Miao e basta!

 

Aveva registrato quasi tutti gl’impulsi neuro corticali di Oliver. Perlomeno, credette di averne convertiti in parole abbastanza. Era stato impegnativo. Ogni volta doveva porre l’animale davanti a qualche stimolo visivo o tattile per fissare le aree della sua corteccia che si attivavano e poi la IA avrebbe fatto il resto, adattandole al processore del dispositivo vocale.
Così, ora, il gatto parlava. “Ho fame”, “ho paura”, “non voglio essere disturbato”, erano le sue frasi preferite.
William pensò con un po’ di sconfortante autoironia che, certo, quei bisogni l’animale era in grado di esprimerli assai efficacemente anche senza il dispositivo.
Anche il collarino, comunque, con le sue belle e ben udibili casse audio, è venuto bene ed è in grado di orientare il suono in modo da non disturbare l’animale.
«Mi da fastidio!» disse Oliver, come se gli avesse letto nel pensiero e tentando di grattarselo via dal collo.
Ottimo! Dovrò modificarlo, allora, magari con un rivestimento più morbido.
«Voglio uscire.» disse poi Oliver.
«Dopo, dopo, bello!...  Ho ancora qualche test da farti fare. Cosucce importanti. Davvero!»
«Mi da fastidio. Sono stanco di questo gioco. Voglio uscire.» insistette Oliver.
Miagolò, pure, sovrapponendosi all’audio del collare.
«Gli snack alla mousse di tonno…» disse William. «I tuoi preferiti. Se porti ancora un po’ di pazienza te ne darò due bustine.»
Il gatto lo fissò, immobile.
«Sono stanco di questo gioco.» disse ancora.
Dio!... Ma perché non t’impegni a esprimere altro?
«Non mi piace.»
Ecco! Bravo: usa frasi nuove.
«Non mi serve.»
Ci sai fare, ragazzo. Continua così!
Lo accarezzò.
Sembrava che l’animale, oltre a esprimere bisogni, fosse anche in grado di compiacerlo con una specie di lettura del pensiero.
«Vedrai che migliorandolo un po’ alla volta riuscirò a farti dire qualcosa di più articolato.» Gli sistemò uno dei sensori collegati alla tempia destra.
Così potrai esprimere più efficacemente cosa non apprezzi di questa mia straordinaria invenzione, stronzetto!
Rise.
Siccome l’animale continuava composto e immobile a fissarlo, questa volta con gli occhi socchiusi, come a voler trasmettere anche con una certa mimica il suo disagio, William gli tirò due pacche sulla testa.
«Pazienza!» disse. «Ci vuole pazienza. Ancora un po’ di pazienza!»
«Ahi! Mi fai male.» si lamentò il gatto.
Le pacche sulla sua testolina erano state forse un po’ troppo energiche.
William gliene diede altre due, prendendosi cura solo di non spostare gli elettrodi fissati sulla cuffia, per verificare se la risposta vocale si ripeteva ancora in modo conforme allo stimolo.
«Ahi!»
Okay. Questa volta hai usato solo una parola. Bene! Fai economia pure col linguaggio, pigrone! Dovresti avere almeno altre tre o quattro alternative vocali per l’occasione…
«Hmmm… Fammi controllare!» borbottò, facendo l'occhiolino alla bestiola.
Poi cercò sul terminale alla voce “dolore” e “fastidio” tutte le registrazioni correlate a quell’attività bioelettrica del cervello di Oliver.
«Sì.» disse. «Hai sette alternative per esprimere questo tipo di seccatura. Ma sono comunque soddisfatto perché hai variato la tua risposta passando dall’uso di due a una sola parola.»
Rise. E gli tirò un altro colpetto sulla testa.
«Pigro ma abbastanza autonomo e creativo, tutto sommato!» disse.
Registrò l’attività corrispondente allo stimolo inferto.
«Questa la associo a un tuo bel “Vacci piano!”. Che ne dici, ragazzo? Altrimenti posso offrirti un vastissimo stock di parolacce, se preferisci essere più diretto.»
Il gatto era talmente infastidito che ricordò per analogia la sensazione provata ingerendo forzatamente delle verdure.
«Che schifo!» commentò.
Ci sta, ci sta, ragazzo, il tuo disappunto! E forse, come hai ben detto prima, neppure ti serve tutto questo. Ma vuoi mettere i bei soldoni che ci porteremo a casa quando ‘sta roba sarà disponibile per tutti?
«... Milioni di gatti, in tutte le case, che parlano ai loro padroni con stupide voci da cartone animato.
» aggiunse. «Non lo trovi fantastico?!!»
Era una prospettiva che Oliver non poteva certo concepire. La sua intelligenza aveva uno scopo e una misura funzionali alla sue esistenza. Aveva un equilibrio, insomma.
E, sebbene non fosse disgraziatamente in grado di distinguere il suo padrone come appartenente a una specie diversa dalla sua -per lui era soltanto un gatto più grande e abile a procacciare il cibo- lo trovava comunque assai strano.
Miagolò con un sentimento che ancora non era stato mappato, quello che anche con una semplice coscienza felina si attiva quando certi eventi sono troppo assurdi o insulsi per essere analizzati, poi con una lentezza quasi teatrale si accoccolò e finse di addormentarsi.
Poteva anche fingersi morto, volendo o per non subire ulteriori aggressioni alla sua intelligenza, ma non se la sentì di esagerare. C’era, dopotutto, la prospettiva di qualche altra bustina di mousse in arrivo.








Racconto di Fabio Cavagliano (2024)

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