«Le orecchie…» rispose Giovanni. «Continua a dirmi che sono a sventola, che ho una faccia da cazzo, me le calcia con le dita e mi fa male, non smette di sfottermi…»
«E ti sembra un buon motivo per frignare?! Neanche tua sorella è così fragile.»
«Già!... Fai presto, tu, a giudicare. Tu che sei almeno il doppio di lui e potresti abbatterlo con un solo schiaffo.»
Suo padre lo guardò per qualche secondo serio e poi sorrise.
«Impara a farti rispettare, valà!... E fallo con le tue forze!»
Osservò poi il ragazzino che si allontanava deluso verso il portone d’ingresso della scuola, dove lo attendeva con un sorriso spavaldo e strafottente il suo “carnefice”.
«Glielo hai detto anche a quel gay di tuo padre, eh?!»
Appena entrati, neanche il tempo d’imboccare il corridoio per raggiungere le aule che questi lo avvicinò.
«Cosa?»
«Che ti piglio per il culo, coglione!» ringhiò Ivan.
Giovanni gli diede le spalle e tentò di allontanarsi, ma subito il ragazzo lo afferrò per lo zaino che portava alle spalle e con uno sgambetto lo rovesciò a terra come una tartaruga.
«Rispetto! Voglio rispetto. Hai capito?»
«Okay.» fece Giovanni. «Sei forte. Hai vinto!» sbuffò avvilito e con un principio di lacrimazione.
Aveva paura, sì, ma non voleva darlo del tutto a vedere.
Ivan gli tirò un calcio al fianco e un altro più forte alla coscia.
«Sì, sono forte.» disse «...Molto forte. E quando parlo mi devi ascoltare fino alla fine!... Hai capito? Merdina!» disse poi, e si allontanò.
Nessuno, attorno, aveva mosso un dito e, come al solito, non c’erano adulti nelle vicinanze.
C’era, tuttavia, uno strano bambino. Probabilmente uno della prima, visto il suo aspetto. Sembrava più idoneo a una scuola dell’infanzia, invero, piuttosto che alle medie.
Gli si avvicinò tenendo in mano un libriccino.
«Te lo posso prestare.» disse. «Mahsh mi ha detto che più amici gli porto, più mi fa diventare importante…»
Giovanni si alzò appena il tempo di andarsi a sedere sulle scale per massaggiare il fianco e la gamba colpita.
Era un dolore sopportabile, tuttavia.
«Mahsh?!!» chiese.
Il ragazzetto di colore lo fissò eccitato. Aveva le iridi così scure che neanche si potevano distinguere le pupille.
«Sì, lui è la persona giusta; quella che può aiutarti ad allontanare una volta per tutte quel tipo. L’ho già visto altre volte, sai?!...: Il modo in cui ti tratta.»
Giovanni prese il libro che il ragazzetto gli stava tendendo.
“A children’s book of demons” era il titolo.
«Questo me lo ha regalato proprio lui.» disse. «Leggilo e troverai tutti i consigli più adatti a esaudire il tuo desiderio!»
«Io…» disse Giovanni. «Mi sembra una cosa un po’… Ecco…»
«Infantile?» chiese l’altro. «Capisco. In realtà è molto facile mettere in pratica ciò che descrive. Tu disegni un demone, oppure ne scegli uno di quelli già rappresentati. Poi disegni il suo sigillo sul tuo petto e chiedi ciò di cui hai bisogno.»
«Hmmm…» fece Giovanni.
«Devi, però, prima portarlo almeno due giorni il suo sigillo per ottenere qualcosa. Se il demone lo hai disegnato tu, invece, prendi il simbolo della creatura infernale che più gli assomiglia per qualità o poteri. Basta che per tutto il tempo necessario non ti lavi o lo cancelli in alcun modo dalla tua pelle. Ciò che conta è l’intenzione, infatti, ma soprattutto un gesto o un’azione che la renda efficace, una vera scelta. Tipo un giuramento, insomma…»
«Okay.» fece Giovanni. «Ci proverò.»
«Fra sette giorni, allora, me lo restituisci e, se le cose vanno
proprio come hai chiesto, ti presento pure Mahash, magari… A lui piace riscuotere consensi.»
DUE GIORNI DOPO
Giovanni aveva scelto il demone che fa impaurire a morte i nemici. Non aveva apprezzato, però, l’aspetto di quello raffigurato nel libriccino e quindi aveva deciso di ridisegnarlo a modo suo. Nel farlo, gli era tornato in mente un tipaccio che un tempo frequentava un bar sotto casa sua. Uno che già in vita era parecchio brutto e inquietante di suo, anche senza rinforzi grafici.
Sapeva che era stato un malavitoso e che la polizia lo aveva ucciso in una sparatoria. Con tutta probabilità era finito all’inferno, assieme ai simpatici diavoletti stampati su quel libro.
I simboli richiesti per evocarlo erano tre, tuttavia. Due andavano disegnati sul petto e uno sul braccio sinistro.
«Vuoi andare a scuola da solo, allora, oggi?» chiese divertito suo padre. «Sei sicuro di non volere almeno la compagnia di tua sorella?»
«No, no. Grazie. » Penso poi all’ironia che sottendeva alla domanda di suo padre. «…Che spirito di patate! » aggiunse.
Suo padre gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Sono contento che ti sei fatto coraggio, stupidone! Quell’idiota lì, poi, è davvero sotto le tue possibilità. Non devi temerlo.»
«Okay! Ciao papà.»
Uscito dal palazzo, imbocco il vicolo coperto dalle impalcature dei restauri. In alcuni punti erano avvolte da dei lunghi fogli di plastica stracciati che, in quelle prime e scure ore del mattino sventolavano come fantasmi.
Doveva, poi, fare slalom sul marciapiedi per evitare cacche di cane e rifiuti.
«Che zona di merda!» pensò. Quello stronzo di Ivan, invece, abitava pure a due passi dal centro, si disse, in una delle vie più eleganti.
«Invidia…»
Sentì dire. Oppure lo aveva solo pensato?!
«Anche quella ci nutre. Oh… Sì sì sì sì, caro amico…»
Si guardò attorno spaventato. La voce proveniva pur da qualche parte, ma non riusciva a individuarla.
Guardò, dopo, verso l’alto e riuscì a scorgerne la sagoma in ombra.
C’era il tizio, quello ucciso dalla polizia, truccato come nel suo disegno. Stava seduto sui tubi dell’impalcatura.
Abbassò subito lo sguardo e si mise a camminare altrettanto velocemente. Sentiva di non provare alcuna paura ma, nello stesso tempo, non riusciva o voleva crederci. Tutto ciò non era possibile.
Lo sentì, però, cascare davvero alle sue spalle. E anche questo era assurdo; poiché il tizio avrebbe dovuto, almeno se fosse stato umano, venir giù poco alla volta e aggrappandosi ai tubi.
«Eh dai, amico!... » si sentì dire.
Ancora aveva deciso di non voltarsi e proseguire a passo spedito.
«… C’è stata la fede, il gesto e l’intenzione.» berciò quello.
«Ora facciamo il nostro sporco lavoro, no?! Non dirmi che ti mancano pure le palle per portare avanti le tue decisioni!»
Giovanni si voltò, ma proseguendo a camminare.
Era grosso e figo, orrendo e minaccioso. Qualcosa dal fascino ingiusto e malato; diabolico.
«Gli facciamo cacare l’anima a quello stronzo, te lo prometto!» gridò il demone.
A questo punto Giovanni si fermò. Alla fine, era proprio ciò di cui aveva bisogno: soltanto un po’ di rispetto.
Ivan lo vide arrivare baldanzoso, fischiettando.
Era un eccesso, uno sputo in faccia al suo orgoglio.
«Tuo padre, il gran culattone?!... Com’è che non ti ha portato lui, oggi?» chiese.
«Ma levati dal cazzo, imbecille!» rispose Giovanni.
Ivan rimase paralizzato dalla rabbia, in quel due o tre secondi di furente delirio indispensabile per decidere come colpirlo e offrirgli il massimo della sofferenza.
Poi Giovanni indicò alle sue spalle, calmo.
C’era quella figura imponente e spaventosa, veloce, come apparsa dal nulla.
Aveva il volto pallido e le labbra viola, un occhio di vetro e un lungo ciuffo. Il resto dei capelli parevano gli aculei di un porcospino. Indossava una giacca da motociclista con teschi infuocati stampati sulle spalle e quei simboli, gli stessi che Giovanni si era dipinto sul petto.
«Hai sentito?» sibilò il demone. «Lui vuole solo che ti levi… Ti levi “dal cazzo”, per la precisione.»
Ivan era impallidito, pietrificato.
«… Un po’ poco, però, eh?! Il mio amico è davvero un modesto; troppo, troppo modesto.» proseguì il demone, poi si rivolse a Giovanni.
«Sei sicuro di voler soltanto questo?!... Allontanarlo?»
«Sì…» rispose Giovanni. «… Io penso che abbia ben compreso la distanza che da oggi dovrà mantenere. Mi pare pare sufficiente.»
«Ooooooooh!» sbuffò il demone. «E pensi che farà il bravo anche quando non ci sarò io a proteggerti?»
Ivan con un filo di voce si sforzò di pronunciare quelle due parole. «C. certo, signore.»
«Vedi?» sorrise Giovanni. «… Ha capito il concetto. Pensa pure che sei un “signore”… Non occorre andare oltre.»
Ivan avrebbe voluto fuggire, ma non riusciva in alcun modo a muoversi. L’uomo lo stava fissando in quel modo atroce e maligno.
«Sai…» cominciò il demone. «Non è che io mi diverta a fare del male, ma questo qui, proprio, mi sembra che meriti una lezione esemplare, invece. Un segno… Uno di quelli che non si possono dimenticare… Sempre presenti.»
«T…ti prego.» balbettò Ivan.
«Cooooooosa?!» lo redarguì il demone con un ghigno.
«Va bene così!» sentenziò Giovanni. «Se ritorna a fare lo stronzo lo “segniamo” a dovere.»
«Non è cosa, amico…» disse il demone. «Non è che io possa venir qui, nel vostro fottuto mondo, senza adempiere fino in fondo il mio compito.» ringhiò a bassa voce. «L’operazione per cui sono stato richiesto.»
Pareva davvero contrariato.
La voce gli si era alterata come se in sottofondo ci fosse rumore di fiamme e ossa spezzate; come se provenisse da una specie di forno crematorio, insomma.
«Lo stai spaventando a morte, in effetti.» disse Giovanni.
«Mi pare fosse soltanto questo il tuo compito, no?» aggiunse.
«Già, ma lo vedi che è ancora vivo?!» commentò il demone. «Visto che sei il mio capo, comunque, e intuisco che con il tuo buon cuore non ami assistere alla violenza, rimandiamo tutto a più tardi e in un’altra sede… Lontano dai tuoi occhi… E dal tuo cazzo.» rise.
Giovanni non era comunque del tutto d'accordo. Abbassò il capo pensieroso, per un paio di secondi, e quando lo rialzò per rispondere si accorse che il demone era scomparso.
Anche Ivan, pur rimanendo immobile dal terrore, non riusciva più a vederlo.
Sentì, però, quella mano pesante e invisibile appoggiarsi sulla sua spalla, un fiato caldo e fetido avvicinarsi all'orecchio.
Ancora non poteva muoversi. Ancora era vivo.
«C’è sempre qualcuno più cattivo, più grosso e più forte di te, ragazzo!… Qualcuno che non vede l’ora di dimostrartelo, darti un insegnamento… Qualcuno che esige rispetto.» si sentì sussurrare. «Goditi il resto della giornata, allora, che poi vengo a darti la buona notte!…»
«Impara a farti rispettare, valà!... E fallo con le tue forze!»
Osservò poi il ragazzino che si allontanava deluso verso il portone d’ingresso della scuola, dove lo attendeva con un sorriso spavaldo e strafottente il suo “carnefice”.
«Glielo hai detto anche a quel gay di tuo padre, eh?!»
Appena entrati, neanche il tempo d’imboccare il corridoio per raggiungere le aule che questi lo avvicinò.
«Cosa?»
«Che ti piglio per il culo, coglione!» ringhiò Ivan.
Giovanni gli diede le spalle e tentò di allontanarsi, ma subito il ragazzo lo afferrò per lo zaino che portava alle spalle e con uno sgambetto lo rovesciò a terra come una tartaruga.
«Rispetto! Voglio rispetto. Hai capito?»
«Okay.» fece Giovanni. «Sei forte. Hai vinto!» sbuffò avvilito e con un principio di lacrimazione.
Aveva paura, sì, ma non voleva darlo del tutto a vedere.
Ivan gli tirò un calcio al fianco e un altro più forte alla coscia.
«Sì, sono forte.» disse «...Molto forte. E quando parlo mi devi ascoltare fino alla fine!... Hai capito? Merdina!» disse poi, e si allontanò.
Nessuno, attorno, aveva mosso un dito e, come al solito, non c’erano adulti nelle vicinanze.
C’era, tuttavia, uno strano bambino. Probabilmente uno della prima, visto il suo aspetto. Sembrava più idoneo a una scuola dell’infanzia, invero, piuttosto che alle medie.
Gli si avvicinò tenendo in mano un libriccino.
«Te lo posso prestare.» disse. «Mahsh mi ha detto che più amici gli porto, più mi fa diventare importante…»
Giovanni si alzò appena il tempo di andarsi a sedere sulle scale per massaggiare il fianco e la gamba colpita.
Era un dolore sopportabile, tuttavia.
«Mahsh?!!» chiese.
Il ragazzetto di colore lo fissò eccitato. Aveva le iridi così scure che neanche si potevano distinguere le pupille.
«Sì, lui è la persona giusta; quella che può aiutarti ad allontanare una volta per tutte quel tipo. L’ho già visto altre volte, sai?!...: Il modo in cui ti tratta.»
Giovanni prese il libro che il ragazzetto gli stava tendendo.
“A children’s book of demons” era il titolo.
«Questo me lo ha regalato proprio lui.» disse. «Leggilo e troverai tutti i consigli più adatti a esaudire il tuo desiderio!»
«Io…» disse Giovanni. «Mi sembra una cosa un po’… Ecco…»
«Infantile?» chiese l’altro. «Capisco. In realtà è molto facile mettere in pratica ciò che descrive. Tu disegni un demone, oppure ne scegli uno di quelli già rappresentati. Poi disegni il suo sigillo sul tuo petto e chiedi ciò di cui hai bisogno.»
«Hmmm…» fece Giovanni.
«Devi, però, prima portarlo almeno due giorni il suo sigillo per ottenere qualcosa. Se il demone lo hai disegnato tu, invece, prendi il simbolo della creatura infernale che più gli assomiglia per qualità o poteri. Basta che per tutto il tempo necessario non ti lavi o lo cancelli in alcun modo dalla tua pelle. Ciò che conta è l’intenzione, infatti, ma soprattutto un gesto o un’azione che la renda efficace, una vera scelta. Tipo un giuramento, insomma…»
«Okay.» fece Giovanni. «Ci proverò.»
«Fra sette giorni, allora, me lo restituisci e, se le cose vanno
proprio come hai chiesto, ti presento pure Mahash, magari… A lui piace riscuotere consensi.»
DUE GIORNI DOPO
Giovanni aveva scelto il demone che fa impaurire a morte i nemici. Non aveva apprezzato, però, l’aspetto di quello raffigurato nel libriccino e quindi aveva deciso di ridisegnarlo a modo suo. Nel farlo, gli era tornato in mente un tipaccio che un tempo frequentava un bar sotto casa sua. Uno che già in vita era parecchio brutto e inquietante di suo, anche senza rinforzi grafici.
Sapeva che era stato un malavitoso e che la polizia lo aveva ucciso in una sparatoria. Con tutta probabilità era finito all’inferno, assieme ai simpatici diavoletti stampati su quel libro.
I simboli richiesti per evocarlo erano tre, tuttavia. Due andavano disegnati sul petto e uno sul braccio sinistro.
«Vuoi andare a scuola da solo, allora, oggi?» chiese divertito suo padre. «Sei sicuro di non volere almeno la compagnia di tua sorella?»
«No, no. Grazie. » Penso poi all’ironia che sottendeva alla domanda di suo padre. «…Che spirito di patate! » aggiunse.
Suo padre gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Sono contento che ti sei fatto coraggio, stupidone! Quell’idiota lì, poi, è davvero sotto le tue possibilità. Non devi temerlo.»
«Okay! Ciao papà.»
Uscito dal palazzo, imbocco il vicolo coperto dalle impalcature dei restauri. In alcuni punti erano avvolte da dei lunghi fogli di plastica stracciati che, in quelle prime e scure ore del mattino sventolavano come fantasmi.
Doveva, poi, fare slalom sul marciapiedi per evitare cacche di cane e rifiuti.
«Che zona di merda!» pensò. Quello stronzo di Ivan, invece, abitava pure a due passi dal centro, si disse, in una delle vie più eleganti.
«Invidia…»
Sentì dire. Oppure lo aveva solo pensato?!
«Anche quella ci nutre. Oh… Sì sì sì sì, caro amico…»
Si guardò attorno spaventato. La voce proveniva pur da qualche parte, ma non riusciva a individuarla.
Guardò, dopo, verso l’alto e riuscì a scorgerne la sagoma in ombra.
C’era il tizio, quello ucciso dalla polizia, truccato come nel suo disegno. Stava seduto sui tubi dell’impalcatura.
Abbassò subito lo sguardo e si mise a camminare altrettanto velocemente. Sentiva di non provare alcuna paura ma, nello stesso tempo, non riusciva o voleva crederci. Tutto ciò non era possibile.
Lo sentì, però, cascare davvero alle sue spalle. E anche questo era assurdo; poiché il tizio avrebbe dovuto, almeno se fosse stato umano, venir giù poco alla volta e aggrappandosi ai tubi.
«Eh dai, amico!... » si sentì dire.
Ancora aveva deciso di non voltarsi e proseguire a passo spedito.
«… C’è stata la fede, il gesto e l’intenzione.» berciò quello.
«Ora facciamo il nostro sporco lavoro, no?! Non dirmi che ti mancano pure le palle per portare avanti le tue decisioni!»
Giovanni si voltò, ma proseguendo a camminare.
Era grosso e figo, orrendo e minaccioso. Qualcosa dal fascino ingiusto e malato; diabolico.
«Gli facciamo cacare l’anima a quello stronzo, te lo prometto!» gridò il demone.
A questo punto Giovanni si fermò. Alla fine, era proprio ciò di cui aveva bisogno: soltanto un po’ di rispetto.
Ivan lo vide arrivare baldanzoso, fischiettando.
Era un eccesso, uno sputo in faccia al suo orgoglio.
«Tuo padre, il gran culattone?!... Com’è che non ti ha portato lui, oggi?» chiese.
«Ma levati dal cazzo, imbecille!» rispose Giovanni.
Ivan rimase paralizzato dalla rabbia, in quel due o tre secondi di furente delirio indispensabile per decidere come colpirlo e offrirgli il massimo della sofferenza.
Poi Giovanni indicò alle sue spalle, calmo.
C’era quella figura imponente e spaventosa, veloce, come apparsa dal nulla.
Aveva il volto pallido e le labbra viola, un occhio di vetro e un lungo ciuffo. Il resto dei capelli parevano gli aculei di un porcospino. Indossava una giacca da motociclista con teschi infuocati stampati sulle spalle e quei simboli, gli stessi che Giovanni si era dipinto sul petto.
«Hai sentito?» sibilò il demone. «Lui vuole solo che ti levi… Ti levi “dal cazzo”, per la precisione.»
Ivan era impallidito, pietrificato.
«… Un po’ poco, però, eh?! Il mio amico è davvero un modesto; troppo, troppo modesto.» proseguì il demone, poi si rivolse a Giovanni.
«Sei sicuro di voler soltanto questo?!... Allontanarlo?»
«Sì…» rispose Giovanni. «… Io penso che abbia ben compreso la distanza che da oggi dovrà mantenere. Mi pare pare sufficiente.»
«Ooooooooh!» sbuffò il demone. «E pensi che farà il bravo anche quando non ci sarò io a proteggerti?»
Ivan con un filo di voce si sforzò di pronunciare quelle due parole. «C. certo, signore.»
«Vedi?» sorrise Giovanni. «… Ha capito il concetto. Pensa pure che sei un “signore”… Non occorre andare oltre.»
Ivan avrebbe voluto fuggire, ma non riusciva in alcun modo a muoversi. L’uomo lo stava fissando in quel modo atroce e maligno.
«Sai…» cominciò il demone. «Non è che io mi diverta a fare del male, ma questo qui, proprio, mi sembra che meriti una lezione esemplare, invece. Un segno… Uno di quelli che non si possono dimenticare… Sempre presenti.»
«T…ti prego.» balbettò Ivan.
«Cooooooosa?!» lo redarguì il demone con un ghigno.
«Va bene così!» sentenziò Giovanni. «Se ritorna a fare lo stronzo lo “segniamo” a dovere.»
«Non è cosa, amico…» disse il demone. «Non è che io possa venir qui, nel vostro fottuto mondo, senza adempiere fino in fondo il mio compito.» ringhiò a bassa voce. «L’operazione per cui sono stato richiesto.»
Pareva davvero contrariato.
La voce gli si era alterata come se in sottofondo ci fosse rumore di fiamme e ossa spezzate; come se provenisse da una specie di forno crematorio, insomma.
«Lo stai spaventando a morte, in effetti.» disse Giovanni.
«Mi pare fosse soltanto questo il tuo compito, no?» aggiunse.
«Già, ma lo vedi che è ancora vivo?!» commentò il demone. «Visto che sei il mio capo, comunque, e intuisco che con il tuo buon cuore non ami assistere alla violenza, rimandiamo tutto a più tardi e in un’altra sede… Lontano dai tuoi occhi… E dal tuo cazzo.» rise.
Giovanni non era comunque del tutto d'accordo. Abbassò il capo pensieroso, per un paio di secondi, e quando lo rialzò per rispondere si accorse che il demone era scomparso.
Anche Ivan, pur rimanendo immobile dal terrore, non riusciva più a vederlo.
Sentì, però, quella mano pesante e invisibile appoggiarsi sulla sua spalla, un fiato caldo e fetido avvicinarsi all'orecchio.
Ancora non poteva muoversi. Ancora era vivo.
«C’è sempre qualcuno più cattivo, più grosso e più forte di te, ragazzo!… Qualcuno che non vede l’ora di dimostrartelo, darti un insegnamento… Qualcuno che esige rispetto.» si sentì sussurrare. «Goditi il resto della giornata, allora, che poi vengo a darti la buona notte!…»
L'insegnamento racconto di Fabio Cavagliano (2021)
Ispirato alla visione di questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=1TTUhjm7nyM
Rubrus ha scritto: Una volta si diceva "lo dico a mio
fratello", ma ormai i figli unici abbondano. Il racconto ruota attorno a
due temi: il bullismo e il patto con il male. Da notare che i due personaggi
principali hanno praticamente lo stesso nome
Fabio ha risposto: Ottima la considerazione sui nomi Roberto. I due personaggi, infatti, finiscono per occupare la stessa posizione morale. Anche se la punizione di Ivan lascia immaginare qualcosa di decisamente sproporzionato, almeno dal punto di vista Karmico. Qui sono partito dal desiderio di riproporre una mia vecchia illustrazione e l’ispirazione data dalla visione di un video. Considerato il tempo passato dall’ultima volta che ho scritto qualcosa e la brevità suggerita dal media, spero almeno di non aver annoiato. Ciao.
Patto diabolico e bullismo: due temi che sempre mi appassionano, ognuno a modo suo, e che qui intrecci in maniera efficace e non banale. La chiusa è davvero figa: "l'insegnamento" del demone sussurrato in quel modo lì rende particolarmente bene. E non è, secondo me, da sottovalutare come il protagonista riesca a non cedere alle tentazioni del maligno, nonostante la sua giovane (e influenzabile?) età e il suo essere un cosiddetto "debole". Dimostra anzi un carattere solido, fermo, assai maturo; molto più del bullo di turno, che si atteggia da adulto, per poi essere una calzetta bucata... molto attinente alla realtà! E soprattutto: quanto è bello quando la vita riserva una bella lezione ai bulli.
RispondiEliminaPer finire: illustrazione d'apertura strabiliante! Secondo me, uno dei tuoi migliori, e mi ricorda il grandissimo Massimo Rotundo rielaborato in versione tipicamente grifabiana! Grandissimo!