domenica 26 aprile 2020

L'inferno è vuoto


«… Naturalmente, non ci potevo credere.» disse Jim. «Ho pensato che fosse un messaggio di quelli automatici, inviati a tutti i followers… Oppure  qualcosa di promozionale seguito, magari, dall’invito a partecipare a qualche concorso.»
«E, invece, niente di tutto questo.» gli rispose Astar con il suo sorriso placcato d’oro. Poi gli appoggiò una mano sulla spalla.
Jim si sentiva al settimo cielo, anche se il personaggio che aveva di fronte pareva tutt’altro che appartenere a dimensioni elevate dello spirito.
Gli occhi di Astar, infatti, erano coperti da due orrende lenti a contatto che li facevano assomigliare a quelli di un rettile, e i lunghi capelli viola gli cascavano davanti al voto reso pallidissimo dal cerone.
«Ti piace la mia tana?»
Jim ridiede un’occhiata attorno, annuendo e fissando poi la sua attenzione su una parete a cui erano state appese delle chitarre e un boa constrictor imbalsamato. L’ enorme carcassa era stata piegata in modo da formare il simbolo dell’infinito. Vicino stava pure un’ acquasantiera sostenuta da una piccola colonna, trafugata da una chiesa, e che Astar usava come sputacchiera.
«Io, a volte,» disse quest'ultimo, distogliendone l’attenzione, «incido qui.» indicò una zona dell’ampio salone, separata da un muretto e una lunga vetrata alta fino al soffitto.
«È uno spazio completamente insonorizzato…» aggiunse. «Poi ti faccio entrare. Così proviamo a registrare qualcosa assieme, un pezzo da postare su Face.»
Jim sobbalzò dall’emozione. L’idea di apparire sulla pagina del suo idolo, di poter provare a migliaia di persone la sua già incredibile esperienza, quasi gli fece perdere l’equilibrio.
Astar rise nel vederlo inciampare sul tappeto e lo bloccò appena in tempo, prima che potesse andare a sbattere la faccia su una colonna.
«Io, io….» disse Jim. «Non conosco l’enochiano!»
Si riferiva all’incomprensibile idioma cantato o, più spesso, gridato dalla star.
«Non ha importanza. Facciamo un pezzetto di ciò che ricordi meglio.» rispose lui, e allungò un drink preparato qualche minuto prima.
«Accomodati!» disse dopo, sedendosi a sua volta sul divano.
Jim era carico di emozioni, domande; ancora non riusciva a contenere la gioia, lo stupore di quell’incontro.
«Perché proprio io?...» chiese. «Voglio dire…: fra tutti i tuoi infiniti fans sono il più anonimo, uno di quelli meno visibili e partecipi sui tuoi canali social.»
«Ho chiesto ai miei collaboratori di contattarti, invece, proprio per via di quella poca roba che hai scritto…» Astar portò di scatto la testa all’indietro in modo da scostare la chioma dal volto.
«Quella in cui hai definito tutto questo una “facciata”…» alludeva al proprio aspetto e al bizzarro e macabro arredamento della sua abitazione. «Soltanto ”immagine”!...» sibilò «… “Perché i veri mostri sono ben altro”.»  Fece poi un gesto anche per indicare il suo vestiario scuro e pieno di lacerazioni, il suo trucco.
«Sì, io, in realtà…» commentò Jim.
«Aspetta!» lo fermò subito Astar. «Non devi scusarti. Mi ha colpito, pure, quando hai fatto riferimento alle mie donazioni…»
«Sì. Ho voluto scrivere di questo perché molta gente giudica l’apparenza e la violenza delle tue performance, che poi sono solo una recita, senza conoscere quanto sei impegnato, invece, nel difendere i diritti dei…» cercò di nuovo di spiegare Jim.
«Non sono impegnato in un bel cazzo!» lo fermò ancora Astar, calmo. «Sono le cose che m’impongono di rappresentare, di cui è costretto a  occuparsi il mio team manageriale da qualche tempo.»
Inclinò il capo e fece un sorriso, invitandolo a brindare.
«Nessun fan aveva mai scritto di questo, comunque, di questo mio altruismo nascosto.» proseguì. «E… Non mi fraintendere! Mica mi dispiace sai?!... Apparire anche “buono”, intendo.»
Jim soffiò, sollevato. Quasi cominciava a preoccuparsi di averlo irritato.
«Una delle domande più stupide che spesso mi vengono poste, infatti, è proprio quella se sono veramente cattivo.» disse ancora Astar. «Sai?!... Come quell’idiota di giornalista che mi ha accusato di far parte di una setta…»
«Sì, ho visto.» sorrise Jim. «Quello che ha tirato fuori la storia dell’adrenocromo… La sostanza che voi “satanisti” assumereste bevendo il sangue dei bambini spaventati a morte.»
«Esatto!!» si complimentò Astar. «la nostra droga per sconfiggere il tempo.»
Indicò un poster raffigurante un concerto di suo padre mezzo nudo e sul palco, davanti a una folla oceanica.
«Qualcuno, addirittura, è arrivato a sostenere che io sia lui ringiovanito.»
«Oh!...» fece Jim «Un altro dio del rock e della trasgressione… Era un grande.»
«Già!» commentò Astar. «Sembra che la mia esistenza ricalchi un po’ la sua, ma non è così. Lui davvero cercava di fare della critica sociale… Alle istituzioni, ai governi… Mentre io me ne sbatto completamente di versare livore su tutto questo. Anzi, … Il nostro ministero è proprio quello dell’ingiustizia e del disordine.»
«Il vostro che?»
«Sì… L’occupazione di noi demoni, intendo.» rispose Astar.
«Avanti!...» lo rimproverò Jim, divertito.
«Ma è così, sai?! Solo che non può essere compreso, visto in tutta la sua potenza. Almeno fino a quando non ci verranno concesse le nostre gloriose, settantadue ore di buio…»
«Hmmm… Non capisco.» fece Jim.
Astar finì di bere il suo scotch e soda.
«Ci sono varie forme di male e di protesta…» deglutì. «Osserva il mondo, per esempio!... Tante  delle cose incomprensibili, sbagliate e assurde che stanno avvenendo nel nostro tempo… Ti sembrano accidentali?»
«Ma, che dire?!» rispose perplesso Jim. Cominciava a trovare quasi noioso il tono della conversazione.
«Il fatto è» riprese Astar. «che esseri perversi e antiumani come me possono apparire soltanto  un’eccezione ai più, isolati casi psichiatrici. Pochi sono in grado d’immaginare quella che è, invece, l’influenza e vera vastità del nostro numero.»
«Dai!!» lo incalzò Jim, questa volta fingendosi divertito.
«È così, amico.» Astar fece una sonora risata diabolica, enfatizzata come nei cartoni animati, estendendo a mo’ di corna gli indici sopra il capo.
«Quei dannati soldi!...» aggiunse dopo. «Quelli della beneficenza di cui hai scritto… Li ho dovuti autorizzare per calmare le acque: qualcuno ha cominciato a fare pesanti illazioni sul mio conto, tirar fuori della merda che avrebbe potuto rovinarmi.»
Si versò un altro bicchiere di scotch.
«Se avessi cercato personalmente di dare risalto al mio gesto, ovviamente, non sarebbe stato credibile… Funzionale.»
«Così, quelli come me, e tutte le altre fonti che lo hanno divulgato, hanno fatto il tuo gioco?» commentò Jim.
«Esatto. Cazzo se sei sveglio, ragazzo!...»
Lo fissò poi negli occhi, serio.
«Mai ostentare gesti di altruismo, se vuoi che appaiano genuini.» disse.

«Allora ci mettiamo al lavoro?! Sei pronto per il nostro duetto?»
Jim lo seguì nella zona del soggiorno con la strumentazione, quella riparata dalle interferenze sonore. Non appena Astar aprì la porta che ne dava accesso, infatti, si udì al suo interno un miagolio.
«Ho voluto farti una sorpresa.» disse. «Sbirciando nel tuo profilo ho visto numerose foto di gattini.»
«Oh!… Quelli sono i mie tre…» tentò di replicare Jim.
A terra c’era una scatola, piccola, ma dai suoni che emetteva sembrava contenere più di un animale.
Stava sotto a un piano a cui era appoggiata la consolle del mixer.
Astar si avvicinò e la spinse fuori con un piede, chinandosi poi per aprirla e mostrare a Jim il contenuto; tuttavia, senza sollevarla.
Dentro c’erano tre cuccioli, costretti uno sopra l’altro.
Neppure si era preso la briga di praticare dei forellini sul coperchio, pensò Jim inorridito.
La qual cosa lo aveva praticamente immobilizzato, reso interdetto e ammutolito dallo sgomento.
Astar richiuse la scatola. Si rialzò, dopo, pacato e sorridente.
«Li ho scelti il più somigliante possibile ai tuoi, della stessa taglia e dello stesso colore, come vedi. L’ho fatto per rafforzare la tua risposta emotiva…»
«La mia… La mia che?!» farfugliò il ragazzo.
«QUESTA!!!» gridò Astar, e  saltò più volte sopra alla scatola.
Ci fu appena il tempo di udire un mezzo rantolio, ma spaventosamente acuto.
«IO SONO COSI’!» chiarì Astar. «… Non è una “FACCIATA”.»
A Jim cedettero le gambe, si offuscò la vista.
«… E questo è un capriccio inutile, insensato. Lo so. Eppure, ogni tanto, devo togliermela la soddisfazione di far soffrire così tanto e soltanto un cazzo di coglione qualsiasi!»
Gli diede un calcio nella milza, fortissimo.
«Mai un like, eh!? Brutto figlio di puttana!... Mi chiedi l’amicizia e poi manco un like, dopo un mese che ti concedo di stare fra i miei contatti!»
Si mise a urlare, cantare.
«Asrrratazathmaruszathrassskatsash…»
Era il suo pezzo che Jim considerava il migliore, anche come parte strumentale.
«Lo sai cosa vuol dire?!» ringhiò. S’interruppe un attimo per riprendere fiato; il volto, ora, era sudato e reso paonazzo dall’affanno e dallo scioglimento del fondo tinta.
«Significa…: Noi siamo una legione.»





Racconto di Fabio Cavagliano
(Il titolo è preso da W.Shakespeare: "L'inferno è vuoto. E tutti i demoni sono qui") 
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2 commenti:

  1. Il racconto procede pacato, tranquillo, con qualche spunto interessante su più dimensioni... E poi si incendia, divampa, con una singola deflagrazione di violenza che, più che nelle azioni, si riflette nella frase: «... ogni tanto, devo togliermela la soddisfazione di far soffrire così tanto e soltanto un cazzo di coglione qualsiasi!»
    L'ho trovata, questa frase, il nucleo intrinseco del racconto;quantomeno ai miei occhi, il pezzo più significativo.
    Azzeccata la citazione finale di Astar, con cui si chiude la storia, e ottima la trovata del titolo, in linea con il contenuto.
    In definitiva, lo trovo un buon racconto, anche se - devo ammetterlo perché, come ci siamo sempre detti sin dai tempi di Neteditor, la sincerità prima di tutto - non tipicamente Grifabio. Non so, meno graffiante, meno folle, una lettura piacevole, sì, ma non una discesa incontrollata nella follia e nella violenza che è la tua cifra caratteristica.

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    1. Nei social (più che in altri luoghi, ovviamente, dove certi atteggiamenti e mancanze non possono essere mascherati) spesso le persone cercano di apparire attraenti, simpatiche o altruiste, di mostrare quelli che credono siano i loro aspetti migliori. Oppure si commuovono, piangono, sono indignate per qualcosa, sfogano senza pudore sofferenze e fatti personali proprio come se avessero a che fare con una grande famiglia. E a volte, anche, recitano. È un po’ come se cercassero consensi alla propria umanità.
      Ho fantasticato, quindi, al contrario; immaginando un soggetto -parecchio anormale, chiaramente- che ci tiene moltissimo, invece, ad apparire per il maledetto bastardo schifoso che è.
      La violenza follemente immotivata, poi, come hai sottolineato, rimane tutta nel finale perché non m’interessava esaltarla come ho fatto in altri polpettoni fumettistici. L’orrore che ho voluto trasmettere, infatti, suggerisce che soggetti deviati come il protagonista siano tanti; in numero incredibilmente superiore rispetto a quelli che siamo disposti a immaginare.
      (... Passi per la "follia" più o meno graffiante, ma sono davvero così "violento" nei miei scritti solitamente? A parte due o tre racconti, non mi pare di aver mai esagerato più di tanto.) :)

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