martedì 6 agosto 2019

Percezioni


Racconto di Morituri

Il vento, caldo e fetido, faceva roteare mulinelli impazziti di spazzatura cartacea e residui d’ alghe in decomposizione. Mi guardai attorno al centro di quella piazza vagamente familiare: ricordavo quel posto, o almeno così mi sembrava. Osservai me stesso, come in un sogno: indossavo pantaloni neri di un tessuto leggero sgualcito e una camicia bianca sporca d’ olio sul colletto e di qualcos’altro che non saprei definire sulle maniche arrotolate. 
Portavo anche una cravatta grigia a righe chiare e un grembiule strappato con la stessa fantasia. Strano, non ricordavo di essermi vestito così quella mattina; anzi non ricordavo proprio nulla che fosse precedente a qualche minuto prima, era come se mi stessi svegliando da qualche strano stato catatonico. Forse avevo assunto qualche droga, ma a dire il vero non mi sembrava di esserne dedito. “Forse” pensai “qualcuno ha messo qualche sostanza in qualcosa che ho bevuto” . I troppi “qualche” di quel pensiero mi fecero desistere dal interrogarmi ulteriormente. Rovistai in una delle tasche del grembiule, estraendone un blocchetto e una penna; nel farlo mi resi conto che tanto il corpo quanto la mente erano intorpiditi: muovevo le mani con difficoltà, come se non sapessi bene come usarle.

Sulla prima pagina del notes, nella mia calligrafia affrettata, era scritta un ordinazione:


TAV 12
2 0,20
1 0,40
2 coca – 1 + ghiaccio

Valutai nuovamente il mio peculiare abbigliamento congratulandomi mentalmente con il mio proverbiale acume, dato evidentemente per disperso. Il mio primo pensiero fu che era pur qualcosa sapere almeno che lavoro facessi. Il secondo pensiero fu semplicemente: “Che Schifo!!”.
Ora che avevo svelato i più reconditi recessi della mia esistenza rivolsi la mia attenzione a ciò che mi circondava. Mi trovavo, appunto, al centro di un enorme piazza che dava,da una parte, direttamente sul porto turistico della ridente cittadina di … di … di “Dovediavolomitrovo” . Sull’altro lato, invece, una serie di bassi e opulenti palazzi ospitava una sequela di bar e ristoranti, in successione uno di fianco all’altro. Contai almeno una decina di attività fin dove giungeva il mio sguardo, lungo la fila di edifici; dal che mi accorsi che anche la mia vista non era poi un granché.
 La cosa davvero strana era l’assoluta desolazione che regnava sul tutto. 
Nella piazza non c’era anima viva, me escluso, mentre le condizioni di ciò che osservavo versavano in uno stato di totale abbandono: tavoli e sedie erano rovesciati alla rinfusa ovunque e abbandonati al dominio della polvere, cumuli di immondizia invadevano ogni angolo, nell’aria si respirava odore di fumo e plastica bruciata. Volsi lo sguardo nuovamente verso il porto: deserto totale anche li. Non c’ era l’ ombra di un imbarcazione, se si escludono le due o tre che vidi, semiaffondate a poca distanza. 
Anche a largo l’orizzonte sembrava sgombro; iniziavo seriamente a temere che fosse successo qualcosa di grave. 
Fu questa nuova inquietudine che mi spinse a muovermi; mossi qualche passo incerto non sapendo bene dove andare, le gambe mi sembravano di legno e avevo iniziato a sentire un leggero fastidio dietro la spalla destra. Dopo pochi passi venni colto da un violento capogiro e da una nausea ancora peggiore. Caddi bocconi, ansimando, vomitai un abbondante poltiglia cremisi e venni avvolto dalle tenebre.

Mi risvegliai con l’ angosciato sguardo di due gemelle puntato addosso.
- Si sta riprendendo, meno male … - Dissero all’unisono.
La voce mi rimbombava nel cervello, come un eco proveniente da qualche lontana dimensione.
Pensai che come dopo sbronza non fosse niente male, magari non il peggiore della mia vita, ma sicuramente al di sopra della media. 

Mi stropicciai gli occhi mentre cercavo di raddrizzarmi e quando li riaprii le gemelle erano diventate una persona sola, che mi guardava amorevolmente mentre mi porgeva un bicchiere d’acqua. Lo accettai, ringraziando Mamma Chioccia con un filo di voce simile all’ultimo rantolo di vita di un motore pronto per lo sfasciacarrozze. 
Ci misi qualche minuto a realizzare di trovarmi sul pavimento del mio ufficio, con i piedi sulla sedia della mia scrivania e la testa contro lo schedario delle fatture passive.
- Ma cosa … - Iniziai.
- Sei svenuto, forse un calo di pressione, forse l’ aria condizionata un po’ troppo alta - Mi spiegò Mamma Chioccia, che nel mondo reale si chiama Laura e divideva l’ ufficio con me.
- Meno male … pensavo di essermi sbronzato al lavoro … pensa che casino … -
Rise, con quelle adorabili fossette che le si disegnavano sulle guance, mi venne voglia di morderle.
- Beh, non sei certo un “Illustre Cultore della Virtù” ma questo sarebbe troppo anche per uno come te, soprattutto dopo la fatica che hai fatto per ottenere questo lavoro.
- Già, forse anche troppa per un contratto di tre mesi in scadenza tra meno di una settimana. E poi andrà a finire che tornerò a fare il cameriere o il lavapiatti … o peggio -.
- Dai non abbatterti, magari trovi qualcosa di meglio - Mi aiutò ad alzarmi.
See, come no! Sai che, a proposito, ho fatto un sogno stranissimo; ero in quella piazza vicino al porto, tutto solo, con questo vento caldo … non mi ricordo bene. Vabbè lasciamo perdere -
Osservai nell’ufficio accanto al mio dal vetro che li divideva; Claudio, del reparto commerciale, fingeva di lavorare al computer e ci osservava di sottecchi.
Feci un cenno con la mano.
- Tutto a posto 
Clà! Grazie per l’ interessamento -
- Stronzo! Maledetto Figlio di Puttana! - Ringhiò Laura a denti stretti.
All’improvviso si era avventata contro il vetro divisorio e vi batteva contro con i pugni.
- Laura, che cazzo fai? - Ero incredulo.
Laura era la persona più pacata e tranquilla che conoscessi; praticamente vederla così era come sentire la Madonna bestemmiare. Mi avvicinai e la presi dalla spalla. Lei si girò.

Ancora in ginocchio mi reggevo lo stomaco con le mani, dopo i conati violenti respirare era difficile. Di nuovo la piazza, dove prima era il mio ufficio, così in un batter d’occhio. Provai a sollevarmi ma il torpore mi ostacolava e il fastidio alla spalla aveva deciso di convertirsi in una fitta dolorosa. 

Cercavo una spiegazione, con un turbinio di ipotesi che mi giravano per la testa; decisamente ero preoccupato e dubitavo che la causa di tutto questo fosse la carbonara della sera prima. Faticosamente mi misi in ginocchio e poi, dolorosamente, in piedi; mi guardai intorno: ancora il deserto più sconsolante. Provai a urlare,
“Grida -
HEY!!!- Più forte che puoi” Ordinò la mia mente.
La mia ugola obbediente emise una specie di inudibile rantolo polveroso. Chinai la testa scoraggiato mentre mi massaggiavo la spalla dolorante; sentii la mano umidiccia e la ritrattassi cosparsa di una poltiglia giallastra.

Se solo avessi avuto un briciolo di consapevolezza mi sarei domandato perché quel sogno fosse tanto realistico nelle sensazioni e nella percezione delle cose. Forse avrei intuito, chissà, da quel misto di ansia e rabbia che mi covavano dentro, dallo stesso movimento dei miei visceri avrei capito la differenza tra realtà e finzione. 
La mente gioca brutti scherzi, lo so, ma nessuno immagina fino a che punto e io ero troppo ottenebrato per focalizzare anche un singolo pensiero. Mi avviai senza meta, sentendo una nuova sensazione dentro: una strana, implacabile fame che mi piegava letteralmente in due, e un fruscio nelle orecchie simile al rumore che fa un grappolo di scarafaggi raccolto a convivio su qualche carogna purulenta.
 Il suono aumentava di intensità a ritmo costante, cambiava intonazione mutando la sua fase fino a divenire qualcosa di diverso, qualcosa che conoscevo ma non sapevo identificare.

-Finalmente riusciamo ad esprimerci meno scompostamente!-
La voce stentorea del Capo mi sorprese alle spalle, mentre osservavo attonito il volto di Laura contratto dalla rabbia. Oltre il vetro, Claudio sembrava essersi miniaturizzato dietro lo schermo del computer; tremava. Mi voltai verso la figura alta e spigolosa in piedi sulla porta dell’ufficio; sul volto aveva dipinta un espressione raggiante che sarebbe stata appropriata durante una veglia funebre. Mentre si dirigeva verso il suo studio, con un andatura talmente alienata da sembrare quasi solenne, lo raggiunsi.
- Senta Capo, magari lei può risolvere questa cosa. Qui stiamo ammattendo tutti … io ho certe visioni … Laura sembra la brutta copia di un licantropo e Claudio interpreta egregiamente il ruolo della sua preda … -
- Risolvere? Risolvere che? Ma non l’ ha ancora capito che ormai ci stiamo annichilendo? Ci stiamo annichilendo, annichilendo, annichilendo … -
Lasciai la stanza retrocedendo mentre lui continuava cantilenante a ripetere quella parola. Laura ridacchiava istericamente in un angolo, con un filo di bava che le colava da un angolo della bocca e lo sguardo perso “verso l’infinito ed oltre”.
- Datemi del matto, ma io qui sento puzza di soprannaturale - Pensai.
- Soprannaturale ? - Claudio, come risorto dalle proprie ceneri stava ritto, premendo la fronte contro il vetro, la testa piegata in una posizione vagamente innaturale. Il vero mistero era come avesse fatto a leggermi nel pensiero.
Una rapida occhiata di fianco mi confermò che Laura era ormai persa nel suo divertentissimo nuovo mondo.
So-pran-na-tu-ra-le … - Scandì Claudio - Qui di soprannaturale ci sei solo tu; queste mura, noi stessi, siamo tutti opera tua. Entro questi confini ristretti sei fisica e metafisica, sei La Divinità Creatrice e inconscia di tutto. Pensa ora se la realtà è ciò che è o ciò che fu. -
- Senti, magari io ora vado; non è che mi senta tanto bene … e anche tu dovresti farti vedere da uno bravo - Dissi
- Andare dove? - Rispose - Ormai non si va più da nessuna parte. Te l’ ho detto: tutto si svolge qui. Fuori non c’è più niente, magari giusto una piazza abbandonata o dei bambini che escono da scuola. Anzi ormai non ci sono più neanche quelli, da molto tempo ormai -.

Ce l’ho davanti adesso quella scuola, sta proprio alla fine della piazza. Sono qui, vicino al cancello divelto, e mi risuona ancora nelle orecchie quel suono; ora è nitido: risa festanti di bambini all’uscita dalle lezioni. Risa che presto si trasformano in grida di rabbia,dolore e orrore quando fuoriescono furiosi dall’ingresso, come vomitati dall’inferno. Una carneficina inenarrabile di cui rimangono mute testimoni le macchie di sangue secco sul cemento, vecchie di chissà quanto. Sì, vecchie come quelli simili a me, che ancora vagano alla ricerca di carne viva in una città ormai abbandonata.

 Nella mia mente, per un ultima volta, ho rivisto l’ ufficio: quella che pensavo fosse la realtà e invece era solo un ricordo, il rifugio del mio spirito morente. Tristemente vuoto, erano tutti spariti come per magia; non so neanche se coloro che lo occupavano fossero persone che ho realmente conosciuto o raffigurazioni dei miei stati d’animo. 
Una percezione dei miei infiniti IO. È strano, nonostante sia riuscito a squarciare il velo della mia memoria, non riesco a ricordare quando e come sono morto. Beh, dubito abbia importanza ormai.
Tra poco sarà notte, vedo il sole morire all’orizzonte e con esso se ne andrà tutta la consapevolezza acquisita oggi. So già che la nuova alba mi vedrà al centro di questa piazza, immemore di tutto, mentre osservo i miei sudici vestiti; poi ricomincerò a sognare, immaginare, confondere le mie percezioni. E così ancora e ancora per chissà quanto tempo … fino all’annichilimento. 



EPILOGO

Il gruppetto di sopravvissuti si affrettava a raggiungere il rifugio. Era quasi buio e non era prudente farsi sorprendere all’aperto, c’ erano ancora un bel po’ di non morti nella zona del porto. All’improvviso il capo del piccolo drappello sollevò il pugno chiuso, tutti si fermarono all’istante e osservarono dove egli indicava. A non più di una dozzina di metri, proprio di fronte alla scuola, ce n’era uno, di spalle: ciondolava, come fanno tutti i non morti e sembrava non essersi accorto di loro.
La donna sussurrò a chi la precedeva.
-    Guarda che razza di buco, gli manca praticamente tutta la spalla! -
-     Devono avergliela strappata a morsi, prima di morire avrà sofferto come un cane, poveretto.
Rispose il suo interlocutore
-    Potremmo sparargli … -
-    Sei matta?! Così attirerai gli altri -
-    Si, lo so – Pareva offesa - Era così, per dire … magari l’avremmo liberato dalle sue sofferenze -
-     Ma quali sofferenze! lo vedi anche tu che questi bastardi ormai non sono altro che bestie senza cervello, il cui unico istinto è ammazzarti per assaporare le tue budella -
Qualcuno dalle retrovie li incitò a rimettersi in marcia … silenziosamente. Prima di riprendere il cammino la donna osservò per un ultima volta la sagoma barcollante stagliata contro il tramonto e, infine, si convinse che sì, dopotutto, i non morti sono semplicemente bestie senza sentimenti, memoria e anima.

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