Scrittura creativa, dibattiti
e suggerimenti di lettura
“Credo sia cominciato tutto molto prima di quella sera, ma è in quell’occasione, sì, forse proprio in quella che ho cominciato ad avvertire l’altro…
Devo, tuttavia, soffermarmi bene sui prodromi di questa cosa. Almeno quel tanto da raccogliere del buon materiale scritto, semmai la cosa dovesse proprio degenerare a tal punto da costringermi a una specie di ricostruzione psichica, magari con l’aiuto dell’analista.
Il tizio, il presentatore del telegiornale sorrideva. Perlomeno, così mi sembrò. C’era questa donna giovane, nel servizio, con in braccio il suo bambino ferito dalle esplosioni. Gridava come una pazza, piangeva.
E lui era ritornato in video subito dopo, silenzioso, ma con quel mezzo ghigno o movimento nervoso delle labbra. Pensai che fosse qualcosa di trattenuto, troppo inadeguato, che avrebbe potuto esplodere in una risata da un momento all’altro. Infatti, subito dopo tossì, si portò una mano davanti alla bocca come per mascherare il tutto.
Commentò, poi, facendo appello a tutte le sue forze per trattenersi, credo, presentando le posizioni del leader responsabile di quel massacro. Quello che definiva molti di quei documenti filmati come delle messe in scena, montature per demonizzare la sua guerra rivolta, invece, solo a colpire obiettivi militari. Pensai, allora, che doveva essere proprio un’ottima, strepitosa commediante quella donna e risi anch’io. Una escalation di demenziale, ignobile e orrenda ilarità m’invase. Pure al bambino lo avevano truccato bene, pensai, con quella ferita sulla tempia, il sangue che gli usciva dall’orecchio. E sembrava proprio privo di sensi.
Nella giornata successiva ripensai più volte a questo, alla fabbrica, mentre lavoravo alla saldatura di piastre e circuiti per computer e tutti gli altri maledetti aggeggi dotati di scheda elettronica.
Ci ripensai con la stessa, ignobile ilarità; silenzioso, però, preoccupato e sgomento di non riuscire a eliminarla. La guerra era, era… Perdio!... Poteva essere così vicina, grave, devastante. Poteva raggiungerti, improvvisa, folle, come un missile che ti passa da parte a parte o dritto nel cuore. Poteva portarti via tutto, insomma, ed io continuavo a trovarla divertente. Com’ero riuscito a raggiungere un simile abisso, mi chiesi, diventare da un giorno all’altro un tale orrore?
«Sono tutti così.» mi rispose la voce.
Potevo sentirla così vicina, calma e suadente,.
«Chi, cosa??!» farfugliai, girandomi attorno spaventato.
Loretta, una collega, mi stava fissando.
«Tutto bene?» chiese.
«Oh… Sì. Credo mi sia partita una telefonata.»
Tirai fuori dal tascone del camice lo smartphone per fingere di controllare, in modo da dare una giustificazione al mio strano comportamento.
«Ma che t’importa?» riprese quello. Capii che stava dentro… Nella mia testa, anche se pareva di sentirlo davvero.
«Lascia che pensi quello che vuole! A lei piace trovare qualcosa di ridicolo o inappropriato negli altri di cui poter poi zabettare con le sue amiche.»
«Hmmm…» o qualche altro strano verso, credo di aver mugugnato, strozzando con efficacia un altro commento di sorpresa.
«… è una maledetta schifosa.» aggiunse poi, secco e malevolo, quello.
Decisi di staccare e tornarmene subito a casa.
Arrivato nel mio appartamento, mi lavavai, misi un abbigliamento più comodo e, bello sprofondato nel divano, cercai alla tv notizie sul conflitto in corso.
Avevo bisogno di assistere ad altre scene di devastazione e violenza.
Sulle prime, tuttavia, non compresi che era davvero solo questo a muovermi. Pensai fosse un’azione automatica come un’altra. Soltanto quando vidi che nulla riusciva ad appagare la mia curiosità lo capii. Capii che qualcosa in me stava cambiando, che era davvero sbagliata.
Mi collegai, alla rete, allora [...]”
CONTINUA…
MAURO: Mi permetto di sciropparvi un pezzettino del bellissimo libro di
Galimberti "Il libro delle emozioni", dove trovate altre ottime e
puntuali riflessioni sul mondo web:
"Non reagiamo più, perché i media ci offrono uno scenario di accadimenti che oltrepassa la nostra capacità di percezione emotiva. “Il troppo grande ci lascia indifferenti,” scrive Anders.
E allora, per non toccare con mano la nostra impotenza a modificare il corso delle cose, rimuoviamo l’informazione. Neppure emotivamente, quindi, siamo al altezza dell’evento “tecnica”.
Ancora una volta tocchiamo con mano che la tecnica non è più un mezzo a disposizione del l’uomo, ma è il mondo, abitando il quale anche l’uomo subisce una modificazione, per cui la tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove, come ci avverte Anders, la domanda non è più “che cosa possiamo fare noi con la tecnica”, ma “che cosa la tecnica può fare di noi”."
È pertanto fondamentale non farsi usare da un medium diventato mondo, “Se non siamo in grado di guidare il nostro destino, non per questo dobbiamo rinunciare a sorvegliarlo.”
E a non farsi usare dai suoi tempi, ma dobbiamo essere noi a dettare i nostri tempi al medium/mondo. Non è facile, ma con una buona gestione delle forze e delle azioni e dei pensieri si può fare, da parte di ognuno di noi.
Dagli scrittori dei secoli precedenti ho imparato che in questo campo bisogna dare per scontato che il nostro destino personale sia inadeguato alle nostre speranze private; e questo ancor di più approcciandosi a un mondo/medium senza fondamento come il web.
Ripeto in estrema sintesi: bisogna usarlo e non farsi usare.
RUBRUS: Secondo me, si deve smetterla con questa idolatria dell'emozione. Le
emozioni sono importanti, ma: a) non sono tutte positive b) non sono affidabili
c) non hanno una prospettiva di lungo periodo. Animum rege, qui, nisi
paret, imperat. Sono solo sensazioni soggettive, spesso sopravvalutate
e che inducono a ritenerci il centro del mondo quando, in realtà, non lo
siamo, o a essere autoreferenziali - con l'evidente e immancabile risultato di
rimanere delusi.
Essere realisti è molto più difficile che lasciarsi prendere dall'emozione che ti porta, in un batter d'occhio, dalle stelle alle stalle e viceversa più volte.
FABIO: Ah, be’!...
Verissimo, Roberto. Quando riuscirò a liberarmi dalle emozioni o brame avrò
sicuramente raggiunto il Nirvana o uno stato di pace assoluto, e credo che di
nulla m’importerà ricevere attenzioni. Ancora non ci riesco ad essere così
razionale e robotico, però. Esiste un racconto o romanzo che tratta di questo? Cioè
di qualcuno che tenta di staccarsi progressivamente dalle sue emozioni fino a
diventare una specie di sasso, computer o qualcos’altro del genere?
MAURO: In fantascienza non so, ma ne "la Metamorfosi" di Kafka la
mutazione in insetto è una progressiva marcia psicofisica del personaggio
Gregor Samsa nell' alienazione completa all'interno della sua famiglia
e della società, che si traduce nell'isolamento del “diverso” che Gregor
diventa piano piano, e nell'incomunicabilità, alla fine totale, con i propri
simili.
Per me, nessun racconto weird -e questo di Kafka lo è-
potrà mai battere questo capolavoro terribile.
RUBRUS: Be', direi che quasi tutto Asimov afferma che la
ragione deve guidare e controllare l'emozione. Asimov lo afferma a livello
sociologico, nel momento in cui racconta il Piano di Seldon, volto a preservare
conoscenza e raziocinio nei secoli successivi alla caduta dell'Impero. Idem il
ruolo svolto dai robot (pensiamo a Daneel Olivaw) nel ciclo omonimo. Parimenti,
nel Jekyll e Hyde, Utterson è uno che domina il proprio lato dionisiaco,
laddove Hyde vorrebbe semplicemente lasciarlo andare impunemente,
allontanandolo da sé.
La frase latina che citavo sopra appartiene a Orazio, che la riferisce all'ira ma che penso possa adattarsi a qualunque forte passione.
Kafka secondo me mostra un qualcosa di diverso e cioè la tragedia dell'uomo al di fuori del ciclo produttivo e dell'ordine sociale e familiare, che da esso è indistinguibile. La trasformazione di K. in insetto altro non è che la raffigurazione dell'uomo - ingranaggio che rende palese la propria natura ed è isolato per questo. Siamo tutti ingranaggi, o insetti, sotto la superficie, solo che non vogliamo saperlo. K -insetto è isolato perchè non serve e perchè mostra questo "scandalo". Nel momento in cui qualcuno, la sorella, prende il suo posto, può morire. In tutto questo, però, l'emozione contrapposta alla ragione non c'entra. Sia K sia chi lo circonda (capufficio, familiari ecc) parlano lo stesso linguaggio: non c'è dialettica tra mente e corpo. Il corpo - di un insetto - rende evidente che egli stesso parla la lingua della mente.
MAURO: Leggendo le sempre
accattivanti disamine di Roberto, pensavo ad una nuova possibile storia da
scrivere, dal titolo -variando Orazio -:
Computer rege, qui, nisi paret, impera. Vale a dire una combinazione tra Asimov e Kafka: gli uomini ridotti ad androidi/smartphone da un sedicente Piano Qualcosa elaborato da un altro sistema cibernetico Hal 3000 o Mother III Millennium.
Al cinema, pensandoci Fabio, la situazione che descrivi sta nell'alleanza dell'androide Ash e del computer Mother per rendere tutti gli umani della Nostromo (qua Ridley cita Conrad) insetti alieni.(Ridley cita Kubrick, migliorandolo in adrenalina)...ma, per come la vedo, sarebbe ancora narrativa distopica, e davvero in vita mia ne ho letta e vista nella realtà troppa, come ben dice Rub nell'ultimo video.
Abbiamo bisogno di narrativa utopica di nuova maniera...più pragmatica e meno idealistica.
FABIO: A me piace più l’idea di un tizio che lavora su se
stesso (magari attraverso la meditazione o forme coercitive che, sì, potrebbero
richiedere anche l’uso della tecnologia o dell’informazione), proprio come
spiegavo stimolato dalle osservazioni di Roberto, tanto da arrivare a privarsi
delle emozioni. Sarebbe interessante, credo, riuscire a tradurre tutto questo
in un racconto (potremmo anche scriverlo assieme).
Immaginate
questo individuo che, sopraffatto dal dolore o dalla confusione in cui viene a
trovarsi nel suo mondo (sia esteriore che interiore), comincia tale percorso.
Immaginate come si possa farlo diventare un tale mostro, totalmente assuefatto o indifferente al dolore e alla follia del mondo che lo circonda. Potrebbe venirne fuori una storia, ragazzi?
MAURO: Sì, molto
bello il tuo punto di vista creativo, Fabio, l'avevo già intravisto all'inizio
della conversazione.
Qualcosa che sancisce l'ormai conclamata
disfunzionalità della New Age. Vale a dire, con tecniche disciplinari e
ipertecnologia voglio rendermi oltreuomo e invece divento ultraingranaggio.
"Non reagiamo più, perché i media ci offrono uno scenario di accadimenti che oltrepassa la nostra capacità di percezione emotiva. “Il troppo grande ci lascia indifferenti,” scrive Anders.
E allora, per non toccare con mano la nostra impotenza a modificare il corso delle cose, rimuoviamo l’informazione. Neppure emotivamente, quindi, siamo al altezza dell’evento “tecnica”.
Ancora una volta tocchiamo con mano che la tecnica non è più un mezzo a disposizione del l’uomo, ma è il mondo, abitando il quale anche l’uomo subisce una modificazione, per cui la tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove, come ci avverte Anders, la domanda non è più “che cosa possiamo fare noi con la tecnica”, ma “che cosa la tecnica può fare di noi”."
È pertanto fondamentale non farsi usare da un medium diventato mondo, “Se non siamo in grado di guidare il nostro destino, non per questo dobbiamo rinunciare a sorvegliarlo.”
E a non farsi usare dai suoi tempi, ma dobbiamo essere noi a dettare i nostri tempi al medium/mondo. Non è facile, ma con una buona gestione delle forze e delle azioni e dei pensieri si può fare, da parte di ognuno di noi.
Dagli scrittori dei secoli precedenti ho imparato che in questo campo bisogna dare per scontato che il nostro destino personale sia inadeguato alle nostre speranze private; e questo ancor di più approcciandosi a un mondo/medium senza fondamento come il web.
Ripeto in estrema sintesi: bisogna usarlo e non farsi usare.
Essere realisti è molto più difficile che lasciarsi prendere dall'emozione che ti porta, in un batter d'occhio, dalle stelle alle stalle e viceversa più volte.
La frase latina che citavo sopra appartiene a Orazio, che la riferisce all'ira ma che penso possa adattarsi a qualunque forte passione.
Kafka secondo me mostra un qualcosa di diverso e cioè la tragedia dell'uomo al di fuori del ciclo produttivo e dell'ordine sociale e familiare, che da esso è indistinguibile. La trasformazione di K. in insetto altro non è che la raffigurazione dell'uomo - ingranaggio che rende palese la propria natura ed è isolato per questo. Siamo tutti ingranaggi, o insetti, sotto la superficie, solo che non vogliamo saperlo. K -insetto è isolato perchè non serve e perchè mostra questo "scandalo". Nel momento in cui qualcuno, la sorella, prende il suo posto, può morire. In tutto questo, però, l'emozione contrapposta alla ragione non c'entra. Sia K sia chi lo circonda (capufficio, familiari ecc) parlano lo stesso linguaggio: non c'è dialettica tra mente e corpo. Il corpo - di un insetto - rende evidente che egli stesso parla la lingua della mente.
Computer rege, qui, nisi paret, impera. Vale a dire una combinazione tra Asimov e Kafka: gli uomini ridotti ad androidi/smartphone da un sedicente Piano Qualcosa elaborato da un altro sistema cibernetico Hal 3000 o Mother III Millennium.
Al cinema, pensandoci Fabio, la situazione che descrivi sta nell'alleanza dell'androide Ash e del computer Mother per rendere tutti gli umani della Nostromo (qua Ridley cita Conrad) insetti alieni.(Ridley cita Kubrick, migliorandolo in adrenalina)...ma, per come la vedo, sarebbe ancora narrativa distopica, e davvero in vita mia ne ho letta e vista nella realtà troppa, come ben dice Rub nell'ultimo video.
Abbiamo bisogno di narrativa utopica di nuova maniera...più pragmatica e meno idealistica.
Immaginate come si possa farlo diventare un tale mostro, totalmente assuefatto o indifferente al dolore e alla follia del mondo che lo circonda. Potrebbe venirne fuori una storia, ragazzi?
Di primo acchito si tende ad identificare macchina e ragione. Da qui si passa con una certa facilità a concludere che la macchina, quando annichila l'istinto, disumanizza.
In realtà a mio parere è tutto molto più complesso e spesso la macchina (e più è complessa, più il rischio è alto, perchè non la si comprende e padroneggia) è, come l'Anello del Potere tolkieniano, serva e strumento dell'istinto.
Se fosse la ragione a prevalere sull'istinto, essa controllerebbe meglio la macchina.
Nel momento in cui a prevalere è l'istinto, la macchina, aumentando il suo potere di incidere sulla realtà, lo scatena e riduce e allontana quei limiti che la natura gli avrebbe imposto.
Sembra un discorso astratto, ma non lo è.
Se Putin fosse pazzo, avrebbe meno problemi ad usare l'atomica di quanto li avrebbe se fosse sano di mente. E meno problemi di Putin li avrebbero Stalin, o Hitler, o Osama Bin Laden, o il Mullah Omar.
Se invece l'atomica l'avesse il Dottor Spock staremmo più tranquilli.
RUBRUS: Un personaggio simile a
quello che descrivi mi pare l'Anton Chigurg di "Non è un paese per
vecchi".
Volendo vedere
la questione "dal di dentro", per comodità di esposizione mi viene in
mente un personaggio del secondo episodio di "Sosta di Mezzanotte"
ossia "Il Ragioniere" che compare in "Una strada, una bionda e
un mucchio di soldi".
Certamente non è uno stupido, ma non so dire se presenti tratti di genialità - certamente ha una sufficiente dose di sangue freddo da apparire e agire lucidamente là dove altri perdono la testa e questo può essere scambiato per intelligenza superiore anche se non lo è.
Nel tratteggiarlo, prima di calarlo nella storia, l'ho concepito esattamente come una "funzione" : l'antagonista.
Essendo un antagonista, si muove in antitesi al mondo, un po' folle, che pesca nell'immaginario (un immaginario vagamente western - road movie) in cui si svolge la maggior parte della vicenda.
Il suo tratto principale è esser raziocinante, più degli altri, in un mondo caotico in cui le cose non sempre sono come dovrebbero essere. Una volta che si è detto questo, di lui ho deciso che non serve sapere altro.
Non ha nome: è la sua funzione "Il ragioniere", appunto, non ha passato (non sappiamo se è sempre stato così, se lo è diventato ecc) e non si sa che cosa pensi. Lo conosciamo solo da quanto fa e quanto dice.
Questo crea un'aura di alienità che rende più plausibile il suo essere espressione di un "logos" puro. Non lo è. Non perchè io lo sappia, ma, perchè non essendo io espressione di un logos superiore, non posso creare personaggi che lo siano. Il lettore, però, vedendolo da lontano, potrebbe anche crederci.
Il suo percorso nella storia è quello poi tipico della storia stessa e può riassumersi nella progressiva perdita di tale funzione (resa attraverso segni esteriori e azioni, dalla comparsa del tatuaggio, fino alla pacca sul sedere della tizia) che porta alla morte del personaggio stesso, il quale o è la sua funzione o non è.
Quindi direi, concludendo:
a) quel tipo di personaggi lì secondo me viene meglio se non è il protagonista
b) meglio descriverli per sottrazione
c) meglio non essere troppo precisi: gli dai i caratteri generali, lo poni in un certo contesto e al resto pensano loro.
Non so se può servire.
FABIO: Grazie dei consigli, Roberto. Io, invece,
ho pensato subito a “Fiori per Algernon” di Daniel Keyes, come struttura o
tecnica narrativa per mostrare il monologo interiore del protagonista e sua
conseguente involuzione o "evoluzione?" a uno stato privo di
emozioni. In quel romanzo, tuttavia, l’autore lavora per aggiunta e non
sottrazione come suggerisci.
Certamente non è uno stupido, ma non so dire se presenti tratti di genialità - certamente ha una sufficiente dose di sangue freddo da apparire e agire lucidamente là dove altri perdono la testa e questo può essere scambiato per intelligenza superiore anche se non lo è.
Nel tratteggiarlo, prima di calarlo nella storia, l'ho concepito esattamente come una "funzione" : l'antagonista.
Essendo un antagonista, si muove in antitesi al mondo, un po' folle, che pesca nell'immaginario (un immaginario vagamente western - road movie) in cui si svolge la maggior parte della vicenda.
Il suo tratto principale è esser raziocinante, più degli altri, in un mondo caotico in cui le cose non sempre sono come dovrebbero essere. Una volta che si è detto questo, di lui ho deciso che non serve sapere altro.
Non ha nome: è la sua funzione "Il ragioniere", appunto, non ha passato (non sappiamo se è sempre stato così, se lo è diventato ecc) e non si sa che cosa pensi. Lo conosciamo solo da quanto fa e quanto dice.
Questo crea un'aura di alienità che rende più plausibile il suo essere espressione di un "logos" puro. Non lo è. Non perchè io lo sappia, ma, perchè non essendo io espressione di un logos superiore, non posso creare personaggi che lo siano. Il lettore, però, vedendolo da lontano, potrebbe anche crederci.
Il suo percorso nella storia è quello poi tipico della storia stessa e può riassumersi nella progressiva perdita di tale funzione (resa attraverso segni esteriori e azioni, dalla comparsa del tatuaggio, fino alla pacca sul sedere della tizia) che porta alla morte del personaggio stesso, il quale o è la sua funzione o non è.
Quindi direi, concludendo:
a) quel tipo di personaggi lì secondo me viene meglio se non è il protagonista
b) meglio descriverli per sottrazione
c) meglio non essere troppo precisi: gli dai i caratteri generali, lo poni in un certo contesto e al resto pensano loro.
Non so se può servire.
Certamente, devi essere totalmente scollegato
dalla realtà dei tuoi simili per arrivare a una simile condizione.
Pensavo, però, che tutti possiamo sperimentare forti legami emotivi per qualcosa o qualcuno e rimanerne poi delusi, provare rabbia, risentimento e tutta una vasta gamma di altre sensazioni/emozioni che poi, nel tempo, possono anche scomparire del tutto o ridursi d’intensità. Ma cosa succederebbe a un individuo che con un particolare esercizio o “strumento” (che non sia una droga o degenerazione psichica, naturalmente) riesce a ridurre enormemente questo tempo o questa, diciamo così, “esperienza del dolore”. L’idea che intendo sviluppare è questa, più o meno.
RUBRUS:
Suggerisco la lettura di questo romanzo di Simenon circa la
"de-sensibilizzazione" di un individuo: “Il cavallante della
«Providence»” di Georges Simenon.
Pensavo, però, che tutti possiamo sperimentare forti legami emotivi per qualcosa o qualcuno e rimanerne poi delusi, provare rabbia, risentimento e tutta una vasta gamma di altre sensazioni/emozioni che poi, nel tempo, possono anche scomparire del tutto o ridursi d’intensità. Ma cosa succederebbe a un individuo che con un particolare esercizio o “strumento” (che non sia una droga o degenerazione psichica, naturalmente) riesce a ridurre enormemente questo tempo o questa, diciamo così, “esperienza del dolore”. L’idea che intendo sviluppare è questa, più o meno.
FABIO: Trovo che questo nostro scambio sia molto interessante. Siete d'accordo se lo pubblico?
MAURO: Certamente!
RUBRUS: Per me va bene. Magari il tutto risulta un po' dispersivo, ma se l'idea è "come creare un mostro" direi che ce la stiamo cavando benone.
"Scrittura creativa, dibattiti e suggerimenti di lettura"
a cura di Fabio Cavagliano (2023)
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