Esistono i fantasmi?


Stavo da poco nel gruppetto di questi ragazzi.
 Avevano deciso di accogliermi per via della mia passione riguardo a certi argomenti misteriosi, ma soprattutto perché fra di essi c’era un amica che voleva demolire una volta per tutte il mio scetticismo. L'avevo conosciuta su Facebook, iscrivendomi al suo gruppo sui fantasmi e le ricerche di confine.
Come accennato, il mio interesse riguardava certo tutte queste cose, ma esaminate più che altro dal punto di vista psicologico e antropologico.
Così ho seguito per un certo tempo alcune di queste sue discussioni in Rete, prima d’incappare nella vicenda che sto per narrare, vagliando le “prove” e gli esperimenti condotti.  In questo gruppo, in particolare, alcuni membri si trovavano dalle mie parti; così ho deciso di contattarli per assistere ad almeno una delle loro ispezioni in casolari abbandonati o altri luoghi per così dire “infestati”.
Dopo qualche tempo trascorso a messaggiare e manifestare con insistenza la mia curiosità, ma soprattutto incalzati da lei, hanno deciso di farmi partecipare a una sessione con i loro strumenti. Il luogo sarebbe stato un cascinale dimesso, qualcosa di abbastanza pericolante, senza acqua ed elettricità e abitato abusivamente da uno zingaro.
Sostenevano che il tizio era in grado di far comparire i morti in uno specchio, oppure in una stanza buia.
Addirittura, mi spiegò Mirella, amica pure del capo del team, in questa occasione neppure sarebbe servito portarsi appresso tutta la strumentazione o quegli aggeggini strani e pieni di lucine che è possibile acquistare anche online; come il misuratore di campo elettromagnetico o il registratore digitale di EVP.
Risposi che ci avrei pensato; il tutto mi sembrava troppo lontano dal tono serio e corretto con cui postavano le loro ricerche sui social, dove spesso si chiariva di ottenere permessi dai comuni e autorità locali, oppure svolgere queste in assoluta sicurezza.
Così ho preso tempo per rifletterci ma nel modo più folle a cui si possa pensare, cioè andando preventivamente sul posto. Volevo almeno vedere da lontano il cascinale e farmi un’idea.
Arrivato lì, intorno alle diciotto e dopo un quarto d’ora di macchina, mi son trovato davanti a un’ampia zona verde e boschiva con due case piuttosto vecchie e dal mattonato esposto e gremito di erbacce. E, ovviamente, la cascina dello zingaro.
C’erano soltanto quelle tre costruzioni e la strada, costeggiata da un campo incolto e qualche sacco di rifiuti.
Una signora sulla ottantina si è affacciata dal secondo piano di una delle due case e, come mi ha visto parcheggiare e come avviene anche nei peggiori film horror, mi ha intimato di rimettere subito in moto la macchina e andarmene.
Sono rimasto sorpreso perché neppure avrebbe dovuto conoscere il motivo della mia visita; invece, senza che io aprissi bocca o facessi domande, ha detto proprio «Lascia stare lo zingaro!»
 Una telepate, ho pensato.
«Vedo», disse poi, come a voler dissipare il mio stupore, «che stai guardano nella direzione sbagliata… Per questo ti dico, caro, torna subito a casa! Gira alla larga da qui!»
Prima che potessi aggiungere qualche considerazione al suo gentile invito, disse anche che avevano già informato la polizia e che presto avrebbero allontanato quel tizio e la sua macabra attività.
Ora, forse lo troverete altrettanto strano e inappropriato, ma mi venne subito da chiederle una cosa: « È vero che fa comparire i morti?»
«Sì, è vero.» rispose una voce alle mie spalle.
Era lo zingaro.
Come la donna lo vide sbucare da un angolo della casa adiacente, velocissima, sparì dentro la sua abitazione serrando con altrettanta fretta le persiane.
 
«Tu dai a me trenta euro e io ti faccio parlare o vedere… Pure adesso, se vieni. » mi disse quello, indicando il cascinale. «Non ci sono trucchi.»
Era un giovane magro e con il viso olivastro, gli occhi verdissimi; il suo sembrava una versione maschile del volto della famosa bambina afgana apparsa sul National Geographic.
Feci appena in tempo ad accennare una risposta.
«Non puoi riprendere, però. Ti devo far spegnere smartphone.»
Rimasi ancora perplesso e in silenzio.
«… Se vuoi faccio anche venti euro, visto che non scappi e hai coraggio e intelligenza di non ascoltare certe stupidaggini.» indicò la finestra chiusa, quella da cui si era affacciata l’anziana.
«Importante, però» aggiunse «sapere che io non conosco quelli che appaiono e neppure loro intenzioni. Posso solo chiamare uno alla volta, poi.»
 
Salita con molta titubanza una scala che portava al secondo piano del casolare, mi portò dentro una stanza ampia e vuota, a parte qualche frammento di legno e di cartone bruciacchiati, calcinacci e altri piccoli rifiuti sparsi qua e là in terra.
Le  finestre erano state completamente murate. Per cui rimanemmo per un attimo vicino alla porta, unico spazio da cui poteva ancora entrare la luce.
«Io chiudo, poi ci mettiamo là» indicò una serie di cerchi concentrici disegnati con della vernice rossa sul pavimento.
«Non devi mai allontanarti da me.» spiegò. «Devi stare fermo. Anche se hai paura o viene voglia di scappare.»
Mi guardò con preoccupante serietà e convinzione.
«Pensaci bene, ora, amico. Io ti restituisco pure i soldi e puoi andare, se vuoi, se non sei capace di fare quello che dico.»
«Perché?! … Possono farci del male?» chiesi.
«Tu non devi parlare. Niente. Neanche un soffio. Anche se lui fa domande.» disse. «Puoi solo vedere e ascoltare. Se fai questo che dico non succede niente. Non preoccuparti! Lui dopo un po’ perde forza e scompare.»
«Okay!» Mi limitai a rispondere. Avevo timore soltanto di qualche tiro mancino, ma nessuna, proprio nessuna convinzione che fosse davvero possibile vedere spettri o altre cose del genere.
Cercai pure qualche indizio, nel poco spazio avvolto dalla penombra, di possibili botole o punti da cui avrebbero potuto intervenire complici o proiettori con effetti di luce utili alla truffa.
Chiuse la porta, comunque, e ci portammo veloci al centro della stanza, dove erano  disegnati i grandi cerchi.
Li illuminò con il suo telefono appena il tempo di raggiungerlo ed entrarci entrambi. Pensai, allora, che non corrispondeva a quanto sapevo sui simboli di protezione da eventuali entità malefiche. Non era un simbolo magico o roba del genere, infatti, ma semplici tracce circolari.
La stanza, comunque, una volta spento lo schermo dello smartphone e posizionato un pannello davanti ad alcune assi che ancora facevano filtrare della luce, si fece davvero buia. Completamente buia.
Lo zingaro teneva la sua spalla ben attaccata alla mia.
«Vicino a me!» ordinò. «E taci, adesso! È davvero importante che taci.»
Lo sentivo respirare, quasi con un ritmo ansioso e affannato.
Vidi, dopo un paio di minuti, credo, una fioca luminescenza arancione apparire  davanti a noi.
Sembrava del fumo colorato.
Si alzò a circa un metro e mezzo da terra e poi si addensò in una specie di palla che prese piano piano la forma di una testa umana. Una cosa da gelare il sangue nelle vene.
Semplicemente, ero cosi concentrato e stupefatto che neppure riuscivo a muovere un muscolo.
C’era questa faccia orribile e rugosa sospesa nel buio, avvolta da una luminosità rossastra.


Gli occhi erano due vortici di particelle, come microuniversi o galassie pronte a esplodere.
Mentre la osservavamo i suoi lineamenti vennero presto e ulteriormente corrotti da un’infinità di lacerazioni ed escrescenze, cagnotti, grumi di sangue e altri semiliquidi in ebollizione.
«Un altro curioso.» disse l'essere.
Aveva una voce bassa, inumana, ancora più terrificante e insopportabile dell’aspetto.
«Adesso lo sai» continuò. «che il reale non è solo ciò che può essere compreso e descritto dalla ragione. Che, anzi, a volte la fantasia è migliore nell’intuire ed esprimere verità più profonde.» rise.
«Vuoi conoscere anche parte del luogo in cui mi trovo e che ti attende?» disse poi.
Lo zingaro mi spinse appena appena per ricordare di mantenere il silenzio.
L’essere, dopo un po’, infastidito dal nostro congelato riserbo, tirò fuori una lunga lingua viola e biforcuta e la agitò per qualche istante nell’aria producendo un sibilo; poi, dopo averla ritratta, spostò a destra e sinistra la mandibola e sputò in terra un grosso insetto nero e parzialmente infuocato.
Lo vidi avvicinarsi lentamente al cerchio più esterno. Sembrava un incrocio mostruoso fra un ragno, un topo e una robusta cavalletta.
Pensai con orrore che avrebbe potuto tranquillamente saltare oltre tutte quelle linee senza neppure  toccarle.
O meglio, era come se l’entità me lo volesse far credere con una sorta di minacciosa induzione telepatica.
Lo zingaro mi diede un’altra piccola spallata.
Capii bene che neppure lui poteva permettersi di fiatare.
Dovevamo solo stare zitti e attendere.
La faccia mi guardava con un sorriso e un odio quasi palpabile.
Sentivo la sua carica di negatività fremermi attorno, scoppiettante, bramosa di espormi a gradi di sofferenza e orrore inimmaginabili.
Mentre la guardavo, tenendo d’occhio anche l’insetto, la tensione divenne sempre più insostenibile e cominciarono a tremarmi le gambe.
Quella creatura orribile, piena di zampe e spine, si muoveva lentamente e in modo davvero raccapricciante. A un certo punto si fermò e tese le lunghe e più sviluppate zampe posteriori. Sembrava prepararsi a uno scatto o qualche altro tipo di azione letale verso di noi.
«Tu lo sai chi sono io, eh?!...» disse nel frattempo l’entità.
Si passo veloce la lingua sul mento e il resto del volto, ripulendolo e riconfigurandolo in una brutta copia del mio.
«Sono il destino di chi ha voluto scrutare l’abisso.» ghignò.
Membrane sub palpebrali si spostarono per riportare l’aspetto dei suoi occhi a quelli di luminosi vortici di energia.
«Intenzioni e azioni si pagano.» continuò. Il suo volto, intanto, aveva ripreso a squarciarsi e deformarsi come prima.
«Hai accettato di esplorare l’ignoto e con esso tutte le sue regioni…» fece una lunga pausa.
«E… la vuoi sapere una cosa?!... : Questo non si deve proprio fare. E neppure desiderare. Perché ci sono luoghi e stati che possono cambiare il loro osservatore.»
Rise ancora, sonoramente e godendo di una qualche speciale vittoria che soltanto lui poteva comprendere.
 «C’è una fisica delle particelle al contrario, qui.» spiegò. «Nel luogo da cui provengo. Presto la scienza permetterà a tutti di ossevarla…»
Vidi un raggio di luce sottilissimo, come un filo di ragnatela, collegare i nostri sguardi.
«Antifotoni che dal mio manifestarsi alla tua vista e alla tua coscienza annichiliscono qualcosa dentro di te… Qualcosa d’importante.»


La faccia stava affievolendosi e tornando via via più inconsistente e fumosa.
Nel frattempo, però, notai che la sua attenzione era ora rivolta verso il basso. E prima di scomparire del tutto, infatti, disse ridendo:
«… Lo avevi pure pensato, sentito! In qualche modo lo sapevi che per proteggerti sarebbe stato più opportuno un pentacolo!» 
 

Non mi resta che attendere, quindi, visti tutti questi miei taciti e incauti consensi alla dannazione.
Sono già passati tre giorni, comunque, in cui non è avvenuto assolutamente nulla.
Ma continuo a pensarci, ovviamente. Pensarci e attendere.
Attendere se davvero avvengono dentro di me dei cambiamenti, quella trasformazione o desiderio di allontanarmi dai miei principi pronosticata dal demone.
Attendere e osservare se la mia visione cambia. Se la realtà assume connotati nuovi o intollerabili, come in quei vecchi racconti di Lovecraft.
Lo zingaro mi ha assicurato che i morti che finiscono in quel limbo di tormenti mentono sempre, che non bisogna mai fidarsi o credere a quello che dicono o fingono di rivelare.
Forse lo spirito ha approfittato delle mie convinzioni e del mio razionalismo per costruire una minaccia che sembrasse “scientifica” o quantomeno verosimile dal mio punto di vista.
Ma poteva pure, per quanto ne so, trattarsi semplicemente di una mia proiezione inconscia o suggerita da un qualche tipo di condizionamento ipnotico.
L’atmosfera orchestrata dallo zingaro e dalle sue parole, l’ambiente, in effetti, erano molto suggestivi e inquietanti.
Perché, sì, lo confesso, ancora non sono del tutto convinto di averla vissuta davvero questa cosa. 
Ancora non posso crederci. 


Vi terrò comunque aggiornati nei prossimi post. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Racconto di Fabio Cavagliano

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