisti, magistrati, banchieri, finanzieri, poliziotti, commedianti e alti prelati…”
“Normale amministrazione.” commentò il Vendicatore.
Che la corruzione fosse distribuita a tutti i livelli era un’ovvietà, qualcosa che nessuno aveva difficoltà ad accettare.
“…fra i più influenti e consapevoli a mantenere il mio stato di cose,…” riprese a spiegare Pennywise, “… se ne contano circa duecento; qualcuno, però,  ultimamente sta facendo l’ultraesoso, attirando oltremodo l’attenzione e le ire della plebaglia. Se vuoi te lo faccio beccare con le mani nel sacco; così me lo togli in fretta dai piedi e ci fai pure la figura dell’eroe.”
“Lo stesso eroismo che hai dimostrato tu, magari, quando sei arrivato qui per stringere alleanza col Jocker?… Prima di ucciderlo.”
“Esatto!… Altrimenti a che servono gli amici? Eheheheheh!”
“Non è quello di cui ho bisogno.” rispose il Vendicatore.
“Allora cambia città, ragazzo, o mondo. Le società umane, da che esistono, sono sempre state organizzate in questo merdoso modo e poi, qui, non c’è più spazio per sogni che non siano i miei. Ormai sono in questa fogna da più di vent’anni; tutto quanto mi appartiene.”
“A sì?!…” fece il Vendicatore. “…Bèh, io non sono per niente d’accordo; questo comporta  troppa miseria e disperazione per gli altri. Magari sei tu che dovresti andartene o tornare a nasconderti.”
“Ouuuff!… Ancora in qualche buco di culo del mondo?! Ho passato secoli a nascondermi in luoghi insignificanti, a terrorizzare bambini, godere delle paure di pochi, ma qui è sempre stato tutto molto più divertente e il terrore non richiede forma; così riesco a gestirlo senza alcuno sforzo…” disse Pennywise. “…Capisci?! Anche tu, guardati!… Sei un frullato di falsi miti, una grottesca espressione di questo male; un sottoprodotto della mia cultura. Eh! Eh!… E ci ho messo pure del tempo per fartela sorbire fino a mandarti in pappa il cervello, sai? Ho lavorato a lungo, con impegno e dedizione, manipolando i media, l’Istruzione, la tua spiritualità…”
Istintivamente il Vendicatore si guardò fino alle calzature, forse non del tutto consapevole di apparire un po’ ridicolo.
“Davvero…” proseguì Pennywise, approfittando  di quel suo attimo d’insicurezza “…sei così ingenuo da pensare che la ricchezza o un certo livello di benessere possano essere distribuiti equamente a tutti gli strati della popolazione che lavorano o sono bisognosi di poterlo fare onestamente? Davvero vorresti vedere tutta questa gente, favorita dall’agio di un dignitoso vivere, moltiplicarsi fino a far esplodere la città?”
“Domande cariche di orripilante egoismo.” commentò il Vendicatore.
“Eh! Eh! Già!… Ma il segreto è l’equilibrio, tenerli tutti sul filo del rasoio, ragazzo. Capisci cosa voglio dire?”
Il Vendicatore tirò una scatarrata sul pavimento.
“… La verità è che non ce l’hai una risposta, caro, oltre a mancare di educazione.” continuò Pennywise.
Poi pigiò il suo sigaro, in un atto conclusivo che intendeva comprendere anche la discussione.
“…Comunque, passando alle cose serie, hai davvero un’idea di quello che devi fare?” chiese.
“Bhè!…” fece il Vendicatore. Tenendolo sotto tiro con una mano e grattandosi il mento con l’altra.
Tutto il discorso, invero, gli era entrato da una parte e uscito dall’altra e non aveva di che riflettere sui suoi propositi.
È così…” pensò. “…Non ha tutti i torti il clown. Appaio anche a me stesso un esaltato, in effetti, e non ho nessun vero ideale da perseguire…”
sei un sottoprodotto della mia cultura, gli aveva detto.
“…ma è quanto mi è stato chiesto di fare, suggerito dalle visioni.”
BANG!
Parti il primo colpo.
“Cazzo, ma allora fai sul serio!…” gridò Pennywise, preoccupatp per il mobilio.
Un bossolo si era conficcato nel muro alle sue spalle.
“…Ragiona! Stai davvero pensando di farmi, FARCI tutti fuori?”
“Proprio!…” si diverti il Vendicatore. “…L’hai detto anche tu, del resto, che il clima culturale in cui è cresciuta la mia generazione non ha favoritolo lo sviluppo  dell’intelletto e del ragionamento…”
Intanto spostava di continuo il braccio per seguire i movimenti impauriti del clown che, in realtà, apparivano più uno sfottio, una recita, che del vero terrore.
“…Io sono nato per lavorare come un somaro e spendere tutti i miei pochi guadagni, ma se anche questa possibilità mi viene negata qualcosa la devo pur fare. Non trovi?” chiese il Vendicatore.
Pennywise, alla fine, decise di rannicchiarsi dietro a una sedia.
“Siamo una legione, idiota! Lo capisci?...” gridò. “...Mica una cagata che si può spazzar via con uno stupido atto di terrorismo.”
“Ehm!… l’impresa è ardua e richiede tempo, certo, ma credo che ci proverò lo stesso. Un mattone alla volta, finché non crolla tutta la casa.” rispose il Vendicatore.
“Ops!…: La casta.” si corresse.
BANG!
“Neanche hai buona mira!…” riprese a gridare Pennywise. “…Lo vedi che sei soltanto un maledetto idiota? Mi stai rovinando l’ufficio!”
Un altro bossolo lo aveva mancato, andando a sbriciolare una mattonella ai piedi della scrivania.
“La mira? Posso perfezionarla.” rispose il Vendicatore, e strinse di nuovo il pugno.
BANG!
“Ecco!… Vedi?” disse.
Questa volta lo aveva centrato, proprio in mezzo alla sproporzionata fronte.
“…È tutta questione di pratica.”
Calciò via la sedia per osservare meglio quanto ci avrebbe messo a rimarginarsi il foro creato dal proiettile, se davvero il mostro era immortale.
Anche qualche pezzetto di cervello nelle vicinanze stava strisciando come un mollusco per rientrarvi, in effetti, dotato di vita propria, mentre il pagliaccio restava supino a fissare il soffitto.
Poi, dopo qualche secondo, lo vide scuotersi e sbattere le palpebre.
“Che cosa ti avevo detto, stronzetto?…” ghignò, risollevandosi piano piano.
Qualcosina del cervello gli era rimasta fuori, ma non aveva importanza.
“…Se oltre a quel tuo sparacaccole non hai almeno un superpotere, sei fottuto!”

 

“Il superpotere ce l’ho!…” disse il Vendicatore. “…Sento la voce e ho delle visioni.”
Pennywise si tirò un paio di schiaffetti nervosi sulla fronte, veloci veloci per ripulirsi dai grumi di materia grigia e sangue coagulato.
“La voce?”
“Sì, quella che in qualche modo mi ha spinto a venire qui per annunciarti la Fine…” rispose il Vendicatore. “…La voce di Dio.”
“Nientemeno, cazzo!…” commentò Pennywise. “…Ce l’ha con me pure lui, magari? Eheheheh!”
“Ce l’ha un po’ con tutti, credo. Comunque, Lui vuole che tu abbia coscienza del tuo fallimento, dei tuoi limiti…”
“Fallimento?” lo interruppe il clown.
“Proprio così! Ce l’hai?”
“Che?”
“La coscienza del tuo fallimento…” rispose il Vendicatore.
Poi si avvicinò alla finesta, ancora aperta, e indicò fuori.
“… Vulcani in eruzione, terremoti, piogge acide, boati di fulmini ed esplosioni di gas che uscendo dal sottosuolo aprono crepacci immensi e fumiganti.
Questo è quello che vuole ammirare il Dio, ed è per Esso giunto il momento di tornare a godersi quello spettacolo, riappropriarsi della sua forza, come nella Terra primigenia.”
“Quindi?…” insistette Pennywise, torvo. “…Continuo a non capire.”
“Quindi hai i giorni contati, pagliaccio; stai per essere eliminato dal sacro fuoco dell’apocalisse …” rispose il Vendicatore. “…Anch’io, prima di spararti, avevo qualche dubbio su tutto questo; avevo bisogno di convincermi che fosse davvero Dio a mostrare quelle cose, ma poi sono riuscito a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle e ho capito.”
“Quali “cose”, ragazzo?”
“Quetzacoalt, il super asteroide così battezzato dalla Nasa per farsi beffe della scampata profezia Maya…” rispose il Vendicatore. “…Puoi controllare anche su internet le notizie riguardo alla sua scoperta. E sta arrivando. Un po’ in ritardo rispetto al calendario, ma sta arrivando. Naturalmente non ne hanno ancora dato notizia perché ce ne sono tanti altri, altrettanto grossi e di difficile classificazione, e ancora ritengono che non rappresentino una minaccia.”
“Tutto qui, ragazzo?…” lo interruppe subito Pennywise, e ne aveva davvero abbastanza. “…È questo il discorso di Dio?”
“Preciso!” rispose il Vendicatore. “…E ti arriva con qualche mese di anticipo. Il tempo di avere coscienza del tuo fallimento; perché, vedi, nel nuovo mondo non ci sarà più posto per quelli come te. Nessun serpente e frutto proibito.”
Pennywise si accese un altro bel sigaro e appoggiò sul tavolo le giganti calzature da tennis che gli ricoprivano gli zoccoli. Poi allargò un sorriso.
“Ho fatto davvero un gran bel lavoro su di te, ragazzo!…” disse. “…Davvero grande…”
Infilò il sigaro in bocca e batté tre volte le mani.
“Sei completamente fulminato...” proseguì.
Sentiva di potersi concedere un po’ di relax.
“…Sai quante volte mi sono sorbito questo genere di stronzate oppure ho contribuito io stesso ad alimentarle per fomentare la Paura e l’incertezza del domani?”
“Questa volta è tutto vero, però…” rispose il vendicatore. “…Ci sono troppi voraci predoni e il mondo va ripulito; esattamente come sessantacinquemilioni di anni fa.”
Pennywise rise ancora, quasi paternamente.
“Sono andato anche oltre al mio progetto…” si congratulò. “…Torna, torna nella mia notte nera, figliolo, a volteggiare sui tetti con le tue prodigiose acrobazie da parkour. Per questa volta ti lascio andare, vivere, ma soltanto perché hai saputo intrattenermi a meraviglia con le tutte le tue spassose cazzate.” 

 

E così fece, il Vendicatore, questo profeta in maschera di un tempo senza eroi; notte dopo notte, attendendo il finale nichilista annunciato dal suo dio. Sperando che anche Gotham fosse in lista per uscire dall’oscurità.

 






Un tempo senza eroi (2012) 
Racconto di Fabio Cavagliano







COMMENTI:








***

Pubblicato da Rubrus il Lun, 25/02/2013 - 14:28.

Questo mi è proprio piaciuto.
Pulp senza essere sboccato (che è il peggio del pulp) o eccessivo, e ricco di citazoini ed autoironia, non privo di un invito alla riflessione.







il sonno della ragione genera mostri

Pubblicato da grifabio il Lun, 25/02/2013 - 15:35.

Sono contento che ti sia piaciuto, Bob, perché è un racconto un po’ strano anche a me stesso che ne sono l’autore.
Era già apparso su altre pagine web, comunque, col titolo “il vendicatore dell’ultima ora” e con un aspetto grafico diverso (ho, infatti, rielaborato la vignetta e il costume del protagonista).
Pubblicato tre o quattro mesi fa, credo, me senza ricevere alcuna attenzione; nella prima versione, tuttavia, Quetzalcoatl distruggeva senza dar adito ad alcun dubbio Gotham, ed anche in modo incoerente, forzato rispetto alla trama.
Credevo già allora che fosse interessante ma decisamente confuso (il materiale e l’idea di base vengono da un sogno, figurati!…) quindi ho voluto cancellarlo da Net e tenerlo in sospeso per qualche tempo. Neanche mi era poi chiaro come si potesse aggiustare; si potrebbe sarcasticamente dire che non “vedevo” alcuna soluzione.
L’ultima corposa revisione, a ogni modo, mi ha portato a questo risultato; una specie di dramma in chiave pulp un attimino più compiuta, forse (qualche dubbio sulla categoria di appartenenza ancora rimane, comunque, visto che ero quasi tentato d’inserirlo proprio in quella "pulp" o “mistero” ). Quello che so è che lo scritto continuava a ripetere “Pubblicami! Pubblicami! Pubblicami!…” e alla fine l’ho fatto, quasi convinto del suo perché.
Il tema dell’escatologia non è l’anima del racconto, comunque (e lo scrivo per chi, magari, trovasse delle difficoltà nella lettura e nel cogliere il senso della storia), ma solo una parte della sua componente horror-nichilista come direbbe l’utente, appassionato ideatore della litweb, il Moscone (che ultimamente ha citato in più occasioni IT, dandomi lo spunto per riprendere in mano la storia); optavo più per evidenziare la confusione del Vendicatore, invero, la sua assoluta incapacità di combattere veramente il Male, se non illudendosi di una distruzione totale.


Nella storia, comunque, non ho voluto lasciar intendere in modo chiaro questo aspetto e se le visioni fossero semplicemente un suo delirio; proprio per amplificare questo senso di ridicola impotenza.
Specchio dei tempi e di una cultura degenerata? Forse, ma devo riconoscere che qui c’è anche molto, tantissimo pessimismo, un’esasperazione atta a rendere Gotham ancora più nera e decadente… Ma è solo una storia di fantasia, in ogni caso, uno di quei brutti mondi dell’immaginario in cui i mostri non muoiono mai. Vero?
E gli eroi esistono.
Riguardo al linguaggio… bhè non sono tanto d’accordo, sai? Dipende dai personaggi, da come vengono caratterizzati. Il ceffo che ho creato in Orbit, ad esempio (ricordi il buzzurro dai capelli rossi?), non riuscirei proprio a eliminare il suo tremendo vocabolario da quel contesto. Opinioni, comunque.
Ciao & grazie dell’attenzione. (e scusa se mi sono dilungato un po' troppo a compendio di questa mia)




***

Pubblicato da Rubrus il Lun, 25/02/2013 - 16:15.

Oh be', sul "pubblicami pubblicami" capisco benissimo quanto vuoi dire.
Quanto al linguaggio un "pulp" che non contenga turpiloquio o non sia eccessivo non sarebbe un "pulp". Non è che un racconto di quel genere deve avere quelle caratterristiche, semmai è il contrario: un racconto con quelle caratteristiche viene di solito definito pulp.
Poi, a me, quelle caratteristiche, di solito, urtano, ma questo è tutt'altro discorso e nulla influisce sul valore del racconto stesso. Cioè un buon pulp è fatto così e rimproverarlo di essere così è, a mio modesto parere, non aver capito molto di letteratura.
Sarebbe come dire "il cubismo fa schifo perchè non mi piace". Casomai "non mi piace" e, se non sono abbastanza obbiettivo da non farmi influenzare dai miei pregiudizi, meglio che stia zitto.
Quindi, quel personaggio fa benissimo a parlare così. Se non mi piace è essenzialmente affar mio, ma non possono fargliene una colpa. Del resto manco devo farmelo piacere per forza...
Quanto all'opera in sè ed al signficato recondito quanto scrivi mi conferma ciò che da sempre penso di una buona trama: essa contiene in sè il senso, lo racchiude, alle volte racchiude "sensi" che l'autore manco pensava di attribuirgli.
Il messaggio non è cioè sovraordinato alla narrazione, ma posto sullo stesso piano di essa e, anzi, apparentemente, ma solo apparentemente, subordinato.







"Joker: Tu completi me! Batman: Tu sei spazzatura, uccidi per soldi"

Pubblicato da Mauro Banfi il Dom, 03/03/2013 - 18:32.


JOKER: Non parlare come uno di loro, non lo sei! Anche se ti piacerebbe. Per loro sei solo un mostro, come me!"
Il Cavaliere Oscuro, Christopher Nolan
Bravissimo Fabio, grande controllo tecnico per parlare di un tema che mi sta particolarmente nella mente e nel cuore: L'EROISMO OSCURO.
" Gotham ha bisogno del suo vero eroe. O muori da eroe o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo. Io posso fare queste cose, Pechè non sono un eroe, non come Dent. Questo posso essere".
Sì, noi scrittori, Fabio ( e tu lo sei fatto e finito) dobbiamo vivere abbastanza a lungo da capire il male senza poter morire da eroi.
Come Batman, rinasciamo come Cavalieri Oscuri, proprio perchè a differenza di Superman, siamo eroi senza Causa,(allergici ai dogmi maiuscoli!)fedeli al nostro Daimon ossessione, alla nostra Cosa oscura, il godimento del creare, dell'ascoltare la vita e pensarla PER IMMAGINI.
Che cosa narra al lettore il nostro eroismo oscuro? Lo spiega bene il dottor Hannibal Lecter: attenti alle immagini. Sono criminali, pericolose. Vogliono farci credere con evidenza qualcosa e per provocare un senso più alto di realtà attirano l'anima agli occhi vi rendono ciechi.
Si desidera quello che si vede per la prima volta, sono le immagini e non altro a creare il desiderio. Questo è l'eroismo oscuro, scrollare il lettore e sapergli dire: attenzione alle immagini!
Attenzione anche alla tecnologia, ai meravigliosi sistemi di puntamento elettronici con laser incorporato per vedere in verde nel buio, ma PIU' SI VEDE MENO SI VEDE, Bufalo Bill e pam! pam! Clarice ti fa fuori!
Questa è la litweb e l'eroismo oscuro, usare le immagini per inoculare consapevolezzaal lettore che quelle immagini sono mooolto tossiche e pericolose.
Ti saluto mio grande fratello litweb metapop, dobbiamo lavorare insieme, Cavalieri dell'eroismo oscuro.
Brindo ai tuoi nuovi esorcismi, Padre Grifabio, uniamoci.
Un grazie anche a Rubrus per i suoi ottimi contributi, sia lode, Padre Merrin.





Amen!
Pubblicato da grifabio il Dom, 03/03/2013 - 20:25.

...Non aver troppa fiducia nelle mie capacità di scrittore, però. A volte, come Hulk, tutte queste radiazioni metapop mi trasformano in un gigantesco mostro verde... Di quel verde di cui parli, con quel certo gusto per la cazzata che non permette di vedere niente.


2 commenti:

  1. Trovi modi sempre originali di rielaborare le varie citazioni - cinematografiche, letterarie, musicali ecc - che costellano le tue storie; in questo racconto, non sei da meno, divertente e pungente quanto basta, di sicuro meno esagerato di altri, ma comunque efficace: piaciuto il confronto che si articola tra eroe e villain, in una chiave particolare, e i riferimenti (con tanto di riflessioni) alla società e alla storia umana che sono praticamente una costante dei tuoi scritti.
    La figura del Vendicatore, se vogliamo, si colloca in quella scia di decostruzione della figura supereroistica aperta negli anni Ottanta da Alan Moore e Frank Miller. E un po' alla Gotham milleriana mi fa pensare, a partire dai pochi accenni presenti, la tua Gotham - metafora, forse, dell'intera società umana.
    (Quanti ricordi nel rivedere la tua vecchia foto profilo di Neteditor!)

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    1. Gotham, Arkham, Kinderfeld… I tenebrosi luoghi dell’immaginario dove, ogni tanto, ci aggiriamo con le nostre anime dark. Forse sono anche qui, proprio sotto al velo della nostra realtà… Quella di tutti i giorni. E basterebbero magici occhiali scuri per vederli con tutti i loro mostruosi occupanti (come nel film “Essi vivono” di Carpenter). Oppure oppure, caro Giuseppe, neanche occorrono davvero strani incantesimi o artifici… Soltanto un po’ di masochistica attenzione.
      Di Miller, se non lo hai ancora fatto, comunque, ti consiglio di leggere la splendida opera a fumetti “Il ritorno del cavaliere oscuro”; capolavoro che ho sempre sperato, almeno in parte, di vedere trasposto anche al cinema. Magari girato alla maniera di Sin City.
      Grazie del passaggio, sempre acuto e gradito.

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