sabato 31 maggio 2014

La sera in cui il signor Twong riusciva a sentire il drago


I guai di Francesco erano iniziati sfidando Cupido. Non che lo avesse fatto intenzionalmente, beninteso, stava solo lasciandosi trasportare dalla scala mobile verso i piani superiori dell’immenso centro commerciale in cui lavorava, però è quello che accadde, in effetti,  quando si accorse dall’alto di quella ragazzina.  Era accovacciata a terra e in un angolo,  vicino al negozio di abbigliamento del quarto piano; la osservò attentamente prima di decidere sul da farsi.
Pareva in preda a una crisi isterica e discuteva a uno smartphone, e poiché lui un tempo si era occupato anche della sicurezza e, occasionalmente, d’informare altro  personale adibito a quell’incarico in caso di problemi, approfittò della sua posizione per ridiscendere di un piano e parlarci.
Sporgendosi un po’ dal rivestimento gommoso del corrimano la vide mentre con una mano si arruffava disperata i ricci capelli corvini.
"Posso fare qualcosa per te?" le chiese, una volta raggiuntala e cercando di mostrare al meglio tutta la sua paterna benevolenza. Del resto, avrebbe potuto esserne proprio un genitore; visto che suo figlio, a occhio e croce, aveva più o meno la stessa età.
"Oh sì…" rispose la ragazzina, interrompendo seccata il suo piagnisteo. "Se è in grado di restituirmi questo stronzo!.."
Si riferiva al suo interlocutore telefonico.
"Avanti!" gridò. "Dica qualcosa a questo stronzo che mi ha appena mollata!" E, alzandosi di scatto, gli allungò lo smartphone sotto il naso.
Pene d’amore. Francesco indietreggiò e si grattò la nuca imbarazzato, mentre la gente attorno osservava la scena, poi, non sapendo bene cosa dire, si congedò veloce e con un mezzo sorriso.
"Vedrai che ti passa!" decise subito dopo, voltandosi mentre tornava alla scala mobile, ma era la cosa più stupida che gli era riuscita d’improvvisare e, in un certo senso, lo sapeva. Chi non aveva mai sofferto una delusione simile per conoscere quanto poteva esserne lungo e doloroso il decorso, dopotutto?
Si rallegrò del fatto, in più, e con grande sicurezza, che quel genere di emozioni per lui erano comunque lontane e che sarebbero sempre e soltanto rimaste un ricordo; un po’ come se a quarantasette anni si avessero sviluppati degli anticorpi speciali ed efficacissimi a quel tipo di esperienze.



Ultimo livello. Lì, oltre ai negozi, c’erano un bar e il ristorante cinese, ed era  lì che spesso Francesco s’incontrava con Marzia, la titolare di una  libreria al secondo piano. Appena arrivato fece scorrere il suo sguardo all’impazzata fra la moltitudine di persone e avventori attorno al bancone o sedute ai tavolini del bar, intento a cercarla, ma non c’era.
"Oddio! Dove sei?" pensò. "Non ce le vogliamo fare, oggi, le nostre belle, quattro chiacchiere?"
Poi se la vide comparire alle spalle, con quel suo sorriso simpatico e i capelli un po’ spettinati. Un lungo ciuffo le cascava davanti al naso.
"Ouff!…" fece lei, prese una mollettina e se lo fissò dietro alle orecchie.
"caffè?!…" disse, dopo.
"Già!…" rispose Francesco, notando che aveva un bello scazzo e niente trucco, come tutti i giorni.
"...Mio marito è di nuovo in viaggio per gli Stati Uniti…" cominciò. "E quelle combina guai sono a piede libero…"
Alludeva alle due figlie adolescenti, che avevano appena iniziato le vacanze estive.
"Questa sera, poi, avranno ancora più libertà; visto che mi devo fermare fino alle dieci per riorganizzare un nuovo spazio espositivo."
Lo sguardo di Francesco corse subito all’ insegna del ristorante cinese.
"Oh!… Sono anch’io di turno fino a quell’ora, oggi." replicò.
Poi indicò l’insegna.
"Che ne dici se…"
Marzia annuì. Altre volte avevano pranzato o cenato assieme in quel posto.
"Hmmm… Sì, mi sembra una buona idea. E’ da un po’ che non gusto la salsa di gamberi di Twong Chi." 
"Ah!…" Pensò Francesco. "Pensavo ti facesse piacere anche la mia compagnia."
Ma sapeva che Marzia, in ogni caso, mai avrebbe ammesso o esplicitato una cosa simile; dato che mai aveva mostrato per lui qualcosa che andasse oltre una semplice simpatia.
Invece a lui piaceva farlo, comunicare in qualche modo l’attrazione che provava nei suoi confronti. Insomma, ci aveva provato, e diverse volte anche, ma  sempre nell’unico modo che gli pareva consentito dalla sua posizione di uomo sposato: lo scherzo; che poi tanto scherzo non era, naturalmente.
Era qualcosa che, tuttavia, nel tempo, nell’attesa di quella risposta che non arriva mai, forse perché un po’ troppo folle e immatura, gli aveva dato con essa un’ampia libertà di dialogo; una specie di disinibito distacco.
"il lavoro, qui, procede bene?" chiese lei.
"Bhà!…" cominciò Francesco, prima di ordinare i due caffè.
Purtroppo si finisce sempre a parlare della famiglia o delle proprie vicissitudini lavorative.



Questa volta fu Marzia ad arrivare per prima, ed aveva già sistemato per bene i capelli. Pure un filo di trucco sui suoi occhietti verdi non mancava.
Si guardò attorno, poi l’ingresso del ristorante. S’incamminò verso l’entrata soprattutto per controllare che all’interno non ci fossero altri colleghi o persone di sua conoscenza, e vide che non c’erano.
Poi, quasi tranquilla, tornò fuori. Erano le ore venti. Alzò lo sguardo dal quadrante dell’orologio e vide che qualcuno piano piano emergeva dalla rampa della scala mobile, ma non era Francesco; arrivarono, invece, una dozzina di persone e qualcosa che non era umano.
Quel qualcosa, tuttavia, ne aveva l’aspetto ed era anche incredibilmente bello. Si avvicinò a Marzia, che non poteva assolutamente vederlo e percepirlo in alcun modo, e la guardò da capo a piedi girandole attorno.
"hmmm…" fece.
Neanche la sua perplessità poteva essere udita.
"Come fai a controllare così bene le tue emozioni, a fuggirle?" chiese quest’ultimo, ben sapendo di parlare fra sé e sé.
Poi si fermo, chinandosi davanti al suo viso quasi fino a sfiorarle la punta del naso, per sondarne attraverso gli occhi le profondità dell’anima. Le paure.
Ah!…Le paure.
Fosse stato per un solo, buon motivo che non fosse la paura l’avrebbe capita.
"Hmmm…" invece ripeté, quasi come a volerla rimproverare.  Tuttavia,  il suo vero bersaglio era Francesco; per cui, dopo averla scrutata un altro po’ nell’intimo, entrò nel locale e prese posto in uno dei suoi tanti tavoli vuoti.
Marzia, intanto, aveva sfilato il cellulare dalla borsetta e si stava assicurando che le figlie stessero davvero per andare al cinema e non a casa di qualche combriccola di amici troppo espansivi o confusi da alcol e droghe.



"Pensavo ti fossi dimenticato del nostro appuntamento, qui" disse, mentre si accomodavano in quella parte del locale riservata alle coppie, là dove un separé riccamente decorato consentiva una certa intimità e isolamento dal resto della sala.
"Figurati! E’ che volevo farmi bello, prima d’incontrarti…" rispose Francesco.
Sistemò con un sorriso il colletto della camicia e i mossi capelli castano chiaro che da un paio di annetti avevano cominciato a diradarsi.
"Oh!… Gli occhiali, dove ho messo gli occhiali?" disse poi, frugando nel taschino interno della giacca.
"Voglio provare quella roba lì, questa volta…" proseguì. "Quella che scegli sempre tu."
E afferrò veloce il menù.
"Ah! Le tagliatelle misto mare alla piastra?…" lo aiutò Marzia.
"Proprio quelle!" annuì Francesco.
Che lei accennasse qualcosa al fatto che lui aveva tentato di rendersi piacente, se lo poteva sognare.
Nel frattempo arrivò Twong Chi, il titolare, che occasionalmente si presentava per salutare i clienti; soprattutto quando questi cominciavano a scarseggiare.
"Buona sela signoli!" disse.
Aveva l’occhio destro coperto da una benda adesiva e bianca, e gli mancava l’orecchio sinistro. Al suo posto sembrava avere una poltiglia cauterizzata. 
"Adesso capisco perché il ristorante è quasi vuoto" pensò Francesco.
Marzia, invece,  rispose al saluto e spostò subito la sua attenzione alle pagine del menù fingendo di non sapere cosa aveva in mente di ordinare, trattenendo un sorriso.
"Oh!… Signoli. Voi non nuovi qui, pelché io già visto tante volte…Pel cui scusate, allola, se questa non mi tlovate tanto in folma…"
Marzia e Francesco tentarono di rispondere che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ma vennero interrotti dalla spiegazione di Twong.
"Io aggledito la settimana scolsa da due dlogati, cledo… Uno almato di coltello e l’altlo con bastone di scopa…"
Marzia fece una smorfia di compatito orrore.
"…Pleso pugno foltissimo nell’occhio, tante legnate sulla testa e slamettata e calci nell’olecchio."
Si chinò per mostrare bene le tumefazioni e gangli cicatriziali dell’ex padiglione auricolare.
Francesco non sapeva se ce l’avrebbe davvero fatta a ordinare le tagliatelle o qualsiasi altra cosa.
"Finito all’ospedale due giolni e, quando tolnato, scopelto che potevo sentile il dlago…"
"Il drago?" chiese Francesco.
"Sì, il dlago. Quello che dimola nel mio locale, qui." Indicò la sala con un ampio gesto del braccio, allontanandosi di pochi passi per oltrepassare il divisorio.
"Lui glande e, svolazzando di qua e là, sbatte sui muli. Io posso sentile qunado ulta le paleti o le flusta con la sua coda, ma non liesco a vedello."
Marzia si stava quasi nascondendo dietro al menù, che ora teneva sollevato. Presto le sarebbe sfuggita una risata isterica o qualcosa del genere.
"Pel plincipio di compensazione di Tao, folse, io plivato palzialmente di alcuni sensi per licevele questo dono…" proseguì Twong.
"Ma non voglio insistele col laccontale, che magali voi avele tanta fame. Ola mando mia figlia a plendele le oldinazioni."
E così fece.
"Buona continuazione di selata, signoli." disse, incamminandosi verso la cucina.
"Grazie!" rispose Francesco.
Aspettarono che si allontanasse abbastanza, poi si guardarono allibiti.
"Il tao, il “dlago”…" disse Francesco. "Oh!… Ma che cazzo sta dicendo questo?"
Marzia, finalmente, esplose in una risata liberatoria; tranciata appena sul finire dalla comparsa di Mailengling, la figlia di Twong.
Appena ordinato, però, e lasciati di nuovo soli ripresero a ridere e scherzare su quella che prometteva di trasformarsi in una serata davvero insolita. In particolare, Marzia notò che nonostante la figlia di Twong fosse molto bella e appariscente nel suo attillato abito blu elettrico e pieno di brillantini, Francesco le diede solo una rapida occhiata.
Francesco, invece, dal canto suo pensò che quello poteva essere il modo più elegante ed efficace per dimostrare che tutta la sua attenzione era concentrata su di lei. Dopo, però, sforzandosi di non distogliere lo sguardo per seguire il fondoschiena di Mailenglig che tornava alla cucina, pensò:
"Ma cosa diavolo mi passa per la testa? Chi sono, io, per preoccuparmi di tutto questo? Cosa sto cercando di fare?"
Gli sembrava che qualcosa lo stesse lavorando dall’interno, confondendolo, amplificando i suoi sentimenti per Marzia.
Assieme alle portate, le sfrigolanti tagliatelle misto mare alla piastra, comunque, a un certo punto arrivò anche Twong.
"Oddio!…" bisbigliò Francesco. "Non ce la faccio a guardarlo. Cosa vuole, ancora?"
Marzia si mise a percorrere con un dito i ricami della tovaglia.
"Non devo ridere." pensò.
"Come fai a controllare così bene le tue emozioni, a fuggirle?" si era chiesto e continuava a chiedersi Cupido.
Twong, invece, aspettò che la figlia posasse tutto sul tavolo e, con braccia conserte dietro alla schiena, rimase in piedi a guardarli.
"Mi augulo che siano di vostlo gladimento signoli…" disse. "Oggi  possiamo fale tutto con calma e al meglio, visto che avele pochi clienti…"
"Ah!…" commentò Francesco, indeciso se fosse o meno educato mettersi a mangiare.
"Il dlago è nelvoso questa sela…" proseguì Twong. "Non vuole andale di là, nella seconda saletta. Folse c’è fantasma o qualcosa di sovlaumano."
Marzia tossì un paio di volte.
"Ci sono solo tle tavoli occupati, della gente tlanquilla, ma lui sente che altlo si nasconde fla lolo. Qualcosa venuta a chiudele un conto o esaudile un desidelio…"
"Quanto è grosso questo… Drago?" chiese Francesco. Forse assecondarlo, permettergli di esprimere più compiutamente la sua follia, poteva aiutare a toglierselo in fretta dalle palle, pensò.
"No, no! Io non posso vedele lui, come ho già spiegato; solo sentile dove si tlova…" ripetè Twong. "Pel vedele spiliti di non uomini bisogna essele belli calichi."
"Belli calichi?" chiese ancora Francesco, questa volta infilando il primo boccone.
"Sì, belli calichi, come quando ti accade cosa molto bella o molto blutta. Allola, se attolno c’è uno di quelli e la tua emozione collisponde al suo potele, liesci a vedello…"
Anche Marzia aveva iniziato a mangiare.
In un modo o nell’altro bisognava comunicargli che doveva andarsene, altrimenti sarebbero scoppiati a ridergli in faccia.
Fu Mailengling, tuttavia, ad impedire che questo accadesse.
Gli diede un buffetto sulla spalla e con due parole in stretto cantonese se lo portò via.



Non lo rividero per tutto il resto della serata; neanche quando la ragazza portò i caffè. In realtà, nonostante la pessima esibizione di quel suo orecchio, Twong non era riuscito a guastare davvero quella cena. Anzi, Francesco aveva pure voluto assaggiare la salsa di gamberi. Si erano divertiti.
"Ci ha salvati…" commentò Francesco, dopo, vedendo passare Mailenglig  con dei vassoi destinati ad altri tavoli.
"Bella èh?" chiese Marzia.
"oh!…" commentò lui, come aveva sempre fatto, con quella sua simulata disinvoltura. "ma anche tu sei…"
"Bellissima?" pensò. No, non lo era, e sarebbe stato stupido enfatizzare la sua attrazione per lei con quel complimento.
"una donna molto interessante." disse, allora.
E lei, come al solito, come aveva fatto altre cento volte davanti a quelle sue frasi, rispose con un sorriso.
Poi ci furono quattro o cinque secondi di silenzio.
Marzia appoggiò la tazzina vuota.
"Davvero!" ripeté Francesco.
Lei si voltò di lato, a guardare una parte del locale dove non c’era assolutamente nulla d’interessante da guardare.
"Ma smettila!" rispose, senza distogliere lo sguardo da quel nulla.
E fu allora che Francesco si decise ad andare un po’ più in là.
Le prese con entrambe le mani il volto, rigirandolo delicatamente davanti al suo. Poi, senza mollare la presa, disse ancora:
"Davvero!"
Questa volta con un sorriso che cercava di mostrare disimpegno, tranquillizzarla. 
"Smettila!" insistette lei, sorridendo a sua volta.
Cominciò, però, a vederla arrossire, sentire il calore di quel purpureo imbarazzo riscaldargli i palmi, ed era una sensazione molto piacevole.
Fece allora scorrere le sue mani dalle guance alle orecchie, in una delicata carezza impegnata a spostarle indietro i capelli e che lei bloccò all’istante afferrandogliele.
Mani sulle mani, ma era stata una reazione che non aveva realmente interrotto il suo gesto, anzi, sembrava volerlo bloccare nel suo affettuoso calore. 
E fu così che lui la guardò negli occhi chiedendosi chi realmente fosse quella donna. Quella donna che vedeva tutti i giorni e con cui, ogni tanto, scambiava qualche battuta. Quella donna di cui non sapeva quasi niente; di cui, qualche volta, aveva appreso notizie dai colleghi o dalle chiacchiere degli amici, dalle poche cose del suo privato che lei stessa gli aveva rivelato.
Chi era? Continuò a pensare. In fondo, pur conoscendola da tanto tempo, avevano condiviso ben poco e fra di loro non era mai accaduto nulla di significativo che potesse giustificare la situazione in cui ora si trovava. Magari, c’erano stati altri uomini più convinti o convincenti nel suo passato, e che l’avevano delusa, allontanata anni luce dal desiderio di rivivere tutto quello che lui aveva in mente. Eppure, in quella stretta di mani, in quel trattenere, gli sembrò per un attimo di trovare la risposta a tutti i suoi tentativi di sedurla. Poi la vide abbassare lo sguardo e così ne approfittò per osservarne meglio tutti quelli che riteneva gli adorabili difetti del suo viso. Dalle rughette della maturità ai capelli che qui e là stavano sfuggendo alla tintura. E continuò a desiderarla, contro ogni logica e buonsenso, animato da qualcosa d’ istintivo e profondo che non ammetteva rivali.
"Okay!…" si disse, tuttavia. "Ora sfili quelle tue manacce da stronzo e continui a mangiare con simpatica nonchalance. Poi torni a casa, dalla tua famiglia, come tutti gli altri santissimi giorni."
Ma le mani di lei ancora lo trattenevano in morbida ed eloquente attesa, su quelle guance infuocate.
"E no, caro mio,…" gli disse il diavolo a questo punto. S’immaginò di vederselo comparire sopra una spalla, piccolo e buffo come nei cartoni animati.
"Ora fai l’uomo e vai fino in fondo con un cazzo di bacio! Costi quel che costi. Non se ne parla di tirarsi indietro adesso! Il gioco è finito e hai fatto tutto quello che c’era da fare per arrivare fin qui. E' questo il momento giusto!"
Francesco, allora, sentì che era proprio arrivato il tempo di agire, di prendersi qualcosa dal suo Tempo. Il tempo di non tradire anche se stessi, soprattutto.
"Vaffanculo!..." si disse. "Lo faccio!"
Senza mai staccar le mani dalla sua faccia, quindi, si alzò un poco, lentamente, più che altro chinandosi sullo stretto tavolo che li separava, e la baciò. Un bacio di quelli che assaggiano per bene le labbra prima di andare in profondità. Ed era una sensazione intensa, di quelle che non provava da molto tempo e che ora gli martellavano in petto.
Bom! Bom! Bom!… Il caro, vecchio cuore. Ce lo aveva ancora, pensò, mentre Marzia partecipava con la stessa passione e mezza inebetita dallo stupore.
Quello che sarebbe accaduto in seguito restava certamente una preoccupante incognita, ma non se ne volle curare in quel momento. Neppure del rischio che qualche conoscente potesse sorprenderli. Fosse stato anche solo per quell’unica, intensa emozione, come una piccolissima parentesi della sua vita, ne era valsa la pena; questo pensò.  Non gl’importava quanto, dopo, sarebbero andati avanti con la cosa; oppure se,  da lì a pochi giorni, neanche avrebbero più avuto il coraggio di guardarsi in faccia. Poteva accadere davvero di tutto,  magari anche cose tali da polverizzargli quel cuore cannone e farlo piangere come una ragazzina; la ragazzina che aveva irriso qualche ora prima.
A nessuno era dato di conoscere il percorso che avrebbero seguito le sue emozioni; o meglio, a qualcuno, in realtà, era dato…:
Un giovane con una folta e lunga capigliatura bionda.
Francesco si staccò da Marzia e lo vide spuntare dall’ultimo pannello del separé, a poca distanza da loro, e dirigersi  con passo veloce verso l’uscita.  Indossava maglietta e jeans bianchi e aveva dei  bellissimi, insoliti tratti che ne confondevano il sesso, e fu un suo sguardo ad attirarlo. 
Uno sguardo che avrebbe calamitato l’attenzione di chiunque; azzurro e luminoso come una lampada al neon.
"Ti ho fregato!" si sentì sussurrare nella mente, mentre questi gli faceva l’occhiolino.













"La sera in cui il signor Twong riusciva a sentire il drago" (2014)
Racconto di Fabio Cavagliano

il racconto - su P.I.A.F -

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4 commenti:

  1. Un racconto un po' diverso dal solito, un po' più intimista, se vogliamo (ma non troppo) e senza dubbio un po' meno "pulp". Apprezzato, però, e magari proprio per questo.

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  2. Grazie Bob! Mi fa piacere; desideravo tanto la tua lettura. In effetti, per me è un po' difficile mitigare quella bestiaccia che ho dentro, ma ho voluto provarci. E magari, chissà, ritenterò ancora cercando di mantenermi "umano".

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  3. I racconti più sperimentali e riusciti sono quelli che sfiorano appena l'immaginario. Weird è un canone difficilmente caratterizzabile eppure caratterizzante. Weird è una definizione che ha braccia larghe, pronta ad accogliere visioni contrastanti e che sempre arrivano forti sulla pelle del lettore. Fredda come un brivido, evocativa, straniante, intima: “La sera in cui il signor Twong riusciva a sentire il drago” è una lunga confessione che rovescia ogni prospettiva prevedibile. In questa storia affronti l’amore partendo dai vuoti, dalle macerie dell’anima, come se scavasse sotto la cenere delle sconfitte di un’esistenza anonima, alla ricerca di un calore invisibile, delle tracce di una preda da cacciare, e quella preda è un io più giovane, nascosto in un uomo soffocato dalla quotidianità. Con uno stile essenziale e preciso, tessi la tua rete di dolore in cui il protagonista, a sue spese, comprende come sia poca cosa la razionalità della notte se viene rotta dalla timida luce di una candela… e quella luce, quella breve scintilla di passione potrà essere altrettanto rovinosa e intensa, divorando ogni convenzione, ogni responsabilità, solo per poter gridare alla vita, “sono ancora qui”. Complimenti.

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    1. Una comprensione precisa del mio intento e sentimenti che hanno animato la scrittura. Sono rimasto senza parole!... Grazie Diego

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