Fattore ignoto

 


Al non avrebbe notato Chuck se non fosse stato lui a chiamarlo.
Negli ultimi tempi (tempi? Quali tempi? Mesi? Anni? No, anni, no, però...) era difficile incontrare gente per strada o nei parchi. Seduti su una panchina a godersi il tepore primaverile, poi…
«Vai a dare il tuo contributo all’Industria del Seme eh?» lo apostrofò Chuck agitando il braccio. Che scoperta. Un terzo dell’umanità lavorava per l’Industria del Seme. «Niente droni e fiale, eh?» proseguì Chuck «Vecchia scuola, eh?».
Al agitò un braccio in segno di saluto e proseguì accelerando il passo. Per un istante, per un solo, nostalgico momento aveva pensato di sedersi accanto all’amico, ma l’idea si era dissolta in un attimo. Le persone dal vivo erano così ingestibili. E poi erano… storte. Voci troppo alte o troppo basse, odori troppo intensi, nasi troppo lunghi o troppo corti, pelle troppo lucida... Era come portare su per le scale un pacco troppo pesante che continuava a sfuggire di mano. Fino alla prima rampa si poteva ancora dire a se stessi “posso farcela”, alla seconda ci si convinceva che non era stata una buona idea, alla terza si era certi che il dannato malloppo sarebbe finito a terra, sfracellandosi. Erano vent’anni che Al non portava pacchi su per le scale, ma rammentava bene com’era e non era un ricordo piacevole. Meglio lasciar fare a droni. robot e ascensori - a meno che non ci fosse stato un blackout improvviso e persistente, com’era successo appunto vent’anni prima. E meglio incontrare le persone nel virtuale. Anche i vecchi amici. Soprattutto i vecchi amici.
Giunse al Centro del Seme con cinque minuti di ritardo rispetto all’orario previsto. E molto più stanco.
Si chiese se la fatica avrebbe influito sulla qualità del prodotto? Ma no… e in ogni caso ci avrebbero pensato Loro. La prossima volta, però, avrebbe fatto ricorso a droni e fiale e tanti saluti a Chuck.
La receptionist – un ologramma, naturalmente – lo accolse con un sorriso suadente e un po’ della fatica svanì . Al appoggiò un occhio allo scanner che gli controllò la retina; a controllo compiuto, l’immagine della receptionist gli indicò la cabina numero uno sporgendosi quanto bastava per fargli notare che, nel frattempo, la scollatura si era allargata di un paio di bottoni. Era un effetto previsto, ovviamente, ma funzionava: Loro non raccoglievano dati per niente e le informazioni che arrivavano dalla parte più primitiva del cervello, là dove stavano le preferenze sessuali, erano le più attendibili.
Al si diresse alla cabina numero uno. I suoi passi rimbombavano nella sala deserta, ma lui cercò di non farci caso: sarebbe stata una distrazione e avrebbe potuto influire negativamente sulla quantità e sulla qualità del seme.
Quando, però, a cose fatte, gettò uno sguardo sul liquido lattiginoso dentro la provetta, si convinse che tutto era andato per il verso giusto.
Le sue certezze, tuttavia, svanirono nel momento in cui, uscito dalla cabina, vide che alla reception non c’era più l’ologramma.
C’era uno di Loro, invece.
Un Grigio.
Fu colto dall’impulso di fuggire a gambe levate, ma lo represse. Sarebbe stata una pessima idea.
Dopotutto, che cosa avrebbe potuto essere andato male? Una malattia? Spermatozoi troppo lenti o troppo pochi?
Decifrare l’espressione del Grigio era, come sempre, impossibile. Una faccia con un taglietto al posto della bocca, due forellini al posto del naso e due buchi più grandi, appena un po’ iridescenti, al posto degli occhi, non poteva avere un’espressione.
«Venga, Signor Jones, c’è da firmare il modulo». La voce sembrava una sintesi vocale cui erano stati disabilitati gli effetti empatici.
L’istinto di fuga si rifece vivo e, di nuovo, Albert Jones lo represse. Non fu difficile. Appena lette le prime righe del modulo, un altro istinto aveva preso il sopravvento: quello di lotta.
«Ehi, ehi» disse Al a voce più alta di quanto un Grigio fosse disposto a tollerare (e senza curarsene) «qui c’è scritto che io ho diritto ancora a dieci prelievi: cos’è questa storia? Io ho diritto a cento prelievi. Come minimo». L’Industria del Seme pagava dieci crediti a prelievo. Cento prelievi equivalevano a un anno senza preoccupazioni economiche.
«Non si preoccupi, Sig, Jones» disse il Grigio, ignorando – o volendo ignorare – che Al non era più preoccupato «Non c’è niente che non vada nel suo sperma. Volume, mobilità, numero degli spermatozoi inizieranno a decrescere solo tra cinque anni, ma...».
Prima dell’arrivo dei Grigi, quando lavorava all’Ufficio Reclami di una multinazionale, appeso alla parete alle spalle di Al c’era un cartello: “Tutto quello che c’è prima del ‘ma’ non conta”.
Fu come se quel cartello fosse ricomparso, in forma di scritta luminosa, sopra la testa calva e ovoidale del Grigio.
«Siamo giunti alla conclusione che il Progetto Noè non sia più sostenibile» concluse il Grigio.
«Il...»
«Progetto Noè. È quello a cui lavora l’Industria del Seme. Non ricorda?».
«Oh.. sì… naturalmente» il fatto era che c’erano cose più importanti cui pensare. Anche adesso ce n’era una, e maledettamente importante, pure: di cosa avrebbe campato Al una volta che l’Industria non avesse erogato più crediti? “Non più sostenibile”… Cosa voleva dire? Era possibile una trattativa? «Ma perché...» chiese.
«Vuole sapere, vero?» domandò il Grigio «Le costerà dieci crediti, però». Dieci crediti. Un intero prelievo. Ci avrebbe campato per un mese e più. Al suo tenore di vita attuale, almeno. Però, se ne avesse saputo di più… dopotutto, ai suoi tempi, Al Jones aveva una certa esperienza in reclami e trattative.
«Le dispiace se ne parliamo fuori?» chiese il Grigio.

Loro, i Grigi, amavano l’aria aperta, era risaputo, tuttavia Al non ne fu pienamente consapevole se non dopo aver osservato il suo interlocutore starsene zitto per un minuto intero, seduto a un tavolino, con davanti un bicchiere di acqua zuccherata, il collo esile, ma abbastanza forte da sostenere quel testone sproporzionato reclinato all’indietro.
Scrutando gli occhi neri del suo interlocutore appannarsi (i Grigi non avevano palpebre, ricordò: al loro posto c’era una membrana fotosensibile come un paio d’occhiali fotocromatici impiantati nelle orbite) Al Jones non era più certo che i Grigi fossero completamente privi di espressione: il suo commensale, per esempio, sembrava decisamente soddisfatto. E non per i dieci crediti che aveva spillato ad Al quale corrispettivo per la conversazione.
«Ebbene» disse il Grigio riportando l’attenzione su Al «Lei ricorderà le varie teorie su di noi: sulla nostra natura, la nostra provenienza...».
«Be’, io...» per alcuni anni non si era parlato d’altro, ma ormai i ricordi di Al erano confusi. Uno solo era chiaro e nitido: tutto d’un colpo, l’argomento non aveva interessato che un insignificante gruppuscolo di capoccioni. Quando una specie aliena prende le redini del comando e scongiura guerre nucleari e catastrofi ambientali e poi, a poco a poco, si occupa di tutta un’altra serie di faccenduole per cui, alla fine, a due terzi dell'umanità non resta che ricevere la paghetta settimanale, mentre il restante terzo viene pagato molto di più solo per masturbarsi in una tazzina (ok, per il gentil sesso era un po’ più complicato, ma non era il caso di cercare il pelo nell’uovo), non è il caso di farsi troppe domande. Di più. Probabilmente non è igienico farsi troppe domande.
«Già, dimenticavo. Troppo Fortnite» disse il Grigio. Fortnite? Ah già, Loro avevano tutti i dati. Ed era una nota di compatimento, quella nella voce del Grigio? Che cosa avevano i Grigi contro i videogame? «La levo dall’imbarazzo» proseguì l’altro. «Noi non siamo alieni. In effetti, lei potrebbe essere un mio bis bis bis bisnonno».
La teoria dei Pronipoti, come no. Ora ricordava. Rammentava anche alcuni argomenti a sostegno della tesi: la difficoltà dei viaggi interstellari, il fatto che i presunti extraterrestri fossero sempre e comunque umanoidi: una testa, due braccia due gambe… d’altra parte, viaggiare nel tempo…
«I viaggi nel tempo, anche se sarebbe più corretto dire nello spaziotempo, sono estremamente ardui. Rischiosi, difficili, dispendiosi» continuò il Grigio come se gli avesse letto nel pensiero (che nel futuro gli esseri umani sviluppassero capacità telepatiche?) «Si deve raggiungere una velocità prossima a quella della luce, scomporre in quanti la materia e ricomporla una volta giunti a destinazione. Non si contano i veicoli disgregati al momento della rimaterializzazione, né quelli che sarebbe stato meglio che non si riaggregassero affatto, per quel che ne è venuto fuori. Per non parlare del costo energetico. Per trasportare un veicolo a metà XX secolo, quelli che allora si chiamavano “dischi volanti”, è necessaria una quantità di energia pari a quella prodotta dall’esplosione di una supernova. Un’attività di questo tipo, se praticata su vasta scala, può compromettere l’equilibrio gravitazionale della Galassia. E confesso che ci siamo andati molto vicini. Ma allora pensavamo ne valesse la pena».
«Ora però avete smesso. Gli ultimi Ufo sono apparsi nel...».
«2050. Non si può andare avanti e indietro nel tempo senza una quantità sufficiente di energia, proprio come un’auto non può viaggiare se non ha abbastanza carburante... le dispiace se mi metto comodo?».
Malgrado la loro predilezione per la vita all’aria aperta, i Grigi erano molto sensibili alle condizioni ambientali e solitamente indossavano una sorta di camicione autotermoregolante lungo fino ai piedi. Appena però la temperatura, l’umidità e il vento, al quale erano particolarmente sensibili, lo permettevano, se lo levavano e tutto ciò, con quel loro corpo esile, cinereo, completamente asessuato, li faceva apparire molto meno umani, pronipoti o no.
Il Grigio non attese risposta, togliendosi l’indumento con un sibilo di soddisfazione. Al si chiese se dovesse pensare al suo interlocutore come a un “lui” o una “lei” e un pensiero piuttosto spiacevole si affacciò alla soglia della sua coscienza per essere ricacciato subito indietro. C’erano altre questioni da affrontare, prima.
«Non si può viaggiare a piacimento in qualunque punto del tempo» ripeté il Grigio «C’è una finestra temporale a cinquecento anni dal punto di partenza, ampia duecento anni, diciamo da circa il 1850 a circa il 2050. Al di là e al di qua di quella finestra l’energia necessaria per il viaggio aumenta esponenzialmente e, in breve, diventa praticamente infinita. Inoltre, giunti a destinazione, non si può far altro che tornare indietro. Non è possibile usare il punto di arrivo come nuovo punto di partenza».
«E gli Ufo di cui si trova traccia in reperti e cronache più antiche?».
«Pareidolia».
Al si domandò che cosa volesse dire e decise che non era importante. «Sicché voi venite dal 2500, più o meno» disse.
«Un colpo di fortuna in cui abbiamo sperato molto, anche se, purtroppo, non siamo stati abbastanza fortunati».
«E che cosa ci fate qui?».
Per tutta risposta, il Grigio si alzò, allargò le braccia e ruotò lentamente su se stesso, facendosi osservare ben bene. Era come guardare un bizzarro manichino, o un pupazzetto, su una pedana girevole. «Non è evidente?».
Cinquecento anni pensò Al solo cinquecento anni mi separano da questa… cosa. «Mi sta dicendo che… i rapimenti, le adduzioni...».
«Oh, andiamo» disse il Grigio sedendosi «crede davvero che una razza in grado di viaggiare nello spaziotempo, sia pure con i limiti che le ho detto, non sia in grado di risolvere il problema della fertilità? Io mi sono autoclonato già tre volte, ogni volta impiantandomi i ricordi dell’esistenza precedente e, già che c’ero, apportando alcune migliorie genetiche».
«Ma allora?».
Il Grigio girò la testa di lato e, di colpo, ad Albert Jones sembrò molto umano, forse perché aveva trascorso un po’ di tempo con lui e ne comprendeva meglio il linguaggio o forse per quello che aveva detto: “lei potrebbe essere il mio bis bis bis bisnonno”. Il suo commensale era imbarazzato. Di più, era triste. Incommensurabilmente triste. Lo sconforto di chi prende atto della propria sconfitta. Dell’irrimediabile disfatta di un’intera specie.
«È difficile da spiegare» ammise il Grigio «Ha a che fare con la Singolarità».
«La singolarità?» ripeté per l’ennesima volta a pappagallo Al. C’erano stati troppi concetti da assimilare nelle ultime ore e la testa iniziava a dolergli come un atleta fuori forma costretto a partecipare a una gara.
«Noi la chiamiamo così per semplicità» spiegò il Grigio «in realtà ce ne sono state molte: la rivoluzione neolitica, la scrittura, la rivoluzione industriale…. Ma la Singolarità per antonomasia è, per noi, la scoperta dell’Intelligenza Artificiale. Una visione un po’ di parte, suppongo, ma tant’è».
Tornò a guardare Al. «Non è facile cambiare il tempo. C’è un principio d’inerzia. Proprio come non si può spostare un oggetto nello spazio senza applicare una sufficiente quantità di forza, non si può mutare il corso degli eventi senza introdurre cambiamenti molto significativi. Se non accade, gli eventi rimangono nel loro stato di quiete o, ben presto, tornano a muoversi lungo la linea temporale iniziale. Non basta uccidere Hitler in culla per evitare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale… e non mi chieda se qualcuno ci ha provato».
«Ma se accade? Se il cambiamento è abbastanza notevole? Se si applica una sufficiente quantità di forza?».
«In questo caso si crea una linea temporale alternativa che però spesso torna a confluire in quella di partenza; per tornare all’esempio di prima, in molti universi paralleli è Stalin a scatenare la Seconda Guerra mondiale, negli anni ‘50 del XX secolo, in qualche altro il Giappone. In altri casi invece, anche se non ne abbiamo le prove, pensiamo che l’universo parallelo continui a vivere una vita propria, del tutto alternativa a quella dell’universo madre. Ma non è questo il punto».
Il cartello fantasma apparve di nuovo sopra la testa del Grigio: “Tutto quello che viene prima del ‘ma’ non conta”.
«Il punto» andò avanti il Grigio «è che ci sono alcuni eventi che si verificano sempre. La scoperta del fuoco, della ruota, della scrittura, la rivoluzione industriale… non abbiamo osservato universi in cui non sia accaduto. Possono cambiare le circostanze di tempo o di luogo, ma non sono che accidenti».
«E l’Intelligenza Artificiale?».
«Viene sempre creata. La mia teoria è che il viaggio nel tempo sia stato possibile solo grazie alla IA e che l’inghippo stia lì, ma non è che una teoria».
«E tutto questo che cosa ha a che fare con...» il pensiero di prima, il pensiero molesto, si stava riaffacciando alla coscienza di Al, ma stavolta ricacciarlo indietro era molto più difficile.
«Ben presto» disse il Grigio «mi creda, molto prima di quanto lei pensa, l’umanità non potrà fare a meno dell’intelligenza artificiale. Sarà costretta a ricorrervi, anche coloro che non vogliono. Senza IA, per esempio, i cambiamenti climatici porteranno l’umanità all’estinzione e, chissà, in qualche universo parallelo potrebbe essere avvenuto».
«Ma non ci limiteremo a quello, vero?».
I Grigi non piegavano mai quel taglio senza labbra che avevano come bocca. I loro muscoli masticatori erano quasi completamente atrofizzati, tanto che non potevano mangiare nulla di più solido di un budino. E naturalmente non sorridevano. Ma Al ebbe la netta sensazione che il Grigio stesse sogghignando.
«Mi permetta di citarle un romanzo del XX secolo. “I computer non sono nati perché l’umanità non poteva vivere senza vedere delle palline rincorrersi in un labirinto”. Vendere e comprare, interfacciarsi con le apparecchiature domotiche, le relazioni coi nostri simili, monitorare la salute. La vita sarà praticamente impossibile (alcuni gruppi marginali non contano e non spostano la questione) senza l’IA. La maggior parte degli esseri umani, una percentuale tra l’ottantacinque e il novantasette per cento, installerà una IA dentro il proprio stesso corpo. Ma questo altererà il nostro DNA».
Al non poté trattenersi dallo sbirciare le parti basse del Grigio, ora pudicamente coperte dalle gambe accavallate anche se non c’era nulla da nascondere.
«Oh sì, anche questo accadrà molto in fretta» fece il Grigio indicando l’inguine «pensi che alcuni, per così dire, accelereranno i tempi… ma non entro nei dettagli dell’operazione anche se li avrà già intuiti. In pochi decenni, grazie alla IA, potremo creare delle copie digitali di noi stessi – non sarà difficile con il giusto chip impiantato nel cervello – e installarle in un clone del nostro corpo, ovviamente con le giuste migliorie. O addirittura in un cyborg, anche se nei primi tempi sarà vietato. In pratica, la vita eterna. Solo che, dopo qualche altro decennio...».
«Altre anomalie genetiche?».
Il Grigio fece di no con la testa. «Semplicemente, abbiamo cominciato a chiederci perché farlo. Come si dice: “L’uomo aspira all’eternità, ma poi non sa che cosa fare in una fine settimana di pioggia”».
Al non l’aveva mai sentito dire, ma aveva il sospetto che fosse maledettamente vero.
«Insomma… se c’è qualcuno che pensa a tutto al posto tuo… semplicemente; perché fare qualcosa? Fare qualunque cosa? E anche il virtuale, quello che vi piace tanto… che ancora vi piace tanto… presto ci verrà a noia, anche se so perfettamente che a lei, ora, sembra impossibile».
Un passero si posò sul tavolino, si guardò intorno alla ricerca di una briciola che non c’era e volò via.
«Nel tempo da cui provengo la percentuale dei suicidi prima dei trent’anni è del settantacinque per cento» concluse il Grigio. «Ci stiamo estinguendo»
«Per questo siete tornati indietro. Per cercare di invertire il processo».
«Salvare la razza umana era l’unico obbiettivo per cui valesse la pena tentare il viaggio nel tempo. Investimenti titanici in ricerca, tempo, energia, denaro. Miliardi di miliardi di ovuli e spermatozoi sottoposti a decine di miliardi di tentativi. Abbiamo consumato una quantità di risorse tale da pregiudicare l’esistenza della razza umana nel futuro da cui provengo, ammesso e non concesso che a coloro che sono rimasti laggiù importi ancora qualcosa e non vedano il tutto come una specie di liberazione».
«Ma avete fallito».
«Oh, abbiamo creato umani del XX e XXI secolo nel XXVI – e mi lasci dire che non è stata una buona idea, soprattutto per loro. Abbiamo innestato DNA arcaico (niente di personale, non se la prenda) in soggetti nostri contemporanei. Siamo riusciti a creare cloni con caratteristiche ataviche (noi vi definiamo così). Il nostro più grande successo è stato far riapparire, in individui del XXVI secolo, gli organi riproduttivi» si chinò in avanti, appoggiando le esili braccia al tavolino «ma non c’è stato nulla da fare. C’è sempre quella domanda: “perché”, senza nessuna risposta. Nei mesi che ho trascorso qui probabilmente il tasso dei suicidi è aumentato di cinque punti percentuali. L’umanità ha creato una società e un mondo in cui essa stessa non ha possibilità di sopravvivenza».
Ad al venne in mente di dire “mi dispiace”, ma non ci riuscì e forse era un bene. “Mi dispiace” era un po’ poco come commento per l’estinzione della razza umana.
Il Grigio si appoggiò allo schienale della sedia «Alla fine abbiamo deciso di interrompere l’esperimento “Noè”, di smettere di trafficare con la genetica e i viaggi nel tempo e di cercare di salvare quello che rimane dell’umanità nel tempo che le rimane e che essa stessa ha determinato. Anche se ormai è tardi».
«E lei tornerà indietro? O avanti. Al suo tempo, insomma».
«No. Invierò gli ultimi crediti e gli ultimi dati nel futuro e rimarrò qui a chiedermi che cosa non ha funzionato. Probabilmente è questo che mi tiene in vita».
«Non so perché, ma credo che abbia una teoria in proposito».
Di nuovo quell’accenno di sogghigno. O di ciò che ne faceva le veci. «Non è una mia teoria e temo che abbia ben poco di scientifico, ma è l’unica che abbiamo».
«E sarebbe?».
«Il concetto di base è che, nel processo evolutivo degli ultimi cinque/seicento anni – in quelli che ci separano dal mio tempo, cioè – l’umanità abbia perso qualcosa. Qualcosa che ha a che fare col patrimonio genetico o con le strutture sociali, ma che non si esaurisce in esse. È connessa all’istinto di sopravvivenza, di perpetuazione della specie, alla coscienza e all’autocoscienza, ma anche alle modalità con cui ci si rapporta agli altri, all’ignoto, alla curiosità - la stessa curiosità che l’ha spinta a rinunciare a dieci crediti per ascoltare questa storia – alla compassione per i propri simili e persino per coloro che non sono i propri simili e che anche io ho avvertito, poco fa. Ha a che fare con tutto questo e con un sacco di altre cose di cui non ho, né probabilmente mai avrò, idea».
«E sarebbe?».
«Io la chiamo “fattore ignoto”; mi sembra più accettabile di altre definizioni più antiche e imprecise, per esempio “anima”».
Il Grigio tacque e Al non trovò nulla da dire.
Il sole era finito dietro il palazzo e il tavolino era all’ombra. La temperatura si era abbassata. Il Grigio prese il camicione e lo indossò di nuovo.
Al si alzò e lo guardò. Rimase un attimo incerto, poi gli rivolse un cenno di saluto. Il Grigio gli rispose con lo stesso cenno, ma più lento, più rigido. Dai suoi strani occhi neri nulla traspariva.
Al tornò verso casa. La temperatura si era abbassata e, sulla panchina su cui, prima, aveva incontrato Chuck, non c’era nessuno. Anche il parco sembrava deserto.
Alzò gli occhi al cielo e vide avvicinarsi alcune nuvole che annunciavano pioggia.
Questo era il brutto della vita all’aria aperta: si era soggetti ai capricci del tempo. Chissà come mai ai Grigi piaceva. Loro erano gente strana, comunque.
Camminando, cercò di riorganizzare le idee.
Loro erano gente che veniva dal futuro ed erano tornati indietro nel tempo per cercare di salvare la razza umana nell’epoca da cui provenivano.
La sorte dell’umanità, tuttavia, non era tanto facile da modificare perché, qualunque fosse lo sviluppo della Storia, certi eventi si ripetevano sempre e comunque.
In ogni caso, nessuna specie, proprio come nessun individuo, era destinato a vivere in eterno e cercare di raggiungere l’eternità era proprio ciò che avrebbe condotto alla fine la razza umana.
Un bel pasticcio, pieno di paradossi temporali.
Avrebbe potuto pensarci quella sera, al riparo dalle prime gocce di pioggia che già cadevano e da quel fastidioso vento primaverile.
Oppure avrebbe potuto navigare in rete e giocare a Fortnite.
 














Fattore ignoto (2025) di Rubrus

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