MAZINGA BACATO
I primi computer quantistici consentivano di creare personoidi in grado di superare alla grande il test di Turing, anche se non molto fantasiosi e attendibili sul piano emotivo. Così, alla Go Nagai Foundation, intorno al duemilatrecentosessantadue venne avviata la ricerca che prevedeva di sviluppare questo tipo di espressioni del pensiero.
Cominciarono con le abilità letterarie, poiché il direttore del progetto, un tredicenne nippoalbino neogotico mutato di nome Hiazomi, era appassionato di Lovecraft e tutta la mitologia di mostriciattoli da lui creata.
Alcuni dei suoi avi, addirittura, quando alla Go Nagai si producevano ancora e soltanto dei banali ologrammi animati, avevano realizzato una serie di grande successo in cui esseri come Azathoth e Cthulhu si combattevano a colpi di kung fu.
Chinoshira Hiazomi, poi, sapeva che del genio di Providence, oltre alle numerose opere, esisteva una vasta raccolta di appunti e corrispondenza da cui era possibile desumere in modo più che verosimile una mappa psichica e conseguente profilo psicologico;
una quantità di dati così ricca, forse, come in nessun altro autore nella storia era possibile rintracciare.
HPl 13, quindi, la prima intelligenza artificiale adibita a questo compito, anche grazie a tutta questa gran massa d’informazioni fu in grado di scrivere. E se la cavava mica male, imitando discretamente la prosa e il modo di fantasticare del suo originale. Soltanto in un biennio, comunque, la fondazione riuscì a perfezionarlo a dismisura con una miglioria al processo di associazione mnemonica e venne alla luce HPl 15.
Questa nuova intelligenza riusciva non solo a riproporre uno stile vecchio di quattrocento anni, ma aveva anche l’attitudine a filosofare e il desiderio di confrontarsi con altre menti; cosa assolutamente non prevista e lontana dalle intenzioni del progetto.
Dopo varie e curiose discussioni di Chinoshira col suo staff, venne quindi ritenuto opportuno confinare l’ IA in una realtà simulata, in modo che nessuna contaminazione culturale potesse alterarne la “struttura”.
L’esito di questa nuova operazione fu che in breve tempo, nonostante si cercasse con cura di pilotare le sue azioni, Lovecraft impazzì e che, per cercare di ripristinarlo e stimolarne ancora le capacità letterarie, si dovette in qualche modo accontentarlo con la compagnia di un simil Edgar Allan Poe. Il migliore per affinità d’idee e stilistiche fra i personaggi letterari trovati nella rete.
Il simulacro, tuttavia, pur apparendo decisamente umano era una IA che si aggirava ormai da quasi un secolo nel cyberspazio autonomamente, del tutto incapace di scrivere, e che aveva assorbito un’incredibile quantità d’idiozie.
Hiazomi dopo averlo testato e capito che non sembrava per niente Poe, lo inserì lo stesso nel progetto; più che altro per mancanza di tempo e disperazione. Inoltre aveva ormai capito che il trauma del confinamento aveva comunque irrimediabilmente danneggiato le capacità intellettive di HPL 15.
"Vabbè!…Tanto è andato tutto a puttane. Vediamo cosa succede introducendo questa variabile." aveva detto a sé stesso, l’unica persona del suo gruppo di lavoro che riteneva veramente qualificata.
In quel periodo, comunque, a causa di tale fallimento cominciò a maturare anche in lui una strana forma di paranoia e si decise di compattare la sua mente in una micro stella pulsante del diametro di circa trenta centimetri. Questo per preservarne i contenuti e le capacità a uno stadio di esaurimento ancora accettabile (anche se, a dire la verità, a nessuno dei membri coinvolti nell’operazione importava poi molto del suo stato di salute e di come avrebbe potuto peggiorare).
Il download venne poi collocato in una nicchia spaziotemporale costituita da una quantoluna dove anche le menti di HPL15 e Simil Poe furono messe a vagare.
Una solitudine di rocce e zone lacustri che, in breve, anche la pazzia del download popolò con assurdità e incubi interdimensionali di ogni tipo.
"‘Affanculo!" disse in ultima analisi il vero Hiazomi riguardo a tutta questa faccenda.
"…Mi prendo una bella pausa e poi, magari, ci riprovo."
Tanto, ormai, sapeva come ripartire da zero con un altro HPL.
L’importante era guarire dallo stress procurato da questo genere di super e infruttuoso lavoro intellettuale.
Quella di spingere fino ai limiti della pazzia il loro genio, peraltro, era una patologia assai frequente nei mutati.
Dopo il suo suicidio, quindi, il progetto venne abbandonato nel cyberspazio, assieme alla luna artificiale in cui il suo clone psichico continuò comunque a esistere nell’infinito cestino delle fluttuazioni quantiche.
HPL15 indicò la collinetta in cui si ergeva immobile e gigantesca l’armatura di Mazinga. La mappa che aveva trovato qualche giorno prima nelle sue stesse feci si era rivelata esatta.
"Finalmente!…" disse. "L’abbiamo trovato."
"Quanto sarà alta?" chiese Poe.
Lovecraft agitò l’enorme massa di tentacoli che sostituiva il braccio sinistro.
"Non importa." rispose. "…Con questi non avrò difficoltà ad arrampicarmi fino alla testa, quello che davvero mi sgomenta è la follia del suo ignoto occupante."
"La domanda non sottendeva tale perplessità." rispose Poe. "Come può ben vedere, sir, pur’io non manco di accessori adeguati a una tal impresa."
Alzò le robuste e scure zampe feline, poi ne estrasse di scatto gli uncini metallici.
"Allora che importa conoscerne l’altezza; sulla quale, da questa distanza, non possiamo che formulare stime approssimative?" commentò Lovecraft.
"Semplice curiosità, sir! Gli umani l’apprezzerebbero."
Lovecraf frustò un paio di tentacoli a terra, lasciando dei solchi spaventosamente profondi.
"E tu devi sempre fare o dire qualcosa che li compiaccia, illuderti di essere come loro, anche quando non sono presenti?" chiese.
Poe si limitò a fissare il cielo, per nulla preoccupato.
Gigantesche immagini di volti, animali, giocattoli o prodotti per la casa di tanto in tanto sfarfallavano fra le nubi infuocate. Alcune apparivano e sparivano con la rapidità di un fulmine, senza permettere d’identificarle; come oscuri presagi o messaggi subliminali, e spesso accompagnate da un crepitio di scariche elettriche e lievi variazioni cromatiche del paesaggio.
"Un’orda di quegli esseri è in arrivo!…" disse Poe. "Riservi a loro l’ira suscitata dalla mia antipatia. Visto che si crede così abile e superiore in tutto."
Creature gialle e informi guizzarono fuori da vasto ammasso di rocce a poca decine di metri da loro, e Lovecraft si ritrasse con moderato ma evidente sgomento.
"Per tutti gli orrori di Dunwich!" esclamò.
Ne aveva già fatto conoscenza in diverse occasioni e sapeva quanto i loro morsi e salassi potevano essere dolorosi.
"Volevo soltanto dire che…" riprese HPL 15.
"Che?" lo incalzò Poe.
"…Che, insomma…"
"Insomma?"
"Insomma, che…"
Intanto le creature, all’incirca una ventina, benché troppo veloci e aggrovigliate dal loro confuso modo di procedere per essere contate, li stavano raggiungendo.
"Lo so io cosa vuole dire, sir: che prova un gran terrore e che, senza il mio aiuto, la forza del suo braccio e viscide appendici non può nulla contro tutta quella marmaglia; benché altre volte, lo riconosco, si siano dimostrate armi notevoli." disse Poe. "…È questo che intende dire; non è così?"
Lovecraf annuì quasi impercettibilmente.
Subito dopo Edgar cacciò un urlo assordante, creando un gorgo gigantesco sulla sabbia e il pietrisco che avevano davanti.
"MAELSTROM!!!" gridò, facendo in modo che la voragine si estendesse fino a risucchiare tutti quei mostri.
HPL 15 non voleva ammetterlo, ma era veramente affascinato da quel genere di prodigi e straordinarie facoltà.
Si levò del sudore dalla fronte e sbuffò; poi il terrore lo colse nuovamente, quando una di quelle cose si ancorò al cucuzzolo di una roccia per fiondarsi verso di loro.
Tuttavia Poe fermò anche quella, tenendola sospesa a mezz’aria con un raggio di luce che gli usciva dal petto.
"SEPPELLIMENTO PREMATURO!!" gridò ancora.
Unì le zampe e, dal nulla, vicino alla creatura si materializzarono una bara di acciaio e il suo coperchio. Poi le due parti si colpirono e sigillarono d’un botto, intrappolandola.
Lovecraft, ora infastidito dalla teatralità con cui si stava portando avanti la scena, finse di guardare altrove.
"È pure un megalomane." pensò.
Poe, infatti, non aveva ancora terminato il suo show; lo si capiva dallo stato di esaltazione in cui si trovava. Alzò un braccio come i direttori d’orchestra e la cassa venne sollevata ulteriormente di un centinaio di metri da terra, poi l’abbassò di colpo e quest’ultima si andò a schiantare con velocità terribile al suolo creando un piccolo e profondo cratere. Il tutto fu accompagnato da un breve terremoto che generò crepe sui bordi dell’apertura; finché una di esse si trasformò veloce in una faglia che serpeggiando arrivò fino alle punte dei piedi di Lovecraft, dove si estinse con uno sbuffo di polvere e pietrisco.
"Niente da ridire su questo?" chiese Poe.
"Roba da fumetto! Davvero puerile."
Lovecraf sapeva cos’erano i fumetti, poiché Hiazomi, dall’alto della sua postazione robotizzata, di tanto in tanto gl’ inviava delle scariche quantiche di informazioni che si andavano ad accodare al suo stock mnemonico. Informazioni che, col trascorrere del tempo, non si erano limitate a rimanere soltanto mentali, ma che avevano pure aggredito la percezione del suo corpo fino a trasfigurarlo in quell’orrendo mostro tentacolare che era.
Sospesero per qualche attimo la rampicata, fermandosi all’altezza dell’addome di Mazinga. Volevano riprendere fiato e Poe, in effetti, a tratti era sembrato esausto e proprio come i gatti quando cercano di rimanere appesi su delle superfici verticali; con gli uncini allargati a ventaglio e gli arti ben divaricati che si dimenavano di qua e di là.
Sentì un ultrasuono provenire dall’alto e si voltò appena per non perdere la presa.
Proveniva da un enorme Spank volante; uguale a quello del cartone animato, ma verde smeraldo. Aveva pure i contorni disegnati da colorate luci intermittenti e indossava una cintola con attaccato un lunghissimo e scuro fallo di gomma che, invece, era la gigantografia filmata di un oggetto reale. Reggeva pure un ombrellino leopardato, facendolo oscillare e roteare mentre con l’altra zampetta sventagliava il suo veloce ciao ciao.
D’un tratto gli uscì un fumetto dalla bocca che riportava questa informazione:
"È alto sessantasette metri."
"È alto sessantasette metri."
Poi smise di salutare, agitò il suo accessorio di gomma e scomparve.
"Una di quelle cose in cielo mi ha rivelato l’altezza esatta del robot." disse Poe.
"Bene!" commentò Lovecraft, e arrotolò tre dei suoi tentacoli più lunghi su una sporgenza.
"Non è curioso, sir?" proseguì Poe.
"Quanto davvero m’incuriosisce e pare inesplicabile, soprattutto da parte di colui che dovrebbe essere la copia dell’autore del Gordon Pym, e quindi, presumibilmente, anche di un individuo dotato di grande acume e capacità analitiche, è proprio che lo si stia scalando in tutta la sua stradannatissima altezza questo colosso." rispose Lovecraft.
"Non capisco, sir."
"…Eh! Lo so, lo so che hai delle gravi difficoltà. Comunque, intendo dire che avresti potuto usare il tuo raggio traente per sollevarci fino a là." indicò la testa di Mazinga, ancora una quarantina di metri sopra di loro.
"…Comprendi almeno questo, vero? Vale a dire, quanto è assurdo lo sforzo che stiamo compiendo."
A Poe si rizzarono un po’ i capelli e i peli delle zampe per la rabbia e l’aver mostrato tanta deficienza.
"In ogni caso preferisco fare da solo..." proseguì Lovecraft. "Davvero! Non cambia niente. Che dunque non siano motivo di ulteriori, stupide domande e discussioni i tuoi limiti. Grazie!"
Arrivati in cima guardarono attraverso il grande diadema azzurro che fungeva da oblò alla cabina di pilotaggio.
"Se il suo genio non è in grado di partorire altre soluzioni, sir, lo fondo. Così possiamo entrare." disse Poe.
I suoi occhi si erano fatti incandescenti.
"Lascia stare, idiota! Siamo troppo vicini." berciò Lovecraft, e inclinò il capo dalla parte in cui il suo cranio era rivestito da spesse e durissime squame.
"Cosa intende fare, sir?"
"Al diavolo pure il suo fastidioso “sir”…" pensò Lovecraft. "Soltanto perché una volta gli ho confidato che amo la tradizione inglese non ha potuto fare a meno di ficcarcelo in tutte le frasi!"
Poi tirò una testata fortissima, frantumando quasi tutta la superficie su cui poggiavano.
"Siamo dentro!" disse dopo, alzandosi e ripulendo la schiena con un vortice di tentacoli.
"Hmmm… Fantastico!… Proprio il frutto di un fine ragionamento." commentò Poe.
Dei frammenti gli ricoprivano la nuca e i capelli.
Se li tolse scotendo tutto il corpo ed estrasse dalla guancia una scheggia lunga quanto una matita.
"Tanto non possiamo morire." minimizzò Lovecraft.
Poe si ripulì dal sangue la ferita già rimarginata.
"Ma possiamo scusarci, questo sì, soprattutto quando le nostre brutali improvvisate procurano comunque della sofferenza."
"Vedila come vuoi!" disse Lovecraft.
Attorno c’erano dei giocattoli, appoggiati sopra un piano semicircolare che seguiva quasi tutto il perimetro della stanza; un luogo piccolo e freddo, colorato come la livrea di un pesce pagliaccio.
Spiccavano per dimensione i pupazzetti di Pikachu e kenshiro, assieme a una versione sado maso dell’incantevole Creamy.
"Niente di significativo, mi pare." disse Poe, osservando bene bene quelle poche cose. "…Fra l’altro!"
"Eppure la mappa dice che qui avremmo trovato qualcosa d’importante." grugnì HPL.
"Quella mappa…" ci tenne a precisare Poe. "Le è uscita dal deretano, sir. Misteriosamente, certo!… Ma pur sempre dal deretano."
"Arrivo ragazzi!!" gridò Hiazomi "Scusatemi! Sono in bagno."
Sentirono lo sciacquone, ma non riuscirono a capire da che parte provenisse il suono. Erano al centro di quello spazio e niente poteva lasciar supporre la presenza di altre stanze, considerate le dimensioni esterne della struttura.
Poi videro una fera argentea materializzarsi sul tavolo, accanto ai giochi.
Ruotava ed emetteva una specie di ronzio a bassa frequenza.
"Eccomi!" disse la sfera.
"Lei è…" Lovecraft prese la mappa per rileggerne il nome. "…Hiazomi Chinoshira?"
"Exactement, monsieur!"
"Attendiamo qualcosa, una risposta." s’intromise Poe.
"Niente da dire, amici. È tutta una bufala, un’ideuccia che ho avuto per tenervi impegnati."
La sfera, sempre mantenendo il suo inquietante ronzio e moto rotatorio, si plasmò nel nudo busto di un ragazzino scarno e cianotico, dai capelli abbaglianti.
"Che altro volete sapere?"
"A questo punto,…" disse lovecraft, schermando gli occhi dietro a un intreccio di tentacoli. "… dopo tutte le inutili peripezie passate in questa a me incomprensibile estensione della Sua mente, non mi rimane che farle una sola richiesta; che è quella di poter morire, ovviamente."
Hiazomi spense i capelli, che comunque rimanevano sempre molto bianchi e luminosi, piegò il capo all’indietro e sputò in modo che la saliva gli ricadesse sulla faccia.
"No, no! Non se ne parla proprio!" disse. "Ma perché, poi, questo stupido desiderio? La tua vera anima, a quanto mi è dato di vedere nel multiverso, ora si trova all’inferno. Vorresti davvero andare da quelle parti a farle compagnia?"
Lovecraft guardò il suo attuale compagno.
"Meglio della sua, credo." disse indicandolo. "… Io conosco gli scritti del vero Poe; gli ho amati e sono stato considerevolmente influenzato da essi, e questo individuo non ha proprio niente della loro grandezza. È totalmente privo di raziocinio, un maledetto e noioso istrione frammentato d’inconcepibili assurdità. Assurdità che forse, come ora comincio a credere, provengono proprio da qui."
"Cazzo dici?" s’inalberò Hiazomi "…Lui è stato concepito dalla rete; è da lì che proviene. Te l’ho voluto affiancare soltanto per vedere se eri abbastanza intelligente da insegnargli a scrivere. Un programma che insegna a un altro programma, capisci? Potrebbe essere uno dei tanti passaggi successivi al mio fallito progetto, ma sembri troppo rincoglionito per questo. O mi sbaglio?!"
Hiazomi si trasformò di nuovo in una sfera; questa volta infuocata.
"…E spero che sia così, ragazzo! Perché, vedi, altrimenti c’è soltanto una follia peggiore di questa con qui posso punirti."
"No. Non credo abbia commesso errori. Non era questo che volevo dire..." rispose Lovecraft. "…In effetti stavo pensando di…"
Si grattò il lungo mento.
Sapeva di non poter scendere a compromessi con un’esplosione di demenza del genere, ma volle provarci lo stesso.
"…Stavo proprio pensando di…"
"A cosa stai pensando Howard?" chiese Poe "Dillo!"
"Posso avere uno spazio più consono all’impresa; magari dotato di scrivanie e luoghi ameni da contemplare come il mio vecchio New England?"
"Ci devo pensare." rispose Hiazomi "…Anche se mi sembra un’idea del cazzo. Intanto mettiti al lavoro. E fallo con amore! Torna giù e comincia a scrivere sulla sabbia. Poi vediamo cosa posso fare."
"Con amore?!!" gridò Lovecraft.
"Sì, con amore." rispose Hiazomi. "E cerca di stare calmino."
Poe sembrava felice.
Guardò il suo nuovo insegnante e gli fece le fusa.
Mazinga bacato (2012) racconto di Fabio Cavagliano
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