venerdì 25 ottobre 2013

La cosa giusta


Stava seduta su una panchina, con le gambe accavallate appena coperte da laceri e stretti fusò scuri; stivali alti fino alle ginocchia, borchiati e pieni di cinghie e lacci inutili, e una maglietta viola su cui era stampata l’immagine caprina del Bafometto.
Prese il cellulare e se lo portò all’orecchio, da poche ore ingombrato con l’ennesimo piercing; questa volta a forma di lucertola.
-C’è ancora…- disse. -…Come ieri e l’altro ieri, e sempre da solo.-
-Ma dove cazzo vive?!… Sugli alberi??- pensò.
-Sicura che nessuno lo tiene d’occhio, magari a distanza?- chiese la voce dall’altra parte -…sai, a volte la gente è strana!-
Rise.
-No, non mi pare;…- rispose lei. -…il parco è vuoto.-
-Prova ad avvicinarlo, allora. Così vedi se qualcuno si fa vivo per riprenderselo.-
-Bene, ma tu dove sei?-
-Sono ancora nella saletta del Vlady. Riskha mi ha chiesto se potevo succhiarle un po’ di sangue dalla nuca e allora… Soltanto un taglietto, comunque; una cosa veloce.-
-Ah!…- fece la donna. –…Basta che arrivi in tempo, cazzo!-
Si massaggiò delicatamente uno degl’innesti sottocutanei che spuntava a mo di cornino dalla pelata, poi, senza curarsi della risposta, ficcò l’apparecchio in un borsello.
-‘Fanculo!- ringhiò fra sé e sé .
Aveva un aspetto terrificante, già solo il fatto che fosse seduta su quella panchina e in quel luogo, a poca distanza dai giochi, avrebbe dovuto scoraggiare chiunque dal portarci dei bambini; dei bambini così piccoli, poi, come quello che ora stava osservando.
Poteva avere su e giù quattro anni.
-Heiiiiiiii- gridò per attirare la sua attenzione.
-Guarda cosa ho qui!-
Raccolse un rametto e se lo gettò a pochi centimetri dai piedi.
Il bimbo restò fermo e interdetto per qualche secondo, poi si levò in fretta dallo scivolo e andò a nascondersi dentro a un vecchio tubo di cemento colorato.
-Merda!…- sbuffò la diavola. -…Forse questo è l’unico posto dove ancora ci sono quegli affari.-
-Ma si rendono conto…- pensò con autoironia -…di quanto possano essere pericolosi?-
Dopo qualche secondo il bambino la vide comparire a un’estremità del    segmento di quella piccola galleria.
Si era chinata tenendo aggrappate le mani all’ampio arco sopra la sua testa.
-Uuuuuu!!! Quanto spazio c’è qua dentro.- disse. La lingua le uscì di scatto, vibrando e dividendosi in due parti, recisa volutamente da un folle intervento di chirurgia.
-Che ne dici se andiamo a fare un giretto?-
-ommmhunuttamna!- rispose il piccolo.
-Puttana?!!…Mi ha detto puttana?- s’inviperì la donna.
-mughoooehhm…-
Soltanto dei mugolii.
-Forse sto sbroccando…- pensò, -…tanta è la voglia di piantargli subito le unghie in faccia.-
Tuttavia, il tipo di piacere che avrebbe potuto procurarle la tal cosa intendeva dividerlo col suo compagno e in un posto dove nessuno avrebbe potuto vederli e sentirli.
-Allora, ci vuoi venire o no?-
-meeeomheehooo!…-
-Dev’èssere ritardato…- pensò. -…meglio così. Almeno non sarà in grado di spiegarsi e raccontare quanto abbiamo in mente per lui; semprechè si decida di lasciarlo vivo.-


Quando il furgoncino arrivò, i due stavano ancora vicino alle costruzioni di cemento a cercare di stabilire quella strana, orripilante e impossibile conversazione.
-Non è capace di parlare.- disse poco dopo lei.
L’uomo si ripulì dalla saliva che già schiumava ai lati della bocca.
Aveva accolto con totale indifferenza l’informazione; poiché, sopra ogni cosa, gli bastava l’aspetto gradevole e indifeso del bimbo.
Si guardò bene bene attorno, strofinandosi preoccupato la pelata e, chinandosi appena, lo tirò fuori dal tubo afferrandolo velocemente per un braccio.
-Vieni con noi, adesso…- disse. -…abbiamo bel gioco da farti vedere.-
Sebbene la stretta dell’uomo fosse stata inopportunamente vigorosa, il bambino non sembrò risentirne e rispose con quello che sembrava un cenno di assenso.
-Non è strano?- chiese lei.
-hmmm… Già! Io mi chiedo quale merda di famiglia possa avere. Magari sono andati a fare qualche commissione e lo hanno lasciato qui, sperando di ritrovarcelo.-
Lo riguardò attentamente; una radiografia di compiaciuta libidine.
-No, non intendevo questo…- disse la donna. -…mi rifersisco al suo aspetto. Mi piace, ma è davvero inespressivo; sembra quasi che abbia una paralisi facciale.-
-Autismo!..- rispose l’uomo. -…O qualcosa di simile. Dobbiamo darci una mossa, in ogni caso, se vogliamo portarlo via da qui.-
Il bambino lo guardò ancora in quel modo accondiscendente, agitando le mani dalla contentezza; sentiva il calore e l’odore forte della sua pelle, la chimica del desiderio già in atto, abbondante d’inconfondibili secrezioni ghiandolari. Percepiva quanto quell’uomo volesse stabilire con lui un legame, isolarlo.
-carichiamolo su, allora.- disse lei, prendendolo per mano in modo che fino al tragitto utile a raggiungere la vettura potessero sembrarne i genitori o dei conoscenti.


-Senti come sbatacchia! Eh! eh!- disse il pelato.
Dietro alla cabina si udivano tonfi e percussioni di lamiera; il bambino continuava a sbattere e ruzzolare contro le pareti interne del furgone a ogni brusca manovra.
-Lo vuoi ammazzare prima del tempo?-
-Vaffanculo, no, cazzo! Hai ragione; forse è meglio che mi dia una calmata. Tanto il casolare non è lontano… Lo voglio bello in forze quel piccolo bastardo!-
-Fammi dare un’occhiata, và!- disse la donna, e si girò a controllare dallo spioncino di plexiglas.-
il bimbo le vide apparire soltanto gli occhi in quella striscia e sembrò rallegrarsene; le iridi erano di due colori, una rossa e l’altra azzurra; malignamente innaturali.
-Forse ha sorriso, segno che proprio non capisce un cazzo.- disse lei.
-Vedrai…- disse l’uomo, -…Che gliela togliamo la voglia di sorridere, e che questo sarà qualcosa di più di quello che ti possono dare le sospensioni con gli uncini o cose tipo quelle marchiature a fuoco che ti sei fatta fare la settimana scorsa… Molto di più!-
La donna tornò al suo posto. Sfilò una lima dallo stivale e prese a sistemarsi le unghie, facendo il possibile per renderle ancora più acuminate e taglienti.
-A proposito…- disse. -…Te l’ha data, poi, un po’ di roba quella Riskha per il servizietto?-
-Sì, è lì la nostra merda,…- indicò il vano cruscotto -…ma non te la sparare tutta, èh?-


L’uomo entrò nella stanza, un ambiente scuro e puzzolente, occupata da un letto a due piazze, e vi gettò sopra il bambino.
-Svestilo!- ordinò.
Poi si voltò dall’altra parte, verso la specchiera coi cassetti nei quali teneva tutto l’arsenale di strumenti utili alle sue sevizie.
La donna obbedì e, dopo aver chiuso con tre mandate la serratura, con un balzo si mise a cavalcioni su quel piccolo corpo. Gli sfilò la maglietta.
Soltanto il suo peso, seppure attutito dal materasso, avrebbe dovuto comprimere assai dolorosamente l’addome del bimbo, invece lo vide portarsi lentamente le mani poco sopra le spalle e con le stesse, che si erano fatte in un lampo scure e adunche, strappare il tessuto delle coperte e del materasso fino a raggiungere le doghe del telaio.
Si avviticchiarono rapidamente alla struttura lignea.
Aveva trovato un piano a cui zavorrarsi per aumentare il proprio peso. Quello era il luogo adatto ad agire, del resto, chiuso; alla larga da altri possibili predatori.
Poi spalancò le fauci seghettate, simili a quelle di un grosso luccio.
-Ma cos…- riuscì soltanto a dire la sua turpe fantina.
Poi un cavo vermiglio, munito di un micidiale e uncinato arpione osseo gli attraversò la gola, andando a fissarsi saldamente fra le vertebre del collo.
Era schizzato fuori dalla bocca della creatura, che ora tirava a sé la donna.
Sulle prime, l’altro non riuscì a capire quanto stava accadendo. Gli sembrò che la sua compagna avesse dato un morso o sfilacciato dalla faccia del bambino qualche lembo di pelle, ma quando si avvicinò e la vide cascare all’ improvviso con mezza testa dentro a quella bocca capì che erano loro ad essere nei guai; in grossi, brutti guai.
Le mascelle del piccoletto, infatti, con uno scatto si erano dilatate all’inverosimile.
L’uomo si stropicciò gli occhi; mezzo secondo d’incredulo stupore, poi ricevette anch’egli lo stesso trattamento.
Un altro arpione schizzato con un fiotto di sangue dall’orecchio del predatore lo raggiunse alla gola. 
Provo ad afferrare con entrambe le mani il viscido intreccio di tendini e filamenti organici che già lo stava trainando, ma per quanta forza ci mettesse a strattonarlo sentiva mancargli il respiro.
Allungò allora un braccio dietro di sé, facendo ruotare appena il busto nel frenetico tentativo di tornare al contenuto del cassetto.
Un bisturi.
Riuscì ad afferrarlo.
Voltandosi sentì uno scrocchio di ossa craniche fratturate e vide la testa del bambino sgonfiarsi davanti al corpo decapitato della sua compagna.
Tentò di tagliare la robusta treccia di carne che lo tirava, furioso e pazzo di orrore, ma niente da fare. Era dura e a ogni lesione sembrava quasi moltiplicare esponenzialmente la rigenerazione delle sue fibre.
Per tutta risposta ricevette una scarica da cento watt, poi un altro arpione lo colpì sulla mascella all’altezza delle narici.
Sentì l’incredibile forza dirompente di quella lama ossea distruggergli tutta la dentatura e buona parte del setto nasale. 
Un dolore di cui tutte le sue terminazioni nervose furono all’istante consapevoli, e subito accompagnate dall’algido torpore dello svenimento.


Quando si risvegliò, giusto il tempo di tornare consapevole della sua imminente fine, la creatura stava appollaiata sul davanzale della finestra a guardare la Luna, e la si poteva immaginare quasi nostalgica in quell’attimo d’immobilità, con chissà quale forma di pensiero rivolta al suo lontano mondo.
In realtà stava soltanto assimilando il primo pasto, con lentissimi movimenti peristaltici di tutto il corpo.
Pensò di allontanarsi, ovviamente, ma una fitta e lunghissima rete venosa e di budelli lo teneva ancora saldamente legato a essa; inoltre gli era stato leso il midollo spinale.
Cosa diavolo era?
Strinse forte i denti e, invece di un lamento, gli uscì un rivolo di sangue dalla bocca e dal foro che aveva sotto il gozzo.
Cosa?
Ora non aveva più l’aspetto di un bambino quello che era stato l’oggetto del suo sadico desiderio; sembrava più che altro una specie di grossa salamandra spellata e piena di aculei e articolazioni membranose.
Era fuggita da un laboratorio?
Da un disco volante?
Si era persa, certo, risucchiata da una misteriosa distorsione dimensionale, ma possedeva grandi capacità di adattamento. 
...E anche qui, su questa strana terra, camuffarsi da cucciolo si era dimostrata una strategia vincente per trovare cibo.



 Racconto di Fabio Cavagliano (2012)

1 commento:

  1. Come avrai capito se stai leggendo questo commento, oggi avevo voglia di bazzicare in qualche luogo virtuale diverso dal solito e sono capitato da te, su Altre dimensioni. Ecco, questo racconto mi è piaciuto assai di più di quello che ho commentato poco fa. L'ho trovato brillante, in effetti, con questi due predatori che incappano in un predatore molto più pericoloso di loro, un po' come accade a quei pesci carnivori che attaccando i Pesci Pagliaccio Clown (Nemo, tanto per intederci) incappano ahi loro nei tentacoli degli anemoni di mare. Un Fabio Cavagliano al suo meglio in ambito horror, anzi, fanta horror. Piaciuto molto.
    Di nuovo ciao. Massimo.

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