-Mi sono stancato di sfilare; di quegli abiti; di passare per culattone- disse Luca, appoggiando il boccale vuoto. Normalmente il suo lessico era molto più ricercato, ma in questo caso la birra lo stava innervosendo; una delle ragazze sedute accanto osservò con apprensione il suo incerto equilibrio sullo sgabello.
-Forse dovrei mettermi a fare il pittore!…Quello mi piace davvero e mi riesce bene.- proseguì.
-E’ vero. Lo capisco.- rispose con calma Giorgio, cercando di tranquillizzarlo. -E’ sicuramente lo stress di questo tuo impiego... Altrimenti non avresti mai fatto una cosa del genere-. Prontamente gli appoggiò anche una mano sulla schiena, per evitare che cadesse all'indietro.
Luca si chinò sul bancone, senza alcun imbarazzo.
-Ti riferisci al colpo che ho dato alla mia principale?- disse.
-Già! Come hai potuto?-
-Non so, credimi. Avevo i capelli raccolti come un samurai:... l'acconciatura non era in linea con l'abito che avrei dovuto indossare quel giorno, ma ci stava bene; rendeva tutto più originale. Lo stilista la definì addirittura "una iniziativa geniale!". Poi è successo che quella è entrata nel mio camerino...- Giorgio cercò nuovamente d'invitarlo a starsene bello chino sul bancone.
-...voleva darmi dei consigli su come muovermi in passerella, credo, ...e nel farlo, avvicinandosi lentamente alle mie spalle, mi ha toccato i capelli per sistemarmi la crocchia “pendente da un lato”, a suo dire. Maledetta, inutile, stupida perfezionista! Neanche era stata sua l'idea di legarli in quel modo.-
-Forse proprio questo non le andava giù- rispose con la solita flemma Giorgio, assecondandolo.
-Così le hai tirato un calcio nella milza?- aggiunse, sconcertato e divertito dalla palese assurdità di quella giustificazione.
-Sì, ...è andata più o meno in questo modo. Appena le sue raggrinzite mani da mummia si sono appoggiate sulla mia testa, mi sono girato di scatto e l'ho colpita; un laterale ai fianchi, ben assestato. Ottimo, se consideri che non ho mai frequentato una palestra di arti marziali.-
-Cristo! Amico sei fuso...- cercò d'interromperlo Giorgio.
-E' stato un gesto veloce- proseguì freddamente, -istintivo. Simile a quello con cui cercheresti di allontanare una mosca dal naso. Non ti preoccupa l'eventualità di ferirla o ucciderla; lo fai e basta-.
Concluso questo inquietante paragone, cercò di attirare l'attenzione di una delle ragazze che servivano ai tavoli.
-Permettimi di allungare il discorso con un'altra birra- disse.
-E' mostruoso! Te ne rendi conto?- rispose Giorgio, immaginando come poteva sentirsi quella donna di mezza età dopo aver ricevuto il calcio. Non pensava di avere amici così subnormali.
-Miriam che dice di questa storia?-proseguì.
-Non le ho potuto raccontare nulla. E' da un paio di settimane che non ci vediamo, ...per via dei nostri problemi.- concluse Luca, fissando torvamente il bicchiere. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, ne scolò il contenuto e si alzò, mollando Giorgio nel pub con un cenno di saluto e senza spiegazioni, per tornare nella sua disordinata casa di scapolo.
Quell'ultima domanda lo aveva allontanato di brutto dal piacere della conversazione.
Intanto l' amico per attaccar bottone con una delle ragazze vicino, che avevano riso ascoltando parte della conversazione, prese a sputtanarlo con ogni sorta di aneddoto sul suo conto.
-Si. Miriam, in effetti, poteva essere un buon rimedio quella sera.- pensò. Per avere anche, soltanto una banale conversazione con lei occorreva infatti svuotare la mente... ed era proprio ciò di cui aveva bisogno: annientare i pensieri o ridurli alla loro forma più primitiva.
Così, dopo cena, si sdraiò sul divano; era intenzionato a farsi una bella litigata telefonica, un discorso ricco di umiliazioni e invettive varie.
Compose maleficamente il numero.
-Pronto?-
-Sono prontissimo- disse, cercando di metterla subito a disagio.
-ah...sei tu! Scusami. Ho schiacciato subito, senza guardare. Che vuoi?- rispose Miriam; sembrava molto giù, quasi apprestarsi al suicidio.
-Béh, ...ecco,...mi chiedevo se domani sera ti andrebbe di papparti una pizza. Ho una gran voglia di vederti- cercò di scandire quest'ultima frase con voce suadente, come un attore di soap opera; senza strafare, però, nella misura in cui lei non avrebbe capito che voleva sfottere.
Un assenso l'avrebbe terribilmente spiazzato.
Infatti la risposta fu, come al solito, che era stanca, distrutta dal lavoro. Aveva passato millenni davanti al computer, digitando codici... Disse che il polso le doleva e che, molto probabilmente, si trattava di tendinite...Oppure di un male che in ogni caso non le avrebbe consentito di tagliare la pizza con sufficiente destrezza. Gli chiese pure di non arrabbiarsi.
-Perché dovrei? Riposati, piuttosto!- disse, fingendosi ignobilmente comprensivo e benevolo. -...Ci vediamo sabato, magari, o quando starai meglio e non avrai altr’impegni.-
-Effettivamente ne ho parecchi nelle settimane a venire. Mi sarebbe piaciuto Sabato, ma devo partecipare a un'esibizione di Kung fu. Lo sai, no?!, che pratico questa disciplina da nove anni. Ci sono tutti gli atleti della mia palestra.- disse Miriam.
-Assisterei volentieri! anche a me interessano queste cos...- tentò di replicare, ma non ebbe il tempo di concludere la frase.
-Vorrei portarti, ...però, in quest'occasione, ripeto, mi esibisco anch'io e la tua presenza potrebbe imbarazzarmi, compromettendo la buona riuscita della mia prova coi bastoni- rispose prontamente Miriam.
-Ficcateli nel culo quei bastoni!- pensò Luca, sapendo che i veri marzialisti possiedono un autocontrollo tale da dominare alla perfezione il loro fisico e la loro mente, senza lasciarsi imbarazzare da niente.
-Come preferisci, Miriam. Non ho alcuna intenzione di procurarti figuracce- rispose in realtà e con maggiore benevolenza.
-Vorrei che fossi con me, ma... Capisci?-
-Certo! Non preoccuparti e dai il meglio; mi raccomando!- disse, con una vena di pietosa e falsa rassegnazione.
-Dò sempre il meglio, IO!-
-Lo so...lo so...-
-Perché dici: 'lo so...lo so..' in quel modo sarcastico?- chiese Miriam con la sua parlantina che, da depressa, stava tornando via via più veloce e snervante.
-Sarcasico?!-
-Proprio! ...un sarcasmo misto a irritazione, direi.-
-Forse sono inconsciamente irritato dal fatto che non ci vediamo-
-Come al solito non capisci. Ho bisogno del mio spazio; della mia libertà e di tempo per capire cosa provo realmente. Mentre tu, dall'alto del tuo egocentrismo, mi vorresti prostrata ai tuoi piedi-
-Sbagli. cerco di capire se vuoi vedermi ancora- rispose Luca, sforzandosi di mantenere il gioco a livelli pacificamente accettabili.
-No! Questa settimana non posso...magari la prossima o più avanti.-
-Più avanti?!-
-Si, ma non ti sto chiedendo di aspettarmi. Sia ben chiaro.
-Bene. Mi sforzerò di non pensarti, non infastidirti con queste telefonate.- rispose Luca, allontanandosi un po' dal suo malefico intento.
-Mi stai dando dell'insensibile...Eccoti!: sempre pronto a puntare il dito. Fai paura quando sei così; esattamente come la mia famiglia, ...ma se non ci sono riusciti loro a mettermi sotto una campana di vetro, figuriamoci un bell'imbusto come te!-
Era partita in quarta. Raffiche di parole, rimproveri; come una diabolica macchinetta programmata per parlare in continuazione e lui non sapeva più che rispondere, pensare.
Tuttavia non voleva mollare così in fretta la partita. -Perché dovrei metterti sotto una campana? Vorrei soltanto una risposta decente alla domanda di prima.- disse.
-Dove vuoi arrivare, scusa? Trovatela da solo una risposta; visto che sei così sensibile e intelligente- concluse con acida soddisfazione Miriam.
Nel caos di pensieri sprezzanti che seguirono a questa telefonata, Luca, prima di addormentarsi sul divano pensò ai momenti più sgradevoli del loro rapporto.
Come quella volta in cui, davanti a una delle sue opere, dipinta ispirandosi a lei con tanto amore, Miriam disse: è troppo scuro lo sfondo e poi, IO, dovrei essere quella figura geometrica?
-Riesce a vedere solo quello- pensò. Era daccordo sul fatto che potesse avere una concezione più classica dell'arte, ma non poteva accettare un'interpretazione così stolta del suo lavoro.
Aveva intagliato con precisione ogni singola parte del suo corpo stilizzato; eppure, lei non riusciva a capire, vederlo, sentirlo.
-Osserva quelle linee morbide; ogni loro movimento; la plasticità dell'intera figura...- le aveva detto, tentando di spingerla a un'analisi più appassionata. - ...non riesci a coglierne l'armonia, la sensualità o a immaginare la passione che mi animava mentre la realizzavo?-
Dalla sua espressione realizzò che neppure aveva capito la domanda.
-No! A me, fra l'altro, piacciono i colori tenui-
-Ma qui non ce ne sono di colori, Miriam. Oltre a quella macchiolina rossa.-
-Appunto! c'è solo quello sgargiante, pacchiano rosso. IO, mi sento più vitale e colorata.-
-Okay, non ami le astrazioni- le aveva concesso, cercando in qualche modo di giustificarne l'ignoranza. Anche se per lui, che detestava le persone così povere d'immaginazione, era stato un duro colpo. In quell' occasione, altresì, pur essendo al massimo dell'infatuazione, le avrebbe piantato volentieri un machete nella schiena.
Pensiero sprezzante dopo pensiero ancora più sprezzante, giunse a una fase di semisonno ipnagogico, appena seguente al dormiveglia, nella quale si rese conto che in ogni caso, ora, c'erano altre cose di cui occuparsi, sulle quali riflettere e che l'indomani avrebbe dovuto energicamente attivarsi alla ricerca di un lavoro. Era lo spazio stesso che lo circondava a dirglielo; della sua abitazione, arredata con mobili che ancora doveva pagare.
Comprensibilmente, tutte queste preoccupazioni gli resero il sonno tutt'altro che ristoratore: ebbe infatti un incubo, di quelli che possono procurare l'infarto, in cui vide aggirarsi per casa una bambina con addosso una specie di vestaglia verde. Un'apparizione fugace; che durò all'incirca tre secondi, nei quali riuscì a mala pena a scorgerne qualche lineamento...
e quel poco basto a sconvolgerlo.
Sabato mattina stette almeno un'ora in cucina, per la colazione e rimuginando sul fantasma.
Finché qualcosa, ad un certo punto, lo costrinse a rimettere i biscotti nella dispensa e uscire. Questo 'qualcosa' gli consigliò pure di farsi quattro chiacchere con un amico vero. Occorrevano per sdrammatizzare, allontanarsi da quello stato di nervosa apatia. Pensò subito a Elsa, oltretutto proprietaria di un'azienda nella quale avrebbe potuto trovare impiego.
Si era sempre rivolto a lei, prima che ogni fidanzamento andasse a male. Una lista che nel tempo si era allungata parecchio. Forse, pensò, lo avrebbe aiutato a chiudere anche con Miriam.
Elsa, pur non essendo un uomo ne aveva il temperamento; viveva coi genitori e da poco sostituiva l'anziano padre nella gestione della fabbrica di cosmetici.
Salì sull'auto, deciso a farle un'improvvisata. Era da mesi che non si vedevano.
Dopo un'oretta di viaggio, arrivò a Como; non proprio sotto casa sua, ma nelle vicinanze. Non ricordava più la strada, così la chiamò.
-Ciao Tigre!- la soprannominava in questo modo per via del suo fare un po' aggressivo -come promesso, sono venuto a trovarti!-
-Già! Peccato che risalga all'anno scorso questa promessa... Cos'è: una visita d'interesse?-
-Si. M'interessa rivederti, baciarti e abbracciarti magari palpandoti.- rispose Luca.
-Benissimo! Dove sei? Non ti vedo dalla terrazza.-
-Mi trovo a qualche isolato da casa tua, nel peggiore dei casi. Per l'esattezza sono in via…- Si guardò in giro. -…Via Sarti. Sai dov’è? Riesci a guidarmi?-
-Lascia perdere. Parcheggia! Non muoverti da lì! Sei sempre il solito coglione, èh?!...: non ricordi mai le strade, le vie-
-Non vengo spesso da queste parti.-
-Okay, aspettami. Prima che girando alla rinfusa, magari seguendo un percorso a spirale, finisci per tornare a Milano e devo aspettare altri dodici mesi per vederti.-
-Non mi muovo. Dopo avermelo consigliato con tanta leggiadria!- rispose Luca e in pochi minuti si ritrovò in una lussuosa villa. C'erano anche i genitori e, mentre questi lo fecero accomodare in soggiorno, Elsa andò per qualche minuto in bagno a rifarsi il trucco. Aveva sempre desiderato una storia con Luca; del resto, quali donne potevano sottrarsi al fascino di questo marcantonio alto un metro e novanta? Quindi le sembrò anche il caso di rendersi più attraente, mentre suo padre offriva del limoncello.
-Bevilo! L'ho fatto io- ordinò. Aveva lo stesso atteggiamento dispotico della figlia. Così Luca, per pura cortesia, lo assaggiò.
Poi questi cominciò a raccontargli dei suoi trascorsi lavorativi, prima di diventare "un grande imprenditore". Di quando guidava le ruspe e di quella volta che riuscì a ripararne una; rimasta impantanata in un campo e ritenuta fusa dai suoi colleghi, " troppo inesperti per capirne la meccanica...", ma lui c'era riuscito inquantoché bravo quanto a produrre il limoncello.
-Non ti piace?- disse a un certo punto, -vedo che ne hai lasciata più della metà-
-No! No! E' molto buono. Stavo solo...hèmm...- non sapendo come proseguire, ne bevve un altro sorso. -...stavo pensando alle ruspe: bei bestioni èh?! Non dev'essere facile guidarle- proseguì, tanto per concludere la frase.
-Ma un cazzo! E' semplicissimo!- rispose Ulderico, quasi a volergli far intendere che aveva fatto un'osservazione idiota. Innervosito, Luca sentì che stava per svilupparsi un giro vizioso di racconti sulla meccanica delle ruspe; così, per dimostrare il suo disinteresse, si mise a fissare la bottiglia del limoncello.
Questo probabilmente indusse il vecchio a offrirgliene un altro bicchierino e, dopo una breve pausa, a riparlare delle ruspe; uno delle quali aveva addirittura acquistato per puro vezzo, all’apice della sua carriera, e custodiva da anni nella rimessa.
Dopo minuti d'insidiosa insistenza sull'argomento e la descrizione apocalittica degli sforzi compiuti per tirare fuori dal fango quella guasta, Luca ebbe l'improvvisa allucinazione di guidare a tavoletta una di quelle macchine verso l'abitazione di Elsa, che vide arrivare proprio a pochi secondi dallo schianto. Rappresentato da una brevissima scossa epilettica.
-che cazzo ti prende, bello?- disse allora Ulderico, appoggiandogli una mano sulla spalla - non avrai mica freddo?-
-No.No...Mi scusi, forse ho bevuto troppo limoncello!-
- Non esagerare, ragazzo e tu, Elsa, portami quell'affare.-
Lei allora si allontanò di nuovo, tornando con la confezione di un cellulare che suo padre afferrò rapidamente.
-L'ho appena comprato. Sei in grado di cambiarmi alcuni parametri?- chiese a Luca, estraendo con foga l'apparecchio dalla scatola.
-Tu non sei mica quello che ripara tutto? videoregistratori, radio, aspirapolvere?- disse, facendo un cenno alla figlia per avere conferma.
-No, Pà! Non è lui. Quello è Giorgio. Lui è Luca, il modello-
-Ah...sì: Giorgio,...quel ciula mezzo addormentato. Comunquesia, te ne intendi di questi affari?-
Luca scese dalla sua ruspa immaginaria e guardò con fare da esperto il cellulare. Dopodiché si mise ad armeggiare coi tasti, ma senza capirci veramente molto. Sapeva soltanto che un alone di sfiducia lo stava coprendo; gravava su di lui. Un alone terribile. Qualcosa di molto nero e denso,...come la paura che ti può prendere quando stai per venire investito da una ruspa.
-Posso avere le istruzioni- chiese alla fine, cercando di mantenere quel fare da esperto.
-Credi che NON SAPPIA LEGGERE?- rispose Ulderico.
-No. No...Il punto è che questi dannati aggeggi diventano sempre più sofisticati e quindi, a volte, è necessario possedere anche una certa manualità per...-
-Per darmi del rincoglionito?! Eh sì...L'era moderna, le solite frasi fatte.-
-In effetti pensavo che...- tentò di scusarsi.
-Pensi che riuscirai a cambiarmi la suoneria, vero?-
-hmmm... ci provo- rispose Luca.
Il vecchio, tirando il fiato, si preparò a un terribile monologo.
-Lo so. Certi problemi sembrano insormontabili a voi giovani. Noi, cazzo, non ci arrendavamo così facilmente! Pensa a quel giorno: quello di cui ti parlavo prima; quando sono riuscito DA SOLO a riparare la ruspa, tirandola fuori da quello schifo di campo fangoso... Ebbene, non sapevo nulla di ruspe; neanche avevo mai visto il motore di una ruspa... e non è proprio come quello di un'automobile, sai?!...eppure, senza istruzioni, l'ho riparato.
La ruspa, in quel momento stava diventando per Luca una metafora della vita. Si sentiva un piccolo, fallito ingranaggio da sostituire; prima che tutto l'infernale marchingegno potesse sprofondare nella melma.
-Adesso, Pà, ce ne dobbiamo andare. Ci aspettano degli amici. Magari te la sistema quando torniamo quella suoneria. Okay?- disse a quel punto Elsa, salvandolo da quella situazione di penosa incompetenza.
Nel corso della giornata ebbero modo di discutere vari argomenti, passeggiando per le vie del centro, entrando nei negozi, in un paio di centri commerciali e in un fast food; per poi tornare, infine, a passeggiare in un parco. Luca raccontò tutto: dal suo licenziamento alle sue disavventure sentimentali e per ogni problema Elsa elargiva i suoi saggi e brutali consigli.
Mano a mano che passava le ore con lei si sentiva meglio. Era riuscita a rimetterlo di buon'umore e a ridargli un'occupazione.
Il primo giorno andò tutto liscio. Era semplice.
Doveva riempire di cosmetici dei contenitori di plastica per poi infilarli dentro delle scatole.
Il secondo, però, accadde qualcosa, un fatto assai spiacevole, che pose subito termine a quell'attività.
Ulderico era venuto a dare un'occhiata alla produzione, lo faceva almeno un paio di volta alla settimana; in quest’occasione soprattutto a quella di Luca, da cui s'aspettava ancora una modifica alle impostazioni del suo cellulare.
-Allora gigante, come te la passi qui?- aveva esordito, mentre lui era impegnato a imballare.
-Bene, grazie!-
-Certo non entusiasma quanto sfilare tutto infighettato, assieme a quelle stangone anoressiche che si vedono sui settimanali!-
Non era sempre facile, pensò Luca, dare delle risposte cortesi a quell'uomo. Sembrava che volesse ridicolizzarti a ogni battuta.
-Si. E' immensamente diverso.- rispose, senza distrarsi da ciò che stava facendo.
-Ragazzo, penso che col tuo fisico dovresti lavorare per il cinema o qualcosa del genere. Mica star qui a fare l'operaio, visto che la moda ti ha escluso. Lo si vede chiaramente che non sei tagliato per questo lavoro. Neppure riesci a farlo correttamente!-
-Come, scusi?- disse Luca, preoccupato.
-Quella roba, ad esempio, non devi metterla nelle scatole gialle, ma in quelle marroni.-
-Il ragazzo, laggiù, a cui sua figlia ha dato il compito d'istruirmi sul da farsi, mi ha detto di usare queste-
-Non me ne frega niente di niente di niente di niente, porca puttana, di quello che dicono i miei sottoposti! Hai capito, damerino?- il vecchio era viola dalla rabbia e tremava. A Luca non sembrò il caso di proseguire.
Silenziosamente, si diresse verso l'ufficio di Elsa. Mentre il padre svuotava con foga le scatole da lui riempite.
-Mio padre soffre d'ipertensione nervosa. In sostanza è isterico.-
commentò Lei -Deve aver fissato l'attenzione su qualcosa di te che non gli è piaciuta. Basta poco, credimi. Se pensi di poter accettare le sue sfuriate almeno un paio di giorni alla settimana, resta. Altrimenti non so proprio che farci. Gli altri ragazzi, qua, lo assecondano; ci hanno fatto l'abitudine. Anzi, ti dirò pure che si divertono a farlo incazzare. Non devi assolutamente preoccuparti di quello che dice o pensa; soltanto io mi occupo della paga, okay?- disse sorridendo.
-Adesso sta disfando quello che ho fatto fin'ora. Come devo comportarmi?-chiese interdetto Luca.
-Aiutalo e appena se ne sarà andato rimetti le cose a posto. Ci fa perdere del tempo, ma è meglio che contrariarlo o tentare di ragionarci.-
Quasi per gioco, Luca decise di seguire il consiglio e tornò al suo posto come se niente fosse accaduto.
-Le ho tirate fuori, hai visto?- disse Ulderico, riacquistando la calma.
-Si, ora le sostituisco con quelle.-
-Cosa ci sei andato a fare in ufficio?-
-Ho detto a sua figlia che questo articolo va imballato nelle scatole marroni e che il sottoposto scelto per istruirmi a riguardo si sbagliava.-
-Lei si occupa della contabilità. Mica di queste faccende! La prossima volta evita di farle perdere tempo-
-Daccordo!-
-Quì non abbiamo tempo per le tue cazzate e per i fannulloni.-
-Chiaro! Che posso fare per recuperare la sua fiducia?-
-Sii meno accondiscendente, tanto per cominciare. Non amo essere sfottuto. Poi munisciti di scopa e dai una bella pulita all'ingresso; di queste scatole me ne occupo io.-
Pochi secondi dopo, mentre si accingeva a spazzare, tornò a rimproverarlo.
-Guarda che cazzo di polverone hai tirato su!- disse.
Luca, allora, picchiando con forza la scopa a terra ne fece saltar via lo spazzolone, rompendolo, per poi agitare il manico come una majorette a pochi centimetri dal naso del vecchio.
Aveva perso di nuovo il controllo.
Certo, questa volta le ragioni non mancavano, pensò, anche se prendersela in quel modo non era stata una bella dimostrazione d'intelligenza. Soprattutto dopo che Elsa le aveva esposto con tanta chiarezza la situazione.
Accese la tv e si lanciò sul divano, nuovamente coi suoi problemi. Dapprima non ci pensò, lasciando che il film appena iniziato catturasse la sua attenzione, poi qualcosa di quella giornata si rifece avanti. Qualcosa che non tornava, che gli era sembrata strana. Si alzò e per appurare che non stava impazzendo aprì lo sgabuzzino. Ne tirò fuori la scopa e, svitandone rapidamente lo spazzolone, si mise a far girare il manico nello stesso modo in cui l'aveva fatto davanti a Ulderico.
Provò e riprovò, innumerevoli volte, sempre più veloce e con diversi movimenti che ricreavano alla perfezione certe cose viste solo nei film di arti marziali. Era forse diventato un ninja o qualcosa di simile? Pensò, spaventato da un'abilità che non sapeva di possedere.
L'indomani, pur dovendo insistere nella ricerca di un lavoro, decise di approfondire la comprensione di questo misterioso fenomeno parlandone con Giorgio, che incontrò nel tardo pomeriggio.
Si erano dati appuntamento nel suo negozio di elettrodomestici e riparazioni, poco dopo l'orario di chiusura. Poiché Luca desiderava che la conversazione rimanesse tra loro, quello, avevano deciso, sarebbe stato il posto ideale.
La saracinesca non era ancora stata abbassata e Giorgio lo vide arrivare con la solita pettinatura raccolta e una spada.
Anche un paio di persone che passeggiavano sul marciapiede si soffermarono su questo particolare; altre finsero di non vederlo.
-Non cercherò di pettinarti.- commentò Giorgio, facendolo entrare, ma non con la solita calma.
-Che ci devi fare con quella?-
-Questa è una katana...L'ho comprata stamane. Bella, vero?! Ho dovuto girare mezza Milano per trovarne una così decorata. Guarda che impugnatura!-
-A che scopo, scusa? Non vorrai mica farle un regalo?-
-A chi?-
-A Miriam. Dopo quello che ti ha fatto. Se ho ben capito, avete troncato?!-
-Questa è per me- disse Luca, sguainandola.
-Allora vuoi troncare qualcos'altro?- rispose Giorgio, grattandosi preoccupato gl'ispidi capelli biondi.
Da quello strano atteggiamento era logico supporlo, ma chi poteva averglielo detto, se non lei? Era l'unica spiegazione plausibile, per quanto terrificante: in un momento di crisi Miriam aveva ceduto, confidandogli del loro rapporto.
Era la fine, pensò, guardandosi avvilito le scarpe come un bambino che si prepara ad essere decapitato.
-Ieri sera m'è accaduto qualcosa...- proseguì Luca, distante anni luce dal suo ragionamento e cercando di fare qualche mossa acrobatica con la spada. Anche se l'unico risultato fu quello di colpire il tubo di una lavatrice e far volare a qualche metro da lui l'arma.
-Vuoi disfarmi il negozio, immagino.- disse Giorgio, raddrizzandosi con un po' della sua riacquistata calma gli occhiali. La vergogna era tale da costringerlo ad accettare passivamente quella situazione.
Lentamente, però e con sua grande sorpresa, si accorse che Luca non sapeva proprio niente di lui e Miriam. Lo capì mano a mano che questi gli raccontava quanto accaduto la notte scorsa. Cosa che Luca fece con tale ingenuità da far passare l’amico, dalla paura di una punizione, al più completo stupore e divertimento.
Era il racconto di uno squilibrato, pensò Giorgio. Qualcosa che non si poteva accettare, neppure da una persona tormentata da quei problemi di disoccupazione.
-Non mi credi, allora?- constatò con grave imbarazzo Luca.
-Permettimi di obbiettare che un ninja non se ne andrebbe in giro col giubbotto di pelle, i jeans e gli stivali di finto coccodrillo.
Lorenzo Lamas, forse, ma non un vero ninja! Inoltre, sei troppo alto per avere un qualsiasi tipo di legame con l'antico Oriente.-
-Non mi sembra un'obiezione ragionevole- commentò Luca, levandosi dagli occhi una lunga ciocca dei suoi capelli scuri, sfuggita all'elastico.
-E' sullo stesso piano della tua storia, comunque!-rispose Giorgio con una seria espressione di compatimento.
-La mia opinione sincera è che questa forma di esaurimento ti abbia portato a subire una specie d'identificazione con Miriam, di cui probabilmente vorresti possedere anche qualche connotato caratteriale. Questo perché hai sempre creduto che avesse lei il coltello dalla parte del manico. Permettendosi di affettare i tuoi sentimenti come salsicce...e ora vuoi vendicarti!-
-Ma che diavolo vai dicendo? I sentimenti e le salsicce ?!! Avresti dovuto vedermi ieri, invece d'improvvisarti psicologo.- rispose Luca.
-Non ti credo. Tutto qui. Non saprei che altro aggiungere, oltre al fatto che non mi hanno stupito le mosse da ninja del tuo racconto...-disse, indicando la spada sul pavimento. -...mosse che, fra l’altro, non sei riuscito a rifare in mia presenza.-
Ed era una conclusione che non lasciava spazio a repliche.
Uscito dal negozio prese un tram soltanto per poche fermate, deciso a farsi una lunga passeggiata da via Torino fino alle colonne di S.Lorenzo, dove si trovava il suo piccolo appartamento.Gli andava di camminare e riflettere; la tesi di Giorgio non calzava per niente. Poteva sentirlo benissimo nel suo intimo. Non c'era mai stato alcun desiderio di competere con Miriam, neppure sul piano fisico. Perché poi avrebbe dovuto farlo identificandosi in lei?
Si chiese piuttosto per quale ragione fosse svanita all'improvviso quell'incredibile abilità nel far mulinare la spada.
Avrebbe riprovato a casa, pensò.
Finché questo potere non si fosse ripresentato.
Doveva accadere, ne era certo, perché sentiva qualcosa di strano modificare a poco a poco la sua personalità.
Una specie di sgomento per le cose attorno; le persone, le luci della sera, tutto. Si sentiva dentro un infernale, gigantesco labirinto di cemento, brulicante di automobili.
Queste sensazioni lo accompagnarono per l'intero tragitto, finché, a pochi passi da casa, squillò il cellulare. Era Giorgio.
-Non vorrai startene da solo, pieno di quelle fesserie in testa?- disse.
Anche se lo stava fregando, era sinceramente preoccupato dalle sue condizioni psicologiche e dalla possibilità che potesse affettarsi un piede giocando con la katana.
-Hai qualche idea?- rispose Luca.
Scelsero la discoteca più in zona. Laddove quella sera non mancavano le occasioni di rifarsi gli occhi. Per Giorgio era miracolosa la compagnia di Luca in queste occasioni; attirava le donne.
-Oddio!- disse a un certo punto -la vedi quella?...Sì, la rossa. E' Claudia, una che mi ha fatto soffrire per sette mesi. M'ero quasi invaghito di lei!..-
-Vuoi consolarmi coi tuoi insuccessi?- rispose disinteressato Luca.
-Ti dimostro qualcosa, invece. Le procuro un bel momentino d'invidia. Visto che mi ha lasciato con l'accusa di essere un pagliaccio inconcludente.- disse Giorgio e gli fece cenno di avvicinarsi con lui alla ragazza.
-Ci vieni ancora al Planet One, nonostante tutto!- esordì.
-Sì, ma con maggiore attenzione alle persone che vi si possono incontrare- rispose seccamente lei, dando anche una rapida occhiata a Luca che colse l'occasione per stringerle la mano e presentarsi.
-Come va? Sempre a caccia?- proseguì Claudia.
-Fine!..- rispose Giorgio, gonfiandosi il petto - ...non ne ho più bisogno! Fra due mesi mi sposo. Ho appena comprato casa!-
-Ma chi te lo fa fare? Pensa che io, invece, l'ho appena venduta e ottenuto il divorzio.- rispose la ragazza sorridendo e allontanandosi con un gesto di saluto.
-Vedi?!..- commentò Giorgio, -ha preferito andarsene. Questa cosa le ha fatto male.-
-A me pare che ti abbia smerdato.- considerò, molto più realisticamente Luca - e non penso che i suoi obbiettivi fossero semplicemente quelli di accasarsi con uno stronzo come te-
-Okay! Okay! Non infierire! Pensiamo a divertirci, piuttosto; bevendo qualcosa magari, prima di dondolare davanti a quelle- disse, indicando un trio di bionde che si dimenavano come pazze. Luca le guardò con attenzione e meravigliato si accorse che a poca distanza ballava pure una bambina i cui arti, a poco a poco, cominciarono ad afflosciare e contorcersi finché non cadde a terra. La vide strisciare verso di lui come un serpente. Non scappò, ne urlò o tentò di far partecipe Giorgio della sua visione; dal momento che neanche l' avrebbe compresa.
Si limitò a perdere i sensi, battendo violentemente il capo sullo spigolo di una panca sulla quale una coppia di lesbiche proseguì tranquillamente a limonare.
La generosità con cui quel brocco, ma pio Shirakawa concesse privilegi al clero fu tale da creare un discreto problemuccio nelle casse dello Stato e minare la sua stessa autorità; permettendo così alla nobiltà di rafforzarsi e diventare guerriera.
In questo bellicoso contesto di Giappone feudale viveva Yoshi: un brutto e tarchiato samurai, affetto da prognatismo. Questi, per molti anni aveva servito il ricchissimo Inanga Zuia, malvisto da tutti gli abitanti della valle a causa dei suoi occulti interessi.
Di Zuia si diceva che fosse dedito alla magia, parlasse coi morti e che ospitasse nei sotterranei della sua magione Shozan No Shim: una vecchia strega dal corpo squamoso, responsabile dell'uccisione di trenta montanari.
Sebbene a quei tempi simili cazzate fossero del tutto plausibili, Yoshi non vi aveva mai prestato fede; almeno fino a quando non ebbe la possibilità di parlare con un vero demone, questo poco prima della sua morte.
Prima di allora, aveva sempre cercato di fare coraggiosamente il suo lavoro; usando la massima discrezione riguardo agli affari del suo padrone e difendendolo con la spada, all'occorrenza, pur di tutelarne oltre alla persona fisica anche l'integrità morale (quest'ultima, a onor del vero, assai discutibile).
Era necessario, oltretutto. Infatti, soltanto con la sua carica poteva permettere all'amata sorella Majko di vivere nel lusso della loro splendida dimora, vicino al lago di Yin Se, circondati da meravigliosi alberi di pesco e ciliegi.
Accudirla non era mai stato facile. Eppure, dacché i loro genitori erano morti di peste, era sempre stato il solo e l'unico a volersene occupare; nonostante la servitù di cui poteva disporre.
In effetti, non permetteva a nessuno di avvicinarla; tenendola amorevolmente segregata in una stanza, dall'età di sei anni.
Provvedeva con cura alla sua educazione, a tutto e l'aveva istruita perfettamente sul come badare a sé stessa nei momenti in cui lui doveva assentarsi per servire Inanga.
Era lui, inoltre, a procurare a Luca quella sensazione di disagio per il tempo in cui viveva.
Detestava i palazzi grigi e disadorni della sua città; c'era poca arte, niente che appagasse l'occhio e lo spirito. A parte le cosce delle ragazze in minigonna; quelle sì che riscaldavano il suo antico cuore guerriero... e non solo.
In quello stato, ai piedi della panca, Luca si chiedeva come fosse in grado d'interessarsi e conoscere la vita di quest'uomo di cui, poco alla volta, affioravano in lui ricordi ed esperienze.
Ma fu solo un breve attimo di smarrimento. Prima che Giorgio con qualche schiaffetto potesse risvegliarlo del tutto, qualcos’altro divenne familiare.
Aprendo gli occhi, infatti, non vide l’interno della disco, ma Inanga Zuia; quel giorno che venne insultato da un contadino mentre Yoshi cavalcava al suo fianco.
I due stavano attraversando la piazza dei mercanti, dove buzzurri e ubriaconi non mancavano mai. Soprattutto quelli caduti in tali condizioni a causa dell’espropriazione indebita di beni e terreni. Yoshi senza scendere da sella e nemmeno cercare consensi nello sguardo del padrone, fece qualche giro attorno a quell’uomo e con un fendente lo colpì alla gola.
Pur avendo teneri sentimenti per la sorella, tali da farlo apparire quasi umano, era un uomo che cercava con atroce determinazione di farsi rispettare.
A luca sembrò che qualche gocciolina di quel sangue, sprizzato dalla gigulare del contadino, gli fosse schizzata in faccia.
-Non ho avuto scelta!- disse, tentando di ripulirsi.
Giorgio era perplesso. -Di che stai parlando?- chiese, aiutandolo ad alzarsi.
Le macchie di sangue erano scomparse. Prima di rispondere Luca si rese conto di aver avuto un’altra visione; una specie di flashback; qualcosa di cui era meglio non parlare, viste le facili conclusioni a cui si sarebbe giunti.
-Niente!…ooh niente!! Piuttosto, vedi qualcosa qui?- disse, indicandosi la nuca nel punto in cui aveva battuto.
-Sembrerebbe a posto, anche se conosco casi di gente che dopo qualche giorno è morta per ematomi come quello che puoi esserti procurato- rispose Giorgio. Non era confortante, pensò Luca, e seguendone il buonsenso si fece accompagnare al pronto soccorso; dove comunque non riscontrarono alcun problema. Sebbene vollero che tornasse per altre analisi.
In effetti era strano che il suo cranio fosse ancora integro, così come lo erano quelle allucinazioni e tutto il resto. Ma chi poteva credergli o, quanto meno, aiutarlo a capire?
Parecchie ore dopo lo chiamò Miriam. Doveva assolutamente vederlo. Era all’oscuro del suo incidente in discoteca e aveva cose importanti da dirgli. Molto importanti.
-Non puoi parlarne adesso al telefono?- rispose, sdraiato sul suo amato divano, imponendosi di resistere al desiderio di rivederla.
-Preferisco di persona. Alle otto; a casa mia. Ti prego, non farmi altre domande.- rispose Miriam.
-E’ successo qualcosa di grave?-
-Questa è un’altra domanda! In ogni caso, non mi sembra così grave…-
-Sicura?-
-Vuoi provocarmi. Lo capisco.-
-Affatto! Te lo chiedo perché di solito ceno a quell’ora.-
-Ceni da mè.- rispose velocemente Miriam e riattaccò, com’era nel suo stile.
Il tono presagiva crisi di pianto isterico e lui non voleva perdersele. Fu anche così sciocco da pensare che fosse pentimento.
All’ora stabilita si presentò; agghindato a dovere e col profumo che piaceva a lei. La cena era pronta.
-Vorrei subito mettere in chiaro la mia totale mancanza di attrazione nei tuoi confronti- disse Miriam, facendolo accomodare. Era struccata e con un’orrenda tuta lilla addosso.
-Bene!- rispose Luca, freddamente.
-…naturalmente non è sempre stato così. Un tempo mi piacevi, ma ora…-
-Ottimi questi gnocchi- la interruppe, fingendo disinteresse.
Si era seduto e ne aveva già addentati un paio; prim’ancora che lei potesse raggiungerlo a tavola. Un gesto scortese, fatto di proposito.
-Gli ho impastati io!- disse lei, squadrandolo.
Doveva ammettere che in fondo era proprio un bel ragazzo, anche se preferiva i tipi più robusti e dai lineamenti rudi.
-Voglio specificare, comunque, pur essendo lieta di questo complimento, che non ti ho invitato qui per stupirti con le mie doti culinarie…- continuò.
Luca si chiese cosa potesse spingerlo a provare ancora tanta attrazione nei suoi confronti, e capì, azzardando un’autoanalisi, di amare in lei ciò che detestava in lui.
-Bene! Ma un’altra motivazione dovrà pur esserci, allora.- rispose strafottente; continuando a mangiare.
-Certo che c’è.- disse Miriam, aggrottando le sopracciglia.
-Bene! Esponila!-
-E’ necessario che tu ripeta in continuazione, provocatoriamente, “bene”? …Sai che non sopporto la tua infantile ironia.-
-Bene! La smetto.- disse Luca.
Lei non rispose, squadrandolo ancora, minacciosamente, e con maggiore attenzione; per poi chiedersi, in un eccesso di autostima, come potesse averlo frequentato quasi un anno. Uno che oltre ad essere così antipatico, era moro, quando a lei piacevano i biondi, e le svettava accanto facendola sentire ancora più bassa.
La discussione proseguì altri venti minuti, più o meno in questo modo e con visibile difficoltà da parte di Miriam di arrivare al sodo. Finché Luca si accorse di avere un pelo sulla panna che condiva gli gnocchi.
Un pelo scuro e arricciato, che non poteva essere un capello o appartenere a qualche animale. Osservò Miriam per verificare se avesse peli di quel tipo sul viso, ma i suoi erano vistosamente diversi.
Il disgusto fu tale da bloccargli l’appetito. - Che hai? Perché non li finisci?- le disse, quasi rimproverandolo. -…Hai detto che ti piacevano, o mi sbaglio?-
-Ho…ho avuto una fitta al torace. Fatico a deglutire.- disse Luca.
Non c’era verso di togliere quel pelo e continuare a mangiare.
-Si tratta di banalissimi dolori intercostali. Non preoccuparti.- minimizzò lei, non potendo assolutamente tollerare che qualcosa di suo venisse rifiutato.
-Fatico lo stesso a deglutire, Miriam.-
Lei osservò per un attimo la tovaglia, in silenzio, poi disse: -Non la bevo, sai? Fammi controllare le posate. Probabilmente ne hai trovata una sporca…So quanto sei schizzinoso.-
Avvicinandosi al piatto, però, Miriam si rese subito conto che il problema era di tutt’altro tipo e che doveva affrontarlo piangendo.
Piangendo sempre più forte ; singhiozzando; tossendo.
Una reazione apparentemente inspiegabile, esagerata, il cui unico scopo era quello di esprimere un concetto senza servirsi delle parole.
-Perché, improvvisamente, sei così sconvolta?- chiese Luca ridendo, noncurante delle sue lacrime.
Lei non rispose. Sembrava in preda ad un raptus maniaco depressivo. Poi, dopo essersi lagnata ancora un po’ e graffiata le guance, prese a interrogarsi ad alta voce sul come fosse avvenuta quella disgustosa intrusione nel condimento.
-Forse è rimasto sul tavolo della cucina- disse, trasfigurata dal dolore.
-Bene! Non è il caso di prendersela così!- rispose Luca.
-BENE?!! Ancora “bene”?- urlò furiosa, strabuzzando gli occhi. Era spesso sorprendentemente capace di avere questi sbalzi d’umore.
-Bene un corno!!…- proseguì. - …quello è:…lo vuoi sapere cos’è?- chiese minacciosa.
-Sembrerebbe un pelo- rispose lui, senza scomporsi.
-Già! Un pelo pubico del tuo migliore amico, forse… con cui ho fatto l’amore, proprio ieri notte, sul tavolo della cucina.-
Luca s’immaginò la pasta degli gnocchi che veniva appallottolata a mano, proprio su quel tavolo, ed ebbe il primo conato di vomito.
Il secondo fu espletato in bagno, dove si recò di gran fretta; poi si sciacquò e, altrettanto velocemente, uscì da quella casa lanciando per aria un paio di soprammobili.
Yoshi non si sentiva granché bene dentro di lui. Doveva lottare continuamente coi suoi desideri, le sue abitudini; fare a pugni con la memoria, per evitare che i ricordi di quello sconosciuto annullassero i suoi o, peggio ancora, vi si fondessero.
C’erano momenti in cui gli sembrava di dominarlo, controllandone addirittura i movimenti, altri in cui veniva risucchiato da un vuoto senza tempo nel quale riusciva soltanto a disperarsi e rimpiangere il passato.
-T’infastidiva la nostra amicizia, suppongo- disse Giorgio, levandosi gli occhiali. Lo faceva nei casi critici, o quando gli sudava il naso. Poi si sedette.
-M’infastidisce l’incoerenza.- replicò Miriam. Era sul punto di esplodere.
Giorgio aveva imparato bene a distinguere quei momenti e non aggiunse altro.
-M’infastidisce il fatto che tu non abbia preso in mano la situazione, dicendo al tuo A M I C O come stanno le cose…-
Giorgio appoggiò gli occhiali sullo scuro mobile in arte povera del soggiorno.
-…M’infastidisce quell’incertezza che dimostri; il tuo silenzio nelle situazioni importanti.-
Giorgio alzò le mani all’altezza del petto, aprendole come il Papa in benedizione, poi le fece ricadere lungo i fianchi; senza rispondere.
-Non è possibile! Ecco:…che tu stia lì a subire con quell’espressione vacua, macinando chissà quali sentimenti omicida nei miei riguardi. E’ una pantomima, esattamente come quelle che metteva in atto Luca ogniqualvolta desiderava irritarmi…-
Giorgio non la stava nemmeno guardando. Pensava piuttosto a quanto fosse brutto l’arredamento, e che chiunque poteva avere i suoi buoni motivi per desiderare di farlo a pezzi; soprattutto luca, che ora sentiva più vicino, quasi come un fratello. Gli stava facendo un bel servizio dopotutto, salvandolo da quel terribile destino.
-Cos’aveva onestamente, di tanto interessante da offrire la sua amata, logorroica Miriam?- pensò. - Soltanto un bel paio di tette e uno stuzzicante sorrisetto nei momenti migliori, di rara serenità.-
Quei pochi che non erano fuggiti, terrorizzati dalla violenza del samurai, si avvicinarono alla salma per spostarla dal sentiero polveroso e seppellirla.
Naturalmente si presero cura di farlo quando i due furono abbastanza lontani.
-Non era necessario uccidere quell’uomo- gli disse Inanga, appena rientrato nella sua magione, mentre i servi correvano per portargli i suoi infradito di perle. Era stato zitto per tutta la cavalcata che dal mercato lo aveva ricondotto lì.
-Quell’uomo l’ha offesa, mio signore, gridando a pescivendoli e mandriani leggende sul suo conto; ma se crede ch’io abbia peccato di superbia nel prendere una tal decisione senza il suo comando, son disposto a tagliarmi un orecchio.-
-E se volessi punirti anche per questo?- disse Inanga.
-Non capisco, mio signore-
-Perché proprio un orecchio? Potrei preferire il naso, un dito, oppure la lingua.-
Yoshi lo guardò con ebete disappunto. Non era mai riuscito a capirlo; men che meno il suo umorismo. In una società in cui l’opinione degli altri era fondamentale, Inanga proseguiva avulso e indisturbato a coltivare i suoi laidi e diabolici interessi; irriverente ai principi stessi del buddismo, dello scintoismo e di tutte le altre dottrine allora in voga, che si proponevano di liberare l’essere dal suo ‘io’ individuale. Chiunque, acquisendo una fama come la sua, si sarebbe fatto harakiri dalla vergogna.
-Non credi possibile ch’io abbia davvero facoltà di parlare coi morti e coi demoni?- proseguì.
-Aldilà di ciò in cui credo, mio signore, ho sempre preferito non disturbarla, offendere la sua intelligenza con sciocche domande.- disse Yoshi.
-Gli sembra una cosa sciocca parlare coi demoni, a questo tirapiedi- pensò Inanga e avvicinandosi a uno scrigno di bronzo disse: -Dopo tutti questi anni, è venuto il momento di farti conoscere il vero; di capire quanto siano meschini i giudizi di quella povera gente al cospetto del soprannaturale.-
Yoshi faticava ad afferrare concetti così vasti, e quel poco che capiva non gli piaceva e interessava per niente.
Inanga, noncurante di questo, aprì lo scrigno e ne tirò fuori un mostriciattolo di avorio, grande quanto un pugno. -Vai nella stanza coi tendaggi dorati e dopo aver spento tutte le candele parla con questo- proseguì, consegnandogli la statuetta; poi venne accompagnato in bagno dalla servitù, dove lo svestirono e cosparsero di oli vari, massaggiandolo a dovere.
Yoshi allora s’incammino per conto suo nell’altra stanza, che raggiunse con molta esitazione. I tendaggi dorati non la impreziosivano affatto e l’illuminazione era già abbastanza esigua da non richiedere lo spegnimento delle candele, tuttavia, visto che Inanga glielo aveva ordinato, le spense. Poi con altrettanta, stolida diligenza, si mise a parlare con la statuetta.
-Sono Yoshi Akazua, figlio di Hiroshi Akazua, nato a Shimosa nell’anno del drago…-
La statuetta improvvisamente s’illuminò di una fioca colorazione azzurrina; spingendolo a desiderare che all’epoca vi fossero le lampadine, così avrebbe potuto pensare a uno scherzo, ma visto che non era così e anacronisticamente poteva solo ignorare l’esistenza delle lampadine, si spaventò abbastanza da non appoggiarla dolcemente a terra.
Tuttavia, la statuetta non si ruppe; anzi, in men che non si scriva, diventò qualcosa di vivo che gl’impedì di lasciare la stanza.
Era una specie di vecchietto rosso sangue, munito di coda da sorcio; puzzolente e viscido come ogni creatura di questo tipo che si rispetti,… e lo aveva afferrato a una caviglia.
-Calmati, dannazione!- imprecò la creatura. - Sono solo un povero spirito servitore-
Yoshi, o meglio, la sua vescica, non era abbastanza rilassata da comprendere l’utilità di questi servigi e si svuotò.
-Servi a che? A spaventare?- si chiese, col fiato strozzato in gola dalla paura. In effetti, anche per un uomo coraggioso e forte come lui, quell’essere era davvero uno spettacolo insostenibile.
Ricordò le parole del suo maestro, Chen Shangai: -Quando ti troverai in difficoltà...- gli aveva detto un giorno, -...sappi che il mondo è confuso, come un mucchio di bacchette di bambù, e che soltanto il saggio riesce a riportare l'ordine; togliendo una bacchetta alla volta, senza muovere le altre.-
Era un pensiero che non aveva mai compreso a fondo e trovato applicazione a nessuno dei suoi problemi, ma effettivamente riduceva il suo stato di panico; proprio per via della sua ridicola inutilità.
-I miei servigi sono i tuoi desideri. Se non mi credi, esprimine uno.- disse subdolamente il demone.
-Non può funzionare- replicò flebilmente Yoshi.
-E per quale ragione?-
-Ho espresso il desiderio di non vederti, ma sei ancora qui-
-Davvero vuoi soltanto questo?-
-Bhé!…credo di si. Mi può bastare alla grande.-
Naturalmente Yoshi non si espresse proprio in questi termini, ma in un modo che in antico giapponese aveva più o meno lo stesso significato.
-Non vorresti, per esempio, diventare più ricco; bello; forte?-
-No!-
Il demone lo squadrò perplesso; anche per un’orrenda creatura infernale come lui, l’aspetto di Yoshi lasciava assai a desiderare.
-Dai!…pensaci bene!- lo esortò ancora; sospettando che fosse un po' ebete.
-Vorrei vivere mille anni- rispose allora il samurai, proprio per andargli in contro e toglierselo in fretta dai piedi. -…Pensi di riuscirci?-
-A modo mio ce la posso fare, ma senza violare le leggi di natura; quindi, dovrai prima morire.-disse il demone.
-Cheee??!- rispose Yoshi, mettendosi in guardia.
-Ti basti sapere che fra mille anni sarai ancora vivo.-
-Ora vorresti uccidermi, però?-
-Non hai capito! Morirai come tutti: di malattia, di vecchiaia, o di qualche altro accidente, e fra mille anni ti riporterò al mondo.- lo tranquillizzò il demone.
-E tutto il tempo che dovrò attendere da morto, dove lo passerò?- ribatté Yoshi, con insolita arguzia.
-Fuori dal Tempo! Neanche potrai accorgerti dei secoli che passeranno. Fidati!... Naturalmente…- il demone si era interrotto un attimo per ammiccare, sfruttando la sua orrenda mimica facciale -…naturalmente, dicevo, questo ha un prezzo. Sei disposto a pagarlo?-
-Pago quello che ti pare! Basta che svanisci e la finiamo con tutte queste domande- rispose Yoshi; più preoccupato dall’idea che qualcuno potesse notarlo, con le braghe inzuppate di piscio.
Il demone lo accontentò all’istante, e non lo rivide mai più; neppure nei suoi incubi più terrificanti. E mano a mano che i giorni passavano, Yoshi si convinse di averlo semplicemente immaginato; magari per effetto di qualche esalazione di troppo. Non di rado, infatti, durante i suoi turni di guardia all’interno dell’abitazione di Zuia, gli toccava sorbirsene anche la passione per l’oppio, i cui fumi avvolgevano tutte le stanze.
-Le nuove generazioni verranno su sempre peggio, signor Ferlinghetti!- disse Ulderico, impegnato a imbastire una specie di conversazione con un potenziale, cospicuo cliente.
Stava nell' ufficio della figlia, che con una scusa si era messa in viaggio per Milano, e faceva roteare in bocca la sigaretta.
-L'altro giorno, cazzo, ne ho assunto uno... Mi perdoni il linguaggio, ma non posso esimermi davanti a certi fatti. Sembrava quasi a posto, un tipo tranquillo; poi d'un tratto ha preso un bastone, offeso da un mio doveroso, cortese, piccolo rimprovero, e quasi mi ammazza.- proseguì Ulde, assurdamente convinto di essere in buona fede.
Il suo cliente era un uomo sulla cinquantina, soddisfatto di aver appena conseguito una laurea in sociologia frequentando dei corsi serali; e lui sapeva che un buon metodo di portare avanti una trattativa era quello di accattivarsi la simpatia degli altri, facendoli parlare di ciò per cui avevano maggiore interesse, o competenza. Tutto questo prima di arrivare ai prezzi, all' affare vero e proprio.
Il problema, tuttavia, era la sua totale, assoluta ignoranza dell'argomento.
-...Vede, io sono dell'idea che la società in cui viviamo sia così densamente popolata da individui psicotici, o in qualche modo anormali, perché...-
-Mi scusi se la interrompo!- disse Ulderico, spegnendo con energia la sigaretta; come se volesse spaccare il posacenere, con le dita. -...io credo di conoscere la causa.-
Ferlinghetti si propose di ascoltarlo, mettendosi a braccia conserte.
-Il male del mondo è il sovrappopolamento.- sentenziò Ulderico. -Capisco che possa sembrare una spiegazione semplicistica, ma è fin troppo evidente; soprattutto quando si rimane bloccati nel traffico, o si tenta di entrare in un centro commerciale il sabato pomeriggio...-
Fece una breve pausa, per dare maggiore enfasi al discorso e, soprattutto, per riorganizzare le idee. -...Siamo in troppi per le risorse ambientali di cui disponiamo e ognuno vuole la sua parte, la sua fettina di benessere...-
Tirò una manata sulla scrivania, a mo di preambolo.
-...Questo genera competizione, Ferlinghetti, e la competizione spesso sfocia nella violenza. Poiché l'uomo, sebbene si sforzi di evolvere e mostrare intelligenza, resta un animale stupido e distruttivo. Una stupidità così grande e radicata nel suo d.n.a, che la si vede anche in quelli che propugnano il bene... Come quei cazzo di pacifisti; gli ambientalisti e il clero! Deve trattarsi di un difetto genetico, quindi.-
Il discorso non era molto edificante, ma gli sembrava di aver scelto le parole giuste; essendosi espresso al meglio delle sue capacità dialettiche.
-Quali potrebbero essere, quindi, le conseguenze?-
-Le conseguenze?- ripeté Ferlinghetti, non volendo interrompere quella curiosa sequenza di pensieri.
-...Sì!...Le conseguenze di questa pazzia dilagante; dell'uso indiscriminato dei pesticidi; dei fertilizzanti; degli anabolizzanti; delle bombolette spray; delle radiazioni; degli ultrasuoni e dei raggi gamma...-
Ferlinghetti annuì e poi scosse il capo. Gli era capitato altre volte di farlo, con tale affettazione, davanti a quesiti di una tale banalità.
-Cosa succede, quindi?...Glielo dico io, Ferlinghetti. Succede che, ad esempio, un povero vitello, per soddisfare il fabbisogno medio del mercato alimentare, viene pompato a dismisura con queste porcherie fino a crescere come un elefante nel giro di un paio di settimane. Poi i nostri figli se lo mangiano, inquinando i loro neuroni poco alla volta... Lo stesso discorso vale per tutte le altre cose che ingeriscono e respirano negli anni dello sviluppo... Finche a trent'anni, in un giorno come un altro, senza una ragione precisa, t'imbracciano un mitra e fanno una carneficina.-
Ferlinghetti si chiese cosa potessero centrare in tutto questo ragionamento i raggi gamma.
-Capisce, cazzo, cosa voglio dire?- proseguì Ulde, esaltato dalla ridda di castronaggini che ancora gli venivano in mente.
-Presumo...- rispose timidamente Ferlinghetti.
-Non presuma! La verità è una sola: su questa terra non possono vivere più di tre miliardi di persone... Mentre ne abbiamo quasi il triplo!!-
-Lei quali rimedi propone?- Si decise a domandargli Ferlinghetti, soppesando quali potevano essere le qualità imprenditoriali di quell'uomo.
-I rimedi più efficaci son sempre stati le guerre e le malattie. Oggi si creano addirittura i virus per favorire il calo demografico... E' una realtà che pochi conoscono. Dico, perciò, che se mia figlia avesse proseguito i suoi studi di biologia, diventando magari una virologa, mica l'avrei condannata per questo! Anche se non mi sarebbe stata di grande utilità qui... Il cazzo che l'avrei condannata! Magari avrebbe contribuito a ripulirci da tutti questi extracomunitari che ci sono in giro.-
Ferlinghetti ammutolì dallo sgomento.
-Guardi, mica son razzista, ma sostengo che alcuni popoli siano davvero troppo numerosi. Prenda questi africani, ad esempio. Il mese scorso ne ho presi un paio. Due emarginati; abbastanza operosi, comunque. Esentasse, naturalmente. In un certo senso mi fanno comodo, quando li trovo già in queste condizioni d'indigenza; perché, vede, più son vicini alla merda, più è facile ricacciarveli quando non se ne ha più bisogno.-
Ferlinghetti impallidì davanti a quell' escalation terrificante d'insulsaggini.
-Ebbene, dopo soltanto una settimana di lavoro qui, avevano già corteggiato e inchiappettato quasi tutte le mie operaie. S'immagini, ora, quanto ci metteranno gli altri, tutti quelli che stanno fuori e infestano le nostre città, a moltiplicarsi.-
-Il suo discorso è aberrante!- commentò Ferlinghetti, indignato, prima di alzarsi.
-Aberrante? Io interpreto i pensieri della gente!- rispose Ulderico.
E non vi fu alcuna trattativa.
-Son contento che ti sia precipitata qui, considerando il tuo daffare- disse Luca, servendo a Elsa un caffè. A lei che, a quanto pareva dal suo mini bagaglio, sembrava intenzionata a farsi ospitare.
-M’aspettavo che tornassi a lavorare, poi ho saputo da Giorgio del tuo malore e mi sono preoccupata.-
Luca cercò d’immaginare tutto il casino che avrebbe fatto Ulderico in ditta, senza di lei.
-Tornare a lavorare? Con quel gentilissimo signore alle calcagna? Sarà pur vero che ho esagerato col bastone, facendogli quasi venire una sincope dalla paura, ma ti assicuro che non l’ho colpito.-
Elsa probabilmente volle credergli, pur essendo al corrente di quell’altra signora che un bel calcio se lo era beccata davvero; oppure non le importava di come fossero andate le cose. In fondo suo padre era un gran bastardo e qualche mazzata se la sarebbe pure meritata.
-Okay! Non ti sto dando alcuna colpa. Raccontami della spada, piuttosto.- disse, guardandolo divertita.
-Di che?! Avevo pregato quel bastardo di non parlarne a nessuno, ma vedo che non si è limitato a fottermi la ragazza.- rispose con sdegno Luca, tirando fuori dall’armadio la katana.
-Adesso ci riesco; non so per quanto durerà, ma ora te lo dimostro…-disse.
Improvvisamente qualcosa nel suo sguardo era cambiata, e dopo aver fatto una capriola volante, tagliò di netto un piccolo cactus, sfiorando il bordo del vaso.
-Ottima performance acrobatica!- commentò Elsa. -…ma questo cosa prova? Dovrebbe indurmi a credere che tu sia la reincarnazione di un samurai?- proseguì.
-Ci conosciamo dall’infanzia. Mi hai mai visto fare cose del genere? Oppure pensi che abbia passato qualche tempo in un circo a imparare queste cose da trapezista?-
-No. Non esattamente…- proseguì Elsa, invitandolo alla calma con un gesto della mano. -…credo all’esercizio fisico, però, e alla tua agile corporatura…e che ci siano un altro migliaio di possibili spiegazioni, senza tirare in ballo i fantasmi.-
-Metti da parte il tuo razionalismo per un attimo e ascolta!- disse Luca, continuando a far girare la spada, sopra e sotto le braccia; dietro la schiena; saltellando.
-Non mi sono mai esercitato a fare questo e, tra le altre diavolerie, c’è una ragazzina giapponese nelle mie visioni…: Conosco qualcosa della sua vita passata e, in certe occasioni, riesce addirittura a procurarmi dolore. Forse prese qualche terribile malattia e col tempo la vidi avvizzire, deformarsi.
Il suo volto, soprattutto, divenne in pochi mesi orribile. Ed io, o quello che sono stato, mi sento responsabile di questa tragedia, perché ho fatto qualche dannata cosa che non riesco a ricordare; talmente brutta da scatenare in lei questo male. Ora puoi anche non crederci, ma ho dei ricordi abbastanza vividi a riguardo.- disse Luca, concludendo il suo show con uno spettacolare calcio girato.
-…e di questa tua vita passata, cosa ricorderesti meglio?- lo interrogò lei, ora visibilmente impressionata dai suoi velocissimi movimenti.-
-Ero un samurai; un po’diverso dagli altri, per la verità, perché istruito da un maestro cinese. L’ho visto in sogno, mentre mi mostrava delle piccole bacchette di legno, ma non ho capito cosa volesse dirmi.
Ricordo anche che ero assai rozzo e di aspetto poco piacevole, ma robusto. Ogni tanto mi vedo… mentre ammazzo qualcuno, tempestandolo di pugni o trafiggendolo e ho quasi la sensazione di essere sul posto e condividere le sue emozioni.-
-E come sono quest’emozioni?- chiese Elsa.
-Un concentrato di glaciale orgoglio…e il suo furore è il mio, in quei momenti.-
-Come ti chiamavi?-
-Iosci-
-Suona giapponese, ma per esserne certa dovrei fare una ricerca. Sai dirmi come si scrive?- insistette Elsa, sempre più scettica, ma senza deriderlo come aveva fatto Giorgio.
-No. Conosco solo la pronuncia- rispose Luca.
-In che anno sono accadute queste cose?-
-Non so neppure questo.-
-Prova a dirmi: “vola il falco sulle cime innevate”, in giapponese.-
-Non parlo il giapponese.-
-Okay! Allora come posso crederti? Dammi un solo, buon motivo per farlo.- disse Elsa, spazientita.
Ogni sua domanda era un tentativo logico di smontare il discorso, privarlo di verosimiglianza; senza tener conto del fatto, però, che Luca aveva perlopiù un’immagine visiva di quei fatti, filtrata dai suoi condizionamenti culturali.
-Riesco solo a muovermi come lui, se vuoi altre dimostrazioni.- rispose.
-Quanto è vero che puoi combattere come lui, dovresti essere altrettanto abile a parlare la sua lingua. Okay?-
In effetti era un’obiezione pertinente, a cui Luca non poteva rispondere.
-Inoltre mi chiedo, visto che fin’ora nessuna di queste domande ha trovato risposta, perché mai questo Ioigi avrebbe dovuto reincarnarsi in un fotomodello milanese e non, per esempio, in un membro della Yakuza?- chiese Elsa.
-Una teoria ce l’ho a riguardo…- disse Luca, sfilandosi dai capelli una piccola forchetta di ossidiana.
-…Questo gli apparteneva, credo.-
-Tu dove l’hai presa?- proseguì Elsa, esaminandone con cura il piccolo ideogramma inciso.
-Da un antiquario; l’anno scorso. Ero entrato per comprare tutt’altro…Poi l’ho visto e ne sono rimasto colpito. Mi piaceva l’idea di legarmi i capelli con un oggetto così speciale.-
-In questo caso arriva con un anno di ritardo, il nostro samurai!- commentò Elsa.
-Forse lui non è finito in questo luogo e in questo tempo proprio per recuperare il suo fermacapelli; anche se in qualche modo quest’oggetto ha agito come potente elemento di attrazione, essendo tutto ciò che resta del suo passato…-
Elsa sbuffò, incapace di formulare altre domande. Il discorso cominciava ad annoiarla. Luca se ne accorse e fu preso dallo sconforto.
-Pensi che m’inventi storie del genere per sfuggire ai problemi?- chiese.
-Parecchie cose vanno storte nella tua vita, ultimamente. Okay? Quindi ci sarebbero i presupposti per ritenere fondata questa supposizione; ma per come la vedo, ci sono anche altre due possibilità:…- commentò Elsa. -…Sei esaurito, gravemente esaurito, o vittima di un maleficio. Naturalmente, a una prima analisi, sembreresti pazzo.-
Luca si levò la maglietta, rimanendo a torso nudo. Voleva controllare davanti allo specchio uno strano prurito all’addome.
-Preferisco tenerti sotto osservazione, comunque…- proseguì Elsa, incuriosita e un po’arrapata.
-…prima di esprimere giudizi, credo anche sia utile studiare meglio la faccenda; magari passando la notte qui. Okay? Hai bisogno di avere accanto qualcuno, ed io sono seriamente interessata a risolvere questo mistero.- concluse, ammirando i bei dorsali di Luca.
Aveva una lunga striscia rossa, come il segno di una bruciatura, che dal capezzolo sinistro arrivava fino all’ombelico.
Passarono una buona mezzora a medicarla, in preda a uno stupore via via crescente. Soprattutto per quelle che apparvero più tardi; quand’ormai erano intenzionati a infilarsi sotto le coperte.
In tutto, alle due di quella notte, si contavano sei cicatrici dello stesso tipo sulla sua pancia. Disposte in modo da formare un reticolato che oltre a prudere, sanguinava.
Fu a questo punto che Elsa decise di chiamare una guardia medica o un’ambulanza, sebbene i suoi progetti per la serata fossero di tutt’altro tipo; ma Luca glielo impedì, addormentandola con un poderoso diretto alla mascella.
Poi tentò in qualche modo di arginare quelle ferite, tamponandole con un asciugamano. Fece questo finché ebbe la forza di muoversi; aggrappandosi alle tende; rotolando; trascinandosi; poi svenne.
Si ritrovò nel cortile interno di un monastero. Vari, pazzi stili ne definivano confusamente l’architettura: dal romanico al gotico, con qualche bizzarra cineseria qua e là. I colonnati che lo circondavano erano altissimi; sembravano incurvarsi lentamente verso di lui, come le zampe di un gigantesco ragno morente.
L’atmosfera era cupa, carica di negatività. Luca ebbe quasi l’impressione che il male di quel posto fosse amplificato dai suoi boxer: il tessuto sprigionava una strana nebbiolina argentea che si depositò su tutte le cose a lui vicine.
Capiva di trovarsi in una specie di sogno, tuttavia non riuscì a svegliarsi. Un liquido bluastro gli riempiva lo stomaco.
Provò a sputarlo, notando che si appallottolava a terra come il mercurio.
Alcune di queste bollicine si gonfiarono, presero il volo e lo seguirono; orbitandogli attorno alla testa.
Un po’ istupidito da questa situazione, si spostò barcollando verso un angolo buio del porticato. Lì c’era una statua che trovò molto, inspiegabilmente sexy. Rappresentava una donna con delle zampe da gallina e un viso grazioso, guastato solo dalla presenza di un corno sulla fronte.
Ne ammirò con libidine il bel sedere e le grosse tette coniche, poi la prese per una delle sue quattro braccia di pietra, invitandola scherzosamente a fare l’amore. Si convinse di dover sdrammatizzare in quel modo.
Improvvisamente la scultura si animò, afferrandolo e avvinghiandosi al suo corpo. Sdrammatizzare non era servito ad annullare il realismo di quell’esperienza; tanto che ora si trovava a terra, imprigionato dalle possenti cosce della scultura.
Non avvenne proprio niente di erotico, anzi, a poco a poco il mostro riprese la consistenza della pietra.
Mentre era impegnato in bislacche riflessioni sul da farsi, per liberarsi dalla sua morsa, vide una figura incappucciata andargli incontro. Era Inanga Zuia.
-Ti piacciono le mie magie?- chiese, ghignando sadicamente.
Luca ebbe un impeto d'ira così intenso da sbriciolare con una gomitata un arto della sua prigione di pietra; poi da terra, in parte ancora intrappolato, si mise ad agitare il braccio contro lo stregone. Yoshi aveva di nuovo il sopravvento.
Luca si sforzò di riprendere possesso del suo corpo, ma era come lottare contro i propri muscoli, la propria volontà.
-Mi pare che il demone ti abbia accontentato!- continuò Inanga, molto più brutto di quando era in vita. I suoi occhi grondavano un denso liquame giallognolo e la pelle violacea era ricoperta da orribili cicatrici.
-Ricordi la tua richiesta, vero? Il tuo desiderio di vivere nel futuro?-
Yoshi non aveva mai smesso di pensare a tutti gl'incredibili avvenimenti che avevano preceduto l'insorgere della sua follia e la morte della sorella.
Non aveva mai smesso di pensare a come il suo innocente corpicino di bimba si fosse ammalato e contorto nel giro di pochi mesi, in preda a orribili spasmi e deformazioni ossee.
Tutto questo dopo che lui aveva inconsapevolmente stipulato quel patto. Del resto in quell'occasione era convinto di trovarsi in una specie di sogno o illusione creata da Inanga, e che le sue parole non potessero avere quelle tragiche conseguenze.
La rabbia aumentò al punto da fargli perdere il controllo. Il suo dominio su Luca.
-Angeli, demoni e molti altri esseri che alcuni uomini, nella loro infinita ignoranza, considerano irreali, in realtà esistono. Noi stessi ora ne siamo la prova. Non ti affascina l'idea, samurai?- insistette Inanga.
-...?!No, no. Per niente! E sono abbastanza ottimista da credermi ancora in vita.- rispose interdetto Luca, ritornando in sé.
La personalità di Yoshi era stata ricacciata ancora per un po' nel limbo atemporale creato dal demone. Inanga se ne accorse e facendo schioccare le dita sparì, assieme a tutto il resto.
Luca si ridestò, costatando quanto il suo salone ora somigliasse a un mattatoio. Le ferite però avevano smesso di sanguinare. Vide le macchie sul tappeto, una lampada fracassata e le tende strappate.
Elsa stava distesa proprio sul tappeto. Luca la guardò terrorizzato; era priva di sensi e imbrattata del suo stesso sangue, ma non sapendo che fosse soltanto sporca e svenuta, si vestì rapidamente, pensando di averla uccisa e spaventato raggiunse la macchina. Il vicinato poteva aver udito qualche grida o rumore strano provenire dal suo appartamento e aver informato la polizia, pensò. Lei invece si riprese poco dopo, in grave stato confusionale, e la prima cosa che pensò di fare fu quella di prendere uno dei telefonini che Luca aveva dimenticato sul divano e schiacciare subito il tasto chiamata, terrorizzata dal pensiero che lui fosse ancora in casa.
L'ultimo numero in memoria rea quello di Miriam, così fu lei a rispondere.
Quando arrivarono, stava seduta su una di quelle panchine che accompagnano il breve tratto erboso vicino all'abitazione di Luca. Sorpassata da emozioni di panico e sbigottimento mai provate, la sua grinta ferina sembrava scomparsa.
Teneva le mani sulle ginocchia e si guardava attorno, sperando che qualcuno potesse notare il suo disagio, la sua paura e le macchie di sangue sul maglione, ma nessuna di quelle persone che ancora entravano e uscivano dai locali a quell'ora voleva vederla, guastarsi la nottata.
Miriam e Giorgio, dopo aver trovato miracolosamente parcheggio nelle vicinanze, le andarono incontro quasi correndo.
-Hai fatto bene ad uscire, stare fra la gente, ma lui dov'è adesso?- chiese Giorgio.
-Faresti bene a curarti del suo stato, magari! Chiedendole prima come si sente.- lo apostrofò Miriam.
-Come ti senti Elsa?- proseguì allora Giorgio.
-Mi sento come una che ha ricevuto una cartella sul mento da uno psicopatico con strane smanie nipponiche, ma voi due che ci fate assieme?- pensò lei, limitandosi a rispondere con un bisbiglio e un cenno della mano che somigliavano a un "bene, bene...non vi preoccupate". Loro, tuttavia, si preoccuparono lo stesso e l'aiutarono ad alzarsi, con l'intenzione di portarla all'ospedale. Questo le fece tornare per un attimo la voce.
-Preferisco che mi riportiate a casa, piuttosto. Okay?! Visto che non mi sento propriamente nelle condizioni mentali idonee alla guida- disse, apaticamente.
-Ma tu abiti a Como!- si preoccupò di ricordarle Giorgio.
-Ci andiamo con la mia macchina. Okay? Poi vi faccio riaccompagnare qui da mio padre, così non sprecate neppure i soldi della benzina.-
-Ah! Lo sai pure tu che è tirchio!- Intervenne Miriam.
Giorgio la guardò schifato e pensò che, di questo passo, presto sarebbe diventato anche lui qualcosa in grado di brandire una spada.
Luca intanto percorreva la circonvallazione, indeciso sul da farsi. Chiunque, nelle sue condizioni, avrebbe avuto dei dubbi. Lui aveva pure un'affilatissima katana nel bagagliaio.
-Ti sei chiesto per quale motivo son costretta a seguirti?- gli chiese un'orrenda vocina proveniente dai sedili posteriori; mentre Miriam, sull'auto guidata da Giorgio, si preparava a chiamarlo.
-Non guardare! Non guardare da dove proviene quella dannata voce.- si disse Luca, -...e non pensarci; perché i fantasmi non esistono e tu non sei la reincarnazione di un samurai con la mandibola sporgente.-
Poi il suo cellulare si mise a suonare qualche nota di "smeel like teen spirit", dei Nirvana. La sua canzone preferita.
Il viva voce era inserito.
-Bastardo!! L'hai fatto di nuovo! Hai aggredito un'amica! Avrei potuto essere io, Giorgio, o qualsiasi altro!- lo attaccò furiosa Miriam.
-Diciamo che partire da voi due, sarebbe stato più giusto.- commentò lui, fingendo di non sentire il peso di quella manina scheletrica che gli si stava appoggiando sulla sua spalla.
-Cosa ti prende? Ce lo vuoi spiegare, lungo pezzo d'idiota?- riprese Miriam, gridando sempre più forte.
La manina incancrenita emanava un discreto fetore di muffa e putrefazione; tuttavia Luca si sforzò di ritenerla ancora un'allucinazione. Anzi, con maggior impegno; dopo non aver resistito al desiderio di sbirciare nello specchietto i connotati della sua proprietaria.
-Non sono responsabile delle mie azioni.- disse stancamente; consapevole di quanto fosse inutile tentare di rispiegarlo, e immaginando il viso adirato di Miriam dall'altra parte.
Come Inanga Zuia era un po' grassoccia e aveva le orecchie a sventola. Una semplice coincidenza, priva di significato per lui; ma non per Yoshi che, stimolato da quest'immagine mentale, si riaffacciò impetuoso alla sua coscienza.
-Cosa vuole questa yujo*?- si chiese; arrivando in fretta e con rabbia alla conclusione che non poteva trattarsi altro che della reincarnazione di Zuia. Era la prima volta che la vedeva con tanta precisione nella mente di Luca, ma non ebbe dubbi a riguardo; ed anche se li avesse avuti, in ogni caso sentiva il desiderio di ammazzare qualcuno.
-Dove ti trovi Zuia?- gli fece chiedere a Luca, levandosi la manina putrefatta dal collo.
Non poteva credere che appartenesse alla sorella; che anche nell'aldilà fosse costretta a vivere in quelle terribili condizioni. Doveva essere una visione, creata dai diabolici incantesimi del suo nemico.
-Zuia?!...Ma sei fuori? E' una parolaccia giapponese, immagino. Per offendere a mia insaputa. Tipico atteggiamento da vigliacco... Comunque, stiamo accompagnando Elsa a Como. Vuoi sentire quanto piange? Quanto soffre per colpa tua? Come tutte le persone che ti sono amiche per qualche tempo- disse Miriam.
-Ti raggiungo Zuia.- rispose meccanicamente luca, con una inquietante fissità nello sguardo.
Elsa non stava affatto piangendo; era troppo inebetita e spossata da quella orribile serie di eventi, per avere una qualsivoglia, apprezzabile attività fisica o emotiva.
le sue preoccupazioni erano rivolte soprattutto alla reazione che avrebbe avuto suo padre, vedendola tornare a quell'ora e conciata in quel modo. Pensò a questo per tutta la durata del viaggio, invero, tenendo la testa appoggiata al finestrino, in stato semicatatonico.
Dalle potenze ultraterrene le venivano concessi solo brevi momenti per manifestarsi; così, poco alla volta, Majko scomparve dai sedili posteriori. Luca la vide dissiparsi alle sue spalle, e uscire dalla bocchetta di ventilazione alla sua destra, come aria leggera.
-Qualsiasi cosa fosse, era andata- pensò Yoshi.
Ma non aveva portato con sé il dolore, i ricordi. Fece rivivere anche a Luca quei terribili momenti. Quell'ultima volta che l'aveva tenuta fra le sue braccia; morente e mezza decomposta dal misterioso morbo. L'aveva supplicata di non abbandonarlo; piangendo; scuotendola, per risvegliarla dalle sue continue assenze.
Ma Majko era incapace di rispondere, riprendersi.
-Non lasciarmi, ti prego. Non lasciarmi!- aveva insistito lui, scuotendola; scuotendola di nuovo, scuotendola ancora e sempre più forte.
Ma, a questo punto, la sua piccola mascella si era staccata dal viso ed era caduta, spiaccicandosi sull'elaborato palké della pagoda... e subito dopo era morta.
-Ti raggiungo Inanga. Ovunque tu sia; fuori o dentro il corpo di quella yujo.- disse Luca, sempre più invasato da Yoshi, rivolgendosi mentalmente a Miriam; poi abbassò il finestrino e gettò fuori il cellullare.
-Ti raggiungo!- si ripeté, stringendo con forza il volante.
Quando Ulderico lo vide arrivare, i ragazzi stavano in soggiorno a discutere il problema; assieme a sua moglie.
Elsa non si era lasciata convincere dalla madre a chiamare la polizia. Poiché pensava che l'amico, seppure in quelle gravi condizioni mentali, andasse aiutato.
Ulderico, invece, stranamente silenzioso, si era messo di vedetta sul balcone ad aspettarlo; osservando l'unica strada che, dalla collinetta sulla quale sorgeva la casa, portava al centro.
Lo riconobbe anche a quella distanza. Circa duecento metri. Perché era alto, magro, e impugnava qualcosa che gli ricordò il manico della scopa, ...ma non era il manico di una scopa.
Procedeva in mezzo alla strada, lento e rigido nei movimenti. Ulderico non disse nulla agli altri. Si aspettava una Golf grigio metallizzata, invece quello stronzo era arrivato a piedi; nel cuore della notte; lasciandosi silenziosamente il paese alle spalle.
-Probabilmente ha parcheggiato lì, l'auto.- s'immaginò Ulde. Poi entrò in casa, sgattaiolando via dal soggiorno, senza farsi vedere, e si avviò all'uscita secondaria che conduceva, dal garage, alla rimessa.
Entrò in quest'ultima, decisamente impolverata e piena di ragnatele; dove un debole raggio di luna, oltrepassando l'unica, piccola finestra esistente, illuminava il mostruoso profilo della ruspa. Sollevò a fatica una tanica e lo riempì di carburante. Poi si tolse con foga il giubbino e lo usò per spolverare il sedile e il volante. lo mise in moto.
Il motore ruggiva come un dinosauro con la raucedine.
Luca, ora stava a centocinquanta metri dalla casa e procedeva sempre più lento. Gli sforzi di Yoshi per ottenere un completo dominio dei suoi movimenti erano enormi.
Ulderico uscì dalla rimessa, facendo un tale casino da portare tutti gli altri ad affacciarsi sul balcone.
-Venite pure a vedere come lo spiattello sull'asfalto, questo damerino di merda!- si disse, accendendo i fari.
Ora ce lo aveva di fronte, a una distanza di cento metri.
Si era fermato e faceva roteare la spada; tenendo le gambe divaricate e l'altro braccio teso, come una sbarra d'acciaio.
-Pensa di mettermi paura.- borbottò fra sé e sé Ulde, accelerando un pochetto.
Luca berciò qualcosa d'incomprensibile; poi con uno scatto terrificante gli corse incontro. Muoveva braccia e gambe a una velocità pazzesca; mostruosa.
Gli altri guardavano e gridavano, nell'impossibilità di arrestare quel furioso delirio.
Luca feceun incredibile salto, afferrando con entrambe le mani l’impugnatura della spada. L'abitacolo della ruspa era privo di parabrezza, quindi, con un po' di precisione, avrebbe anche potuto infilzare l'autista.
Ulderico però, vedendolo volare verso di lui, accellerò ancora e sollevò la vasca di contenimento della ruspa.
Contro la quale Luca andò a sbattere; rimanendo infine appeso ad uno dei suoi enormi denti in acciaio.
Si risvegliò di nuovo nel monastero. In realtà, una sorta di purgatorio in cui Inanga attendeva la prossima reincarnazione, patendo una varietà infinita di sofferenze fisiche.
Questa volta, tuttavia, Luca non aveva semplicemente perso i sensi, ma si trovava in una specie di coma che aveva sfrattato pure Yoshi dal suo corpo.
L'enorme, gialla, vasca di raccoglimento della ruspa, l'aveva tramortito bene bene.
Yoshi, dalla rabbia gli tirò una ginocchiata sulla coscia; esattamente in quel punto che fa molto male. Era insoddisfatto di non aver portato a termine la sua missione.
Finalmente, ora luca poteva vederlo di persona. "Finalmente" non proprio dal suo punto di vista; dacché quella ginocchiata gli aveva quasi spezzato il femore. Constatò che Yoshi era più basso di come appariva nelle sue visioni, ma anche più massiccio.
Qualcuno di cui doveva aver paura; soprattutto adesso che le sue robuste mani gli premevano sul collo.
-Riprenditi, maledetto!..- ringhiò Yoshi -...Inanga non si trova più qui. E' finito nel corpo di quella...-
Luca non poteva capirne l'antico giapponese, e stava quasi per soffocare, quando Inanga Zuia apparve provvidenzialmente alle sue spalle.
-Sono ancora qui, invece.- disse, rivolgendosi al samurai con un gesto di sfida molto teatrale.
Yoshi gli si avventò contro, con la furia di un mastino a cui son state punte le palle con delle forchettine da cocktail e che non ami particolarmente il teatro. Nello scontro Inanga perse subito un paio di fettine di carne. Yoshi non aveva con sé armi, ma le unghie dei suoi pollici erano parecchio lunghe e affilate. Tanto che, con le stesse, era riuscito a sbudellarsi subito dopo la morte della sorella.
Luca la vide spuntare dal retro di una colonna.
Stava indicandogli una strana perturbazione cromatica vicino all'ingresso del chiostro. Sembrava meno deforme del solito e continuava a gesticolare, affinché lui capisse di dover attraversare al più presto quel passaggio.
Luca si guardò attorno e poi di nuovo la sua attenzione fu catturata dalle urla dei duellanti. Che definire tali era a dir poco un eufemismo, dal momento che parevano sbranarsi a vicenda.
I colonnati stavano incurvandosi al centro della scena, esattamente com'era accaduto la prima volta che era finito da quelle parti. Sembravano sul punto d'ingabbiare e schiacciare tutto quanto.
Si mise a correre verso l'uscita; la strana perturbazione. Esattamente come gli suggeriva lo spettro di Majko. Lo fece zoppicando, a dire il vero, a causa del trauma subito alla coscia.
Un capitello grande quanto un furgone si schiantò a pochi metri da lui; creando una faglia nel lastricato che aveva sotto i piedi. la gamba sana ci sprofondò in pieno, quand' ormai ce l'aveva quasi fatta. A pochi metri dal passaggio.
Tentò con tutte le sue forze di liberarsi; a questo punto sarebbe stato pure disposto a strapparsela, la gamba.
Ulde stava sopra di lui e gli stringeva con forza la mascella, spostandogli il capo a destra e sinistra nel tentativo di rianimarlo; alla sua maniera, con brutale incompetenza.
Erano tutti attorno al letto sul quale l'avevano disteso. Spaventati e increduli. Soltanto Miriam sembrava aver conservato la calma.
-Questo è un omicidio.- disse, rivolgendosi a Ulderico con mostruosa freddezza; mentre Giorgio pensava a tutti i guai in cui si stava cacciando, a causa di quella relazione.
Elsa levò uno sguardo interrogativo a suo padre; stravolta, in apatica attesa.
-No! Questa è stata legittima difesa.- bofonchiò il vecchio, pallidissimo.
Improvvisamente Luca riaprì gli occhi e alzò di scatto il busto, procurando stupore e gioia. Era la prima volta che, dopo tutte le follie involontariamente commesse, qualcuno gli sorrideva in quel modo.
Majko era riuscita in estremis a liberargli la gamba e condurlo fuori dal monastero; lasciando che il fratello rimanesse intrappolato in quella dimensione, assieme a Inanga.
In seguito, a causa d'ignote leggi karmiche, i due si sarebbero reincarnati nelle figlie di Miriam e Giorgio. Come Budda comanda; cioè, facendo tabula rasa delle loro precedenti esistenze. Di modo che non potessero più conservare alcun ricordo dei mali commessi.
Ulde gli tirò un benevolo, ma vigoroso schiaffone, quasi piangendo dalla gioia. Dovuta in gran parte al fatto che si stava risparmiando un bel mucchio di grane con la giustizia.
-Mi hai fatto davvero cacare sotto!- disse.
Due mesi dopo, Luca, in perfette condizioni mentali, organizzò una mostra esponendo parecchie sculture e dipinti; alcuni dei quali, in parte, rappresentavano la sua incredibile esperienza, in altra erano soltanto astrazioni prive di significato. Contava che gli ultimi soldi rimasti e investiti per questa cosa, potessero aumentare in qualche modo la sua notorietà e fruttargli rapidamente.
Una mossa coraggiosa; quanto la sua partecipazione a un paio di programmi televisivi ben seguiti, riguardanti il mistero della reincarnazione. Episodi nei quali aveva intascato parecchio, anche se la sua testimonianza non aveva riscosso molto credito.
Nessuno mancò all'appuntamento dell’esposizione. C'erano tutti quelli che l'avevano accompagnato in questa disavventura; anche Giorgio e Miriam, pur non avendo ricevuto alcun invito.
-Questi lavori sono meravigliosi!!- disse Miriam, indicando un ammasso di colori. -...ci vedo quel samurai... quello Gioisci di cui parlavi in tv.- proseguì, allontanandosi dalla tela, per dare l'impressione di apprezzarla meglio vedendola nella sua interezza. Come facevano quelli che, nel suo immaginario, erano gl'intenditori.
Luca la scansò rapidamente, con un garbato sorriso. Di tutte le opere figurative e non, presenti alla mostra, lei stava indicando l'astrazione priva di significato.
Ulderico, invece, lontano anni luce dal concetto di arte, beveva da solo in una sorta di mini rinfresco allestito in una stanza attigua al salone espositivo.
-Quel ragazzo è un fighetta e neanche, credo, abbia del talento.- disse alla figlia.
-Quel ragazzo è un fighetta e neanche, credo, abbia del talento.- disse alla figlia.
-Okay!..- rispose Elsa. -…Però fai finta di trovare lo stesso interessanti le sue opere, almeno in segno di scuse, visto che lo hai quasi ucciso.-
Voleva ricondurlo alla cortese osservazione dei dipinti, invece di ubriacarsi.
-Dai papà!... - disse, prendendolo a braccetto.
-Andiamo!-
-Andiamo!-
-Proprio un talento del cazzo!…- insistette Ulderico.
E appoggiò il bicchierino ormai vuoto.
E appoggiò il bicchierino ormai vuoto.
-FINE-
Yoshi e il demone del Tempo (2004)
Racconto e illustrazioni di Fabio Cavagliano
commenti:
Corra 1 Novembre 2004
La storia è ben fatta, sa un po' di déjà-vu per quel che riguarda il flashback del personaggio principale...
Ci sono alcuni film, tratti da romanzi (che ora non mi vengono in mente), che ripropongono il filone "reincarnazione".
Devo ammettere che però l'idea dell'antico Giappone è molto interessante e "acchiappa" parecchio anche per la fitta descrizione dei paesaggi e dei personaggi stessi.
Yoshi è davvero un personaggio azzeccato!
Per quanto riguarda la forma, devo dire che non ho avuto particolari difficoltà nel leggere il racconto... Tutto scorre via bene senza intoppi o incomprensioni.
Probabilmente, avrei aggiunto un numero maggiore di pagine per farlo diventare un romanzo. La storia, come ho detto in precedenza, è buona ma per ora è solo un racconto da inserire in qualche tua collana. Pensaci!... potrebbe uscire davvero un romanzo coi fiocchi!
Non riesco, sinceramente a catalogare questo racconto... Penso che si avvicini ad un genere Thriller-tragicomico, per la suspense, ma anche per la comicità che a volte si crea (la scena del pelo pubico nel piatto faceva veramente schifo, ma allo stesso tempo è stato un momento divertente).
Il personaggio più azzeccato, secondo me, è Miriam, la ragazza di Luca. La classica tipa che vuole mollare il fidanzato ma non sa come dirglielo e si arrampica sugli specchi.
Come racconto non ha nulla da invidiare a quelli che ci sono in commercio... Ho letto di recente dei racconti di fantascienza che non avevano niente di superiore al tuo, anzi!... Alcuni erano davvero noiosi.
Una piccola incongruenza, che al mio occhio pignolo non è sfuggita, riguarda la parte finale del racconto "...dove un debole raggio di luna illuminava il mostruoso profilo del "trattore" e poi...: "Ulderico accelerò e sollevò la "ruspa". La ruspa e il trattore sono due mezzi differenti, almeno da quello che so. Voto generale, comunque: 7 1/2
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