sabato 23 novembre 2013

Sarebbe davvero come buttarlo nel cesso

Giorgetto, ventisei anni, mai una difficoltà, un impedimento; grazie al denaro e alle amorevoli cure della zia.
Ora se ne stava in soggiorno, bello affossato nel divano dai suoi ottantanove, lardosi e sudaticci chili, a giocare con la playstation.
"‘Orca puttana!…" disse. "…Sparo ai lampioni e non vanno in pezzi."

"È un bel problema." commentò la zia.

"…Certo, cazzo! Posso capire che lo scopo del gioco non sia quello di distruggere tutte le cose attorno, ma dopo quello che ho speso vorrei almeno una certa cura nei dettagli… Un minimo di realismo… Non si vedono nemmeno i bossoli saltar via dal caricatore!"
Zia Erminia sbuffò avvilita.
Era un donna piccola, quasi completamente calva, con una straziante zazzerina di radi capelli grigi attaccati alla nuca; lo sguardo spento, stanco, sottolineato da profonde rughe violacee.
"A proposito di soldi, zia…" proseguì Giorgio. "…Quelli sul conto stanno finendo. Tipo che fra un paio di mesi sto a zero."
"Perché non vai a cercarti un lavoro, caro?"
"Perché non mi sembra una buona cosa. Tu, lo zio e i miei genitori vi siete fatti un culo paura per metter su questa casa, la fattoria e il cascinale, avete accumulato un mucchio di grana, e ora io dovrei sbattermi come un somaro per ingrassare le casse dello Stato?!… No, no! Non mi sembra proprio una buona cosa. Il discorso potrebbe avere un senso solo se dovessi partire da zero; allora sì che forse mi darei da fare per raggranellare qualche spiccio."
Erminia sollevò un sopracciglio e poi una foto di suo marito dal tavolino. La spolverò.
"Peccato che sono morti…" disse. "…Fosse rimasto almeno lui, lo zio, quello sì che mi avrebbe aiutato a crescerti con un po’ di buon senso."
"Eeeeh!…. Quante cazzate! Vuoi menarmela?! Dire che sono maleducato?"
Erminia si avvicinò e gli diede una carezza sulle spalle.
"Un pochino, caro. E dovresti pure usare un po’di balsamo; quando naturalmente riterrai opportuno riscoprire l’uso della doccia." disse.
"Senti zia!…" riprese Giorgio, simulando con un tenero, ebete sorriso di aver genuinamente apprezzato quel gesto di affetto.
"…Devi dirmi dove hai nascosto tutti quei soldi… Quelli che… ehm!… hai prelevato."
"Perché? Sono i miei risparmi." rispose Erminia.
"Te l’ho appena spiegato: fra un paio di mesi sono a secco. Altrimenti sarò costretto a vendere un po’ di queste cose…" indicò i mobili e le cose attorno. "Quelle che appartenevano ai miei… Così come ho fatto con gli animali, i mezzi e gli attrezzi agricoli… E poi, magari, mi toccherà vendere pure la casa. Visto che qui non c’è mica soltanto roba tua, eh?!"
"Aspetta almeno che muoia. Tanto non mi resta molto; lo sai." rispose la donna, flebile, a capo chino.
"Ecco, zia, a proposito della tua malattia…: fra un’oretta dovrebbe arrivare un amico... Magari gli piglia male quella tua calvizie… Se ti metti la parrucca, quella che ti ho regalato la settimana scorsa, e ci prepari un dolce o qualcosina del genere mi fai un piacere." disse Giorgetto, e tornò a guardare lo schermo.
"Cazzo!…Sparo sui muri e non rimangono neppure i fori dei proiettili!… Porca )(#0-[[@!…" gridò.
"…Che gioco di merda!"


“Ravy”, come si faceva chiamare da altri buffoni del suo livello, entrò senza salutare, chiedere permesso. Era alto e magro; le braccia interamente ricoperte di tatuaggi.
Una folta criniera rasta gl’incorniciava il viso, con lunghe e spesse trecce stoppose simili a stronzi.
"Quella è mia zia." disse Giorgetto, rimanendo seduto.
Ravy rise.
"Zia Fester, cazzo!… È uguale! Solo più magra."
"È vero…" rise a sua volta Giorgio, "…non ci avevo mai pensato. Perdonala; le avevo chiesto d’indossare una parrucca."
Ravy si avvicinò alla donna e le strofinò per finta il gomito sulla pelata.
"Noi due dobbiamo parlare, bella!…" disse.
Zia Erminia guardò suo nipote, perplessa.
" Lascialo fare!...: Ha studiato un po’ di psicologia…" rispose Giorgio "…Magari ti può aiutare."
"Le metastasi non le ho al cervello." rispose Erminia.
Ravy le appoggiò la mano enorme sulla testa e con moderata forza le fece ruotare il capo dalla sua parte. Poi si ripulì il palmo sui pantaloncini, strofinandoselo bene bene.
"Sdrammatizziamo, dai! Bisogna avere la capacità di ridere anche dei propri mali." disse.
Ma Erminia non rise; rimanendo anzi sbigottita, immobile.
"Si segga, si segga…" continuò Ravy. "…Intavoliamo 'sta cazzo di discussione che da un po’ di tempo il suo Giorgetto mi chiede di farle…"
"Strano, perché mi sembra che anche lui abbia il dono della parola." commentò Erminia.
"Sì, ma non ha le palle e la mia preparazione in merito a certe cose…"
"Scusa un attimo se t’interrompo, Ravy. La zia prima deve portaci qualcosa da bere e il dolce, quello che ha fatto lei." disse Giorgio.
Ravy annuì, stava studiando con ossessiva attenzione la calvizie, le mani esangui, tremolanti e anche un po’ sudate della donna.
"Io non prendo niente." disse. "... Grazie."
Un’ aggiunta inaspettata quel “grazie”, pensò Erminia.
"Dicevamo…" riprese a parlare Ravy.
"Aspetta! Magari al tuo amico del buon vino non dispiace." disse la donna, rivolgendosi al nipote.
"Vero!" rispose Ravy. "…Quello ci può anche stare; me lo porti pure!… Altrimenti sembro davvero scortese a  non gradire nulla."
"Ne voglio anch’io." disse Giorgio "Vaccelo a prendere!"
Dopo un paio di minuti la donna tornò con i due bicchieri e si sedette al tavolo. Vicino a Ravy.
Giorgio si staccò a malincuore dalla playstation. Tuttavia, pensava che la conversazione potesse richiedere anche la sua presenza; se non altro per mostrare all’amico un minimo di partecipazione e che non era proprio un incapace, idiota e indifferente a tutto.
"Dicevo,… Che quando si arriva a certe situazioni…" riprese Ravy, -"Come la sua, signora…" le indicò la testa, facendo andare su e giù il dito. "Forse sarebbe il caso di cominciare a pensare ai propri cari, a quello che possiamo lasciarli per rendere la vita meno complicata… È brutale metterla giù così, lo so, ma…"
"Tu ce l’hai un lavoro, ragazzo?" lo interruppe Erminia.
Ravy si grattò un’ascella.
"Hmmm… Sì, io e i mie cuccioli ci mettiamo sul marciapiede con un lenzuolo e dopo qualche ora tiriamo su qualcosa. Un vero sbattimento. Se riesco a farli addormentare bene, almeno quanto basta per enfatizzare la loro debolezza e bisogno di cibo…"
"Enfatizzare?!" chiese Giorgio.
"Ma sì, dai, che sei ignorante ed è inutile che stia qui a perder tempo anche per spiegare il significato delle parole!"
"Quello è il tuo lavoro?" chiese ancora Erminia.
"Sì, ma non è questione di fare della semplice ironia, ora, mia cara signora. Perché vede, io me ne sbatto se ci sono dei robot che stanno dalle quattro alle otto ore in fabbrica o in un ufficio a farsi il mazzo… Io voglio godermi il mio tempo!… E per vivere mi basta veramente poco."
Erminia diede un’occhiata a quanto c’era di veritiero in questo sporgendosi un attimo dal bordo del tavolo. Guardò sotto, poiché sulle braccia del ragazzo era molto difficile notarlo vista l’estensione dei tatuaggi.
Sul dorso dei piedi, invece, appena appena coperti dalla sottile trama dei sandali, i buchi erano ben visibili.
"Mi sa che la tua giornata non è affatto a buon mercato, ragazzo!" commentò.
"… Comunque sia , Fester,…" riattaccò Ravy, che aveva inteso perfettamente la curiosità della donna "…Io sono qui per evitare che Giorgio faccia proprio un cattivo uso dei tuoi risparmi. Una sorta di amministratore, se vogliamo, molto, molto oculato… Perché non amo certo gli sprechi, come dicevo prima. Anche alcuni miei parenti, del resto, hanno lavorato la terra e so cosa vuol dire…"
"Hai una storia con questo ragazzo, Giorgio?…" chiese la zia, interrompendolo. "Non che io abbia qualcosa da ridire su questa eventualità, beninteso; lo chiedo solo perchè mi sembra di capire che il tuo amico, questo “Ravy”, abbia un progetto di vita con te. Forse vorrebbe in qualche modo far parte delle nostre cose."
Giorgio avvampò di un’ira incontenibile e carica d’imbarazzo.
"No! No!! Ma che cazzo dici, zia? Sei scema?!! Lui sta solo facendo presente certi fatti… Ti pare che io possa essere un merdoso frocio? Non era forse pieno di donne nude quella rivista che hai trovato in bagno l’altro ieri?"
Ravy intervenne.
"Ah! Ah! che zozzo!…" disse "…Lasciare tutto soltanto nelle sue mani sarebbe davvero come buttarlo nel cesso!"
"Infatti è proprio quello che non intendo fare." rispose Erminia.
"Zia Fester, dai! Cerchiamo di ragionare!…" insistette Ravy.
"Ci sono qua io… Garantisco che…"
"Vado a prendervi dell’altro vino, valà! Così la finite di dire sciocchezze."
"Sì zia, magari fai prima a portarci la bottiglia…" rispose Giorgio. "…Poi, però, riprendiamo e finiamo una volta per tutte questa discussione; come si deve. Okay?"
La bottiglia arrivò arricchita da un' ulteriore, massiccia dose di valium e altri narcotici mentre i due se la ridevano di gusto; ridevano fino al punto di riuscire a trovare divertente anche la loro miseria morale.


"Ora, cazzo…" bofonchiò Ravy, "…meeee neee deeevooo proprio aaandare… se sooolo riuscissi ad alzare il culo daaa questo divano…"
Giorgio si era già addormentato con il controller della playstation che gli vibrava fra le mani.
"Feeeesteer!!…" tentò di richiamare l’attenzione Ravy, sentendo la donna sferragliare con della posateria in cucina.
"Cosa c’è, caro?" rispose Erminia. "…Hai bisogno? ...Sei sicuro di non volere una bella fetta di torta?"
"Naaaaaaoooo, Fester. Sto a posto così! Vorrei solo che…" fece una lunga pausa, quasi decisiva al sonno, "…Solo che mi aiutassi ad alzaaare le chiaaappe…"
Mollò una bella scoreggia liquida nel tentativo di farlo con le proprie gambe.
"Vengo, caro. Certo."
E lo raggiunse con dei passettini che ticchettavano con inquietante rapidità sul pavimento.
Ravy fece cascare la faccia da un lato per farla entrare nel suo offuscato campo visivo.
Poi gli arrivò un colpo di pestacarne sulla bocca. Veloce. Violentissimo.
E un altro ancora.
Ancora.
Ancora.
E ancora.
Finchè si ritrovò ad avere le labbra una poltiglia e la mascella fratturata in più punti.
Ancora colpi.
Sulla fronte. Alle tempie.
"Questi sono per tutte le scempiaggini che ti sono uscite da quella fogna." disse la donna con un filo di voce e affannata.
Gelide goccioline le imperlavano la fronte. Si sentiva quasi sul punto di svenire dalla fatica.
Poi alzò il coltellaccio che teneva nell’altra mano. Riprese fiato.
Era da un bel pezzo, pensò, da quando aveva smesso di lavorare alla fattoria, che non gli capitava di sentirsi così stanca e di sgozzare maiali.








Sarebbe davvero come buttarlo nel cesso
Racconto di Fabio Cavagliano (2011)

1 commento:

  1. Sebbene questo racconto non mi abbia "preso" differentemente dagli altri... devo ammettere - già - che lo sfogo conclusivo della zietta è stato liberatorio.
    Ciao Grif!

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