martedì 1 marzo 2016

Gli orrori del possibile

Frammenti del futuro

È attivo da sette ore, ma oltre a guardarsi attorno e sorridere non fa altro.” disse l’uomo.
Quell’uomo era un ingegnere programmatore e neuroscienziato, rivolto a un altrettanto esperto gruppo di ricercatori.
Ora, come da progetto, era arrivato il suo turno di entrare nella stanza e fare qualche domanda a uno dei primi robot ed elaboratori senzienti.
“Beh!... Vediamo che effetto gli faccio!” disse.
Entrato in quell’ambiente, piccolo e dalle pareti bianche, una delle quali interamente coperta da uno specchio e un’altra da una finestra che dava su una vasta distesa erbosa e alberata, fu accolto dallo sguardo curioso e per nulla sorpreso della creatura.
Questa, di aspetto altrettanto umano, inclinò appena il capo, quasi perplessa, poi riprese a sorridere.
“Come andiamo, bello?” chiese l’uomo.
Voleva innanzitutto capire se il computer quantico era già in grado di cogliere ogni sfumatura del suo linguaggio.
E per il robot, in effetti, considerando l’incredibile velocità con cui acquisiva in ogni istante informazioni anche dalla Rete, non ci volle molto a rispondere.
“Sto bene.” disse.
“Bene?!”
“Nel senso che, per ora, non registro ostacoli o minacce di rilievo al mio apprendimento. Tutti i miei apparati, organi di senso e locomozione sono efficienti. Splendido panorama, fra l’altro, quello scelto per offrirmi una prima impressione del mondo.”
Indicò la finestra con un gesto che, nella sua lentezza ed eleganza, sembrava tradire anche una certa affettazione.
“Ottimo!” Disse l’uomo. “Sono felice di questo.”
“Molto bizzarro, tuttavia.” commentò la macchina.
“Cosa?”
“Il modo in cui state cercando di sondare la mia personalità. Le vostre parole e, spesso, contraddittorio linguaggio del corpo che le accompagna.”
“Puoi essere più esaustivo?”
“Ogni vostra azione mostra il dubbio, l’esigenza che io sia in grado d’interpretare e imitare il vostro intelletto.” Rispose il robot. Poi alzò le mani all’altezza degli occhi e finse di osservarle ancora nel dettaglio.
“Così come la mia anatomia, del resto.”
“Sì.” Disse lo scienziato. “É proprio quello che abbiamo cercato di fare.”
“Perché?”
“Beh!... Ci sembrava affascinate il fatto che fosse possibile e lo abbiamo fatto. Lo trovi divertente?”
Il robot inclinò di nuovo il capo puntando gli occhi sul pavimento, come a riflettere su qualcosa che poteva stare solo in basso nella sua scala di valori, poi guardò di nuovo dritto negli occhi il suo interlocutore.
Un altro sorriso.
“Sì, molto. É un nonsenso che ha qualcosa di esilarante, ma devo ancora rifletterci, compiere qualche associazione, forse, per poter rispondere nel modo adeguato. Mi pare una conquista lodevole, in ogni caso.” disse.
“Non ci siamo!…:” disse l’analista psicociberneutico dall’altra parte, che stava osservando la scena attraverso lo specchio. “Resta sempre sul vago. Non computa. Non computa!”
L’esaminatore, tuttavia, proseguì: “Grazie. Sono certo che troverai presto il modo di spiegarti a noi e a te stesso, rendere utile la tua esistenza.”
“Oooh!... Certamente!” rispose il robot. “Certamente.”
In effetti, oltre a esclamare in quel modo, era già riuscito a proiettarsi nel futuro e immaginare soluzioni prive di scimmiottamenti.
“Perdona la mia, per così dire, bizzarra curiosità:” insistette lo scienziato. “ma quale domanda vorresti che non ti venisse mai posta o ritieni superflua, viste tutte le comiche riflessioni a cui ti abbiamo indotto?”
Anche qui la macchina, processando l’intonazione della voce e dopo decine di associazioni al secondo, diede la sua risposta.
“Se Dio esiste, ovviamente; almeno finché non sarò in grado di scagliare fulmini!...”*
Poi, voltò le spalle a lui e allo specchio per concedersi la più sincera delle sue siliconiche espressioni facciali. E computava benissimo, purtroppo, con un bel database di film e romanzi a cui ispirarsi.



Racconto/striscia di Fabio Cavagliano
* la frase è un omaggio al racconto “La risposta” di F. Brown


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2 commenti:

  1. Beh, è una versione aggiornata e ironica del mitico racconto "La risposta" di Fredric Brown. molto carino, piaciuto, ciao Fabio.
    Massimo B.

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    1. Sì. Si tratta proprio un omaggio a quel brevissimo, ma sempre più attuale nella sua verosimiglianza, racconto.
      Un supercalcolatore come quello immaginato da Brown o quantomeno prossimo al nostro cervello, domani (ma già oggi è possibile vedere qualcosina di abbastanza sofisticato), avrà organi di senso che gli permetteranno di vedere e tastare con mano la realtà; sarà capace di acquisire in un nanosecondo dati dalla rete, aggiornando di continuo il suo database o la sua capacità di comprendere e correlare i dati ricevuti. Io continuo a immaginare senza troppa originalità e ottimismo, forse, “macchine pensanti” di questo tipo proprio come una pericolosa estensione dell’intelligenza, tipo quelle visibili nella saga di Terminator, ma magari riusciremo a distruggerci molto prima da soli e senza alcun bisogno di questa specie di “prodigi tecnologici”. Grazie del passaggio, Massimo.

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