lunedì 31 ottobre 2022

Faccia di zucca



Sarebbe andata diversamente, se non fosse stato per la felpa.
Dopotutto, chi fa caso ai barboni?
Quello gironzolava intorno al condominio da… boh, Giorgio non avrebbe saputo dire da quanto. Ogni tanto, passandogli vicino, gli allungava qualche monetina. Forse perché gli spiccioli gli pesavano nelle tasche o forse sulla coscienza.
Una sera, ai primi d’ottobre, attraversando il cortile, Giorgio vide un lumicino lontano.
Un debole bagliore rossastro, come un fuocherello, a poco più di un metro da terra.
Si avvicinò e vide che il barbone (un po’ meno barbone, tanto che Giorgio faticò a riconoscerlo) aveva un carretto di caldarroste.
Il barbone lo salutò – segno che l’aveva riconosciuto subito, lui – e gli porse un sacchetto di semi di zucca. «Tieni, amico, offre la casa» disse.
Fu così che Giorgio vide la felpa.
Era nera, con cappuccio. Sul petto era disegnata una zucca arancione, con tanto di denti e occhi triangolari fiammeggianti. Ottimo, per un carretto di caldarroste, tanto più che, di lì a un mese, sarebbe stato Halloween.
Era la scritta sopra la zucca che non andava bene. Non andava bene per niente.
“Ricordati che devi morire”.
Giorgio esitò, poi prese il sacchetto.
Il barbone gli fece l’occhiolino. Fu uno scintillio, come una favilla.
In quel momento, per Giorgio, il barbone cessò di essere un barbone e acquistò, se non un nome, un soprannome.
Faccia di Zucca.


E poi vi fu quella settimana d’ottobre in cui divennero adulti di colpo e non furono mai più giovani”.
Figurarsi se non mettevano all’inizio del libro una citazione di Ray Bradbury e se…
«Ancora storie di supereroi? Non ne posso più!» sbottò Giorgio.
«Ha venduto abbastanza, in America. E poi sono supereroi un po’ diversi» rispose Paolo dall’altro capo del telefono.
«”Superdark”» lesse Giorgio sulla copertina «Nel periodo di Halloween. Sai che originalità».
«Ok, ok, te lo concedo. “supereroi con superproblemi”. Siamo sempre da quelle parti, almeno da cinquant’anni a questa parte. Però sono racconti, non fumetti. E per un pubblico adulto.».
«Una volta gli adulti non leggevano storie su vendicatori in calzamaglia».
«Dai, Tigna» fece Paolo, Si conoscevano dai tempi della scuola e, da quei giorni lontani, Paolo aveva riesumato il soprannome di Giorgio. «Dai Tigna, non posso permettermi di fare lo schizzinoso. E neanche tu».
Giusto. Gli editor erano quasi scomparsi e i traduttori pagati sempre meno. Giorgio, detto “Tigna”, non poteva permettersi di rifiutare un lavoro. Come non poteva permettersi di pagare le spese condominiali della vecchia casa. Per questo l’aveva venduta e si era trasferito nell’appartamento dei nonni, all’estrema periferia della città. Non ci si stava tanto male. Se non fosse stato per i vicini. O, meglio, i figli dei vicini. Sparavano musica trap dal primo pomeriggio fino a notte inoltrata e…
«Hai detto qualcosa?» chiese Paolo.
«Che almeno non devo tradurre il titolo».
«Oh, no. “Superdark” va bene così. Sai com’è con le parole inglesi».
«Spaccano?».
«Vedi che sei sulla buona strada? Parli come uno del Ventunesimo secolo. E poi... » I vicini fecero partire la musica, Paolo disse qualcosa, Giorgio non capì e chiese a Paolo di ripetere «rifiutare un lavoro per motivi estetici» urlò Paolo «non è professionale».
«E io sono un tipo professionale» disse Giorgio «è una delle piccole cose di cui vado fiero».


«Ecco il resto» disse Faccia di Zucca «Ti piacciono le castagne, a quanto pare».
Me le devo far piacere avrebbe voluto rispondere Giorgio, ma non disse niente e fece scivolare gli spiccioli in tasca.
«Li ho usati bene» disse Faccia di Zucca «I soldini. Li chiamavo così, ricordi?».
Giorgio annuì.
«Non tutti, a dire il vero» proseguì Faccia di Zucca. «Me ne sono bevuti un bel po’, ma poi… la Caritas mi ha dato una mano per acquistare il carretto e la licenza. Dormo ancora all’ostello, ma, se riesco a tenere duro, forse posso ricominciare».
«Potresti iniziare dalla felpa».
«Lo so, allontana i clienti. Alcuni, almeno» ammise Faccia di Zucca «La vedono e se ne vanno. Altri, invece… come i ragazzi di qui, i trapper, quelli che mettono i video su TikTok...» si interruppe.
Su TikTok? pensò Giorgio Ah, sì. Il ventunesimo secolo.
«Ma non lo farò» concluse Faccia di Zucca «serve a ricordarmi…».
«La gente non può vivere a castagne, semi di zucca e ceci» disse Giorgio. E poi, fra sé: Anche se io ci sto provando. Una sera alla settimana sostituisco la cena con un paio di questi sacchetti. Nutrono e mettono sete, così uno beve tanto e si riempie la pancia di acqua. Se mi metto d’impegno, posso arrivare a due sere. Quanto a vivere….
«La gente ha paura di quelli come me. Ci sopporta per un po’, ma ben presto è meglio se cambiamo aria, altrimenti...».
Giorgio non aveva dimenticato l’accenno ai trapper del circondario. Si chiese se avessero dato delle noie a Faccia di Zucca. Non se ne sarebbe stupito «Vigliacchi che agiscono in branco».
Faccia di Zucca alzò le spalle «Hanno solo paura di diventare come noi. Come me».


«Allora, Tigna, come va con “Superdark?” Halloween è vicino».
«Mi manca una storia con Superpippo» disse Giorgio «Sai, Pippo mangiava un’arachide, con tanto di guscio e...».
«Tah – dah» concluse Paolo.
«Senti, a proposito di storie e racconti, io...».
«No, dai, Tigna, non farlo. Non propormi roba tua. Io, per me, la pubblicherei, se vuoi posso metterti nero su bianco che è meglio di un sacco di schifezze che mi arrivano però...».
«...però io non sono uno scrittore» lo interruppe Giorgio «non uno che vende, almeno».
«Nessuno vende. Nessuno, proprio nessuno in questo paese campa di scrittura. Però...».
Giorgio gli puntò contro un dito. Anche se a diversi chilometri di distanza, e separato dagli schermi di due computer e un collegamento internet, Paolo si tirò indietro. «No» disse Giorgio «L’auto-pubblicazione, no. Se non trovi uno straccio di editore disposto a pubblicarti, non sei uno scrittore. Punto».
«La scrittura non c’entra niente con queste faccende. Quanto all’arte...».
«So come funziona, sono anche io nell’ambiente, ricordi? Se metti in rete il tuo libro, il distributore vuole che tu lo venda al prezzo più basso. Questo vuol dire che devi vendere alcune centinaia di copie solo per rientrare delle spese nonché del tempo speso a scrivere. E siccome ci sono alcune migliaia di persone che, sempre grazie alla rete, fanno lo stesso...».
«Il buon vecchio Tigna» sogghignò Paolo.
«Perciò, niente auto- pubblicazione. Mi sentirei come un altro di quei deficienti che mettono in rete roba che chiamano“musica” e, siccome non sfondano...».
I trapper del vicinato iniziarono proprio in quel momento il loro concerto quotidiano.


Le castagne erano sparse per tutto il cortile. E così arachidi, ceci e semi di zucca. Il carretto era stato rovesciato ed era pieno di ammaccature. Una ruota era stata strappata ed era scomparsa, un’altra deformata e inservibile.
«Razza di delinquenti» ringhiò Giorgio raccogliendo il fornello. «Dovresti chiamare i carabinieri».
«Non servirebbe» disse Faccia di Zucca.
Giorgio si alzò col fornello in mano «No, non servirebbe, hai ragione».
Faccia di Zucca scosse la testa «Non capisci. Non serve se non comprendono. Se non cambia il modo di pensare...» gemette, raccogliendo le palette con cui serviva le caldarroste.
Giorgio indicò la felpa. Era imbrattata e lacera. Una manica non c’era più. La zucca ghignante era coperta di fango e la scritta sbrindellata, come se avessero provato a strapparla. «Potresti almeno cambiarla».
«No» disse Faccia di Zucca. Lasciò cadere le palette e squadrò Giorgio indicando la scritta sulla felpa: “Ricordati che devi morire”. «È da qui che si deve partire». Guardò quel che rimaneva del fuoco. Alcune braci, miracolosamente, erano rimaste accese. «Te li ricordi i camion? Quelli che portavano via le bare perché non c’era più posto per seppellire i morti? No, vero? O meglio. Li ricordi, ma devi andare a ripescare nella memoria. È qualcosa, semplicemente, di troppo grande da tenere a mente. Così lo ficchi in un angolo del cervello e lo metti da parte. Sai che rispunterà sempre fuori, che, semplicemente, non puoi ignorare il fatto che c’era la tua famiglia, su quei camion. Però ci provi lo stesso. Perché è così che ci hanno insegnato. Viviamo come se dovessimo essere eterni. Una parte di noi sa che non è così, ma ci fanno credere che basta non pensarci, che è una cosa che riguarda il futuro e il futuro non esiste. C’è solo il presente. Il tempo di un video e poi un altro e un altro ancora. Ma questa...» afferrò quel che rimaneva della felpa e la agitò come se fosse una bandiera «Questa ci ricorda che non ci saremo per sempre. Che quelli che amiamo non ci saranno per sempre. E allora, prima di consumare un istante dopo l’altro, sarebbe bene ricordare che siamo fatti per essere consumati» raccolse da terra una caldarrosta «Se riusciamo a capirlo, persino una di queste diventa importante».
«Quelli non vogliono mangiare caldarroste» disse Giorgio «vogliono diventare» fece il gesto delle virgolette «virali».


«Come sarebbe che devi rivedere il contratto?».
La riposta di Paolo arrivò smozzicata. Niente collegamento video, stavolta. Solo il buon caro, vecchio telefono.
«Sicché un algoritmo consentirebbe traduzioni sufficientemente corrette» sintetizzò Giorgio.
La risposta di Paolo fu più articolata ma poteva essere riassunta in un “sì”.
«Sai, vecchio mio» disse Giorgio «Ci sono alcune piccole cose, nella vita, di cui vado fiero. Per esempio essere un professionista. O non aver mai auto-pubblicato nulla… no, non interrompere. C’è dell’altro. Non ho Whatsapp, non mi sono mai fatto un selfie e non ho mai comprato niente sul web a meno che non vi fossi costretto. Inezie che hanno senso solo per il vecchio Tigna. Ora ne vorrei aggiungere un’altra. Vorrei dirti quello che penso di te».
Ciò che seguì è irriferibile.

Cominciò col cognac. Latte e cognac, per essere precisi. Per il mal di gola. I buoni, cari vecchi rimedi dei nonni. Ma, dopotutto, abbiamo davvero bisogno del latte? E, accidenti, se i semi di zucca mettono sete. Chissà che effetto fanno col whisky.


Si svegliò il mattino dopo con il mal di testa, un sapore orribile in bocca e il confuso ricordo di un sogno in cui lui vendeva caldarroste e dormiva negli ostelli.
Eppure non era stato un incubo. Anzi, era stato un sogno quasi piacevole.
Non era un incubo neppure ciò che giaceva sul suo letto, pulita e profumata.
La felpa di Faccia di Zucca, perfettamente intatta.
Non ricordava di essersela portata via, né che Faccia di Zucca glie l’avesse data.
Guardò fuori dalla finestra. Era buio, ma era impossibile che fosse ancora notte. Non poteva aver dormito così poco.
Non trovando né orologio né cellulare, accese la TV.
Non era “ancora” notte. Era di nuovo notte.
E quelli i programmi di seconda serata.
Un esperto parlava del disagio giovanile nelle periferie, che spingeva i giovani, in cerca di visibilità, riconoscimento sociale eccetera eccetera, ad atti di violenza.
Quella volta c’era scappato il morto.
Un venditore di caldarroste, colpevole di indossare la felpa sbagliata, con una scritta che i ragazzi non avevano gradito.
“Ricordati che devi morire”.
Giorgio rimase immobile per alcuni minuti mentre la notte avanzava.
Poi, a poco a poco, cercò di riprendere il contatto con la realtà.
La realtà era che Faccia di Zucca era morto e che lui avrebbe voluto chiedergli come si fa a toccare il fondo della scala sociale e risalire. O se le storie dell’orrore (Superdark, la scritta sulla felpa, perché cos’altro era, quella, se non una storia dell’orrore?) servivano a ricordarci che è vero che siamo cibo per i vermi, ma la mortalità definisce la moralità e allora tutto (le castagne, i video virali, i soldi in banca, i camion pieni di morti) assume le giuste proporzioni.
La realtà era che non gli avrebbe chiesto nulla di tutto questo.
La realtà era che si era ubriacato e, se non fosse stato sbronzo, avrebbe potuto fare… be’, avrebbe potuto fare qualcosa.
La verità era che era dannatamente confuso.
Per esempio, non ricordava come avesse fatto la felpa di Faccia di Zucca a finire lì, né come facesse ad essere intera. Anzi, ricordava che, l’ultima volta che l’aveva vista, era a brandelli.
Ricordava anche di essersi scolato un’intera bottiglia di whisky e invece eccola lì, piena, sul comodino.
Oh be’, almeno a quello c’era rimedio.


Suvvia, vecchio mio, lo sai un sacco di scrittori sono alcoolizzati pensò Giorgio dopo essere riemerso da un sonno profondo e senza sogni.
Non stava male, però.
Si sentiva straordinariamente lucido, presente. Si sentiva diverso. Si sentiva… oh, per la miseria si sentiva bene.
Si alzò e guardò fuori dalla finestra. Notte. Di nuovo.
Il vetro si appannò. Doveva far freddo.
Si accorse di indossare la felpa di Faccia di Zucca. Doveva averla indossata mentre dormiva.
Accese il computer e cercò in rete notizie sulla morte del barbone.
I ragazzi (Giorgio riconobbe nomi che aveva visto sulle caselle dei citofoni, prima che qualcuno li strappasse) erano stati individuati e… sai che sforzo. Ultimamente qualunque imbecille metteva in rete le proprie gesta e i delinquenti non facevano eccezione. Il lavoro della polizia rischiava di essere piuttosto noioso. Comunque erano stati messi ai domiciliari e… e basta. Non stette a leggere il resto dell’articolo. Si sapeva come andavano queste cose. Anche se li avessero condannati, qualche giudice dal cuore tenero li avrebbe scarcerati in breve tempo. Loro sarebbero tornati a casa e avrebbero continuato a romperei timpani al prossimo. O peggio. Anzi: e peggio.
Chiuse la pagina e aprì il file con la traduzione dell’Immortale Capolavoro sui Vendicatori in Calzamaglia.
C’era anche l’ultimo racconto, anche se non ricordava di averlo tradotto. Probabilmente lo aveva fatto mentre era sbronzo. «Chissà, magari mi è venuto anche meglio» disse.
La voce gli uscì in un farfuglio, come se stesse masticando una spugna.
Si toccò la bocca e si accorse che non era come avrebbe dovuto essere.
L’intera testa non era come avrebbe dovuto essere.
Prese il cellulare e lo puntò verso di sé, come se volesse farsi un selfie.
Occhi a losanga si accesero di luce rossastra sopra zanne triangolari che, ghignando, schiumavano polpa di zucca e sembravano affilate come rasoi..
Oh sì, avrebbe fatto un sacco di selfie con un po’ di persone.
E sarebbero stati virali.







"Faccia di zucca"  Rubrus 2022

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