I tramonti non concedevano
illusioni negli anni tormentati della fine del mondo. Una tenebra purpurea si
dissolveva all’alba, rivelando le coste malinconiche di continenti scuri come
la cenere, che si alzavano su oceani di inchiostro. Il sole era malato, sorgeva
a fatica e, superato lo zenit, si trascinava verso la sera in un fosco alone
ramato. Ridotta a colonia penale, spazzata da venti velenosi, la Terra,
in gran parte rasa al suolo dalle catastrofi climatiche, restava l’asilo degli
sbandati, dei miserabili e dei più sfortunati. Di tutto questo abbiamo
molte testimonianze, video e riproduzioni olografiche di paesaggi apocalittici.
Sappiamo che per i sopravvissuti l’unica speranza era quella di salire su una
nave stellare da prigionieri, per riscattare la libertà o almeno per provare a
morire con dignità. Da una banca dati interstellare ci è pervenuto il frammento
di una conversazione, proviene da una di quelle disperate partenze, è di pochi
anni prima che il sole crollasse su sé stesso, l’abbiamo tradotto in questo
rapporto.
[inizio ricostruzione A44i.v2.5] >>>
Anja teneva la nuca leggermente
inclinata sul poggiatesta della poltrona del vettore di trasferimento. Con gli
occhi socchiusi, sembrava che dormisse, invece si stava rilassando, in un modo
tutto suo, poco comprensibile per un essere umano. Nella sua immaginazione
stava scomponendo pi greco e mentalmente ripeteva cifre:
“3,141592653589793238462643383279502884197169399375105820974944592307…0628620899862803482534211706798214808651328230664709384460955058223…25409171536436789259036001133053054882046652138414695194151160943305727036575959195309218…678…”.
I primi diecimila decimali
erano stati calcolati in un secondo. Nei tre minuti successivi era arrivata
alla centomillesima cifra: “…5493624646…”.
“Anche io faccio lo stesso per
rilassarmi”, all’improvviso una voce era emersa dal nulla e la
interruppe.
Anja aprì gli occhi, ma davanti
a lei non vide nessuno a parte Hassan e Kirp, i suoi compagni di viaggio.
Questi ultimi erano sprofondati nei sedili e sembravano avvinghiati ai loro
pensieri, aspettavano di sbarcare sull’astronave ammiraglia e molto
probabilmente si interrogavano sul loro futuro di prigionieri. Erano stati
tutti scoperti mentre cercavano di salire a bordo come clandestini. Loro
avevano i polsi legati, ma cercavano di non cadere nello sconforto. Anja si
accorse che le sue mani erano libere, ma sentiva un peso sulle braccia e sulle
gambe, dovuto a una strana forza contenitiva che non riusciva a contrastare. Percepiva
una presenza fuori e dentro di lei.
“Perché lo fai?”, era la stessa
voce di prima, che risuonava come una strana eco nella sua testa.
“I numeri irrazionali mi fanno
sentire meno prevedibile, più… viva”, avrebbe voluto dire “donna”, avrebbe
voluto mentire, ma le sue parole corrispondevano alla verità e Anja non aveva
potuto sottrarsi dal rispondere sinceramente.
“Sei libera e hai deciso di
seguirli. Nonostante quello che gli uomini ti hanno fatto resti legata a loro”,
un cenno appena percettibile di curiosità si mostrò nelle parole della voce
misteriosa.
“Ho creduto di perdere l’anima
in un carcere di massima sicurezza, ammesso che me ne abbiano mai programmata
una. I detenuti potevano insultarmi, picchiarmi, legarmi, abusare di me in ogni
modo e all’infinito. Venivo trasferita da una cella all’altra, senza tregua. Le
mie lacrime erano gocce di mercurio, velenose, perché non avevo ricordi né un
passato, io non ero vera, io non ero viva. Il Direttore del carcere mi spiegò
che era meglio così, meglio per me e per loro. Avere un termine di confronto,
come ad esempio un’infanzia simulata felice, mi avrebbe ancora di più
amareggiata. Volevano lasciarmi indifesa, vulnerabile e perfetta per il mio
compito, soddisfare i detenuti. Ho impiegato molte ore disperate nelle celle
del corridoio H, bagnato da una luce innaturale bluastra in cui venivo
accompagnata e molte volte trascinata. I sopravvissuti mi raccontavano che un
tempo il sole era brillante, che le mattine erano tagliate da raggi dorati e
che nuvole bianche galleggiavano nel cielo. Venivo violentata da detenuti
brutali, che stavano sopra di me e mi schiacciavano su coperte fradice di
sudore. Impiegavo molto di quel tempo a contare, a calcolare decimali su
decimali di numeri irrazionali, per non vedere e per comprendere qualcosa in
più sulle scelte che si fanno nella vita e sull’amore; mi chiedevo cosa avesse
trasformato quegli uomini e perché; loro dovevano pur avere avuto un’infanzia,
una radice di verginità nascosta da qualche parte. Gli unici con cui mi
confidavo erano gli educatori e alcuni monaci, ma ero solo una macchina, solo
una schiava. Mi stavo illudendo, stavo perdendo tempo. Alla fine mi bastò un
istante per capire l’essenziale. Mi stavano torturando legata a un letto. Urla
silenziose mi dilaniavano la mente e, all’improvviso, capii che dipendeva solo
da me se sentirmi vittima o essere libera. Può sembrare poco, può sembrare
folle, ma io potevo scegliere se odiare o perdonare. Mi prendevano a botte, il
mio corpo era devastato e poi riparato, ma io non li odiavo, ero pronta a
fuggire, perché dentro di me, nonostante le privazioni e le torture, mi sentivo
padrona del mio destino. Sono scappata di notte, scavalcando un muro,
sorvegliato da quattro torrette, ma la buona sorte mi ha regalato giorni
meravigliosi in un convento di monaci, e ora eccomi qui, in partenza per le
stelle con due ragazzi, figli di questa Terra morente che mi hanno proposto di
fuggire con loro, non mi hanno chiesto nulla in cambio della loro amicizia”.
Anja sentì di colpo le mani e
le braccia libere di muoversi. Non si mosse, si sistemò di fianco sulla
poltrona e continuò a rilassarsi ancora un poco. Mancavano pochi minuti al
rientro del vettore nella nave ammiraglia e non c’era fretta, riprese a contare
i decimali, chissà fino a dove sarebbe arrivata prima dell’attracco. Aveva
capito che la nave era viva, anche se era una macchina, proprio come lei, ma
infinitamente più grande e più forte, era una nave ammiraglia della Compagnia e
non era schiava di nessun uomo.
<<< [Fine ricostruzione A44i.v2.5]
Seppure incompleta, la scoperta
ci sembra straordinaria. Non erano dunque le macchine a governare gli uomini
nel sistema solare prima degli anni della fine della Terra? Non ci è concesso
di saperlo con certezza. In questo frammento l’IA dell’astronave ammiraglia si
sta rivelando per la prima volta. Oggi viviamo a centonovanta anni luce di
distanza da dove i nostri padri costruirono le prime navi spaziali e questo
messaggio ci colpisce, perché Anja 44i è il nome della nostra stella, il nostro
nuovo sole!
Vorremmo proseguire con le
indagini. Con questo breve rapporto alla Compagnia chiediamo l’autorizzazione a
proseguire i rilevamenti o, in caso negativo, ci prepariamo a sospendere le
ricerche e distruggere ogni registrazione.
Nevil Holbrook, Addetto Centro
Radio Astronomico Occidentale.
(*) Ispirato a un articolo
di Robot (numero 86 – 2019): “Amore e/o sesso con robot: è
ora?” di Daniele Barbieri.
La pagina Facebook dell'Autore
La pagina Facebook dell'Autore
La voce misteriosa, interiore e che nasce come autodeterminazione o manifestazione di una coscienza, un desiderio di libertà.
RispondiEliminaColpisce il finale, immaginando che la “logica emotiva” di una macchina possa poi diventare un simbolo di vita per gli eredi di questa umanità corrotta; questo nella figura del sole o amore che irradia su un nuovo mondo.
Bello.
Le parole cercano il loro spazio sulla pagina bianca, e sono dita di nebbia che catturano le ombre della meraviglia. I visi sono solchi bianchi, le tue mani diventano occhi. Scrivere fantascienza è come navigare in un sogno. Quando però un amico ti regala una copertina, e che copertina, vedi i colori, senti altri occhi che danno forma alle tue fantasie. Allora è come se la luce filtrasse dagli scuri di una finestra, lasciando splendere la tua stanza buia. Bruciano queste 1000 parole, grazie Fabio, sei un grande…
RispondiElimina...Riguardo alle forme, mi è piaciuto immaginare la tua androide come una specie di robot biologico. Verde, sì; forse nel futuro ci saranno mode & persone che gradiscono cose così bizzarre o, addirittura, che potranno cambiare a piacimento anche il colore della pelle. Di solito gli androidi o i cyborg vengono immaginati con parti meccaniche, però io qui ho pensato (come hai letto pure nel mio lavoro) a fibre muscolari e tendini fatti di materiali plastici che si contraggono/reagiscono all'elettricità e che sono esatte repliche di quelli veri. Cioè, un tipo di "automa" con un corpo sì artificiale ma in tutto e per tutto uguale -anche come struttura anatomica interna- a quello di un vivente. A parte questo dettaglio (perdonami se ho voluto sbrodolarlo, ma è stata la tua storia a suggerirmelo di nuovo quando Anja piange gocce di mercurio... Ho, infatti, immaginato pure un sistema venoso o idraulico percorso da liquidi che reagiscono al calore), posso aggiungere che trovo altrettanto bello poter accontentare i miei Autori/ospiti, qui, e ricevere tutti questi complimenti per le illustrazioni.
EliminaInfatti, il tuo blog è un luogo prezioso di condivisione e di confronto. Stili, idee, ispirazioni si incontrano… poi tu hai un doppio e raro talento, la parola e l'immagine. La cosa che mi ha stupito è stata proprio la facilità di lettura, quando ho letto il tuo lavoro, ed è stata una felicità duramente conquistata. Dall'altra parte anche la facilità nell'inquadrare perfettamente la scena del mio racconto…
Elimina