sabato 26 ottobre 2013

Come Howard Phillips Lovecraft fuggì dall'inferno



Lovecraft se ne stava lì, contrito, davanti al diavolo.
Anche questa volta era stato risucchiato dal suo limbo di tormenti per discutere di quella facceda, quella riguardante la sua creazione peggiore, il demone Nyarlathotep alias “il caos strisciante”.
“Ora tu vai nel vuoto cosmico, da quel cazzo di calamaro gigante, a finirlo una volta per tutte…” aveva preso a ringhiare Satana.
“… Hai trovato un argomento per privarlo del suo grado di realtà?”
Lovecraft, compito nel suo elegante ed eloquente silenzio, mostrò l’assoluta impossibilità di ottenere questo risultato.
Soltanto un leggero cenno di diniego e poi mise le braccia conserte.
“Quindi?” 
“Quindi non l’ho trovato, Sua incommensurabile impostura.”
“Allora ti ho preparato un bel po’ di palline di cacca da ingurgitare…” rispose Satana. “… Di quelle giuste, sai? Che magari riescono a farti venire l’ispirazione.”
Lovecraft si preparò al peggio.
“Perchè mi sono VERAMENTE rotto, anzi, strAROTTOOOO I COGLIONI DI COMPETERE CON QUELLA TUA BESTIACCIA DI MERDAAAAARRRRRGGGHHHHHH!!!!!!!” Satana lo coprì di fiamme sputandogli addosso tutta la sua invidia.
Lovecraf, ormai abituato a quel genere di trattamento, ricompose le sue ceneri e si allontanò di qualche passo.
“Posso andarmene ora, signore?”
“SIGNORE un cazzo!!…” urlò di nuovo il diavolo. “…Sai che non sopporto di essere chiamato in quel modo.”
“Mi perdoni, Sua incommensurabile impostura.”
“Neanche ho mai avuto la facoltà di perdonare, idiota!”
“Vado lo stesso?”

Le cose erano andate più o meno in questo modo: intorno al 1927 Lovecraft aveva avuto l’idea del Necronomicon ex mortis, uno pseudolibro in grado di evocare una razza di demoni più antica del mondo stesso; i Grandi Antichi, appunto.
Una mitologia senza dubbio suggestiva e ben organizzata; tuttavia egli, seppure nella sua morigeratezza di costumi, nell’elaborazione di tali fantasie aveva più volte dimostrato di dover essere un tantino flippato poiché s’immaginava che queste entità potessero fluttuare in una sorta di abisso siderale avulso dalle leggi dello spaziotempo normalmente concepito. Tanto è vero che, pur essendo dotate di una loro tentacolare e putrescente fisicità, le mondezze in questione riuscivano lo stesso a occupare tali “vuoti” sguazzandoci come in uno stagno.
Orbene, nonostante questo genere di sviste concettuali e scientifiche, la prosa ridondante e i tentativi ridicolmente ingenui di evocare orrori evitando deliberatamente di descriverli (la frase più ricorrente di Lovecraft era, infatti, potete controllare voi stessi nei suoi scritti, “orrori indicibili”), la storia del Necronomicon ebbe un grandissimo successo.
Tutt’oggi, al pari di altre fantasie letterarie come Sherlock Holmes, rè Artù e i cavalieri della tavola rotonda, Guglielmo Tell e Zorro, tanto per fare qualche esempio che può apparire un po’ scemo, molti credono ancora che questo tomo sia realmente esistito o esista ancora, magari gelosamente custodito o nascosto nei magazzini di qualche importante museo. Una fede così grande che nel tempo ha portato l’immane sciocchezza ad assumere un consistente grado di realtà, fino a rendere vita a uno di questi demoni; il buon vecchio Nyarlathotep, appunto, quello maggiormente dotato e descritto da lovecraft.
Nyarla, quindi, felicissimo di uscire dalla mera rappresentazione cartacea, dopo neanche molti anni dalla morte del suo creatore, prese a gareggiare col demonio nella creazione di orrori.
Dapprima con simpatia, in una sorta di divertita competizione resa amichevole soprattutto dalla distanza; l’uno, infatti, stava nelle cocenti profondità degl’inferi e l’altro in questo astratto e illogico vuoto cosmico di cui parlavamo prima. Poi con un odio via via crescente.
Le sfide consistevano perlopiù nel nuocere ai dannati, ma in modo sempre diverso.
Satana preferiva quelli di vecchia data, in quanto necessitava esibire davvero del talento per farli soffrire; infatti, i supplizi e le torture fisiche dopo secoli perdevano di efficacia fino al punto di tramutarsi in godimento per essi. Così la competizione spesso era tutta mirata al turbamento delle sensazioni più intime del loro essere.
E anche così, con quel tipo di penitenti, c’era un bel daffare; visto il pelo sullo stomaco, la totale disumanizzazione e assenza di rimorsi sviluppate durante la loro permanenza all’inferno.
Nyarla, comunque, con poco sforzo vinceva sempre. Aveva una marcia in più, un ingrediente segreto.
Il suo metodo, ispirato alle attività del diavolo, era concentrare nel proprio sterco oscenità, alterigia, risentimenti e nequizie di vario genere combinandone i dosaggi fino a ottenere la sostanza malefica perfetta. Quella capace di produrre il maggiore livello di sofferenza.
Satana cacava delle palline di vari colori; bulbose, a placche, piene di crepe o venature. Alcune erano dei veri capolavori di arte moderna; con le loro screziature dorate, i piccoli solchi e canalini irrorati di lava o sieri virulenti. Roba di piccole dimensioni; dei gioiellini che potevano essere cacciati a forza nella bocca dei penitenti. Al massimo grandi quanto un’ arancia.
Nyarla, invece, preferiva rimanere nella classicità dei suoi cilindretti stronziformi; non molto elaborati sul piano estetico, certo, ma efficacissimi.
Anche i più inveterati ospiti di Belzebù, infatti, quando li mandavano giù soffrivano le pene dell’ ultra inferno mega orrore indicibile & altre sfere dell’essere inconcepibilmente illogiche e orrorifiche.
“Non ti permettere di fare un altro passo senza il mio permesso!” gridò Satana, vedendo Lovecraft pronto ad allontanarsi.
Qualche minuto prima di convocarlo, infatti, il Nyarla aveva aperto un piccolo varco dimensionale proprio sopra il suo capoccione caprino per farci cadere uno stronzo.
“Il tuo amico mi ha preso per un water , porco #?@!… Comunque accetto la sfida…” disse. “… Vieni qua, fottuto damerino grafomane!”
Lovecraft si avvicinò, spolverandosi la giacca appena ricomposta.
“Con obbediente impotenza, Sir!”
Il diavolo, prima di accomodarsi sul suo incandescente trono di roccia e ossa fratturate, si tirò fuori dal retto una pallina.
“Adesso ti mangi la mia, poi quella del tuo viscido pupetto…” disse.
“… e mi descrivi bene bene, con quello schifo di prolissità che rende noiosissimi i tuoi scritti, le sensazioni provate. Devo capire nel dettaglio quali corde va a toccare ‘sta roba.”
Lovecraft s’ingoiò la cacca, questa volta colorata in modo piuttosto uniforme, tipo un mandarino di lava fumigante con macchioline di un acceso giallo sulfureo.
“Hmmm!…..eeeeeeEEEEEEH!!!!!!!….OOOH!…Arrrrrghhhh!!!!” fece sulle prime.
Stava piegato in due e piangeva.
“…Mi torna in mente il brodo di gallina di mia zia!… eeeeeeH!”
“Poi?” chiese il diavolo.
“…quei maledetti zingari e stranieri che infestavano le vieeeehhHHAaaaaarrgh!… Del miiio, mio, miooooooeeeeh, del mio amato quartiere nel Neeeew England.”
“Poi?” insistette il diavolo.
“La mancanza d’idee, il vuoto creaaaativo di certe giornaaaarrrgh!…ate.”
Lovecraft non riuscì a proseguire; si rannicchiò a terra in posizione fetale, singhiozzando e mugolando inauditi e incomprensibili lamenti.
“Guarda un po’, coglione!” gridò Satana, rivolgendosi a Nyarlathotep che sapeva essere pure ubiquo .
Una perturbazione fece colare una parete dell’antro di roccia davanti a loro, infatti, trasformandola in uno specchio su cui apparve il gigantesco occhio del demone.
“Mi sa che questa volta ti ho superato!…” rise Satana. “…Neanche riesce più ad alzarsi tuo padre.”
Nyarla, non volendo adattare la sua immagine alle dimensioni dello specchio, si spostò fino a mostrare soltanto il becco.
“Quando si riprende, e non credo che ci vorrà molto, fagli provare uno dei miei stronzi e poi vediamo chi è il più bravo!” disse, scomparendo poi in fretta.
Lovecraft, in effetti, poco dopo si alzò. Sicuramente provato, ma non quanto si aspettava il diavolo.
“Allora?” chiese quest’ultimo.
“Eccellente, Sua incommensurabile impostura. Ho patito come non mai. Quasi vorrei privarmi dei ricordi terreni. È possibile?”
“No! Beccati questo.”
E gli lanciò il tronchetto depositato con cura sotto l'antro di roccia dal Nyarla.
Lovecraft lo acchiappò al volo e se lo calcò bene bene nel gozzo.
“HmmmmmmeeeeeeeeeeeeeeooooRRRRGHhhhhhhh!…….”
Pareva un boa nell’atto d’ingoiare una grossa preda, tanto il tronchetto era lungo e spesso.
“Dai muoviti!” ruggì Satana. 
Nyarlathotep proprio perché portato all’esistenza dalla credulità umana, riusciva a trarne energia e a rappresentare meglio di chiunque altro il Male. Forse, addirittura nella sua massima espressione; coi suoi sublimi e primevi sentimenti di odio, magnifici e assolutamente autentici nella loro spontaneità.
Sentimenti che per il suo avversario, benché mirabilmente concentrati in quella sua invidiabile e altamente nefasta produzione di palline, erano soltanto il frutto di un artificio, di un faticoso lavorio intellettuale inutilmente intenzionato a nuocere.
Comunque Lovecraft, dopo l’ingestione del tronchetto rimase immobile, come finalmente folgorato da una rivelazione tanto attesa, e Nyarlathotep fece la sua ricomparsa sulla superficie di roccia vetrificata.
“L’hai soltanto paralizzato.” commentò il diavolo, tanto per non dargli soddisfazione. “… Non mi sembra un’anima in preda a insostenibili tormenti.”
Nyarlathotep sibilò un sorriso.
“Non è più un’anima, infatti: è un sacco vuoto. Puff! Sparito! Mi sono ripreso il papy. Forte, no?! Così la finisci di chiedergli informazioni sul mio conto.”
Il diavolo sbuffò un po’ di fumigante livore dalle orecchie.
“E tu chi cazzo sei per fottermi le anime?”
Nyarlathotep sibilò un altro sorriso e poi rispose.
“Possono le puerili fantasie e le paure che ti hanno modellato e confinato in questo luogo, essere più vaste di quel senso di vuoto e orrore cosmico che mi appartiene?”
“Non lo so,… Ma questo cosa c’entra, scusa?” disse il diavolo.
“Possono i tuoi malefici estendersi ad altre dimensioni? Tormentare anche gli esseri di altri mondi?” insistette Nyarlathotep.
“Vabbè, vabbè… senti…”
“Possono…”
“E falla finita!! Portati via quella faccia oblunga e non farti più vedere, okay?”
“Okay…” rispose Nyarlathotep. “… magari più avanti, se fai il bravo, in nome della nostra vecchia amicizia ti mando la ricetta dei tronchetti.”
Puff! (e sparì di nuovo).
Così Lovecraft riuscì a trarre “profitto” da questa sminchionata storia trash, ora avvolto dalle spire gigantesche e imbattibili dei suoi umanissimi e indicibili orrori, fuggendo per sempre dall’inferno a quello sconfinato, vacuo ignoto che tutti temiamo.
Là dove anche i nostri sogni possono sgretolarsi, riducendosi in finissime antiparticelle.


  
Racconto di Fabio Cavagliano (2011)

2 commenti:

  1. Strepitosa questa storia Fabio, capolavoro!

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    1. Eh! Eh! hai letto Mosko?!... l'operazione, qui, come filosofia artistica, si avvicina un po' a quella compiuta da Marcel Duchamp dipingendo barba e baffi su una riproduzione della Gioconda. ho "scagazzato" sul lato bizzarro e umano di un mito; anche se, in realtà, è alla base di tutto il mio immaginario e lo amo molto. Spero non me ne vogliano i fans del grande HPL, quindi. Ciao!

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