venerdì 29 novembre 2013

Parusia



- Sedetevi, ragazzi!...- disse Lorrydeath; per lui era normale chiamare tutti “ragazzi”, essendo alto più di due metri e sopra il quintale.
Gli altri tre si sedettero.
Poi prese a lisciarsi rudemente i folti capelli neri, lunghi, spessi e appiccicaticci.
-Cosa l’hai portata a fare la chitarra, Picchio?... Non dobbiamo suonare.- proseguì.
-Pensavo che...-
-Non pensare! Ho un discorso che richiede spazio...- Intrecciò le dita e appoggiò pesante i gomiti sul tavolo.
Gli altri annuirono in segno di rispetto, come facevano spesso quando lui stava per iniziare uno dei suoi discorsi, e la sua voce era miele, cibo per la mente, lo scroscio di un temporale, la lava di un vulcano.
-Dobbiamo sospendere i preparativi per il concerto.- ordinò.
Fu un gran brutto scroscio; Picchio, Vernel e Carognafacile si guardarono l’un l’altro.
-Perché?- chiesero quasi all’unisono. Era una notizia molto spiacevole, oltre ogni riguardoso e silenzioso assenso; avevano lavorato sodo per questo.
Lorrydeath separò le mani, enormi, simili alle fauci di un pescecane nell’atto di spalancarsi.
-Conoscete il significato del termine parusia?-
-No, non credo.- rispose subito Vernel. Forse l’orco sta per attaccare con un altro dei suoi sermoni, pensò.
-E voi?- chiese Lorrydeath agli altri due.
Ci pensarono.
-No. Non lo sappiamo.- rispose Carognafacile.
-Va bene, ve lo spiego io...- proseguì Lorrydeath. -...Significa che Cristo sta per tornare sulla terra...-
Vernel fu quasi felice di aver previsto il sermone; era una cosa che lo faceva sentire superiore.
-Vuoi dire che stiamo rinunciando a suonare in America per una cosa del genere?- chiese Picchio. Sapeva che in quel tipo di preamboli non c’erano mai intenti umoristici.
Lorrydeath si alzò fissandolo con aria truce, l’enorme petto gonfio di rabbia; lava pronta ad esplodere.
-Lui vuol dire che ci dispiace a go go, lorry.- intervenne Vernel. 
Fu veloce e soave come una pallina di bambagia lanciata sul cuore.
-A go go?!!...- chiese Lorrydeath, abbozzando un abbozzo di sorriso. -...Ma come cazzo parli ragazzo? Non ho mai sentito un’espressione più idiota.-
E tornò a sedersi, sempre mostrando l’inquietante lentezza che a volte hanno le fiere prima di aggredire.
Picchio allora decise di fare un bel po’ di spazio nella sua mente e di stipare alla bell’ e meglio tutte le informazioni che sarebbero arrivate; senza chiedere altro.
Da tempo, infatti, Lorrydeath non pensava di accogliere con la violenza un' obiezione; indizio che forse, questa volta, aveva davvero qualcosa d’importante da dire.
-Siamo tutt’orecchi, Lorry!- Vernel lanciò un’altra delle sue delicate palline ammorbidenti e il racconto cominciò, più o meno in questo modo: 
 una coppia di amanti, locati nel palazzo di fronte al loro, aveva da pochi giorni deciso di avere un figlio e si stava dando un gran daffare per ottenere questo risultato. Lui gli aveva visti più volte in sogno (e in alcuni casi anche dalla finestra), intenti a copulare, con una voce baritonale di sottofondo che continuava a ripetergli che loro sarebbero stati i nuovi genitori del messia. Ci tenne pure a sottolineare che anche quando li spiava da sveglio sentiva la voce nella testa. Era un fatto importante, dopotutto, utile a distinguere la sua esperienza della mera pazzia.
Oltre a questo c’erano tanti altri piccoli particolari, ma il concetto di base era il seguente: si doveva trattare di una specie di profezia.
Carognafacile e Vernel lo ascoltarono perplessi; accomunati da una sana incomprensione, ma facendo il possibile per dissimulare il loro dubbi.
Lorrydeath infatti era furbo, a tratti dannatamente intelligente, ma incapace di accogliere critiche o scetticismo.
 Carognafacile fu il primo a cercare di togliere un po’ di nebbia.
- Scusa Boss...Il Cristo, Gesù, non è mica venuto su spontaneamente?- chiese, grattandosi una tempia.
Lorrydeath fece una smorfia, inebetito dall’incongruenza della domanda. Gli vennero in mente i funghi e alcuni fili d’erba che ogni tanto sbucavano misteriosamente dall’asfalto.
-Cioè... voglio dire:...- andò avanti Carognafacile, -...Sua madre, la Madonna, non era mica vergine?-
-E questo cosa cazzo importa?- chiese Lorrydeath.
-Bèh!... Che probabilmente siamo davanti a uno scherzo del demonio.- proseguì Carognafacile. -...Il figlio del Signore non può certo rinascere attraverso un banale rapporto sessuale.-
-Ma noi cantiamo per il demonio! Tutti i nostri lavori sono un tributo al Male; che ragione avrebbe di mentirci?-
-Bèh!... Forse non stiamo più facendo le canzoni che vuole Lui, o ci siamo addolciti troppo con le cover di alcuni gruppi, e vuole farcela pagare...-
-Finiscila!- gridò Lorrydeath, dando uno spintone al tavolo in modo da poterci appoggiare sopra i piedi.
-Avete una sigaretta?- chiese subito dopo.
Vernel gli lanciò tutto il pacchetto e l’accendino.
-Statemi bene a sentire...- inspirò la prima boccata di fumo -...il problema è serio e va risolto con la massima rapidità. Capisco che possa sembrare assurdo, quasi cretino, ma siamo minacciati da un evento che nel futuro potrà distruggerci, cacciarci negli abissi più mostruosi dell’inferno...- chiuse gli occhi, cercando di riacchiappare alcune idee, -...Abbiamo fatto dei gran casini: incitando i nostri fan alla violenza e all’anarchia, compiendo ogni genere di stronzata blasfema; profanando tombe, sgozzando polli e gattini; incendiando automobili e via dicendo... Capite cosa voglio dire?-
Vernel si fece avanti di nuovo. -Sì, lo capiamo Lorry, ma c’è anche da dire che spesso abbiamo fatto tutte queste cose sotto l’effetto di qualche sostanza, senza essere veramente padroni di noi stessi.-
-Ci sarebbe molto da discutere su questo...- intervenne Carognafacile.
-...Tuttavia, io credo che in ogni caso il problema non ci riguardi, boss. Non le nostre vite, perlomeno...- proseguì. -...Quando questo cristo avrà trent’anni, infatti, e presumibilmente si compirà il giudizio universale, noi ne dovremmo averne all’incirca sessanta, e siccome abbiamo deciso di suicidarci assieme molto prima d’invecchiare...-
-Verranno punite le nostre anime, coglione!...- commentò Vernel. -...E’ questo che vuole dire Lorry. Non ha importanza se saremo già morti da un pezzo, oppure no. E poi chi ti dice che il Cristo non decida di compierlo a dodici o vent’anni il grande massacro dei cattivi?!... -
Picchio ascoltava in silenzio. Nervoso e stufo di quelle fantasie da sciroccati.
-Quindi cosa dovremmo fare, boss?- chiese Carognafacile.
-Andate da quei due infoiati e uccideteli.-
Ci fu un attimo di sgomento.
-Non possiamo ammazzare delle persone, boss... E’ un po’ troppo, questo.-
-Troppo?!!...- Urlò Lorrydeath, -...L’anno scorso abbiamo investito un tizio mentre tornavamo dal Blood & Ice tour, ve lo ricordate? Quel ragazzo in bicicletta... Maciullato dalle ruote del nostro furgone.- Guardò dritto negli occhi i suoi uomini. In particolare Picchio, che quel giorno stava alla guida. -...Nessuno ci ha visti e nessuno di voi ha denunciato l’omicidio; siete riusciti a vivere benissimo lo stesso, senza rimorsi. E non ditemi che questo, sommato a tutte le altre nostre cazzate, non è un comportamento da criminali!-
Poi rivolse il suo abbozzo di abbozzo di sorriso a Carognafacile.
-...E quell’altro tizio, quello a cui hai tirato il calcio alla tempia durante la rissa al concerto dei Raventrip, ricordi come sei stato veloce ha farlo sparire dietro a quel cespuglio? Era messo proprio una merda, un tragico schifo... Son convinto che sia ancora lì a brulicare di vermi e insetti.- disse Lorrydeath.
Carognafacile scosse il capo, infastidito dal ricordo di quella notte.
-No, ma che dici?! L’ho sentito pure lamentarsi.- rispose.
-Certo, certo. Magari le sue ultime, sconnesse parole, fluite da un rigagnolo di bava e sangue prima di andarsene al Creatore.- proseguì Lorrydeath.


Ilenio Salsa produceva stupefacenti; per quanto fosse preparato e intelligente, questa era la sua principale fonte di guadagno, e non onorava certo la sua laurea in chimica.
Ci pensò, versando il contenuto della provetta sopra un paio di zollette, e aspettando che lo zucchero assorbendolo diventasse rosa pallido.
Era il quinto tentativo della giornata.
Okay, sono un servo del diavolo!... , si disse.
...E magari un giorno riuscirò pure a creare una droga che permette di vederlo e ascoltare i suoi consigli.
Bucciola, la cavia all’interno della gabbietta, squittiva impaziente, come se volesse sollecitarlo a somministrargli la droga; probabilmente aveva cominciato davvero ad apprezzarne alcuni effetti. La guardò divertito e si mise a scaldare le zollette sul bollitore, pensando che alla fine nessuno degli altri quattro passaggi si era dimostrato veramente inutile o dannoso alla salute; quella del topo, perlomeno. Anche se i risultati non erano per niente vicino al suo obiettivo.
-Sento che questo è un altro passo avanti!...- disse alla bestiola, intenta a rosicchiare scorze di limone.
Partendo dall’MDMA, meglio noto come Ecstasy, una droga fortemente empatica, capace di stimolare sensibilmente anche la sfera sessuale, aveva sviluppato qualcosa di nuovo; frutto di diverse variazioni alla formula e capace di esaltarne alcuni aspetti euforizzanti.
... Ma nulla di vicino al mio scopo! Pensò, avvilito dalla reazione del liquido.
Bucciola intanto continuava a squittire. Voleva altre bucce.
Tentò di zittirla, dando uno scossone alla gabbia.
-Qualcosa non va; ne sono una prova i cristalli di zucchero...- proseguì fra sé e sé.
Come al solito, quando stava per innervosirsi, parlava da solo.
I cristalli, in effetti, non si sciolsero alla maniera desiderata.
Prese il telefono e cercò di sfogare la sua rabbia sull’assistente di laboratorio, quel giorno assente, ma non riuscì a rintracciarlo; né a casa, né chiamando al numero privato del suo cellulare. Allora sbattè la cornetta e si spolverò le maniche del camice con due energiche bracciate. -...Oggi non viene quel ... quel...- brontolò a bassa voce una sequela d’insulti.
Bucciola si rannicchiò preoccupato in un angolo della sua prigione; sembrava in qualche modo aver capito che quel giorno sarebbe stato molto più lungo e difficoltoso.
-...La causa..., vuoi sapere di che si tratta, amico? Herpes al pollice! E’ convinto che gli sia venuto maneggiando qualche sostanza, qui.-
Il topo temeva di squittire in segno di risposta; gli scossoni alla gabbia lo avevano reso un po’ diffidente.
-Non si possono formare sulle dita quel genere d’infezioni e, in ogni caso, non mi sembra un buon motivo per lasciarmi da solo!- proseguì.
Bucciola sembrava assente, immobile e attratto da una sensazione lontana.
-Ne convieni amico?-
Aspirò nella siringa il composto creato dall’ undicesima variazione dell’MDMA. -D’accordo, la cosa non ti riguarda.- disse Ilenio, con un benevolo tono accondiscendente, e Bucciola questa volta squittì; forse perché il suo sesto senso animale gli consentiva di percepire la benevolenza.
 -Ora è il mio turno. Non preoccuparti.- disse.
Aveva scoperto il braccio sinistro, pronto a iniettarsi qualche milligrammo del suo nuovo composto.


Stavano incominciando a riflettere sul castigo divino e riguardo a tutte le porcherie che in breve sarebbero tornate a galla da quel confronto.
Il loro leader era bravo a ricordare certe cose, in modo da costringerli a fare di peggio.
-Dove stanno?- chiese Vernel.
-Proprio là.- Lorrydeath scostò le tendine del suo umbratile soggiorno. -Al quarto piano.-
-Le tapparelle sono chiuse.- disse Carognafacile. -Forse non sono in casa.-
-O forse stanno scopando!... Andate a vedere, ragazzi.- ordinò Lorrydeath, tirando fuori un coltello dallo stivale destro, e una pistola dal taschino interno della giacca. -Queste sono per voi.-
-Tienile pure. Facciamo un lavoretto pulito.- disse Vernel, mimando lo strangolamento.
Lorrydeath gettò le armi sul tavolo. -Prendetele lo stesso. Poi, a “lavoretto” ultimato, alzate un po’ la tapparella e mi fate vedere i cadaveri.-
-Okay.- rispose Carognafacile, e se ne andarono.
Naturalmente non avevano intenzione di uccidere, ma neppure di deludere il loro capo.


“Michele lo stronzo” si sfilò la medicazione dal pollice per controllare l’erpes. Non sembrava preoccupato di essere alla mercé di quello strano gruppo di pazzi, potenzialmente assassini; la sua attenzione era più che altro rivolta all’interdetto mutismo della sua amante, Cecilia. La prese per mano e gli fece l’occhiolino, tentando di tranquillizarla.
-Perché li avete portati qui?- chiese Lorrydeath, guardando con disprezzo i loro abiti borghesi. -Vi avevo detto di ucciderli.-
Vernel indicò l’uomo. -Sono proprio quelli del tuo sogno, Lorry?!...Il tipo sostiene che sbagli.-
-Vero. Infatti lui è calvo, mentre l’uomo che vi ho descritto ha i capelli. La donna invece corrisponde.-
-Quindi che facciamo?- chiese Vernel.
-A lei potete ucciderla.-
L’uomo prese la parola, svelto.
-Siete gente che non scherza... Lo abbiamo capito. Prima di commettere un errore, però, concedetemi almeno un paio di minuti...-
-Okay.- disse Lorrydeth scoprendo il polso e azionando il cronometro.
-...I suoi uomini mi hanno spiegato a grandi linee la faccenda del Cristo redivivo, e credo sia utile sottolineare che risulta in completo disaccordo con la nostra relazione amorosa. In primo luogo perché siamo atei, altrimenti non faremmo certe cose assieme, e in secondo luogo perché prendiamo entrambi delle precauzioni anticoncezionali.- disse “Michele lo stronzo”, facendo segno alla donna di assentire.
Lorrydeath la interrogò con lo sguardo; Cecila tuttavia era troppo stranita per rispondere.
-Quindi ve la spassate?!! Bene, bene...- commentò. -...Sono affaracci vostri. Mi dica piuttosto dov’è suo marito in questo momento, s i g n o r a.-
-A la...lavorare, nel suo laboratorio di chimica.- balbettò Cecilia.
-Andate a prenderlo.- disse Lorrydeath, rivolgendosi a Vernel. -Lo voglio qui fra meno di un’ ora!-
Vernel gli appoggiò una mano sulla spalla, quasi accarezzandola.
-E’ ancora necessario, Lorry?...- chiese. -...Hai sentito cosa ha detto il tipo?!”
-Sì, ma non mi fido.Voglio vederci chiaro.-
-Quando sarà qui, dovrete per forza raccontargli della nostra relazione?- chiese “Michele lo stronzo”, stringendo a sé Cecilia.. -...Sapete, lui è anche il mio datore di lavoro...-
-Questo tizio non mi piace, ragazzi.- disse Lorrydeath, additandolo.
-E’ troppo calmo; sembra che voglia prendermi per il culo ogni volta che apre bocca.-
-Sì, anche a me da questa sensazione.- disse Picchio, non per ristabilire un dialogo, ma per trovare qualcuno su cui sfogare la propria rabbia.
L’uomo lo guardò con un mezzo ghigno di sfida.
-Come cazzo ti chiami, stronzo?- chiese Lorrydeath.
-Michele o “Michele lo stronzo”, se preferisce.-
-Preferisco. Dove lo troviamo il cornuto?-
-Glielo dirò, naturalmente, ma c’è una domanda che vorrei farle, ammesso che “il cornuto” e questa donna siano veramente i nuovi genitori del messia: perché dovete ucciderli? Anche se impedirete loro di procreare, sarà Dio stesso a punire le vostre anime.-
Picchio fece un cenno di approvazione.
-Infatti, è un’idea parecchio assurda, che ci costa una magnifica tournee negli Stati Uniti.- commentò.
Nessuno riuscì a trattenerlo; Lorrydeath gli saltò addosso, frantumandogli il setto nasale con una testata. Poi un pugno in piena faccia, e un altro sulla mandibola, tanto forte da farla uscire dalla sua sede e fratturarla.
-Lo avevo avvertito di non rompere il cazzo!- gridò.
Michele lo stronzo coprì con un abbracciò la visuale a Cecilia.
 Il povero Picchio si dimenava a terra, inzuppato di sangue. Anche il suo occhio destro sembrava aver subito qualche trauma; sporgeva e non si muoveva più come prima. Poi, nel giro di pochi secondi, tutto smise di muoversi.
- E’ proprio gente che non scherza...- le disse a bassa voce Michele.
Cecilia osservò gli altri due mentre rialzavano l’uomo da terra; senza parole, terrorizzata.
-Portatelo da un medico, o dove cazzo vi pare...- disse Lorrydeath.
-...Poi andate a cercare il mio uomo. A pulire ci pensiamo dopo.-
Si rivolse a Michele lo stronzo: -E tu li accompagni.-


Era passata una mezz’ora; il tempo necessario a quel tipo di sostanze per sortire i loro effetti. Ilenio infatti cominciò ad avvertirli e prese il registratore. Riascoltandolo a mente lucida, in seguito avrebbe studiato e comparato i principali sintomi con altri composti su cui stava lavorando.
-Euforia... Provo un’ incontenibile voglia di brindare con qualcuno a questo risultato. Non è ragionevole; non prova di aver raggiunto il mio obiettivo, ma sono ottimista. Credo che tutto stia andando per il verso giusto... E’ una sensazione molto forte.- disse. Poi fece una giravolta su sé stesso e si appoggiò al tavolo. Stava per perdere l’equilibrio.
-Wow! Spassoso anche questo senso di vertigine!...: Sembra di danzare con l’aria.- gridò.
Le gambe gli reggevano ancora.
Si avvicinò cauto alla gabbia di Bucciola; pronto a sostenersi, qualora il problema si fosse ripresentato.
-...Devo mantenere un atteggiamento critico nei confronti di questi sbalzi di umore, lo so; impedire che vengano sopraffatte le mie capacità di analisi... Non credi, amico?-
Bucciola squittì.
-Povera bestiola...- pensò. -E’ ingiusta la supremazia del genere umano.-
Si avvicinò alla gabbia e l’ aprì.
Il topo era fermo, spaventato. Lo sollevò e prese a carezzarlo.
-Vuoi farti un giro?-
-Una passeggiata nel laboratorio, intendo.- rise fra sé e sé.
-Oppure preferisci un bella scorza di limone, fresca?- continuò.
E a questo punto successe una cosa strana; gli sembrò di percepire la voce interiore del topo.
Libera Jack; lui vuole farselo un giro. Soffre molto dentro a quella gabbia.
-Jack?!!... Ma è rischioso, amico; è un tipo nervosetto, sai? Gli ho dato della roba pesante ieri, e non si è ancora ripreso; continua a ringhiare, schiaffeggiarsi il deretano come un matto...-
Vai a vederlo. Ora si è calmato.
Ilenio appoggiò il registratore sul tavolo e con il topo nell’altra mano andò nella stanza della scimmia.
Stava inconsapevolmente eseguendo degli ordini provenienti dalla sua personalità dissociata.
-E’ vero, per la miseria: è un angioletto! Ma come diavolo facevi a saperlo? Siete in contatto telepatico voi animali? Oppure è tutta la roba che vi sparate qua dentro a rendervi così straordinari?- Guardò con gioia e ammirazione il grosso babbuino davanti a sé.
Sono le tue iniezioni, Ilenio; ci fanno un gran bene. Sei in gamba. Ora libera il vecchio Jack.
-Okay! Okay! Tiriamo fuori anche lui.- disse.
Aveva voglia di coccolarlo assieme al topo, e magari di farsi anche una birra con loro; una partita a carte; quattro chiacchere immersi nella schiuma e nel calore di una grande vasca da bagno. 
-Pensi davvero che sarà felice di uscire?-
Di brutto, vedrai. Te ne sarà sempre grato, e non farà più storie quando dovrai fargli altre iniezioni.
-Prendo le chiavi, allora.- 
Bravo, prendi le chiavi.
Il babbuino non sembrava affatto contento, tuttavia, e vedendoli avvicinarsi cominciò a ringhiare, menando dei colpi violentissimi sulla rete di acciaio.
Lo vedi come esulta?
Ilenio osservò placido placido i movimenti del buon vecchio Jack. Gli sembrava un bambino sui nove o dieci anni, smanioso di abbracciare papà, parlargli dei buoni risultati ottenuti nella recita scolastica, e del suo primo bacio con la compagna di banco. Questo perché, in effetti, la scimmia aveva realmente le dimensioni di un bambino; benché le sue braccia fossero grandi come quelle di un culturista, e la sporgenza delle sue zanne inadeguata a qualsiasi tipo di tenero bacio.


Non riuscivano a rimettergli la mandibola a posto. Prima ci provò Carognafacile, poi Vernel.
-E tu che hai da guardare? Guida!- gridò Vernel, notando che Michele lo stava fissando dallo specchietto.
-Vuoi farci crepare in un incidente stradale?-
L’occhio di Picchio era diventato tutto rosso come un pomodorino, una bolla di sangue coagulato.
-Ma che cazzo di schifo!...- disse Carognafacile. -...Non capisco se tace per via del casino alla bocca, o perché sta morendo.-
-Speriamo che questo non accada. Mi dispiacerebbe; è un nostro amico, dopotutto.-
-E se accade?- replicò Carognafacile.
-Non lo so...-
-Cosa facciamo?-
-Non lo so. Non lo so, dannazione! Cosa vuoi che ti dica?!!... Lo sbattiamo dietro a un cespuglio, magari.- disse Vernel.
-Vaffanculo! Stai calmo. Tu e la tua sottile ironia di merda.-
-Io sono calmo- disse Vernel, togliendosi un pelucco dal maglione.
-No, tu non lo sei. E’ visibilissima la tua agitazione.- disse Carognafacile. Poi si rivolse all’autista.
-Lo vedi anche tu, stronzo, che lui non è affatto calmo, vero?-
-Non saprei.- rispose Michele.
-Hai paura di farlo incazzare con la tua opinione?- chiese ancora Carognafacile.
-No, perché lui è calmo...-
-Vuoi far incazzare me, allora?-
-Onestamente, non intendo far incazzare nessuno. Sono qui solo per eseguire degli ordini, contro la mia volontà ovviamente, e credo che lo farò fino a quando la faccenda non sarà conclusa.- rispose Michele.
-Il guaio è che non lo sappiamo se, e quando, si concluderà...- rise Carognafacile. -...Potrebbe anche terminare con un bel massacro. Dopotutto, il nostro capo è pazzo; molto, molto di più di quanto immagini.-
-Perché lo ascoltate, allora?-
Carognafacile lo guardò un attimo, senza rispondere. Quell’uomo ostentava una sicurezza e una calma che lo preoccupavano, almeno quanto avevano infastidito Lorrydeath.
-Abbiamo fatto tante cose abominevoli, assieme. Troppe, per poterci tirare indietro adesso. Sarebbe come farsi lo scrupolo di mangiare un uovo, dopo aver spolpato centinaia di galline. Capisci cosa voglio dire?! Io la chiamo “lealtà”, questa... Tu chiamala come ti pare, stronzo; basta che la finisci con le domande e ci risparmi ogni tipo di giudizio.- rispose.
Michele si girò verso di lui e annui col capo, mentre Vernel, dietro, era intento a sostenere contro il sedile il busto di Picchio.
-Non raccontargli dei fatti nostri, delle galline, e tutto il resto. Lorry non è per niente matto... E’ soltanto fissato con alcune questioni teologiche.- intervenne.
Carognafacile si scusò. -Sì, forse hai ragione, Vernel. Quando il boss si accorgerà di aver sbagliato, tutti torneremo a casa felici e contenti. E tu...- disse, rivolgendosi a Michele. -...guarda avanti! Ti ho già detto di stare attento alla strada.-
-Il vostro amico non ci torna più a casa; men che meno felice e contento. Provate a controllargli il polso. Il torace mi sembra immobile, e non vedo alcun segno di respirazione.- disse Michele, controllando ancora dallo specchietto.
-Ti pare che uno possa morire a causa di un solo pugno?!! Sarà in coma, forse. Ho sentito di tizi, in India, che riescono a stare seppelliti due o tre giorni senza respirare; di casi di morte apparente, come nel racconto di Edgar Allan Poe; o di quei rospi che possono stare rinchiusi nel fango secco...-
Vernel lo interruppe bruscamente.
-Ma cosa cazzo c’entrano adesso tutte queste puttanate? Il coma è una spiegazione plausibile. Fermati a quella.- ordinò.
-Va bene. Non c’è motivo di alterarsi.
-Non mi sto alterando...- rispose Vernel. -...Io non posso alterarmi; sono troppo equilibrato e gentile.-
Carognafacile insistette. -Di solito sei più gentile, però; diverso; per cui, se ti sento parlare in questo modo, sono legittimato a pensare che...-
-Il discorso sta diventando un serpente che si morde la coda. Lo capisci?! Anche “lo stronzo” è d’accordo; guardalo: sembra sul punto d’impazzire e andarsi a schiantare, per via di tutte le tue noiose stronzate.- continuò Vernel.
-Non è così, stronzo?- chiese conferma.
-Bhé..., forse. Trovo che la tua metafora del serpente sia in ogni caso migliore di quella della gallina.- rispose Michele.
Carognafacile gli fece quel gestaccio con l’anulare alzato.
-E della situazione del nostro socio, sei proprio sicuro? Ti sembra che sia già morto?- chiese ancora Vernel.
Michele si girò rapidamente e gli diede un’altra occhiata.
-Bèh!...non sono un medico, però credo che un pugno, dato da un uomo della corporatura e della potenza del vostro capo, possa uccidere. I pugni, infatti, anche se ben dati, solitamente non fratturano le mascelle, o fanno schizzare gli occhi fuori dalle orbite. Quindi, se questo è avvenuto, possiamo facilmente concludere che la situazione non si risolverà con qualche minuto d’incoscienza per il vostro amico.-
Vernel appoggiò delicatamente Picchio contro il finestrino, gli tirò fuori dalla camicia tre canne e le accese. Una la mise in bocca, veloce, e consegnò le altre due.
Michele la prese senza pensarci, ma poi, subito dopo, disse: -Io non fumo, men che meno in macchina, e men che meno che meno se altre due persone hanno intenzione di fumare con me in uno spazio così ristretto.-
-Men che meno una minchia!...- gridò Carognafacile. Fu di estrema e improvvisa cattiveria, la sua reazione; un atteggiamento da vero schizzato omicida. -...Se il mio amico ti offre della roba, tu la prendi e sballi con noi. Hai capito? Altrimenti il fumo te lo faccio uscire dal cervelletto.-
-Mi sta bene. D’accordo!- rispose Michele. Quel raptus gli aveva fatto chiaramente intendere che non era il caso di ostentare troppa sicurezza.                  
-...Preferisco fumare soltanto dalla bocca.- aggiunse. Avrebbe voluto dire soltanto “okay”, ma il bisogno di aggiungere qualcosa in più, di fare lo spiritoso, era superiore al suo buonsenso.
-Devi sempre infilarci una delle tue frasette da stronzo, vero? Ti senti furbo... Più furbo di noi, magari?-
Carognafacile gli calcò la canna della pistola nell’orecchio, abbastanza forte da spingergli un po’ la testa contro il finestrino, e procurare un leggero sbandamento alla vettura.
-No. no, assolutamente.- rispose Michele, guardando la strada davanti a sé e inspirando una bella boccata di fumo dalla sigaretta che Carognafacile gli aveva appena cacciato in bocca.
-Pensavo di lenire la tensione, ragazzi. Non di aumentarla.- intervenne Vernel. -Questa roba è buonissima, sapete? Ma dovete lasciargli il tempo di fare il suo lavoro... se volete trovare un po’ di pace!- disse.
-Lenire?- chiese Carognafacile.
-Sì, insomma, non rompere i coglioni e metti via quella pistola. E questo che volevo dire...- rispose Vernel -...Se vuoi che questo scemo resti sulla carreggiata.-
Dopo un quarto d’ora, raggiunsero la palazzina in cui si trovava il laboratorio di Ilenio Salsa, ed erano tutt’altro che avvolti da una sensazione di pace. Carognafacile, in particolare, aveva voglia di buttare giù la porta a calci e colpire chiunque si fosse presentato.
-Schiaccia, stronzo.- disse, sbattendo Michele contro il citofono, e lui
schiacciò; almeno sei o sette volte, ma nessuno rispose.


Slacciò a metà la maglietta e lanciò a terra i pesanti stivali.
-Ho caldo.- disse, mettendo in mostra l’enorme tatuaggio sul petto.
Rappresentava una nerboruta belva demoniaca, intenta a divorare un angelo. Il gesto era intenzionato null’altro che a esibirla.
Cecilia evitò deliberatamente di guardare.
Lui allora spinse un bicchiere di birra, abbastanza infastidito da quella indifferenza, facendolo traboccare un po’ sul tavolo.
 -Bevila, magari ti farà passare quella specie di mutismo....- disse. -...Sai, non sopporto le persone che mi temono, senza nemmeno esprimerlo con qualche piccola supplica.- rise. Avrebbe voluto pure strapparle i vestiti di dosso, e farsela sul momento, ma quella donna, secondo quanto gli aveva detto “la voce”, sarebbe stata la prossima madre del Cristo; per cui andava trattata con una certa cautela.
-E’ vero che tu e quell’altro coglione siete atei?- le chiese.
Cecilia bevve un sorso di birra.
-Sì. Io perlomeno sono sicura di esserlo.- rispose.
-Quindi ti sembrerà assurdo quello che stiamo facendo?!... Pensi che il diavolo non esista, e che non mi abbia parlato?-
-Grosso modo è così...- rispose la donna. -...Non credo alle cose soprannaturali; agli spiriti maligni; agli angeli; alla vita nell’aldilà.-
Lorrydeath si versò un altro bicchiere.
-Convincimi che sbaglio, allora.- disse. -M’interessa parlare di queste cose.-
La donna prese coraggio e tracannò quello che restava nella bottiglia, in un modo che stranamente aveva ben poco a che fare con l’aria intimorita di pochi istanti prima.
-Sono laureata in Filosofia....- disse, passandosi le mani fra i capelli e sistemando il colletto della camicia.
Sembrava che in lei fosse scattata una molla; qualcosa che gli premeva combattere.
-...Ho studiato la genesi di tutte le principali religioni monoteiste; sia dal punto di vista storico, che antropologico. Ricercando con impegno, e da fonti precise, tutti i miti e le arcaiche dottrine che hanno preceduto il cristianesimo, l’islamismo, il buddismo e l’induismo....-
-Hmmm...- fece Lorrydeath, soddisfatto dal potenziale di quella premessa. -Continua!-
-Per cui conosco il loro sviluppo alle fondamenta, assieme a tutte le strategie che nel corso dei secoli sono state adottate dai loro fautori e fedeli per difenderle dalla ragione.-
-Quindi?!...- chiese Lorrydeath.
-Quindi, se vogliamo limitare il raggio della discussione alle tue convinzioni cattoliche sul diavolo e l’inferno, posso dirti che si basano sul nulla. Cioè, riguardano il contenuto fantastico della Bibbia e dei vangeli; dove lo spirito di Dio è essenzialmente descritto come quello di un uomo, gigantesco e onnicomprensivo nel suo sapere, determinato a premiare e punire le azioni dei suoi figli...- poi fece una pausa per dare enfasi alla frase successiva. -... Un’immagine della divinità che, da sola, e considerata nella sua povertà intellettuale, basterebbe a distruggere tutti i principi della fede. Perché, infatti, secondo questa ingenua visione del trascendente, Dio dovrebbe baloccarsi con i vizi e le virtù dei suoi uomini, quando Egli stesso rappresenta il grado più elevato dell’esistenza?-  
-Forse l’autocontemplazione lo annoia!- disse Lorrydeath, e rise; questa volta di gusto.
Un attento e preparato ascoltatore... pensò Cecilia, studiandolo con attenzione. Era rimasta sorpresa da quella sagacia, perché non si aspettava che lui avesse davvero qualche chance di comprendere il discorso.
Si era lasciata ingannare dalle apparenze. 
-Lo annoiava tanto da crearsi addirittura un avversario come il tuo idolo?...- disse, in risposta alla sua battuta -...Il diavolo!-
-Quello esiste, ragazza; non fare la spiritosa. Ho visto un tipo mozzarsi l’uccello e sbavare ogni sorta di bestemmia, qualche tempo fa. Uno che ascoltava la nostra musica. Ne hanno parlato pure i giornali e dei preti esorcisti che si sono occupati di lui.-
-Anche questo mi sembra assurdo.- rispose la donna. -Perché mai, il diavolo: un essere la cui conoscenza dovrebbe superare di parecchie lunghezze quella umana, dovrebbe limitare la sua influenza sui posseduti a uno stupido sbraitare? Potrebbe invece creare delle malattie gravissime, avvelenare gli acquedotti, piazzare ordigni nucleari e fare tante altre di quelle astute cattiverie da danneggiare il mondo intero in due giorni, se davvero fosse in grado di entrare in un corpo.-
-Probabilmente lo sta già facendo, da qualche parte.- rispose Lorrydeath.
-Assurdità.- concluse Cecilia. -E niente mi potrà mai convincere del contrario.-
-Spero che abbia ragione tu, bella. Almeno se ti ammazzo, più o meno inutilmente, non andrò all’inferno.-


-Perché non risponde?- chiese Vernel.
Michele allargò le braccia. -E’ uscito, probabilmente.- 
Carognafacile premette un altro bottone a caso.
-Cazzate! Non mi fido. Inventati qualcosa per chi risponderà adesso. Tanto lavori qui. Puoi dire che hai dimenticato le chiavi.-
-Sìììì?- strillò il citofono.
-Sono l’assistente del dottor Salsa, signora. Mi scusi, ho dimenticato le chiavi, potrebbe aprirmi?-
-Il dottore dovrebbe essere nel suo studio; l’ho visto entrare stamane. Ha provato a chiamarlo?-
-Sì, ho provato signora, ma non risponde.-
-Come mai? E’ strano che non risponda.-
-Abbastanza, signora. Però lui è un po’ sordo; forse ha tolto l’apparecchio acustico.- rispose Michele.
-Non l’ho mai visto portare l’apparecchio acustico, al dottore...-
Carognafacile tirò un pugno al portone, bestemmiando.-
-Io questa la faccio a pezzi, quando salgo.- disse a bassa voce.
Aveva dato un colpo talmente forte che gli sanguinavano le nocche.
-Sì. In effetti lo porta da poco tempo, signora. Ha avuto un piccolo incidente, qualche giorno fa, che gli ha danneggiato lievemente l’apparato auditivo...- proseguì Michele.
-D’accordo, le apro.-
-Grazie signora.-
Gli altri due entrarono velocemente, guardandosi attorno.
-Aspettatemi! Non dovete salire. Il laboratorio si trova quì, al piano terra.- li fermò Michele.
-La signora, invece, quella troia, a quale piano abita?- gridò Carognafacile.
Vernel lo afferrò per un braccio. -Non ce ne frega niente, adesso. Vedi di darti una calmata! Abbiamo un morto che ci aspetta in macchina; qualcuno potrebbe notarlo e non credere che stia semplicemente dormendo. Dobbiamo muoverci. Hai capito?!!-
Carognafacile si tirò un paio di schiaffi sulla fronte.
-Okay. Okay...per la puttana! Preleviamo il tizio, allora.- 
Il suo livello di eccitazione stava peggiorando.
-Quella è la porta.- disse Michele.
-Se non risponde pure al campanello, la butto giù. Giuro!- continuò Carognafacile.
-Eventualmente ho le chiavi.-
-Si, ma se sono inserite anche dall’altra parte non puoi usarle.-
-Ora lo appuriamo.- rispose Michele, e suonò.

Nessuna risposta.
Riprovò altre due volte.
-Usa le chiavi.- fremette Carognafacile. Gli tremava il labbro superiore e il braccio destro; quello con la mano ferita.
Vernel gli diede un pizzicotto sulla spalla. -Stai calmo!...- disse. -...non voglio casini. Lo racconto a Lorry, altrimenti, e poi son cazzi tuoi.-
Michele nel frattempo riuscì ad aprire.
Si sentiva una specie di grugnito provenire dalla stanza in fondo al corridoio. La raggiunsero in fretta e videro che qualcuno stava seduto a terra, parzialmente nascosto da un armadietto di metallo da cui sporgevano la testa e i piedi.
-Vai a vedere cosa ci fa quello, là dietro.- disse Carognafacile, estrando la pistola e cacciando uno spintone a Michele.
I grugniti cessarono all’improvviso.
-C’è il babbuino. E’ vicino a lui. E’ pericoloso.- disse. -...Vedo del sangue.-
Carognafacile lo raggiunse piano piano, puntando l’arma contro l’armadietto.
Jack stava mangiucchiando l’avambraccio dell’uomo senza procurargli apparentemente alcun dolore; Ilenio infatti sorrideva come se la bestia lo stesse soltanto leccando.
-Ma cosa diavolo?!... miseria puttana... Vieni a vedere!- disse Carognafacile a Vernel, ancora sull’uscio.
-Lo stronzo ha detto che è pericoloso. Forse è meglio non avvicinarsi.-
-Vieni a vedere lo stesso...- insistette Carognafacile.
Jack aveva qualche tendine incastrato fra gl’incisivi, e scuoteva la testa per staccarlo del tutto dal polso del suo spuntino.
-Spara! Cosa aspetti?!- sussurrò Michele, per non attirare l’attenzione della bestia.
-Il dottore dev’essere strafatto di antidolorifici...- commentò Vernel, sbirciando alle loro spalle.
Ilenio li guardò con un sorriso estasiato, il viso esangue.
-Lasciatelo mangiare...- disse. -...E’ appena tornato da scuola il mio ragazzo...ed è meglio che finisca questo bel panino al prosciutto, piuttosto che ingozzarsi con le solite merendine...-
-Ma quello non è un panino al prosciutto, coglione! E’ il tuo braccio.- gridò Carognafacile.
-Fai come dice lo stronzo...: Spara a quella fottuta scimmia.- lo incalzò Vernel.
Ma non ce ne fu il tempo. Jack si girò di scatto e con un balzo gli fu addosso.
Una vera furia.
Morsi, unghiate, strattoni da lussazione, colpi violentissimi. La scimmia saltava di qua e di là, menando zampate terribili. Carognafacile sparò due colpi a vuoto, poi ricevette una pedata in faccia e un bel paio di zanne sulla coscia.
Tentarono di placcarlo gli altri due, ma l’animale riuscì a divincolarsi strappando un quarto del cuoio capelluto a Michele, e scaraventando con uno spintone Vernel contro lo spigolo di una mensola che stava dietro di lui. Un urto micidiale, proprio al centro della schiena. Si buttò a terra gridando.
-Vaffanculo!!- gridò pure Carognafacile, aggrappandosi a un cassetto che poi fece cadere a terra; la coscia sanguinava tantissimo, come se il morso avesse reciso l’arteria femorale. Raccolse il cassetto di metallo e lo scagliò contro Jack. Mancandolo di mezzo metro.
-Dio, Dio!...Aiutaci!- gridò Vernel.
-Curiosa imprecazione...- bisbigliò fra sé e sé Michele, tamponando con la mano le ferite sulla testa.
Carognafacile si mise con foga a cercare qualcos’altro che potesse fare da arma, fra i vari oggetti rovesciati a terra. Tuttavia c’erano soltanto penne e fogli di carta. Decise di prendere una penna e prepararsi a conficcarla in qualche punto vitale di Jack alla prossima aggressione, ma l’animale uscì di corsa dalla stanza e dall’appartamento. Lo videro saltare giù dalle scale, seguito dalle urla di alcuni inquilini attirati dal frastuono.
-Cosa cazzo facciamo adesso?- gracchiò Carognafacile, steso terra. Da quella prospettiva vide un paio di persone entrare e avvicinarsi lungo il corridoio.
Vernel afferrò una caviglia a Michele. -Digli che la cavia è impazzita, che siamo un’equipe di veterinari, o qualcosa del genere, e che rimetteremo le cose a posto. Non devono romperci i coglioni, hai capito?- ordinò.
- Okay! Ci provo.-
-Digli che abbiamo già chiamato noi l’ambulanza e i carabinieri... E cerca di essere convincente, non di provare ad esserlo.- 
-Non capisco la differenza, scusami.- commentò Michele.
-La differenza è che ti pianto una pallottola in mezzo agli occhi... Hai altre perplessità?-
-No, non credo. Mi sembra tutto molto chiaro.-
-Bene.- rispose Carognafacile.


Nella stanza c’erano poche, brutte cose: la chitarra di Picchio, appoggiata in un angolo (fattosi presto buio in segno di cordoglio); lo scuro tavolo a cui sedevano, pieno di graffi e incisioni blasfeme; due poltrone rivestite da uno spugnoso tessuto verde marcio; una lampada a forma di drago, appoggiata sopra una rozza mensola di compensato, e un poster, in gran parte stracciato e scolorito, raffigurante il gruppo durante una delle sue tournee. 
Cecilia fissò l’attenzione sul nome, scritto a grandi caratteri grangugnoleschi: Le belve di Dio.
-Stavamo a Copenaghen, quando abbiamo scattato quella.- disse Lorrydeath, notando il suo interesse.
-E’ curiosa la scelta del nome.- lo indicò Cecilia -Perché “di Dio”?!- 
-E’ un discorso molto lungo. L’ho voluto io; rappresenta tutto il mio..., diciamo così...: “cammino spirituale”. Tutte quelle tappe della vita che mi hanno portato ad essere quello che sono, e a preferire il Male, inteso come forma di libertà e contestazione...- rispose Lorrydeath.
Siccome aveva già risposto altre numerose volte a questa domanda e non era mai riuscito ad andare oltre a questa definizione, senza il doversi raccontare un po’, esporre nell’ intimo, si levò dalla sedia e disse:
-...Scusami, ma ora devo andare a pisciare.-
 Non gli andava di dividere il suo passato con nessuno.


Erano in grossi guai; le persone accorse sul pianerottolo si erano allontanate, ma qualcuno aveva già chiamato i carabinieri e l’ambulanza.
-Andiamo! Prendi quel cazzo di coglione, e andiamo!...- ringhiò Carognafacile. -...Non li abbiamo affatto convinti, quei merdosi.-
Vernel annuì e cercò di raddrizzarsi.
-Okay. Facciamo in fretta, allora- disse. Lo spigolo gli aveva praticamente perforato un’ampia zona sotto la scapola. Annaspava.
-...Devo fermare l’emorragia...- rantolò ancora Carognafacile.
-Fermiamo l’emorragia, o ce ne andiamo?- intervenne Michele.
Vernel gli puntò la pistola.
-Ti è stato detto di fare una cosa, o mi sbaglio?- disse. Il braccio gli tremava dal dolore.
Michele si sentì ancor meno rassicurato da quella mancanza di coordinazione motoria.
-Posso tirarlo su facilmente, a quello,- rispose, riferendosi al dottore.
- ma voi riuscite a camminare?-
-Ci riusciamo, eccome!- sputò Carognafacile, aggrappandosi a Vernel.
E poi caddero l’uno sull’altro.
Michele rise. Una breve, piccola e stolta espressione di scherno.
Quella smorfia gli rimase stampata sulla faccia, anche parecchie ore dopo la sua morte. La pallottola infatti lo centrò proprio in mezzo agli occhi, come promesso; in omaggio alla suo sarcasmo.
-Hei tu!... Coglione!...- gridò Carognafacile, ora rivolto a Ilenio, allontanando con una pedata il corpo di Michele cadutogli quasi addosso.
- Ce la fai ad alzarti e sorreggerci fino alla macchina?-
Vernel ebbe l’istinto di puntargli la pistola, ma poi si rese subito conto che non sarebbe servito a niente; l’uomo era talmente strafatto da non comprenderne la minaccia. Neanche si era accorto del colpo appena sparato; tanto che per tutta risposta sussurrò: -Dov’è andato mio figlio?-
Carognafacile pensò al babbuino e alla furia con cui si era avventato su di loro.
-E’ andato in macchina, quel dannato figlio di puttana! Ci sta aspettando! Vuoi accompagnarci da lui alla svelta?- disse.
-Così finisce il suo panino, magari.- aggiunse Vernel, ghignando malamente.
-E’ vero, dai! Sta morendo di fame.- continuò Carognafacile, ma non gli veniva altrettanto da ridere, poiché si sentiva sempre più debole e spacciato con quella ferita sulla gamba.
Ilenio si alzò. Abbastanza agilmente, nonostante il suo avambraccio continuasse a sanguinare, e quegl’insopportabili tendini sfilacciati e i pezzettini di carne lacerata continuassero a penzolare di qua e di là. 
-Ho qualcosa per rimettervi in forze...- disse, dirigendosi verso il carrello sul quale aveva lasciato la siringa e alcune fiale dei suoi nuovi composti.
-Noi non la vogliamo la tua merda, se ci rincoglionisce in quel modo...- brontolò Carognafacile, supino. Poi strinse con entrambe le mani la coscia nel punto in cui sanguinava.
-Questa roba qui, vi farà diventare più buoni...- disse Ilenio, ficcando l’ago nella fiala. -...Non è la formula finale, ma in un certo senso funziona, si avvicina al mio desiderio di creare una sostanza in grado di stimolare il sentimento dell’amicizia...- continuò.
-Non voglio esserti amico, adesso. Se arriva la polizia ci porta dentro assieme ai tuoi cazzo di propositi altruistici. Lo capisci?- gridò Carognafacile.
-Pazienza! Vorrà dire che farò amicizia con gli altri detenuti, e gli racconterò di quante soddisfazioni mi da mio figlio.-
- Quello è un fottuto BABBUINO!!....Non tuo figlio.- berciò Carognafacile, poi gli sparò un colpo a bruciapelo, sfiorandogli di qualche millimetro il cranio.
C’era sangue dappertutto; il proiettile era riuscito a lacerare una di quelle venuzze che stanno accanto agli occhi. Tuttavia il colpo non sembrava aver dissuaso il dottore, e così Carognafacile   sparò ancora. Questa volta con precisione.
Odiava le iniezioni.
- Ora chi gli portiamo a Lorry?- chiese Vernel, indicando nervosamente il cadavere.
Carognafacile sputacchiò una mezza bestemmia e si accasciò del tutto, sperando che quella sensazione di svenimento non fosse proprio l’anticamera dell’oblio.
Aveva certamente resistito a lungo, e perso molto sangue.
...Tuttavia, dopo qualche secondo, si riprese.
-No. Ancora nessun oblio, almeno per il momento.- pensò.
Poi alzò la faccia da quel terriccio caldo e gli sembrò di essere all’interno di una galleria scavata di recente nella roccia. Una roccia rossastra e rovente.
-Cosa ci faccio, qui?!!- si chiese.Vedeva appena appena i contorni delle cose attorno, nella poca luce riflessa.
-Da dove proviene questa luce?- pensò. Non c’erano lampade o pertugi in grado di filtrarla; solo un portone a qualche metro di distanza.
Si aggrappò a una parete nel tentativo di sollevarsi e rimase quasi ustionato. Bruciava come il fuoco, pur non emettendo alcuna fumigazione.  
-Ma dove cazzo sono?!!- si chiese.
Qualcosa tuonò dietro al portone, là in fondo, in segno di risposta. Sembrava il muggito di un bue o qualcosa del genere.
Si guardò alle spalle, nella speranza di trovare una via d’uscita.
E imprecò.
 Merda.
Non c’era niente; solo il buio, forse popolato da altre rocce roventi.
Allora s’incammino piano piano verso il portone; senza strani presentimenti o fantasticherie di altro tipo. Soltanto la paura, allo stato puro, di quella che non ti consente di pensare granché.
Il portone era una mostruosità: l’arco a sesto acuto, alto quattro metri, fatto di larghe assi di legno e bronzo; era tutto sporco di sangue e urina, e altri puzzolentissimi frammenti organici di difficile identificazione.
La studiò in ogni dettaglio, per capire in che razza di ambiente fosse finito.
-E’ il covo di qualche clan di psicotici... - disse, ma non ricordava in che modo ci fosse arrivato, e per quale ragione. Non aveva festini o appuntamenti di quel tipo nella sua agenda; e anche se a volte si era effettivamente ridotto in condizioni abbastanza misere da non ricordare in che modo avesse raggiunto certi luoghi, ora gli sembrava tutto molto più strano.
Si guardò la mano ustionata, i profili delle rocce, nel buio attorno a sé.
E i diavoli a questo punto gli aprirono.
 Erano proprio diavoli, ma non riuscì a distinguerne subito la forma perché la loro natura e le loro dimensioni andavano ben oltre le sue aspettative: alti quanto il portone, e scuri, infatti, i loro corpi muscolosi si stagliavano a fatica dal fumo e dalle ombre serpeggianti che il fuoco proiettava un po’ ovunque.
Quando riuscì a vederli nella loro interezza, però, rimase senza fiato.
Erano quanto di più spaventoso è maligno avesse mai avuto modo di sperimentare. Delle belve bestiali, dalla pelle di cuoio e gli occhi ardenti. Uno di loro lo trascinò dentro, afferrandolo velocemente per un braccio, e scaraventandolo contro un mucchio di lance e altri atroci strumenti di tortura.
Si alzò veloce, gridò, naturalmente. Prese anche una lancia e tentò di difendersi. Ma fu tutto inutile.
I diavoli erano forti e volevano divertirsi.
Vernel, intanto, si alzò, nella dimensione terrena, e prese a zoppicargli attorno e a chiamarlo.
Finché non intuì con sufficiente precisione le ragioni del suo silenzio.
Poi guardò il volto esangue dell’altro cadavere; molto brutto, con gli occhi e la bocca spalancati. Dalla tempia gli fluiva ancora un rivolo, e stringeva nel pugno la siringa piena del suo elisir dell’amicizia.
Si chinò per togliergliela.
Aveva visto gli effetti di quella roba; il suo elevato potere analgesico. l’uomo neanche si era accorto dei morsi del babbuino e di come gli avessero ridotto a brandelli l’avambraccio.
Pensò allora che una piccola dose forse avrebbe potuto aiutarlo a sopportare la ferita alla scapola, per uscire in fretta da quella situazione e raggiungere la macchina.
Non posso certo guidare in queste condizioni.
-...E poi sono solo.- pensò. In qualche modo mi devo sostenere.
Diede un’altra occhiata a Carognafacile. Lui non aveva consigli; neppure una delle sue speciali bestemmie in merito.
...Si capiva che stava da un’altra parte.


-Come mai non rispondono, i tuoi amici?- chiese Cecilia.
Lorrydeath per la quarta volta ripose sul tavolo il cellulare.
-Non lo so...- disse. -...Penso che quei cazzoni si siano ficcati in qualche pasticcio; è loro abitudine fare stronzate, non seguirmi mai fino in fondo.-
La donna sospirò; ora più spazientita che altro.
-Hanno già ucciso, o sarebbero davvero in grado di farlo?- chiese.
Lorrydeath indicò l’estesa macchia di sangue sul pavimento, uscito dal povero Picchio.
-Lo ha detto anche il tuo amante: siamo gente che non scherza, noi.- disse. -...Forse la birra ti ha reso la situazione un po’ meno drammatica.-
Era vero. Cecilia si sentiva provvidenzialmente confusa e stordita dall’alcol, più sicura di sé.
-Non hai l’aria del pazzo,...- disse. -...della persona che può credere a una storia come quella che hai raccontato.-
-Quale storia?-
-Quella del Cristo redivivo.- Cecilia fece una pausa, in attesa di una risposta sincera. -...Non posso credere che tu stia cercando mio marito proprio per questo.-  
-Invece è così. E’ l’unico, vero, spaventoso motivo.- rispose Lorrydeath.
Poi si accese un’altra sigaretta. Accomodò le gambe sul tavolo.
-Anche lui la pensava come te, probabilmente.- proseguì, alludendo a Picchio.
-...Ma io non sono tipo che inventa idiozie, per il gusto di stupire o confondere gli altri. Non ho percezioni alterate, disturbi mentali, smanie di conquista. Ho soltanto avuto un’ esperienza e voglio vederci chiaro, capire cosa è giusto fare.-
-“giusto” è un aggettivo difficile da associare ai desideri del diavolo!- commentò Cecilia. Voleva insistere, non solo per indurlo a cambiare idea, ma per il gusto di confutare ogni convinzione tratta dalla fede nel soprannaturale; tuttavia, si rese presto conto che non sarebbe servito a niente; che quell’uomo credeva in Dio quanto al Diavolo, ...e che, per tutti quelli come lui, simili figure davano una risposta plausibile quasi a tutto.


Il babbuino si era nascosto dentro a un negozio di abbigliamento, non lontano dall’edificio in cui era avvenuta la sparatoria.
Qualcuno lo aveva visto entrare saltellando e poi rifugiarsi dietro alcuni scaffali. Tre donne occupate a scegliere degli abiti, avevano esclamato: “una scimmia!”; “santo cielo!”; “santo cielo, una scimmia!”; altri che da fuori avevano notato la scena, invece, si erano limitati a proseguire dritti per la propria strada, convinti di aver visto soltanto un cane (e di questi ultimi, va detto che un discreto numero trovava pure ingiusto consentire l’ingresso ai cani negli esercizi commerciali).
La gente é strana, questo si sa, e molti potevano avere idee e sentimenti curiosi in quel momento, e in generale, trasportati dalle piccole e grandi follie del quotidiano, ma mai quanto i pensieri che ora attraversavano la mente di Vernel.
Era riuscito a salire sull’auto e a metterla in moto, tuttavia un senso di vertigine lo aveva colto proprio in quel momento, costringendolo ad aspettare.
Sudava freddo. La vista cominciò ad annebbiarsi. Pensò che forse aveva commesso un errore ad iniettarsi la droga del dottor Salsa. Magari a lui avrebbe fatto un effetto diverso, letale.
Strinse i denti e mise in moto la retromarcia. Sentì un colpo abbastanza forte da schiacciare il parafango dell’auto parcheggiata dietro; nessuno lo aveva visto, però, e se ne sentì rallegrato. Non poteva certo restare lì altro tempo, con il cadavere di Picchio accasciato sul sedile posteriore; cominciava a puzzare, o forse già puzzava prima di morire.
Ci pensò sopra un attimo. In effetti era difficile ricordare che odore avesse da vivo.
Ma che’importanza poteva avere adesso?!
C’erano un mucchio di altre cose un po’ meno sgradevoli da rievocare di quest’uomo, pensò. In fondo erano stati amici, colleghi; avevano condiviso molte orribili cose e segreti.
Come poteva non provare nulla per la sua scomparsa? Se lo chiese fino a innescare un lieve sentimento di cordoglio, che in breve culminò nell’idea di piangere, sebbene gli occhi non ne volessero sapere di lacrimare.
-Che avrebbe detto Lorry, di questa cosa? Avrebbe provato almeno un po’ di questa specie di rammarico?- pensò.
No. Quello è un mostro, un deturpatore di anime... Ed è tutta colpa sua, o in gran parte, se si é arrivati a questo punto. Colpa dei suoi presentimenti e del suo egoismo! 
L’empatia verso Picchio, o quel che ne restava, nel giro di pochi minuti crebbe a tal punto da fargli desiderare di scendere dalla macchina per andare dietro ad abbracciarlo, ed eventualmente leccargli le ferite in modo da ripulirlo e renderlo più dignitoso agli occhi di Dio.

L’elisir dell’amicizia cominciava a sortire i suoi strani effetti.
Si sforzò di non cedere a quella pulsione necrofila.
Picchio sembrava comunque entusiasta dell’iniziativa, come se il suo cadavere l’avesse percepita.
-Ti ringrazio lo stesso, amico.- disse
Vernel piantò una bella inchiodata e si voltò a guardarlo.
Era immobile, come prima, ma con una luce abbagliante negli occhi.
Vernel scosse il capo, si stroppicciò il viso, mentre qualcuno dietro suonava il clacson.
-Fai un gesto di scuse e prosegui.- ordinò Picchio. -...Non aver paura: ora ti spiego quello che mi è successo; quello che vedo nell’aldilà.-
-Ne... Nell’aldilà?- balbettò Vernel.
-Sì, nell’aldilà.-
Svoltò a destra, lungo il viale che portava all’appartamento di Lorrydeath.
-Tu sei a posto...- proseguì Picchio. -...non devi preoccuparti.-
Si leccò via dal naso un grumo gelatinoso di sangue fuoriuscito dall’incavo dell’occhio. Aveva una lingua lunga e scura come una biscia di campagna.
-...Tu non hai mai ucciso e nell’intimo, io lo so, mai accolto fino in fondo le decisioni del nostro capo; sei soltanto un po’ debole e leccaculo. Tutto qui. Lo sento.-
-Lo senti?- chiese Vernel, rassicurato.
-Sì. lo sento. Adesso ascoltami, però:...-
Le sue mani ripresero a muoversi; Vernel osservò inorridito, dallo specchietto, mentre se le infilava in bocca fino a raggiungere il gargarozzo.
-COOUGHFF!!...HmmmGRRR.... Scusa, amico...- eruttò Picchio, e si sfilò dalla gola un braccio tutto insanguinato.
-E quello cosa... Cosa...- Vernel tentò di replicare, ma fu sopraffatto da un conato di vomito.
-Appartiene al nostro socio...- disse l’altro, riferendosi a Carognafacile.
-...I diavoli lo stanno facendo a pezzi, con gran godimento. Ho chiesto loro di prestarmene uno per farti vedere cosa accade agli stronzi.- proseguì, poi se lo ricacciò in bocca, calcandolo giù piano piano, come un boa che cerca d’ingoiare un tronco d’albero.
A Vernel questa volta venne proprio su tutto, e abbassò appena in tempo il finestrino.
-Sì, gran brutto spettacolo...- commentò Picchio. -...Te lo concedo. Pensa che laggiù, ogni organo che ti viene estratto o amputato, ricresce sano e molto più sensibile al dolore. Un braccio, ad esempio, si rigenera dopo quattro o cinque ore... Per la gioia di quelli che vogliono infierirci ancora, magari per spezzarti le dita, una ad una, o piegarti all’indietro l’articolazione del gomito... Hanno una gran fantasia, mille di questi giochetti, e non si stancano mai di riproporli. Scoprono tutti i segreti dell’anatomia, cosìfacendo.-
-Fantastico!...Io comunque non ci finisco da quelle parti, vero?- chiese Vernel.
-Sì, ma da questo momento in poi devi fare tutto quello che dico, senza obiezioni. Certamente non ti chiederò di uccidere o commettere atti impuri, come il leccarmi le ferite o altre porcherie del genere...- rispose Picchio. -...Ma voglio che tu mi segua fino in fondo, accompagnandomi da Lorrydeath, trascinando fino a lui il mio corpo; poi, a tutto il resto ci penso io.-
La lingua gli uscì di nuovo, veloce, per ripulire bene quello che restava dell’occhio.


Cecilia rise, rompendo il silenzio che si era da poco creato.
-Io, accusata da una band di metallari satanisti di essere la nuova madre del Cristo!...- disse.
-Stai per avere una crisi isterica?- chiese Lorrydeath.
Era calmo; le soffiò in faccia una nuvola di fumo per innervosirla. Cominciava a trovare un po’ antipatici i suoi modi.
Non ha equilibrio. Vuole avere ragione a tutti i costi... pensò, ...propriocome tutte le altre!-
-Nel vostri progetti c’è un paradosso abbastanza evidente.- continuò la donna.
-Sì, dimmelo, và.- Insisti pure con i tuoi bei giochetti di parole.
-Ammesso che un Dio esista, in quanto tale, non consentirebbe mai a nessuno di scombussolare i suoi piani.- proseguì Cecilia.
Lorrydeth abbozzò uno dei suoi brutti sorrisi.
-“i suoi piani”?!... Se Dio avesse davvero un piano, le nostre azioni non lo preoccuperebbero mai. Neanche avrebbe dovuto prendersi il disturbo di mandarci suo figlio a portare il Verbo. In verità, io credo che Lui abbia creato soltanto lo scenario e i personaggi, ma non il loro destino.-
-...Già, però conosce l’esito di ogni nostra azione.- commentò Cecilia.
-Non ti sembra un po’ assurdo?-
-Sì, lo è, ma secondo una logica umana.- rispose Lorrydeath, poi prese la pistola e la puntò dritta verso la porta. Qualcuno dall’esterno stava tentando di aprirla.
-Che succede?- chiese Cecilia.
Vernel entrò e disse: -Niente, niente! ...Non preoccupatevi.-
Poi trascinò dentro il cadavere di Picchio, tirandolo per i piedi.
-Che cazzo ci fai con quello?- Urlò Lorrydeath.
Gli stivali ancora sul tavolo, la canna pronta a centrare Vernel.
-Non potevo mica potarlo all’ospedale, Lorry. Ci avrebbero fatto delle domande.-
-E gli altri dove cazzo stanno?-
-Un grosso casino, Lorry. Un babbuino li ha fatti morire dissanguati. Temo che gli sbirri siano già sulla scena.-
Lorrydeath a questo punto si alzò, con tutti i suoi bei due metri di grasso e muscoli.
-Vuoi prendermi per il culo?- chiese.
Cecilia tentò di approfittare di quella situazione, ma fu subito acciuffata e rimessa a sedere.
-Tu stai qui.- le ordinò Lorrydeath. Allungò il braccio e le afferrò la mascella, avvicinando il volto fino a spingere la fronte contro la sua.
Vernel sventolò le braccia.
-Hei, hei. hei!!... Ma che ti prende. Vuoi pestare la... madonna?-
-Non avete rispettato i piani.- rispose Lorrydeath.
-Certo, ma ci sono stati degl’imprevisti: il tuo uomo era drogato, ridotto molto male, con quella scimmia che gli spolpava il braccio... Avresti dovuto vederlo.-
-Non me ne frega un cazzo. Avete creato un problema. Un grosso problema.-
-Allora cosa pensi di fare?- intervenne Cecilia.
Lorrydeath si girò di scatto e la fissò, peggio di prima, deciso a mollarle un ceffone.
-Non farà proprio niente.- disse qualcuno.
Vernel lo ripeté a bassa voce, tendendo l’orecchio verso ciò che credeva fosse l’aldilà.
-Non farò che?!- disse Lorrydeath.
Osservando attentamente, a Vernel sembrò pure che qualcosa uscisse piano piano dalla bocca del cadavere.
Quattro grosse dita uncinate, bitorzolute e scure.
Le vide spingersi fuori e aggrapparsi al pavimento.
-...braccio in arrivo!- disse, e si sedette accanto alla donna, ridendo e aspettando che questa specie di prodigio infernale si compiesse del tutto.
-Ma di che cazzo stai parlando?-
Lorrydeath perse di nuovo il controllo. Veloce, gli si avvicinò e lo colpì allo sterno con una pedata, buttandolo a terra assieme alla sedia. Un colpo violentissimo, pari a quello che aveva ucciso Picchio.
Tuttavia Vernel non morì. Si rotolò un po’ sul pavimento e, fra uno sputacchio e l’altro rantolò minacce incomprensibili. Aveva accanto l’essere parzialmente uscito dal corpo di Picchio. Smisuratamente muscoloso e scuro, il demone si era fatto strada fra i visceri, facendo esplodere la testa e una parte del torace del suo ospite. Era chiaro che l’altra metà del suo gigantesco corpo fosse ancora intrappolata in un’altra dimensione; Vernel lo vide agitarsi e muggire, menado colpi e unghiate dappertutto. Nonostante il dolore tentò pure di avvicinarlo, per sincerarsi della sua esistenza, sicché gli altri parevano non vederlo affatto.
Eppure stava lì, davanti ai suoi occhi, e dava una gran sensazione di realismo; soprattutto il suo fetore di zolfo e bestiame. Provò a toccargli la spalla e rischiò un morso, con tutta probabilità abbastanza forte da tranciare una mano. Riuscì a sottrarsi appena in tempo; grazie alla involontaria prontezza di Lorrydeath che, tirandolo su per il bavero, lo sollevò da terra.
-Merda! Non so come, e per quale ragione hai deciso di mandare tutto a puttane, ma visto che siamo giunti a un punto di non ritorno, e che il carcere mi aspetta, ti pesto fino a farti uscire le cervella.- disse.
Cecila si coprì gli occhi; aveva già sperimentato la potenza di quell’uomo.
Vernel, tuttavia, non sembrava preoccupato.
Vide il demone ergersi alle spalle di Lorrydeath. Gli sorrise, lo ammirò per un breve secondo e gli fece l’occhiolino.
Poi lo vide entrare in azione.
Silenzioso, enorme, questi sferrò un colpo alla schiena, penetrandola con l’avambraccio. Lorrydeath mollò la presa e barcollò in avanti, portandosì le mani al petto. Non si vedeva nulla, all’infuori della mente di Vernel.
-Tutto bene Lorry?- chiese.
-Bene... che cosa?!... Hmgrrr... Cazzo, ... io credo sia infarto.- bisbigliò lui, aggrappandosi al tavolo.
E nessuno tentò di soccorerlo.
Cecilia, anzi, approfittò dell’occasione e uscì di corsa dalla stanza.
-Davvero, Lorry, posso fare qualcosa?- insistette Vernel.
Lorrydeath gli sputò del sangue sulle scarpe; il demone continuava ad infilare le mani nel suo corpo, tentando di arrestarne il battito cardiaco.
-Non mi risulta che gl’infarti facciano sputare sangue...- disse Vernel.
-All’inferno!- sbottò Lorrydeath, e cadde all’indietro, oltrepassando il suo immateriale carnefice.
-Mi sa che ci vai tu, da quelle parti.- disse Vernel. Poi si abbasso per sfilargli il pacchetto delle sigarette dal taschino.
Si sentivano già le sirene della polizia, o almeno così credette.
Accese la sigaretta e, in tutta calma, si rivolse al demone.
-Ne vuoi una?- chiese.
Ma quello non rispose; era venuto solo a prendere il suo nuovo giocattolo. Gli mostrò il dito medio e si girò dall’altra parte, chinandosi subito dopo sui resti del povero Picchio, in cui tentò di sprofondare. Il varco dimensionale stava ancora lì: si congiunse con quelle carni e quei visceri, fino alle ginocchia, poi ancora più giù, sgomitando, come se sotto a quel corpo e al pavimento ci fosse uno stretto pozzo di fanghiglia, difficile da oltrepassare; un’operazione lunga e faticosa.
Lo allargò, finché non scomparve del tutto alla sua vista.
-Speravo che facessi qualcosa di più spettacolare, amico, con quel po’ po’ di fisico.- pensò Vernel. -Potevi strappargli un arto alla volta, o dividerlo in due, invece di agire dall’interno... Béh, forse, qui, è tutto quello che puoi fare.- si consolò.


Una roccia appuntita, alta una trentina di metri e larga altrettanto. Lorrydeath si svegliò di soprassalto e, preso alla sprovvista dalla sua nuova ubicazione, perse l’equilibrio e cominciò a rotolare verso il basso.
Urla, bestemmie, e un gran caldo; fu tutto quello che riuscì a percepire in quel momento. Non aveva tempo di guardarsi attorno. Tentò di ancorarsi a qualcosa per fermare la caduta e si tagliò le mani e le ginocchia in più punti. Sotto lo attendeva un oceano rosso e ribollente.
Arrivò giù tanto da finirci dentro con un piede. Le braccia aperte, assieme alla cinghia dei calzoni, erano riuscite in qualche modo a fermarlo.
Vide lo stivale immerso fumare e sciogliersi, e riuscì a sfilarselo appena in tempo.
-Hai paura di bruciarti il piedino?- Chiese qualcosa che gli svolazzava sul capo.
E fu allora che si rese conto di non apprezzare alcunché di ciò in cui aveva sempre creduto: il Male. Quella cosa sopra di lui, infatti, aveva mille orribili voci in una, ed era un puzzle di anatomie umane e animali cicatrizzate in un unico ammasso virulento. Stava appeso a delle catene e si dondolava di gran lena, menando calci a quelli che si agitavano nella lava. Lorrydeath ne guardò alcuni, attratto dalle loro grida.
-Puoi ancora dire la tua, se vuoi.- gli urlò la creatura.
Lorrydeth strabuzzò gli occhi; lo fissò incredulo; inghiottì della saliva.
-Dire la mia?- chiese.
-Sì, tentare di discolparti...- rispose il demone. -...Se riesci ad essere abbastanza persuasivo la roccia non sprofonda, e magari fra un paio di secoli passati lì sopra a mangiare la nostra merda ti trasferiamo in purgatorio.-
Lorrydeath vide le cacche putrescenti spetasciate sulla riva; fumigavano un giallo vapore pestilenziale e alcune si muovevano leggermente.
-Meglio quelle della lava.- commentò il demone.
-Ho cercato di fare il vostro gioco, di seguire quello che mi diceva la “voce”.- disse Lorrydeath.
-E’ probabile che qualcuno, qui, ti abbia ingannato, ragazzone. Oppure sei pazzo. Oppure entrambe le cose. Io sono convinto che sia tutta opera del tuo diavolo custode...-
-Diavolo custode?- pensò Lorrydeath, con un sorriso amaro. Sapeva che da un posto del genere non sarebbe uscito mai più, e che lo aspettavano cose orribili, d’immane sofferenza fisica e interiore.
Diede una rapida occhiata alla stazza del demone, di poco superiore alla sua, e disse:
-Ce li hai i coglioni di venir giù a sfidarmi, senza trucchetti? Io e te, schifezza.-
Il demone si sganciò dalla catena e cadde sul cucuzzolo della roccia, con l’agilità di un gatto.-
-E me lo chiedi?!...- rispose. Poi lo raggiunse alla base, nel punto in cui c’era lo spazio adatto a fare da ring. -...Sono qui apposta!-
Naturalmente, non c’era confronto; la forza e la velocità della creatura erano soprannaturali.
Tuttavia, Lorrydeath riuscì lo stesso a fare la sua bella, sporca figura, assestando due ottimi montanti e un calcio a quelli che pareva fossero dei testicoli ipertrofici.
-Mica male, ragazzone!- disse il demone, tentando di risistemare una di quelle zucche spappolate.
-Beccati questo!-
GLi frustò una zampata in faccia, tale da rompergli la gengiva.
Lorrydeath ficcò la lingua in mezzo al vuoto lasciato dalla perdita degl’incisivi, e si ripulì dal sangue colato sul mento.




-Ti do una bella passata, e non solo con i pugni...- disse il demone, palpandosi i genitali. -...Poi ci pensa il tuo amico “Picchio”, il tuo diavolo custode, e tanti altri simpaticoni che non vedono l’ora di riabbracciarti.-
Lorrydeath cominciò a piangere.
-Il tuo diavolo custode, in particolare, ...- proseguì il demone. -...che ha fatto tanto, nel corso della tua stupida esistenza, per condurti fin quaggiù; ha meravigliosi progetti, sai? Dopo averti fatto un bel bagnetto caldo, durante il quale starai immerso fino ad assuefarti totalmente al dolore, immagino che vorrà portarti nella sua grotta... Un bel posticino pieno di ricordi e rimpianti.-
Un paio di figure emersero dalla lava.  Erano il diavolo di cui si stava parlando e che lo aveva ucciso, e Picchio, gonfio e lacerato dalle ustioni, ma ancora riconoscibile.
Il demone li guardò e disse:
-Prima, però, lasciatemi finire!-

Sì, erano veritiere le idee che in generale tramandavano le varie religioni rispetto alla divinità..., comprese Lorrydeath in quel momento.
Altro che l’ateismo raziocinante di Cecilia!
 Dio, infatti, ora gli appariva proprio come un uomo: a volte buono, altre cattivo, molto cattivo, benché gigante e onnicomprensivo nel suo sapere.
...Uno che poteva offendersi; pronto ad allungare la pagnotta o a bastonare.
Un Dio volubile, integerrimo, invalicabile, geniale e giocondo; severo e tenero. Molto tenero.
Ma intransigente.
...E se sbagliavi, certo, te la faceva pagare.



Parusia (2007)
Racconto di Fabio Cavagliano

2 commenti:

  1. Dopo un incipit in cui ho un po' faticato a orientarmi, il racconto procede spedito a razzo, con cambi di scena rapidi e serrati che segnano l'intreccio della vicenda e, soprattutto, il filo rosso della vera e propria follia weird-pulp. Alcuni punti della storia mi hanno fatto pensare a certi momenti da teatro dell'assurdo "sclaviano": un Dylan Dog che pressa l'acceleratore sulla violenza trash. "Trash" qui inteso nella sua accezione più positiva e che si cuce bene insieme a certe riflessioni esistenziali, filosofiche e teologiche. Il fiore all'occhiello rimane la truculenza tipicamente gore-sovrannaturale di alcune scene, due in particolare (/SPOILER/ il braccio mozzato tirato fuori dalla gola e l'avvento del demone nella stanza di Lorry \SPOILER\), artisticamente rinforzata dalle illustrazioni: ottima quella introduttiva e semplicemente sensazionale quella di chiusura, che non avrebbe sfigurato sulla copertina di un libro, se questo racconto fosse stato un romanzo. Quest'ultima, caro Grif, la trovo davvero una delle tue migliori opere in assoluto!

    - 90Peppe90

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    1. Grazie. Ti confido -lo so che apparirà strano- di detestare il genere splatter al cinema ma di riuscire a tollerarlo in una narrazione e, addirittura, proporlo come hai avuto modo di leggere più volte (specie nelle mie storie più datate. Ricorda "Orbit", ad esempio, altro semi-fumettone pieno di eccessi e dove Dylan Dog appare anche come personaggio).

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