domenica 18 settembre 2022

VIAGGIATORI

 fotocomposizione
Grifabio 

Più che entrare nel Bar della Dogana, il ragazzo sembrava esservi approdato per caso, come uno dei tronchi che le prime tempeste autunnali lasciavano sulla spiaggia.
L’impressione era così vivida che solo in seguito, e con fatica, Eleonora poté dire che cosa l’avesse determinata.
La carnagione, innanzi tutto. Il ragazzo era pallido. L’estate era finita da poco. Le abbronzature sarebbero sbiadite, ma dopo, e lentamente. La pelle del ragazzo era chiara, invece, come se non avesse vissuto la bella stagione, o l’avesse trascorsa al chiuso oppure, per lui, fosse già inverno.
Gli occhi, poi.  Il ragazzo si guardava intorno come se non sapesse dove si trovava o come ci fosse finito. Non era spaesamento, la consapevolezza di essere in un posto di mare quando ormai le attrezzature da spiaggia erano state riposte nei rimessaggi, gli alberghi chiusi, le scuole aperte e i trasporti seguivano l’orario invernale. Era di più. Era… smarrimento.  Ancora una volta, come un naufrago sbattuto su una spiaggia sconosciuta.
Per ultimo, Eleonora notò il registratore. Il ragazzo lo portava a tracolla, appeso a una cinghia logora. Sulle prime, Eleonora lo aveva scambiato per un marsupio. Chi usa un registratore (da quanto tempo erano spariti? trent’anni? Quaranta?) nell’era degli smartphone e delle app? Be’, almeno uno c’era: il ragazzo che, dopo aver girovagato nel bar, le stava rivolgendo la parola. Stava parlando da un po’, in effetti, ma Eleonora non se n’era accorta, quasi, intenta com’era a osservarlo, avesse disattivato il sonoro.
«Leggende locali?» chiese facendogli eco.
Il ragazzo annuì lentamente, come se Eleonora fosse stata un po’ tonta. «Sì, per la tesi. Storie tramandate oralmente dalla gente del posto».
Santo cielo, ma in che secolo pensava di essere finito?. 
«Be’, io non ne conosco, io...». Fu in quel momento che accadde. Su molte cose Eleonora era incerta, da che il ragazzo era entrato nel Bar della Dogana e, alla fine di questa storia, sarebbe stata incerta su molte di più, ma su questa no. Di questo era e sarebbe stata sicura: accadde in quel momento. «...non sono del posto» concluse.
Era arrivata in paese anni prima come… (oh be’, questo pensò lei e quindi credo che possiamo usare il paragone ancora una volta) un relitto alla deriva. Ma un forestiero, in paese, rimane sempre un forestiero. Una cosa sono i turisti, ma quelli vanno e vengono e nessuno ci bada, finché portano soldi. Un’altra cosa è chi in paese ci è nato. Lui appartiene al paese e il paese a lui, non importa se ci passa tutta la vita o se se ne va e resta lontano per anni. Un forestiero è un’altra cosa ancora. È uno che viene da fuori, come un turista, ma pretende di stare in paese come se ci fosse nato... e qui non ci siamo. Se se lo merita, possiamo trattarlo come uno di qui, perché dopotutto siamo gente moderna, ma ci sono cose che a un forestiero non sono concesse e faccende in cui non deve ficcare il naso. Non importa se è abbastanza in gamba da mandare avanti l’unico bar aperto tutto l’anno e il trenta per cento dei maschi locali (le donne del posto credono che la percentuale sia inferiore e lasciamoglielo credere) abbia cercato di portarsela a letto, quando arriva l’inverno, il mare ha il colore del piombo, soffia la tramontana e non c’è molto da fare a parte contarsela tra locali. Un forestiero rimane un forestiero, o una forestiera, come in questo caso. È come se aveste preso uno di quei tronchi spiaggiati, gli aveste dato una bella verniciata e lo aveste messo in giardino con dentro un vaso di fiori. Il tronco abbellisce il giardino, dà un tocco personale all’intera casa, ma non è indispensabile, no?.
Forse tra Eleonora e il ragazzo che era entrato nel bar non c’era un gran differenza, come non ce n’è  fra il tronco decorato e quello lasciato a marcire. 
Forse per questo, in quell’istante, si era innamorata di lui – o almeno lei ne fu sicura e, dopotutto, chi può affermare o negare con certezza qualcosa, sull’amore?.
«Ci vuole un po’ perché gli anziani si abituino agli estranei» disse il ragazzo «così come diffidano delle novità». Toccò il registratore. «Perciò adopero quest’affare. Di fronte a un dispositivo più recente, come uno smartphone, molti vecchi diventano diffidenti. La mia idea...» il ragazzo si era accalorato e lo smarrimento era scomparso dai suoi occhi. “Non è tanto imbambolato, quando qualcosa lo appassiona” pensò Eleonora. Anche lei era arrossita ma, di ciò, né lei né il ragazzo si resero conto.  «La mia idea» disse il ragazzo «è prendere confidenza con la gente del posto e farsi raccontare vecchie storie. L'esigenza di evitare che vadano perdute è più forte della diffidenza. Basta  una piccola spinta».
«Be’» rispose Eleonora «Qui di vecchietti, specie al pomeriggio, ce n’è». Si rese conto che il ragazzo non aveva ordinato niente, né lei lo aveva spinto a farlo «ma non credo che abbiano voglia di raccontare niente».
Su questo, però, si sbagliava.

Kirk arrivò un tardo pomeriggio di metà settimana.
Eleonora era andata nel retro a prendere una bottiglia di amaro e, al ritorno, Kirk sedeva a un tavolo in penombra come se fosse stato lì da sempre.
Aveva un berretto blu, con tanto di pompon rosso e teneva gli avambracci sul tavolo, i bicipiti che tendevano la maglietta a righe rosse e bianche.
Fu per via della maglietta che Eleonora lo battezzò “Kirk”.
Non subito, per la verità, ma noi non abbiamo tempo da perdere. Ci limiteremo a dire che, non appena lo vide, Eleonora pensò che il nuovo avventore gli ricordava qualcuno. Quella sera, dopo che l’inconscio, o il subconscio, o quello che è, avevano fatto il loro lavoro, avrebbe guardato su internet e avrebbe capito chi: Kirk Douglas nella parte di Ned Land nella versione Disney di “Ventimila leghe sotto i mari” - un film uscito molto prima che Eleonora nascesse.
Non era semplice somiglianza fisica; era piuttosto un atteggiamento guascone, beffardo, con una punta di sfida. Come se il tizio con la maglietta a righe dicesse: “Pensi che io debba andare in giro conciato così? Ti accontento, ma sappi che la so più lunga di te e ti metterò nel sacco”.
Eleonora stava per chiedergli che cosa desiderasse quando Gimmi entrò.
Il ragazzo aveva detto di chiamarsi Jimmy – tutt’altro che improbabile in un’epoca in cui i nomi erano sempre più internazionali e i soprannomi ancora di più – ma Eleonora pensava a lui come “Gimmi”, quasi il ragazzo desiderasse essere qualcun altro (Lord Jim? Jim Hawkins?) ma non ci riuscisse.
Da alcuni giorni Gimmi frequentava il Bar della Dogana e, con sorpresa di Eleonora, era riuscito a conquistarsi la fiducia di alcuni vecchi del posto, anche se non al punto di farsi raccontare una storia di quelle buone. Un forestiero rimaneva pur sempre un forestiero.
Come al solito, Gimmi andò al banco, diede uno sguardo al veliero in bottiglia sopra la specchiera (e... sì, anche alla scollatura di Eleonora che, da qualche tempo, si era allargata di un bottone), chiese da bere e poi, accennando appena a Kirk «Lo conosci?».
«Pittoresco, vero? No, non l’ho mai visto» rispose lei. Mise il boccale di birra sotto la spina, ma Gimmi la fermò. «Io dico che uno così beve rum».
Eleonora, esitando, prese una bottiglia. «Mettetevi a cantare “Quindici uomini sulla cassa del morto” e vi sbatto fuori».
Gimmi le fece l’occhiolino. «Con due soli giri non accadrà».
Pagò, prese i due bicchieri e andò verso il tavolo di Kirk.
L’altro non si era mosso, come se stesse accadendo esattamente quel che doveva accadere.
Come se non potesse accadere nient’altro.
E, a parte questo, nient’altro accadde nelle due settimane seguenti.

«Lo conosci?».
Al banco, nello stesso posto di Gimmi, ma nella stessa posa di Kirk, c’era Giuseppe, per gli amici Joe.
«Chi?» chiese Joe.
 «Il tizio vestito da marinaio, quello che sembra uscito da un fumetto». 
Joe non rispose.
«Quello al tavolo in penombra, con quel ragazzo».
Joe fece spallucce «È di queste parti».
«Io sono qui da sette anni» (sette anni? Finché non lo dicevi era un po’ meno vero, ma se ne parlavi, ti rendevi conto che erano passati sette anni da quando…) «Sette anni, e non l’ho mai visto».
Di nuovo spallucce «Gli capita di stare via parecchio. Torna quando ha qualche affare da sbrigare».
Eleonora pulì un bicchiere. «Non credo. Quando uno sta via dopo un sacco di tempo, la gente va a chiedergli come sta, dove è stato, gli racconta cosa è successo… invece, con lui… niente. Arriva ogni sera, si siede allo stesso tavolo e nessuno gli rivolge la parola. Solo quel ragazzo».
«Magari le quattro chiacchiere va a farsele da qualche altra parte».
Eleonora si rese conto di essere arrivata al confine tra la zona dei forestieri e quella dei paesani. Lì  c’erano gli scogli, le acque dove solo i paesani potevano navigare senza naufragare. Le faccende in cui i forestieri non dovevano ficcare il naso. Tuttavia, arrischiò: «Ma tu, lo hai mai visto, tu?».
Joe sbottò: «Per la miseria, vuoi scrivere la sua biografia?».
Alcune teste si voltarono. Calò il silenzio.
Solo, si sentiva la voce di Kirk che parlava con Gimmi.
«Ogni tanto viene in paese, sbriga certi affari e poi riparte» disse Joe. E questo è tutto quello che devi sapere su questa storia. Ricordati che non sei di qui il sottinteso. 
Joe fissò la scollatura di Eleonora, esattamente dove aveva guardato Gimmi, ma molto più a lungo. Si sporse, accarezzò un avambraccio di Eleonora e chiese con voce più gentile: «Stasera?». 
         
«Basta» disse Eleonora.
«Come basta?» protestò Joe «ma se non abbiamo neppure cominciato».
Per tutta risposta Eleonora si alzò dal letto e andrò alla finestra. «Mi fa male».
«Ti fa male? E non ti faceva male questo pomeriggio?».
«Questo pomeriggio era questo pomeriggio, stanotte è stanotte» E ci sono faccende in cui gli scopamici non devono ficcare il naso era il sottinteso, ma lei non lo disse.
«Accidenti a te! Lo sai che cosa devo inventarmi ogni volta per passare la notte qui?» urlò Joe. 
Eleonora aprì la finestra. Era autunno, ma faceva ancora caldo. Un’afa fuori stagione che minacciava tempesta.  Il mare, oltre la linea irregolare dei tetti, sembrava fatto di pece. Uno scintillio riluceva lontano, sull’acqua. 
«Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende / rara la luce della petroliera!» sussurrò Eleonora.
Bestemmiando, Joe saltò giù dal letto e la raggiunse, strattonandola. «La scusa del mal di testa...» gridò. 
Una finestra si illuminò nella casa di fronte.
«Basta!» urlò Eleonora.
Altre luci si accesero.      
Joe emise un ringhio come un motore in folle.
Eleonora lo guardò.  
Lui esitò, poi tornò verso il letto, raccolse i pantaloni, li indossò, prese gli altri vestiti ed uscì sbattendo la porta.
Eleonora lo udì scendere le scale. 
Di lì a poco sarebbe sceso in strada, ma lei non lo avrebbe guardato. 
Continuava a fissare la petroliera, se tale era, al largo. 

«Non lo hai chiesto» disse Eleonora a Gimmi.
Era arrivato prima del solito. Il bar era deserto.
E forse sarebbe meglio se, stasera, rimanesse così pensò Eleonora Forse, se rimanessimo solo noi due abbastanza a lungo potrei dirti... «Il nome del bar» disse invece «di solito quelli di fuori chiedono perché si chiami “Il Bar della Dogana” anche se il confine è lontano».
«La poesia» disse Gimmi «Montale, giusto? Quella però parla di una casa».
Lei spillò un bicchiere di birra. «Hai vinto. Questo è il primo premio».
Gimmi bevve un sorso «Comunque non è un nome sbagliato. In un certo senso, anche i bar sono zone di confine. Luoghi dove può capitare che la gente faccia un viaggio fuori da se stessa. Alcuni, almeno».
Il telefono di Eleonora trillò. Un messaggio. Joe. Lei lo ignorò come aveva ignorato tutti gli altri. «Allora? Che storie ti ha raccontato il vecchio Kirk?» chiese.
Gimmi alzò un sopracciglio con fare interrogativo e lei scoppiò a ridere. «Oh, io lo chiamo così, tra me e me. Non so neppure quale sia il suo nome».
Gimmi bevve un altro sorso. «Tipo il Capitano Kirk? Curioso. A me ricorda più l’Olandese Volante». Finì il bicchiere e proseguì: «Un sacco, tutte registrate. Le vuoi sentire?».
«Perché no?» disse lei e avrebbe voluto aggiungere altro, ma Gimmi fece partire il nastro.

Di notte, il paese sembrava più grande e i cinquecento metri che separavano il Bar della Dogana da casa sua parevano cinque chilometri.
«O cinquecento» disse tra sé Eleonora. Alzò lo sguardo verso un lampione e si accorse che era spento.
Ah già. Il sindaco aveva ridotto l’illuminazione per fronteggiare la crisi energetica. D’altra parte, la gente per bene, dopo una certa ora, sta in casa, no? Allungò lo sguardo verso il mare, in cerca della luce della petroliera. Non sarebbe servita a rischiarare il cammino, ma, dalla notte della lite con Joe, si era abituata a vederla – forse non era una petroliera, dopotutto: non rimangono alla fonda nello stesso punto così a lungo – e…
Incespicò, rischiando di cadere a terra.
Riuscì a rimanere in piedi e imprecò. Una luce sull’acqua era romantica, ma una torcia elettrica era più pratica.
Prese il cellulare e, cercando la funzione, vide i messaggi di Joe. Dodici. Così tanti?
Esitò un istante, poi li cancellò senza leggerli e bloccò il numero.

«Sono tutte balle» disse Eleonora non appena Gimmi entrò.
Ancora una volta, era arrivato presto.
Eleonora stava posando sui tavoli delle vecchie lanterne prese in cantina. Diversi clienti, le coppie, specialmente, le trovavano romantiche. Soprattutto, consentivano di risparmiare sulla bolletta.
«I racconti di Kirk, o dell’Olandese Volante, come ti piace chiamarlo. Non sono storie di queste parti e senz’altro non sono racconti suoi» spiegò «Vieni, ti faccio vedere».
Andò al bancone e Gimmi la seguì. Lei aprì un cassetto ed estrasse un foglio.
«La storia dell’Ourang Medan. Il mistero della Mary Celeste. Quella dell’Achille Lauro. Curioso che tu non le conosca, sono molto famose. E non basta...».
Gimmi alzò una mano, interrompendola. «Lo so» disse «È stata la prima cosa che mi ha detto». Si accomodò su uno sgabello. «L’acqua è la stessa. Le correnti la portano in giro per tutto il globo. Un’onda che arriva qui può essere partita da Singapore, da Nantucket, dal Capo di Buona Speranza. Può essere acqua scesa dal Nanga Parbat e che ricadrà come pioggia sull’Agoncagua. Ed è la stessa da sempre. Da miliardi di anni. Da quando è uscita dalle spaccature nei fianchi dei vulcani, o da quando è arrivata, come ghiaccio, a bordo delle comete quando la Terra era giovane. Per questo la storia è sempre la stessa e non appartiene a nessuno. Una storia più grande di noi e di cui percepiamo solo frammenti che, stoltamente, eleviamo al rango di verità».
Eleonora fece per replicare, ma un canto la interruppe.
«Ho un paio di storie da raccontar, un paio di mie avventure
Storie di balene e fiocinator, di belle donne di folli amor
Un po’ inverosimili sicur, ma vere ve lo giur».
La canzone di Ned Land / Kirk nel film della Disney.
Eleonora si sporse e lo vide al solito posto.
Come sempre, non l’aveva visto entrare.
Gimmi si voltò verso di lui.
Eleonora si sporse e gli afferrò la mano.
Oh no, ragazzo, non andare fu sul punto di dire Anche io ho una storia da raccontare. La storia di un ragazzo che festeggia l’addio al celibato su una barca e affoga la vigilia delle nozze. È una storia inverosimile, ma vera, e fa male. Se sapessi quanto fa male, anche se sono passati sette anni.
Gimmi si divincolò dalla presa di lei e indicò il veliero sopra la specchiera « Crediamo di veleggiare per i Sette Mari, ma siamo come i pupazzetti su quel modellino. Simulacri di non si sa cosa, chiusi dentro una bottiglia senza aver mai visto l’acqua o sentito il vento».
Si voltò e andò dall’uomo con la maglietta a righe.
Kirk aveva acceso la lampada sul tavolo. I suoi occhi parevano luccicare come se ridesse.

Era arrivato l’autunno. In ritardo, ma era giunto, e ora si addensava, con nuvole che premevano contro la volta del cielo come a romperlo. Spruzzi salati, spinti dal vento, s’infilavano tra i vicoli.
Una folata più forte delle altre colpì Eleonora, di ritorno a casa, come uno schiaffo.
Poi fu una mano vera a colpirla.
Eleonora riconobbe la sagoma di Joe subito prima che un pugno la raggiungesse al volto.
Cadde a terra, il cellulare che volava via rompendosi.
Joe le fu sopra.
Lei cercò di piantargli un ginocchio nell’inguine, ma incontrò la resistenza ossea del bacino.
Lui le afferrò la gola con tutte e due le mani e strinse. 
Eleonora cercò di artigliargli la faccia, ma riuscì appena a scalfirgli le guance.
Lui scosse la testa e le morse un dito. Emetteva quel ringhio sordo, da motore in folle.
A un certo punto disse qualcosa, ma Eleonora non capì. L’udito la stava abbandonando. La vista se n’era già andata. 
Joe emise un gemito lungo, smorzato, simile a quello di quando raggiungeva l’orgasmo, poi crollò a terra.
Eleonora annaspò, in cerca d’aria. Poco a poco, le tornò l’udito, la vista.
Quanto bastava per vedere Gimmi in piedi accanto a lei. Reggeva un oggetto simile a un mattone, con un angolo smussato e irregolare.
Eleonora si voltò e vide Joe a terra, esanime.
Alla luce fioca del lampione, il suo sangue sembrava nero.
«Non ce l’avrei mai fatta con uno smartphone» disse.
Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi e lei, barcollando, ce la fece.
Gimmi guardò il registratore. «Ci troveranno le mie impronte, sopra, e va bene così».
Lo lasciò andare e quello cadde terra, frantumandosi.
Eleonora si aspettava che lui le chiedesse come si sentiva, ma Gimmi fissava un punto alle loro spalle nello spicchio di mare che si intravedeva tra i vicoli.
Guardò dove guardava lui e vide la luce della petroliera. Era molto vicina e, decisamente, non era una petroliera. Era troppo piccola e quelli che spuntavano dallo scafo sembravano alberi, più che fumaioli, con tanto di vele sbattute dal vento. 
«Non so perché sono qui» disse Gimmi «Forse era qualcosa che dovevo fare prima di iniziare il viaggio, o forse perché era qualcosa che avrebbe fatto lui, se non fosse morto sette anni fa in quello stupido addio al celibato».
Allungò una mano e le carezzò il viso e lei capì chi le ricordava. Capì perché si era innamorata di lui appena l’aveva visto.
«Mi ero perso» disse. 
Sotto il sibilo del vento che andava rinforzando risuonò una voce:
«Ho un paio di storie da raccontar, un paio di mie avventure
Storie di balene e fiocinator, di belle donne, di folli amor
Un po’ inverosimili sicur, ma vere ve lo giur».
Gimmi allontanò la mano dal viso di Eleonora.    
«Ora però devo andare»  disse.
Si voltò e si diresse verso il mare. Dopo pochi passi, fu inghiottito dall’ombra delle case. 
«Il varco è qui?» sussurrò Eleonora.
Attese che Gimmi, una volta raggiunto il lungomare, e la spiaggia, riapparisse, ma non accadde.
Una folata di vento più forte delle altre la costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì anche la luce della nave era scomparsa.
«Ed io non so chi va e chi resta» disse Eleonora.
 


La casa dei doganieri 

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende . . . )
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta. 

Eugenio Montale




Rubrus (2022)
 Conosci l'Autore su YouTube!

2 commenti:

  1. Il ragazzo che affoga la vigilia delle nozze o Gimmi, “Kirk” il marinaio, Eleonora stessa, io li ho immaginati come la stessa storia trasfigurata e che fatica a riconoscersi. Frammenti, eventi, anime (o tronchi alla deriva negli oceani del tempo) che, magari, finiscono per ripercorrere la stessa rotta come fantasmi (e ritrovarsi). Ottimo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il racconto è ispirato alla poesia di Montale. Ci sono, come sempre, diverse letture della stessa. I temi sono, ritengo questo non contestabile, quello della memoria, dell'identità e della perdita delle stesse. La dogana stessa (e anche nella poesia) rappresenta secondo me un confine tra i vari piani di realtà.
      Ci ho messo dentro - naturalmente avrei potuto essere molto più esplicito - un accenno alle varie "navi dei morti" presenti nelle mitologie di mezzo mondo.
      Il ragazzo è quindi un passeggero di quella nave venuto a salvare la protagonista dal pericolo. Potrebbe persino essere il suo stesso promesso sposo, morto in mare sette anni prima.
      La morte, però, quella vera, è prima di tutto una cancellazione dell'identità, della coscienza, della memoria, forse ancor più che la dissoluzione del corpo.
      Ecco quindi che Eleonora non riconosce il ragazzo - che a propria volta ha solo un ricordo vago di se stesso.
      Il legame tra i due ha quindi superato la morte, ma non del tutto e per breve tempo.

      Elimina

Commenti offensivi, volgari o inappropriati verranno rimossi.