Racconto di Rubrus
Brondo smorzò la lucerna.
Al suo fianco, Gnollo trattenne il fiato. Per qualche istante il silenzio
fu assoluto, incantato, e Brondo capì che stava succedendo davvero: stava
vivendo un'avventura.
Poco a poco, gli occhi dei due Grossipiedi si abituarono all'oscurità.
Qualche lucciola errabonda svolazzava davanti a loro e, dalle stelle, una
luce grigia pioveva sull'erba. Debole, ma bastava.
«Ma sei sicuro che...» disse Gnollo.
L'altro gli fece cenno di tacere.
«C'è un buco nella Siepe» disse « e le tracce portano qui. È da qui che
entra».
«Magari sono talpe».
«Le talpe mangiano radici. Cavoli, insalata, piselli... sono tutti mangiati
dall'alto. E non dimenticare le mele! Le mie belle mele... hai mai visto una
talpa arrampicarsi sugli alberi?».
Gnollo deglutì. Le aveva viste. Quei morsi significavano una cosa sola.
Aprì la bocca per dirlo, ma Brondo lo prevenne.
«I Morsicanti vanno in gruppo».
«Magari questa è una pattuglia in avanscoperta».
«È uno solo».
«Non voglio finire infilzato solo perché tu vuoi fare bella figura con
Verbena».
Brondo gli fece cenno di tacere.
«E se non funzionasse?».
«Sssh!» sibilò l'altro.
Si udì un raspare soffocato, poi un trepestio furtivo, infine, un rumore di
fronde smosse.
Gnollo sentì il sudore colargli lungo la schiena.
Un mucchietto di patate, croste di formaggio e cavoli faceva bella mostra
di sé nella striscia di prato che separava la Siepe dagli orti. E carne. Ossa
con un bel po' di carne attaccata. Qualunque Morsicante con un po' di cervello
avrebbe capito che era una trappola. Ma nessun Morsicante avrebbe resistito al
profumo di quella carne, cervello o no.
Gnollo trattenne di nuovo il fiato e credette di sentire lo strusciare
soffocato di unghioli sull'erba, come se qualcuno, all'ombra della Siepe,
andasse avanti e indietro, indeciso. Allungò una mano per stringere il braccio
del compagno, ma, all'ultimo momento, desistette. Accidenti a lui. Brondo il
Fannullone, lo chiamavano quasi tutti, ma Gnollo, che lo conosceva bene, sapeva
che avevano ragione quei pochi che lo definivano Brondo il Sognatore. Quel suo
trascorrere le ore sul ramo più alto della Quercia Storta , così da guardare
oltre la Siepe e osservare le Terre Vaste... non era solo per far bella figura
con Verbena che il suo amico si trovava lì. Era per via di quell'irrequietezza,
così poco dabbene per un Grossipiedi. “Noi coltiviamo il nostro giardino” stava
scritto all'ingresso della Casa Maggiore e così doveva essere. Lui, Gnollo
Nolgeri, coltivava il suo giardino... già, ma allora perché era lì anche lui?
Tese di nuovo le orecchie. Non si sentiva nessun rumore. Forse Brondo si
era davvero sbagliato. Forse erano talpe o uccelli. Allungò di nuovo la mano,
ma, prima che potesse toccare l'amico, uno schianto riempì la notte, seguito da
uno strido e un tonfo. Rami e foglie volarono per aria, disperdendo le lucciole
e facendo involare un qualche uccello notturno.
«Te l'avevo detto!» urlò Brondo, precipitandosi verso la trappola.
Gnollo cercò di trattenerlo, ma l'altro era già al di fuori della sua
portata, sgambettando rapidissimo sull'erba intrisa di rugiada.
Molto poco da Grossipiedi anche quello, pensò Gnollo. Se era davvero un
Morsicante, quello che avevano preso, ce n'erano altri nelle vicinanze,
quindi si doveva correre verso il villaggio, svegliare gli anziani, dare
l'allarme.... nello stesso momento in cui formulava questi pensieri, Gnollo
correva dietro l'amico. Non si vedevano Morsicanti, quindi c'era la remota
possibilità che, nella buca, fosse finito qualcos'altro...
«Visto? Mi credi adesso?» annunciò Brondo, trionfante.
Gnollo lo raggiunse, esitante. Brondo aveva di nuovo acceso la lanterna. La
luce, improvvisa, gli dette fastidio e Gnollo dovette farsi schermo con la
mano.
La sagoma sul fondo della buca, dai piccoli occhi rossi e brillanti, il
viso da topo coi lunghi incisivi sporgenti, le grandi orecchie, il pelo irsuto,
era inconfondibile: un Morsicante.
Gnollo si guardò tutt'intorno, ma non vide nessuno. Per quanto incredibile
potesse sembrare, e per quanto tutti sapessero che i Morsicanti andavano in
giro in branco, quello era solo.
Brondo abbassò la lucerna verso la buca, ricevendone in risposta uno
squittio rabbioso, e lanciò un grido di sorpresa.
Gnollo imitò il compagno e, ancora una volta, deglutì quando si rese conto
che quella che avevano appena catturato era una Morsicante.
Poi i suoi occhi finirono di abituarsi alla luce e capì la vera ragione
dello stupore di Brondo.
Quella Morsicante era incinta.
«Rrrrrrummpppff» fece Hardo schiarendosi la voce e tirando un'altra boccata di
pipa. Cercava di darsi un'aria grave e indispettita, soffiando spettacolari boccate
di fumo che, nei suoi intenti, dovevano indicare profondità di pensiero.
In realtà nessuno, nella Casa Maggiore, ignorava che il Maggiorente Anziano
non sapesse che pesci pigliare.
«Rrrrummmppf. È una faccenda grave» ripeté per l'ennesima volta, come se
avesse scoperto un fatto che era sfuggito a tutti.
«Femmina o no, incinta o no, è una Morsicante» disse Oddo l’Oste. La
taverna del villaggio era chiusa, benché l'orario di apertura fosse trascorso
da un pezzo. Certo, c'era da scommettere che, dopo la fine della riunione,
tutti sarebbero andati a bagnarsi il gargarozzo, tuttavia... quando sarebbe
finita la riunione?.
«I Morsicanti viaggiano in gruppo»disse Garlisso. Faceva parte del
Consiglio dei Maggiorenti e qualcosa doveva pur dirla.
«Ma voi non avete visto nessuno» intervenne Oddo l'Oste.
«No signore»rispose Brondo.
«E la Morsicante non parla».
«No signore. Dice di essere sola. Be'... squittisce... lo sapete come
parlano i Morsicanti».
«Potrebbe essere una spia».
«Ma è incinta».
«Rrrumpf!» fece di nuovo Hardo, così forte che Benco, che sonnecchiava al
suo fianco, si svegliò. Era il più vecchio di tutti e il ruolo di Maggiorente
Anziano sarebbe spettato a lui, tuttavia nessuno ignorava che il povero Benco
era troppo anziano.
«Non può essere passata dalla Siepe» pigolò Benco. Una volta aveva una
bella voce tenorile, ma ora...«Lo stregone... lo Stregone Bruno, ecco, ha
lanciato sulla Siepe un incantesimo di Occultamento. Chi passa dall'altra parte
pensa che, da quella opposta, dove stiamo noi, non ci sia nulla di
interessante, e passa oltre. Lo Stregone Bruno ha assicurato che ci si
dimentica della Siepe prima ancora di avere finito di passarle davanti e...».
«Andava bene per gli Orchi, e per gli Uomini» tagliò corto Oddo «I
Morsicanti sono venuti dopo, Con loro non funziona».
Benco ebbe un moto di composta sorpresa e chiuse gli occhi, come per
riflettere. Dopo poco, dormiva di nuovo.
Hardo produsse uno sbuffo di fumo che non aveva nulla da invidiare a quelli
del focolare. «Rrrumpf!» bofonchiò «Occorrerà sentire il Parere del Re».
«Oh» fece Oddo «Non si sente parlare del Re da prima che nascesse il
bisnonno di Benco e tu vuoi chiedergli un parere?».
Fu come un segnale. Tutti i Grossipiedi presenti, che facessero parte o no
del Consiglio dei Maggiorenti, vollero dire la loro. Sembrava una versione
della Gara di Canto che chiudeva la Sagra del Fungo, ma molto meno divertente.
Hardo si zittì e Benco si svegliò un'altra volta. L'espressione sulla sua
faccia lasciava intendere che era molto seccato per il rumore di quella
gazzarra, ma non ne ricordava bene il motivo.
Durò finché Garlisso non riuscì a sovrastare la voce degli altri.
«Ma insomma, cosa abbiamo fatto ai Morsicanti quando hanno invaso il
Contado, nell'Inverno dei Lunghi Geli?».
Seguì qualche secondo di silenzio, come se la porta si fosse aperta e fosse
entrato un po' del Gelo di quel terribile inverno, quando i rami della Siepe si
erano strinati e gelati e un branco di Moriscanti aveva invaso il villaggio.
Tutte le facce si voltarono verso Benco, l'unico abbastanza vecchio da
ricordare quei tempi.
«Non essere troppo ansioso di dispensare morte e giudizi, giovane Garlisso»
disse l'anziano Grossipiedi «Persino i più saggi esitano».
Il silenzio proseguì e, per alcuni istanti, si udì solo il crepitio delle
fiamme.
Quando Hardo si schiarì la voce qualcuno in fondo alla sala tirò un sospiro
di sollievo.
«Rrrrummmppf. È una faccenda da ponderare». Fece una smorfia compiaciuta,
come se aver trovato quella parola difficile fosse un passo avanti nella
soluzione del problema. «L'ora della merenda è passata e penso che si possa
fare un salto alla taverna. A pancia piena si ragiona meglio. Tanto, la
Morsicante è al sicuro. ».
«Al sicuro, certo» brontolò Oddo l'Oste «Nella mia dispensa, con tanto
di sbarre … e io ho dovuto spostare i prosciutti».
«Quella serratura non è mai stata troppo solida, mi ricordo che tuo
padre...» disse Benco, ma poi si interruppe come se, al solito, non ricordasse
come erano andate esattamente le cose. O fosse meglio non ricordarlo.
«Già, sarà bene che qualcuno stia di guardia» fece Hardo, alzandosi.
«Hey, io non posso. Chi starebbe al banco, altrimenti?».
Hardo fissò Brondo. Stavolta la sua espressione era decisa. E ostile.
«Mmmmh. Rrumpf. Be'.... lui l'ha trovata e quindi tocca a lui» .
«Hey, amico, quand'è che mi accoppano?».
Brondo, seduto su un barile di farina, sbocconcellava una mela. Da sopra
giungeva il chiasso della taverna. Gnollo si era offerto di fargli compagnia,
ma Brondo aveva insistito perché salisse.
Da quella faccenda venivano solo grane e il giovane Grossipiedi non voleva
che...
«Allora?» insistette la Morsicante.
«Non credo che vogliano ucciderti. Intendono interrogarti».
«Cioè più balle racconto, più campo? E, nel frattempo, mi date anche da
mangiare?». Si indicò il ventre gonfio. La pelliccia era più folta che sul
resto del corpo. Presto avrebbe iniziato a strapparla per fare il nido.
«È vero che sono una dozzina?» chiese Brondo alludendo ai cuccioli.
«Solo quattro o cinque. Darete da mangiare anche a loro o li
affogherete? Uno più, uno meno... ne avete fatti fuori già tanti».
«Non è vero!» scattò Brodo. Era nato dopo l’inverno dei Lunghi Geli, ma se
fosse successa una cosa del genere lo avrebbe saputo. O no? «Siete voi
che ci avete invaso» aggiunse a voce più bassa.
«Io stavo solo scappando».
«E da cosa?».
«Dal Gran Gatto, da cosa sennò?».
Brondo aveva sentito abbastanza storie sui Morsicanti da sapere che “Gran
Gatto” era il nome che davano a tutto ciò che odiavano e temevano. La malattia,
la fame, la morte, i nemici...
«Non puoi essere più precisa?».
«A che servirebbe. A voi Grossipiedi non piace la verità. Ve ne state
chiusi nei vostri orti e tanto vi basta».
Brondo pensò ai pomeriggi che aveva trascorso sui rami più alti della
Quercia Storta, osservando le Terre Vaste.
«Gli Uomini vi hanno cacciato dalle vostre tane?».
La Morsicante proruppe in una risata come il raspare di una lima su una
sbarra di ferro. «Uomini! Ma sicuro! Dietro la vostra siepe che cosa ne potete
sapere del mondo esterno? A che vi serve? Basta che, da questa parte, tutto
vada nel solito modo, senza darvi troppo fastidio. Tutto un girare in tondo,
perché nulla cambi». Afferrò le sbarre della gabbia, le mani rosa ed unghiute
che spuntavano dalla pelliccia nera. «Non ci sono più tanti uomini come una
volta. Ah per un po' è stata una pacchia. Quelle grandi città piene di
leccornie... altro che i vostri villaggi di poveracci... o credi davvero che ce
ne stavamo lontani perché avevamo paura di voi?».
Brondo saltò giù dal barile, avvicinandosi alla cella. Gli occhi della
Morsicante saettavano qua e là come se avesse paura di scorgere qualcosa di
spaventoso negli angoli.
«Per un po' è stata una goduria. Ma poi abbiamo cominciato a morire. C'era
veleno nelle terre degli uomini. Senza odore, senza sapore, senza corpo... ma
veleno. Quello li aveva uccisi. E ora stava uccidendo noi. Ce ne siamo andati.
Più lontano che abbiamo potuto. Ma il Gran Gatto ci ha seguiti. Ammazza tutti.
Vecchi, giovani, maschi, femmine... e i nostri cuccioli». Si passò una mano
sulla pancia. A Brondo parve di scorgere qualcosa nei suoi occhi. Qualcosa che
non era solo fame, o paura. Si avvicinò.
«Vuoi davvero sapere qualcosa delle Terre Vaste,
Grossipiedi?» disse la Morsicante abbassando la voce.
Brondo si avvicinò ancora.
Abbastanza perché la Morsicante potesse afferrarlo per la giacca e
sbatterlo contro le sbarre due, tre volte, fino a fargli perdere i sensi.
«Per fortuna che hai la testa dura» disse Verbena alzandosi.
«Già, tutt'osso» convenne Garlisso «Ma come si fa ad avvicinarsi alla
gabbia con le chiavi attaccate alla cintola».
Brondo si mise a sedere, gemendo.
«E adesso, grazie a te, giovanotto, abbiamo una Morsicante che gironzola
per il Contado, pronta a divorare le nostre provviste».
Brondo pensò che la Morsicante sarebbe comunque penetrata
nel Contado, visto che il buco nella Siepe c'era già, quando lui l'aveva
catturata, ma stette zitto.
«“Pronta a divorare”...» mugugnò Oddo «Io ci ho già rimesso quattro
barattoli di conserve e sei forme di cacio».
Brondo si alzò in piedi, aiutato da Verbena. Durante la riunione del
Consiglio non l'aveva notata, come se la sua prodezza, la cattura della
Morsicante, non l'avesse colpita e la giovane Grossipiedi avesse preferito
starsene a casa. Adesso invece...
«Be'… rrrummmpfff» bofonchiò Hardo «Credo che ora, finalmente, vi renderete
conto che avevo ragione io: si deve chiedere il Parere del Re».
«Andare al Castello Reale? Non sappiamo neanche dove sia » protestò Brondo,
mettendosi in piedi. Barcollava un po', ma non andava poi così male.
«No, giovanotto» fece Hardo. Mise il cannello della pipa tra i denti, ma
non emise alcun sbuffo di fumo «Tu andrai fino al Castello. Tu ti
la sei fatto scappare la Morsicante? E poi ho bisogno di tutti i Grossipiedi
validi per darle la caccia. Qui, nel Contado».
«A quest'ora avrà già scodellato una ventina di Morsicanti, tutti affamati
come lei» pronosticò Garlisso.
Brondo cercò gli occhi di Verbena. Capì che, mentre lui era svenuto, aveva
cercato di prendere le sue difese e non c'era riuscita. Le donne Grossipiedi
avevano influenza sul Consiglio dei Maggiorenti, tramite i loro mariti, ma
Verbena non era sposata. Il suo spasimante aveva passato troppo tempo su un
certo ramo di una certa quercia, a guardare le Terre Vaste.
«Sono secoli che non si apre il Pertugio, non sappiamo come passare
attraverso la Siepe». Era stato Gnollo a parlare. Il buon vecchio Gnollo –
pensò Brondo. Senza dubbio anche lui aveva provato a difenderlo.
«Benco si ricorda dov'è. E rammenta anche l'incantesimo giusto» affermò
Hardo «Lo riaprirà lui».
«Sai cosa si dice del Castello Reale?» chiese Brondo. La Siepe era alle
loro spalle. Il Pertugio, dal quale erano appena usciti, non si vedeva. Gnollo,
accanto a lui, avrebbe dovuto recitare la formula magica per farlo riapparire.
Poi lui e Verbena sarebbero tornati nel Contado.
«Devi superare sette montagne, sette fiumi e sette pianure. La settima sarà
più grande e lì sorgono sette città. La settima è la più lontana e al centro si
trova la Capitale. Ma neanche allora sarà finita perché dovrai superare
sette cinta di mura e sette giardini. Al centro del settimo giardino si trova
il Castello Reale ed il Re abita nella settima torre e…. » Gnollo tacque,
avvilito «Dovrei venire con te. C'ero anche io quando abbiamo catturato la
Morsicante. Se non ti avessi dato retta e fossi rimasto nella dispensa della
taverna...».
«Sei salito perché sei mio amico. E devi restare per lo stesso motivo».
«E io perché dovrei restare? Perché sono una donna?» domandò Verbena. Il
fatto che avesse insistito per uscire con Brondo e Gnollo avrebbe causato un
po' di chiacchiere dall'altra parte della Siepe, ma lei non pareva farci caso.
«Per curare il nostro giardino. Non è questo che fanno i Grossipiedi?».
«Hey. Pensavo che toccasse a me occuparmi del... » protestò Gnollo, poi
tacque. Si era reso conto che l’amico aveva detto “nostro” giardino,
riferendosi a Verbena.
Brondo fissò l'orizzonte nebbioso. Da quel punto sembrava più vasto e
lontano di quanto gli fosse mai apparso dal ramo della Quercia Storta.
«Tu devi restare e trovare la Morsicante per primo, e quando l'avrai
trovata...».
Più remoto e misterioso, sì. E anche più minaccioso e meraviglioso.
«Quando l'avrò trovata?» chiese Gnollo.
Brondo ripensò allo sguardo della Morsicante. Quello che non era solo fame
o paura, ma anche… non sapeva cosa.
«Deciderai sul momento» rispose.
Una coppia di tordi volava sopra di loro. Il loro canto era diverso che
dall'altro lato della Siepe. Sembrava più sottile, incerto, sperduto in quel
cielo troppo grande.
Ma era lo stesso bellissimo.
«Ho passato tutta la vita nel Contado Grangiardino sognando di essere da
un'altra parte e adesso che devo lasciarlo non vorrei essere da nessun altra
parte che nel Contado Grangiardino» disse Brondo.
Sollevò un piede. Se avesse mosso un altro passo sarebbe uscito dal
Contando.
I tordi svolazzarono un altro po' sopra di loro, poi si allontanarono.
Brondo li guardò svanire.
Poi fece un passo in più.
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