sabato 14 dicembre 2013

Monster Christmas



Racconto di Rubrus

Daddy – come avevano iniziato a chiamarlo da quando aveva tirato la pagliuzza più corta –  cercò di rimanere in equilibrio sul tetto malgrado un vento nemico, umido e freddo, cercasse di sbilanciarlo in continuazione.
Si afferrò al camino, gli artigli che stridevano contro i mattoni gelati, e guardò giù, oltre i ruderi del municipio; anche a quella distanza riconobbe gli occhi rossi e luminosi di Karl. Solo lui aveva quelle pupille romboidali, così strane. Gli parve persino che lo deridessero.
Soffocò un ringhio. Aveva un bel dire, Karl.
Quelli là sotto, quelli della casa, erano una leggenda. Si diceva persino che, al collo, portassero una collana di artigli e canini.
Ora: Daddy non credeva a queste storie, ma Lorelei era una tosta, si sapeva, e non era forse vero che, ciò nonostante, erano riusciti a catturarla e l'avevano poi legata ad un albero finché l'alba non l'aveva abbrustolita come una fetta di pancarré dimenticata nel tostapane?
Il pensiero di Lorelei rafforzò il desiderio di vendetta contro quei .mostri dentro la casa.
Mostri, già.  In fondo tutto è relativo. Daddy sapeva che, per loro, lui era il mostro.
Il 10% della popolazione che definisce “mostro” il restante 90%. Un comportamento arrogante e stupido.
Stupido... bah... effettivamente, in quel costume rosso e bianco, Karl non si sentiva molto intelligente.
«È fondamentale per l'effetto sorpresa» aveva sostenuto Karl «L'ho letto in uno di quei libri. Questa è una notte speciale e loro si aspettano una visita da parte di un tizio vestito di rosso e di bianco che scende dal camino. Lo stupore durerà per pochi istanti, suppongo, ma dovremo farceli bastare».
Da notare che aveva parlato al plurale. Però, alla resa dei conti, era toccato a lui a scendere per il camino. A “Daddy”.
Guardò l'apertura davanti a lui, tenebrosa e profonda come una gola affamata.
Non si fidava di quei libri. Molto di quello che era scritto era incredibile. La storia della mutazione, per esempio. 
La faccenda che loro erano mutanti. Che all'inizio erano tutti come quelle creature abominevoli sotto di lui. Che tutto era stato causato da un virus... come si chiamava? Ah sì... virus di Krippin.
Inconcepibile. Impossibile che lui potesse essere stato, un tempo, come quegli esseri... ma stava tergiversando.
Balzò sul camino, a gambe larghe, pronto a catapultarsi giù.
La luna si era spostata e ora illuminava solo pochi centimetri sotto il bordo. Il resto era nero come la pece.
Avvertì, per la prima volta, la paura del buio e, più spaventosa ancora, la vaga consapevolezza che fosse una paura antica e quasi dimenticata, un timore che risaliva ad un'epoca in cui non era il sole a fargli orrore, ma le tenebre.
Il pensiero – o il ricordo – si fece strada nella sua mente e Daddy chiuse gli occhi e balzò giù, prima che la sua risolutezza venisse meno.
Non fu come aveva creduto. Scivolò verso il basso velocemente, troppo velocemente, come se le pareti fossero state cosparse di grasso. 
Ebbe la certezza che fosse davvero così un istante prima di essere trafitto dalle lame affilate che stavano sul fondo del camino.
L'alba livida di quell'inverno senza neve sorgeva lenta, come se, ogni volta, facesse sempre più fatica a cedere il passo alla notte.
Lisa aprì le finestre con rabbia, come a sfidare i mostri (o vampiri, o predatori notturni, o zombi, o come accidenti li si voleva chiamare) che indovinava celati nelle vaste pozze di oscurità della città deserta.
Diventavano sempre più intelligenti. Non avevano un'intelligenza umana, certo, e, soprattutto, erano ancora incapaci di comprendere certi semplici concetti che Cleo, a otto anni, avrebbe giudicato puerili. Tuttavia... 
Sentì i passi di sua figlia dietro di lei. I piedini scalzi risuonavano sul pavimento gelato.
Tuttavia una qualche forma di macchinosa astuzia, come i trucchi di un animale da preda, guidato da qualcosa che non era più istinto, ma non ancora ragione, c'era. E cresceva.
Si voltò verso la bambina e si sforzò di sorridere.
L'importante era andare avanti. Giorno dopo giorno e notte dopo notte.
«Ciao Cleo» la salutò «Guarda qui, tesoro. Babbo Natale è passato e guarda che cosa ti ha portato» disse agitando la collanina che aveva appena finito di inanellare.
Denti ed artigli rilucevano nella luce fioca del mattino. 






NDA “morbo di Krippin” è il nome della malattia (una mutazione genetica sviluppatasi da una cura contro il cancro) che, nel film “Io sono leggenda” trasforma gli esseri umani nelle creature che, nella pellicola, vengono chiamate “cacciatori notturni” o “predatori della notte”. Nel libro di Matheson da cui è stata tratta l'opera cinematografica, tale nome, se non ricordo male, non compare; a causare la mutazione è un virus che si trasmette dalle zanzare all'uomo e dall'individuo (umano) infetto ad un individuo sano. Le creature, in ogni caso, sono più simili ai vampiri “tradizionali” di  quanto non accada nel film. Tra tante “varianti” - e fermi restando i diritti di autore – mi sono quindi sentito autorizzato a proporre la mia, ipotizzando un maggior grado di consapevolezza ed intelligenza, benché non umane, nelle creature. Tale aspetto, o spunto, è comunque presente in tutte le opere, cinematografiche o letterarie. 

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1 commento:

  1. Quando la mostrusità, soprattutto ed eticamente parlando, diventa solo un punto di vista, e dall’ormai stracitato “sentinella” di Fredric Brown a “io sono leggenda” di Matheson, ecco nascere un’altra ottima variante sul tema con questo breve ma efficacissimo racconto. Mi è piaciuta l’immagine iniziale della creatura che, seccata per aver perso la scommessa, si accinge a calarsi nel camino. Anche tutte le considerazioni e suoi ricordi che ne giustificano l’azione, rendono in poche righe credibile e presto opinabile e ben sfumata la sua appartenenza al male.
    Grazie Roberto

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