racconto di Mauro Banfi
Ottobre era scivolato nell'aria con il passo incerto di chi non vuole turbare il silenzio.
Nel Parco dell’Oglio, i giorni si allungavano in un crepuscolo mite, mentre le foglie, come mosaici spezzati, si appoggiavano all'acqua lenta del fiume.
Erano rimaste, contro ogni previsione, un piccolo gruppo di rondini. Non avevano seguito i venti che chiamavano verso l'Africa, ignorando il richiamo del sole basso che scivolava oltre l’orizzonte.
Avevano trovato rifugio in una vecchia cascina, un tempo viva di mani callose e voci, ora abbandonata, accarezzata solo dal vento e dal respiro delle stagioni. Le travi del tetto si piegavano come braccia protettive, offrendo un riparo sicuro. Qui, le rondini avevano deciso di nidificare, rompendo le regole scolpite nel loro sangue.
Ogni giorno portava una sfida. L’insetto si faceva raro, l’aria fresca. Ma i prati del parco, ricchi di fiori tardivi, ancora pulsavano di vita, e le rondini impararono presto a cacciare più in basso, vicino all'acqua dove il calore resisteva più a lungo.
Le notti erano un capitolo a parte. La brina cominciava a lambire i vetri di quelle finestre sbrecciate, e il silenzio calava spesso come un’ombra pesante.
Ma le rondini si stringevano nei loro nidi con la determinazione di chi ha scelto un destino diverso.
Poi, un mattino di metà ottobre, il primo uovo. Minuscolo, bianco, un ovale di speranza contro il grigio dei giorni. Una femmina giovane lo covava con un’attenzione quasi timida, come se non sapesse cosa aspettarsi. La colonia intera sembrava trattenere il fiato, sospesa in un tempo diverso da quello che il loro istinto conosceva.
Il pullo venne al mondo in una di quelle albe lente, quando il sole si arrampica sulle nebbie e il mondo sembra sospeso. Un piccolo miracolo di piume umide, un grido lieve che spezzava il silenzio.
Fu allora che capirono: avevano vinto la loro battaglia contro il calendario, contro la migrazione mancata, contro l’inverno che già stava bussando ai confini del parco.
Le giornate continuarono a scorrere, e le rondini, con pazienza infinita, insegnarono al piccolo a volare.
I suoi primi voli erano timidi, quasi goffi, ma ogni battito di ali era una danza di resilienza.
L’inverno, inevitabile, arrivò. Il pullo ormai volava sicuro, e la colonia sembrava pronta per affrontare il freddo. Non c’era certezza per loro, se non quella che il fiume li avrebbe vegliati e che il parco, con i suoi silenzi e i suoi rifugi, avrebbe protetto le loro piccole vite.
Forse non sarebbero sopravvissute tutte, ma quelle rondini avevano riscritto una storia antica, facendo della speranza il loro nido. E anche in quei giorni in cui il gelo disegnava arabeschi sull’acqua, c’era qualcosa di straordinariamente caldo nella loro presenza: il coraggio di restare, di sfidare il vento, di costruire una casa laddove sembrava impossibile.
"La speranza è l'ultima a morire", diceva mio nonno, contadino.
"La speranza è l'ultima a morire", diceva mio nonno, contadino.
Mauro, vanno sempre dritto al cuore le tue parole!💚
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