venerdì 2 agosto 2019

Il fantasma di Parigi


Racconto di Arianna Pavanello


Note dell'Autrice
Questo racconto è liberamente ispirato a Shining di Stanley Kubrick, il cult con protagonista un Jack Nicholson psicopatico. In che modo la mente può giocare brutti tiri? Può un luogo portare alla pazzia, o è solo suggestione? Vi auguro una buona lettura e, se volete accettare il consiglio, una buona visione del film!


La vecchia mise le chiavi nella toppa, rantolando con un colpo di tosse dovuto al suo evidente tabagismo.
Le sue dita ingiallite ed i suoi crespi capelli trasudavano fumo passivo, percepibile anche alla debita distanza che Daniela cercava di tenere.
Lei non era fiduciosa di quell’appartamento, ma, spinta dal prezzo conveniente si era convinta a non scappare a gambe levate dal fatiscente edificio.
La porta cedette sotto le mandate della chiave e si aprì cigolando.
– L’offerta l’avrai già vista sul sito, le bollette dell’acqua parte e della luce sono a parte –
Gracchiò la donna.
Daniela mise timidamente un piede dentro quella catapecchia e si limitò a sporgersi con il busto in avanti, dando una rapida occhiata.
La zona giorno di entrata era lurida, aveva qualche mobile giallastro di pessima fattura che si confondeva con le pareti del medesimo colore.
Non le sembrava però il colore della tinteggiatura, quello, a tratti marrone, a tratti nero.
Chissà, originariamente forse quel monolocale doveva essere bianco.
Oltre ad un divano pulcioso e ad un mobiletto senza alcuna televisione, il principale arredo sembrava essere la sporcizia.
Daniela si chiese se a qual prezzo avesse dovuto aver anche a che fare con piccoli coinquilini indesiderati.
Negli ultimi mesi aveva cercato in lungo e in largo un appartamento a Parigi.
Aveva ricevuto la meravigliosa notizia di essere stata presa nel suo programma di studi dei sogni, che le avrebbe dato la possibilità di avvicinarsi a grandi atelier di moda.
Aveva cercato in centro, poi in periferia, valutando l’ipotesi prima appartamenti, poi solo di camere, persino di letti singoli.
Ma una volta arrivata la lista del materiale universitario necessario, si era posta seriamente il problema di dove avrebbe messo tutte le stoffe, le attrezzature e l’occorrente per svolgere i progetti universitari.
Perciò, a malincuore, aveva deciso di sacrificare la qualità per essere più comoda.
Aveva trovato quell’appartamento, un’intera casa, ad un prezzo veramente accessibile, ma ora che lo vedeva di persona riusciva chiaramente a giustificarne il basso affitto.
La vecchia tossì, avvertendola dei numerosi pretendenti di quell’ultimo buco, liberatosi all’ultimo per misteriosi motivi.
Sebbene dubitasse che altri fossero interessati, Daniela si affrettò a prenderlo.

Erano passati diversi giorni, la ragazza era alle prese con le lezioni, l’unica cosa che le facevano credere di aver fatto la scelta giusta. Ancora navigava all’interno degli scatoloni, che riusciva a disfare solo nel tempo libero.
Era domenica, si era presa la giornata per dedicarsi allo spacchettamento finale.
Mentre accatastava i cartoni fuori dalla porta per facilitarne lo sgombero, qualcuno venne la alla sua porta picchiando forte.
– Ehi, ragazzina! Cos’è sta robaccia in corridoio?!-
Daniela sussultò sotto quel vocione grave e severo.
L’uomo, sulla sessantina, era un minaccioso colosso di due metri e tanto di panza.
Di certo nessuno sarebbe mai voluto venire alle mani con lui, tantomeno la ragazza.
– Li butto via subito! – si affrettò a dire, terrorizzata che quel losco figuro potesse irrompere in casa sua ed aggredirla.
– Senti un po’, già mi basta quel pezzente in fondo al corridoio che accumula cianfrusaglie sul mio zerbino. Già gli ho dato una lezione. Non costringermi a fare la stessa cosa con te –
Con il cuore in gola, Daniela guardava l’uomo con gli occhi spalancati, in preda alla paura.
– P-pezzente? – balbettò
– Già, quello studentello, “l’Artista” – articolò, con disprezzo – compra spazzatura al mercato delle pulci, la rivernicia e la mette negli spazi comuni ad asciugare. Così oltre ad intralciare, appesta l’aria con quel puzzo chimico. Te non ti dai al fai da te, non è vero, ragazzina?? –
– Assolutamente no! – si affrettò a dire lei, annotandosi mentalmente di non rivelare all’uomo che facesse un’accademia artistica.
– Molto bene. Allora fai sparire in fretta quella robaccia e noi due saremo a posto. Ti tengo d’occhio… non succedono cose belle a chi non mi ascolta –
– … ?- l’espressione di Daniela, quella di un cerbiatto davanti ai fanali del tir che l’ha puntato, comunicava l’incapacità di chiedere cosa fosse successo agli stolti che lo avevano sottovalutato.
– Eheh- ridacchiò lui, compiaciuto di aver sortito l’effetto desiderato – Quella mocciosetta che abitava qui, qualche mese fa. Suonava quella stramaledetta batteria di notte. Le ho sfasciato quel tamburo. E i piatti? Sono volati giù dalla finestra, dritti nel cassonetto. Ed il giorno dopo… polizia ovunque, appartamento chiuso. Quella deve essersi fatta ammazzare, credi a me. Ma a me non importa. Mi sono guadagnato il silenzio –
Daniela non sapeva neanche da dove cominciare. Aprì la bocca appena, incapace di emettere suoni, di elaborare frasi di senso compiuto.
Prima che potesse riuscirci, così come era arrivato, l’uomo se ne andò, facendo scricchiolare il pavimento sotto il suo ingente peso.

La povera Daniela dovette aspettare un po’ prima che il suo cuore rallentasse il ritmo.
Non appena prese coscienza di averla scampata, corse subito a buttare ogni cosa, troppo spaventata per voler scoprire la punizione che l’Artista aveva ricevuto per lo stesso comportamento.
Quella sera, finalmente libera da ogni residuo di trasloco, si diresse al supermarket gli sotto e fece le prime scorte per la dispensa.
Risalì le scale ricoperte di moquette, raggiunse il secondo piano, il suo, rantolando per la fatica.
La lampadina del corridoio si era fulminata, perciò regnava il buio.
Arrancò fino a che non trovò il suo interno, posò le borse davanti all’ingresso e iniziò a frugare nella borsa per le chiavi.
Mentre guardava il cellulare, incuriosita da qualche nuovo messaggio che le era arrivato, fu catturata da un barlume alla sua sinistra, alla fine del corridoio.
Girò il viso soprappensiero.
In fondo, proprio lì dove di solito stava il muro, si trovava una figura.
A Daniela gelò il sangue.
Quella persona, quella ragazza, stava lì e la guardava, sorridendo.
– Posso aiutarti?- balbettò
La ragazza non si mosse.
Si girò verso di lei.
“E’ il fantasma della ragazza, della batterista!” gracchiarono le sue budella, contorcendosi.
Non fu un pensiero, ma qualcosa di pancia, una paura profonda e incontenibile.
Daniela fece un passo indietro, vide la ragazza muoversi.
Presa dal panico, le sue mani sudate armeggiarono con la serratura fino a che non spalancò la porta e si fiondò dentro, facendo roversciare la borsa.
Poggiò tutto il suo peso sull’uscio, aspettando che il cuore scendesse di battiti.
Una volta sigillata all’interno, però, le sue mani iniziarono a tastare le tasche freneticamente.
– Oh, cazzo!- sussurrò, spaventata, venuta a conoscenza che esse non contenevano il cellulare.
Correndo doveva esserle caduto in corridoio, quando la borsa si era rovesciata.
E l’esclamazione, carica di sconforto, portava in sé la folle idea di dover uscire ancora a recuperarlo.
Metti che quella avesse sfondato la porta.
Non avrebbe neanche potuto chiamare la polizia.
Era fuori discussione, doveva riavere il telefono.
Era sola, non poteva superare la notte senza.
Si arrampicò fino allo spioncino e ci sbirciò dentro.
Non vedeva altro che la porta di fronte alla sua, difficilmente distinguibile per il buio pesto.
I minuti, le mezz’ore passarono, concitate, cariche di terrore.
Ogni volta che guardava l’ora sull’orologio da parete in cucina, sapeva che doveva darci un taglio ed uscire.
Lasciarlo lì, sul pianerottolo, era fuori discussione: i suoi vicini erano poco raccomandabili, di certo non glielo avrebbero fatto riavere.
Era sicura che se avesse aspettato l’indomani mattina, il suo telefono sarebbe già stato smembrato e venduto al mercato nero.
Si sentiva menomata, era come se le mancasse un arto.
Verso le tre del mattino, poiché il ricordo di quella losca figura era già più lontano, Daniela decise di prendere coraggio e aprirsi uno spiraglio sul corridoio.
Guardò con timore a destra.
Del fantasma nessuna traccia.
Iniziò a cercare con lo sguardo per terra, ma non era tranquilla, aveva il presentimento che qualcuno la osservasse, che la potesse prendere…
All’improvviso sentì un rumore di passi, veloce, molto vicino.
Non ebbe neanche il tempo di ragionare, di riflesso si rintanò in camera, chiudendo subito la porta.
Appoggiò l’orecchio sulla porta. Sentiva qualcuno passare davanti alla sua porta…
tornare indietro…
passare ancora davanti…
Una serie di brividi le percorse il collo.
Arrivarono le quattro.
Le cinque.
Daniela stava seduta sul pavimento, vicino alla porta, aspettando di non sentire più niente.
Aprì gli occhi.
La prima cosa che sentì fu il forte mal di collo, dovuto alla notte passata appoggiata all’uscio.
Si stiracchiò, addolorata.
Doveva essere crollata, stanca, mentre faceva da sentinella.
Dalle finestre senza tapparelle, che non aveva fatto in tempo a chiudere, brillava il sole.
Sul pavimento vicino a lei la borsa della spesa, ancora intatta.
Si alzò, si guardò intorno e si sentì meglio.
L’orologio della cucina segnava le 9 del mattino.
Rincuorata dalla luce del giorno, spalancò la porta.
Incredibilmente il suo telefono era proprio lì sul pavimento. I suoi vicini dovevano non averlo visto.
O forse non erano mattinieri, e lei era stata fortunata.
Sbuffò sollevata, afferrandolo.
La tensione scendeva dalle sue spalle, scivolava giù mentre riaffiorava la stanchezza.
Guardò rapidamente i messaggi, iniziando a vergognarsi della notte di incubo che aveva passato, probabilmente per nulla.
E mentre rientrava in camera, decisa a farsi una bella doccia e a sciacquarsi via quei terribili pensieri lontani, lanciò uno sguardo in fondo al corridoio, a destra, là dove, davanti all’appartamento dell’Artista, troneggiava un enorme specchio.





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