“Malley...” disse Jack, leggendo il tatuaggio che aveva sulla mano l’uomo alla sua destra.
“ È il mio nome, ma che cazzo t’importa, amico?”
“Ci vai pesante con quella roba!...” rispose Jack.
“ È acqua colorata, parecchio leggera, ma devi proprio farti gli affari miei?”
Jack stava appoggiato al bancone, con in bocca la sua sigaretta, e quello si girò appena per vederlo di sguincio.
“Non si fuma qua dentro!...” gli spiegò. “...Visto che hai voglia di rompere i coglioni.”
Il barman si avvicinò ai due.
“Proprio! Ha ragione il buon vecchio Malley.” disse, e allungò un sottobicchiere di porcellana.
“Okay! Okay!...” si scusò Jack, utilizzandolo in fretta.
“Ora mi tocca pure pulirlo!...” proseguì il barman. “Almeno, ce l’hai qualcosa da ordinare?” chiese. “...Oltre a perturbare il buon vecchio Malley?”
“Sì. Perturbare, cazzo! È il temine giusto, Barry. Ero calmo come un lago di montagna, fino a poco fa.”
Jack abbassò lo sguardo, più per contenere la rabbia che per rammarico.
“Beh!..., se proprio devo, prendo una birra.” rispose.
“Quasi quasi vado in bagno e te la faccio calda.” disse il barman, facendo l’occhiolino a Malley.
“Okay, basta che sia gratis. Sarà più fresca quando dovrà sbarazzarsene, sir.”
“Oooh!... Abbiamo a che fare con uno di quei furbacchioni dotati di grande umorismo!... “ commentò Malley.
Barry si grattò il mento, spazientito.
“Certo che mi tocca sorbirne di stronzi!...” disse, e cacciò fuori dal frigo la birra. “...Sono cinque dollari, se la vuoi bere in bottiglia. Altrimenti...”
Jack tirò fuori i cinque dollari e li appoggiò veloce sul bancone.
“Bene. Mi hai interrotto, ma stavo proprio per dire: altrimenti te la puoi ficcare in quel posto. In ogni caso, caro il mio attaccabrighe,...” insistette il barman, “...Se il buon vecchio Malley dovesse incresparsi ancora, oppure non mi andasse proprio a genio la tua condotta, ...La vedi quella specie di grizzly laggiù, nell’angolo?”
Jack si voltò a guardare.
“...Quello è Charley, il nostro buttafuori.” proseguì Barry.
“Mi sembra che abbia un’aria abbastanza gioviale.” commentò Jack.
“Gioviale un cazzo!...” disse Malley. “...Io ci vengo spesso qui, e l’ho visto rompere nasi e un buon campionario di articolazioni come se fossero grissini.”
“ Beh!...In tal caso, farò il possibile per non fargli sprecare calorie.” rispose Jack.
“Ottima idea. A Charley, fra l’altro, non piacciono le pause troppo lunghe che alcuni clienti hanno l’abitudine di fare fra una consumazione e l’altra.” continuò Barry.
“Beh!... Vediamo cosa posso fare; se dopo questa birra il posto mi sembrerà ancora abbastanza accogliente, forse, ne ordinerò un’altra.”
“Vaffanculo!” rispose Barry, e si allontanò per servire altri clienti.
Malley gli fece un cenno di ringraziamento e buttò giù un altro sorso della sua “acqua colorata”.
“Lui dice di fiutare i guai lontano un miglio.” spiegò “...E io gli credo.”
“Fai la cosa giusta. Quello è un tipo in gamba....” disse Jack. “...Lo si vede soprattutto da come tratta i clienti.”
“Dici bene, amico.” rispose Malley.
“Anche tu devi essere in gamba, però...” proseguì Jack. “...Voglio dire, senza sarcasmo, prima ti ho visto arrivare al parcheggio con la tua buick… E’ del 69, vero?!...Beh! Un gran bel un giocattolo. Complimenti, davvero. Mica tutti se la possono permettere una cosa del genere.”
“Sì, ho il grano. E parecchio. Dopotutto, mi faccio il culo, io!...” disse Malley, tirando fuori dal naso una pezzetto di muco. “...Comunque, se proprio lo vuoi sapere, è giusto del 69 la signora...” osservò compiaciuto il suo prodotto e lo appallottolò. “...A quanto pare t’intendi, amico, e questo ti pone su uno scalino più alto, ma non darci troppo dentro a leccarmi il culo; m’increspano anche le lusinghe, soprattutto quando non riesco a intuirne lo scopo.”
“Nessuno scopo, vecchio. Voglio solo farmi quattro chiacchiere, distrarmi da un fattaccio... Sai, a volte, questo sembra che possa aiutare.” disse Jack.
“Sei nei guai, allora?!...” commentò Malley. “...Lo immaginavo; dev’essere la puzza che ha fiutato Barry.”
“Sì, mica per niente sono d’accordo sul fatto che sia in gamba. Mi trovo davvero in un grosso casino.”
“Racconta, cazzo! Forse mi può interessare.” disse Malley, e annaffiò ancora il suo lercio palato.
Jack, prima di cominciare, sistemò bene il sedere sullo sgabello. Voleva recitarla a dovere la parte.
“Beh!... I mie guai sono cominciati con Marion e il football...” disse.
“...L’ultima volta che la vidi stava proprio in campo, a ballare in mezzo alla formazione delle cheerleaders, con una grossa maschera di peluche in testa. Era tutta tette e gambe; quelle gambe che ti fanno impazzire. Non so se mi spiego?...”
Malley annuì con poca convinzione; la sua libido era affogata nell’alcol da un pezzo.
“...La vedo spesso, ancora dannatamente e distintamente bene quella scena, come in un film. Ogni volta che ci penso o che fuggo, magari cercando di seminare i federali...”
Malley alzò un sopracciglio.
”I federali?!...Per la puttana!” pensò. “Questo è un criminale.”
“...Rivedo lei, e quella sua stupida maschera equina; là, in mezzo al campo, mentre agita le cosce e fa mulinare le braccia fra lo stridore dei fischi e degli applausi... Gran brutta faccenda! Fatico pure a spiegare cosa mi sia passato per la testa in quel momento, perché ho puntato l’arma credendo di poterla uccidere... Anche se poi, beh!... Non sono stato io a farlo.”
Jack mancò la mira, in effetti. E anche se, qualche giorno dopo, Marion venne uccisa comunque da un altro amante geloso, i sospetti caddero su di lui.
Malley tossì e cercò con lo sguardo il barman, sebbene la sua vista cominciasse ad annebbiarsi e a rendergli la cosa difficile.
“..Sta di fatto che mi trovavo lì, sotto gli spalti dell’ultimo anello, con il mio fucile di precisione appoggiato alla spalla...” proseguì Jack.
“...Mi aveva tradito. Capisci?! Con uno di quegli stronzi che si preparavano a giocare. I Boister, fottuti; squadra di vigliacchi!...”
“Capisco capisco, amico!...” commentò Malley. “Anche a me stanno sul cazzo..., ma, se mi è lecito fermarti proprio adesso, posso sapere perché diavolo mi stai raccontando tutto questo? Sei un mitomane? No perché, vedi amico, se questa cosa è vera, ci si può affogare nella tua merda. E non è da escludere che potrei persino denunciarti. Questa è roba è da taglia cospicua, immagino, e io ci tengo a intascare dei bei soldoni, arricchire la mia collezione di auto e, nel caso, a fare l’eroe del cazzo con il mio governo.”
Jack si guardò bene attorno; soprattutto prestando attenzione a Charley e Barry, occupati a conversare con delle avventrici piuttosto succinte.
“Certo, lo capisco, ho preso in considerazione anche questa possibilità. E credo che faresti la cosa giusta, da buon cittadino, ma voglio parlartene lo stesso,...” rispose Jack. “...Probabilmente perché sei sbronzo e nessuno ti crederebbe. E poi perché mi stai quasi simpatico, con quei tuoi modi da bifolco arricchito, per non dire da gran coglione. Dopotutto..., siamo amici, no? Non fai che ripeterlo ogni volta che concludi una frase.” proseguì. Poi gli calcò l’automatica nella milza.
“Anzi, mi sento così sicuro della tua amicizia che quasi ti fotto la buick.”
Gli spinse più forte l’arma.
“Sì.” disse l’uomo, e con difficoltà si mise a cercare le chiavi.
“Le prendi dopo, scemo!...” ordinò Jack. “...Ora stai tranquillo e mi segui a braccetto fino alla macchina; proprio come un dannato finocchio. Impegnati a rendere tutto molto credibile. Con quella tua faccia credo sia già un’ottima interpretazione, ma devi fare di più; stringermi ed eventualmente fingere di desiderarmi, in modo che a Charley e al suo grizzly non vengano sospetti. Okay?”
“Sì.” ripetè l’uomo, e lo seguì.
Erano passate all’incirca un paio d’ore.
Averlo lasciato in mezzo alle Hut mountain, in balia del freddo e degli orsi, aveva procurato a Jack una discreta soddisfazione, una scarica di divertito cinismo.
Avrebbe faticato un bel po’ “Malley l’eroe del cazzo” a trovare aiuti. Pensò.
Dopo avergli voltato le spalle, inoltre, aveva finto di perdere un biglietto, facendolo cascare ad arte dalla tasca dei jeans. Il biglietto diceva:
“Gli altri ti aspettano a Parigi, Jack. Se domani arrivi all’ora stabilita, facciamo l’affare. Porta il pacco x907nz”.
Inutile dire che non esisteva alcun pacco con quel codice, e che si trattava di uno stratagemma per confondere le acque, convogliare lontano da lui le indagini dei federali. Malley, con tutta probabilità, lo avrebbe raccolto e mostrato a qualche sbirro nella speranza di fare bella figura con il suo governo.
Il vero obiettivo di Jack, tuttavia, era ben lontano dall’Europa.
Doveva raggiungere la California per vendicare un amico giustiziato attraverso l’iniezione letale. Apprendere la notizia pochi giorni addietro lo aveva sconvolto.
Il vecchio Stan era stato uno dei suoi migliori soci; con lui aveva fatto della grana e, soprattutto, imparato un sacco di buone cose sul come pararsi il culo in varie situazioni; meritava certamente un gesto di riconoscenza che andasse oltre al cordoglio.
L’idea era quella di rintracciare l’abitazione del governatore, Arnold Shwarzenegger, tentando addirittura d’impartirgli una bella lezione. Pensandoci, accese la radio e si mise di nuovo a fumare.
Povero Stan... Anni di carcere e poi… zak! Con una punturina sei finito dritto dritto nel culo del diavolo!
Lui ce l’aveva fatta, però; nessuno lo aveva ancora preso. In un modo o nell’altro riusciva sempre a cavarsela, trovare gli spicci e tenersi in forma. Con quello che mangiava e beveva, la sua vita da fuggiasco, ma soprattutto quel tenore di nicotina, sentiva di portare a meraviglia i suoi quarantasette anni.
Si diede un’occhiata allo specchietto e sistemò il ciuffo.
“Devo fregare un bel tubetto di brillantina!…” Pensò. “…Magari, alla prima stazione di servizio che incontro.”
Jack aveva un’acconciatura alla Elvis che, dopo Billie Holiday, Santana e i Beatles, era uno dei suoi idoli musicali, con folte e ben curate basette.
Sistemò anche quelle e si mise gli occhiali da sole, canticchiando due strofe di “blue suede shoes”.
Nella macchina non c’erano nastri con quel genere di canzoni, purtroppo. Guardò nel vano portaoggetti e nelle tasche delle portiere sperando di trovare qualcosa di più interessante di ciò che aveva da offrire la radio in quel momento, ma niente da fare: c’erano soltanto cartacce e mozziconi di sigaro. Forse, in mezzo a tutto questo, anche qualche “malley”moccolo”.
Un camion suonò il clacson e lo invitò bruscamente a riportare l’attenzione sulla strada.
“Al diavolo tu e quella cavalla zoppa di tua madre!” gridò Jack.
Era un’espressione un po’ bizzarra, ma che nel contesto delle sue esperienze personali aveva un significato.
Jack, infatti, odiava i cavalli; da quando era caduto sul duro terriccio della fattoria di famiglia procurandosi una lunga ferita sulla testa.
Questo era avvenuto durante l’infanzia e per fortuna, come allora, ne aveva ancora in testa molti di capelli utili a nascondere la cicatrice; tuttavia, il trauma di essere disarcionato dal quel puledro che suo padre gli aveva regalato per il compleanno era rimasto integro nelle conseguenze.
Ricordò ancora con rabbia come la bestia aveva abbassato di colpo le zampe anteriori e lui era volato in avanti, fra nitriti e sbuffi simili a risa di scherno.
Per l’attore che impersonava Superman, il suo eroe preferito dei fumetti, un fatto simile aveva avuto conseguenze tragiche. Ci pensava spesso, ogni qualvolta gli capitava fra le mani l’ autografo che Cristopher Reeve in persona gli aveva fatto molti anni prima dell’incidente. Quel pezzetto di carta gli ricordava una buona parte della sua onesta gioventù e ottime pollastrelle lavorate nei drive”in durante le proiezioni di quelle pellicole; soprattutto quelle in cui Reeve era protagonista.
Tante storie di donne facili e di poco conto.
Poi, molto più avanti negli anni, erano arrivate le bellissime Susan, Ava, Tina, Priscilla, Rebecca, Angelica, Katy, Ellen, Giustine, Paula, Luisa, Jennifer, Tilly e Marion...
Marion e la sua maschera equina…
“Welcome to Sausage”county” lesse sul cartello appena sorpassato, e questo interruppe bruscamente quella ridda di ricordi nostalgici.
Qualcuno aveva organizzato un posto di blocco, ma non era polizia.
Arnold stava fumandosi un sigaro, davanti al megaschermo del suo cinema privato. Quella stanza sotterranea non era poi tanto piccola, visto che poteva disporre di ben cinquanta posti a sedere; tuttavia, la maggior parte del tempo ci stava da solo. Gli piaceva rilassarsi in quel modo, rivedendo in santa pace suoi vecchi film o quelli delle star con cui aveva legato.
Ora stava guardando “Rombo di tuono”, interpretato da Chuck Norris.
Chuk era in gamba, pensò, e non solo per come sapeva ancora tirare dei bei calcetti, a cinquantasei anni suonati, ma per via della strada che intendeva compiere fra i membri del Partito. Come lui, infatti, “il texas ranger” aveva intenzione di lasciare lo spettacolo per dedicarsi unicamente alla politica, mosso dal suo fervente spirito repubblicano.
Lo chiamò al palmare e, con la scusa di sapere come andava la sua relazione con Maghy, la cugina di Hillary Clinton, gli propose una partita a scacchi.
“Sto per andare a correre, Arn. Mi dispiace. Perché non vieni con me?” rispose Chuck.
“Adesso proprio non me la sento...” disse Arnold. “... Comunque, ci possiamo vedere lo stesso più tardi?”
“...In serata mi aspetta una cena con Maghy. Domani, magari.” rispose Chuck.
“Okay. Guarda che ci conto!”
“Sì, sì. Intanto allenati con il computer, a livello dieci; altrimenti ti frego come l’altra volta... eh! eh!” disse Chuck.
Arnold pigiò il sigaro e spense il proiettore.
“A braccio di ferro sono ancora il più forte, però!” disse.
“Sì, la tua potenza è grande, ma stai diventando una palla di lardo. Credo che faresti bene a venire con me, Arn. Da quando hai smesso di allenarti fai davvero schifo. Volendo, inoltre, potrei insegnarti una di quelle mie mosse speciali che ti piacciono tanto. Tipo quella che faccio nel finale di “Rombo di tuono”: il mio impareggiabile doppio calcio girato, te la ricordi?”
“ No, e nemmeno credo di averla vista quella porcheria di film. Comunque, grazie per la compagnia e i complimenti che mi rivolgi!”
“Andiamo, Arn!!... Non ti sarai mica offeso come una vecchia checca? ...Non è colpa mia se ti è venuta la pancetta e i muscoli ti pendono dalle braccia come le mammelle di una scrofa!”
“A domani, Chuck.” rispose Arnold, e chiuse la telefonata.
Poi andò al piano superiore, nello studio con l’immensa scrivania in mogano, e si mise a riesaminare alcuni carteggi che riguardavano il facilitato ingresso di Norris nel Partito.
Dietro i suoi enormi ma flosci deltoidi, stava una libreria zeppa di volumi e trofei vinti durante i vari campionati di Mister Olimpia.
Alcuni testi, in particolare il Mein Kampf di Hitler e dei manuali su come smontare e rimontare velocemente certe armi da fuoco, mostravano assai chiaramente il carattere inquieto delle sue ricerche.
C’era anche un trattato di Mengele sulle prospettive genetiche della razza ariana applicando determinati principi di selezione più o meno naturale.”
“L’ho letto soltanto per via del suo interessante contenuto storico...” aveva detto una volta ad un ospite, noto regista e produttore di cui non conosceva le origini ebraiche. “…come lei sa, mi sono sempre battuto contro il razzismo.”
“Stiamo isolando la zona, per consentire al gruppo di cacciatori l’individuazione ed eventuale cattura del sasquatch.” disse l’uomo.
Indossava un cappellino da baseball e una camicia blu a quadrettoni. Era pure grosso e barbuto, forse quanto l’oggetto di quelle ricerche.
“Sasquatch?” chiese Jack.
“Sì, l’uomo scimmia, il big foot. Un parente stretto dello Jeti himalayano...” precisò l’uomo. “...lo hanno avvistato da queste parti, poche ore fa.”
“Okay. Fantastico!...Ma io devo andare a San Diego, e in fretta. Come faccio se mi bloccate la strada?”
C’erano altre sette persone, armate di fucile, con altrettanto brutte camicie.
“Passare di qui, adesso, è pericoloso. Il bosco è pieno di cacciatori tesi e dal grilletto facile. Ti chiediamo di pazientare almeno un’ora. Se vuoi, puoi parcheggiare là...” l’uomo indicò una specie di baracca di legno. “...vicino al rifugio. Dentro c’è Tony “il pazzo”, serve dell’ottimo vino e salsicce piccanti; sono la specialità locale. Digli che ti mando io: John, e non ti farà pagare un cazzo.”
“Non credo ai mostri pelosi, sono astemio e, ripeto, ho una gran fretta...” disse Jack. Anche se in realtà le salsicce lo allettavano un poco.
“E allora rimani pure a bocca asciutta, amico...” rispose John, facendo cenno agli altri di avvicinarsi. “...Io ci ho provato ad essere gentile!”
Perché tutti gli stronzi che incontro da queste parti hanno l’abitudine di considerarmi un “amico”, se poi fanno di tutto per irritarmi? si chiese Jack, avviandosi obbedientemente allo sterrato a lato della baracca, dove lo attendevano Tony “il pazzo” e le sue salsicce.
“non aprite questa porta”, c’era scritto sulla stessa con del sangue di porco, annerito dal tempo.
Tony prometteva di prestare fede al suo soprannome; quando vi entrò e lo vide, infatti, ebbe subito l’impressione di aver a che fare con uno squilibrato.
L’uomo, oltretutto, a dispetto di ciò che lasciava supporre il suo nome, era un enorme orientale ricoperto da un vasto e sgargiante kimono verde.
“Chie minchia ci fai nella mia barrracca?” chiese, facendo roteare un coltello fra le mani.
E parlava pure con un disorientante, inappropriato e inconcepibile accento italiano.
Jack si scusò. “Veramente, la dobbiamo a John questa intrusione. E’ lui che mi ha costretto a venire qui... Stanno cercando lo jety, sa?!...”
“Sì, ‘u saccio. E magari lo pigghiauo io, sctu cazzo de gòrrrilla, che ci facissi i soldi e me ne tornassi da mammà... Che sti rincugghiuniti di montanari m’ hanno ròtto!
Iè da diesci anni che scto in stu postu dimendicato dàddio.”
Jack annui.
“Devo datti ‘u vino?” proseguì Tony.
“Preferisco le salsicce.” disse Jack.
“Sì, e poi che minchia vuoi d’alctro? Che ti veggo a leccare ‘i palli?”
“Beh!… Come preferisce.” rispose Jack.
Tony sistemò due salsicce sul tagliere e, con due colpi secchi e violenti, le divise in sei parti.
“Niente vino?!... Iè piccante, scta robba! Chie ti bevessi pé accumpagnalla? Acqua o Coga Gola?” chiese Tony.
“Coca. Grazie.”
“Ma grazie di che?!... Grazie una minchia...” disse Tony. “...Nun ciell’ ho chidda schifiezza! Cammurria!... Beviti l’acqua, fetuso!”
Jack si avvicinò al tavolo a cui stava lavorando l’uomo, e prese la caraffa.
“Mancasse puru o’ bicchiere. Beccati chisto!”
Gli lancio una brutta scodella da rancio, in parte ossidata.
“Bello il tuo completo!” disse Jack, per portare su un piano più amichevole la conversazione.
Tony strinse bene la cintura e si lisciò il tessuto sulle spalle.
“Chiddo me lo regalò un amico mio, buttaniere di Santa Babbara. Giestisse u’ locale di alcto livello. Alto livello di sticchio.”
“Magari ci passo, se mi dai l’indirizzo.” disse Jack.
Tony prese carta e penna, e glielo scrisse.
“Chiedi di un cietto Mike, e dì che ti manna Fushi Cazzamura che iè il mio vero nome. Magari grazie alla nosctra vicchia amicizia ci rimediassi puru una billa chiavata gratisse. “
Jack ridacchiò fra sé e sé , mise il biglietto in tasca e infilzò la prima salsiccia.
“Anche quella me la regalò iddo…” proseguì Tony, indicando una katana appesa alla parete.
“Bella!…” commentò Jack. “
“Così, se encrtra chilla minchia de scimmione lo facciu a fette…” disse Tony. “…Comunque, a tia che si nu pocu mingherlino e sienza scpada, voglio confidarti un ctrucco che m’insegnò mio pactre, famoso lottatore di sumo…” proseguì.
“…Se dovessi trovarti faccia a faccia co’ iddu o qualcuno chiù grosso ie pesante di te, la sctrciategia migliore pe atterrarlo iè buttarsi a peso mortu colpendogli cun entrciambe i mani aperce il peccio all’altezza dellu sterno. Poi, mentre chillu s’impegnasse a rialzarsi, scicappi.”
“Interessante…” disse Jack. “…Anch’ io ho qualcosa da confidare. A lei , naturalmente, non capita spesso di navigare in rete o guardare la tv, immagino?...” disse. “...Per cui, forse, non avrà visto quel video; quello più scaricato da Google ultimamente. Quello che riprende il “cecchino dello stadio”...”
“Nu saccio. Ma cù fu?! Chié sctai discendo?” lo interruppe Tony.
“... Un ragazzino obeso e stupido lo ha fatto col suo cellulare un paio di mesi fa: l’uomo che ha ripreso stava nascosto sotto i tralicci di sostegno dell’ultimo anello, armato di un fucile di precisione, durante la partita Indiana”Boister...”
“E allura?” chiese Tony.
“Quell’uomo credeva che tutti fossero concentrati a guardare la partita...” rispose Jack. “...e che, in seguito, quando la polizia di mezzo mondo gli sarebbe stata addosso, nessun pazzo o scemo di salsicciaro nippo italiano si sarebbe mai permesso di dargli del “fetuso”.”
Gli puntò l’automatica e con l’altra mano infilzò la seconda salsiccia.
“Orbene,...” proseguì “...Quell’uomo, adesso, ha esigenza di lasciare in fretta questo postaccio. E visto che crede di aver trovato qualcuno che, come lui, sostiene di detestarlo, ha una proposta da fare:
riusciamo a levarci da qui, magari uscendo dal retro, e addentrandoci di nascosto nella boscaglia? Alla macchina, chiaramente, posso anche rinunciare; dal momento che non è mia.”
“Iè possibbile....” rispose Tony. “...Posso anchie facci da complisce a iddo. Basta che mi puotta cu lui a Santa Babbara.”
“Beh questo, magari, lo vediamo in seguito.” rispose Jack. Poi sganciò la katana dal muro e, utilizzando il laccio della custodia che la conteneva, se la mise a tracolla posizionando il fodero sulla schiena.”
“Questa me la prendo io…” disse. “...Ora andiamocene. “
Gli puntò la pistola, facendo cenno di muoversi.
Tony si levò in fretta il kimono e mise una camicia a quadretti che stava appesa al muso di una testa di cinghiale impagliato. Stesso modello da bifolchi di quelle indossate dai ceffi col fucile. I calzoni, invece, già sotto quella specie di vestaglia, erano di un verde altrettanto pacchiano.
Jack diede un’occhiata fuori.
“Sembra tutto a posto. Da qui non possono vederci.” sussurrò.
Tony gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Vai dove sentissi scrusciare u’ rusciello...” disse. “...Lì sotto, non motto lontano, ci sta u’ sentiero che potta cdritto cdritto alla sctrada che volevi peccorrere.
“Fammi strada tu, stronzo.” disse Jack.
“Occay! Occay!...Ma che modi, miseria bottana!... Collaboro u’sctesso, anghe sinza chillù frasario.”
“Vai, “fetuso”!...” insisette Jack. “... Un attimo prima mi tratti come cacca e adesso pretendi gentilezza.”
Sentendosi calcare ancora più forte l’automatica nel secondo rotolo di adipe sul fianco, Tony tolse la mano cicciuta dalla spalla di Jack.
“Minchia, pemmaloso sei!” disse.
Gli alberi erano fitti fitti e, qua e là, alti cespugli di rovi impedivano la visuale ai montanari. I due si chinarono appena per passare dietro a quel fogliame e non farsi notare; poi, di corsa, s’inoltrarono giù per il sentiero.
Tony sbuffava e ansimava come in preda a una crisi asmatica.
“Chianu! Bottana miseria…” disse. “Tenissi ciennoventicique chili, io!”
C’erano parecchi dislivelli nel terreno, sassi e legname marcito.
Il posto ideale per le vipere.
Jack, in mezzo a tutto questo, riuscì a trovare un bel ramo dritto e sano e lo raccolse, tenendo sotto tiro Tony con l’altra mano.
“Chie ci dovessi fare con chillù?”
“Battere il sentiero.” rispose Jack. “Prima che qualcosa mi addenti le caviglie.”
“Che Ci hai paura dei seppenti o degli scoppioni?!!... Tanto qui non c’è una minc...”
Mentre diceva queste parole, qualcosa dietro di lui lo afferrò con violenza e lo trascinò dietro a un cespuglio. Jack non ebbe il tempo di vedere, tuttavia, dal modo in cui l’uomo urlava, capì perfettamente quanto poco fosse il caso di approfondire.
Lanciò il bastone alle sue spalle, ora indifferente a tutti gli altri pericoli che il bosco poteva nascondere, e si mise a correre; seguito degli spari e dalle urla dei bifolchi.
“Sguinzagliate i cani!” ordinò qualcuno, e orde di cagnacci presero ad abbaiare puntando come saette in direzione del ruscello.
Jack correva così veloce che in attimo ci fu dentro, constatando l’estrema scivolosità dei ciottoli depositati sul fondo; levigati come confetti, ma molto, molto duri. Le sue natiche ne saggiarono alcuni, e la pistola prese acqua.
“Merda!...” disse, gettandosela alle spalle. Aveva tutti i calzoni bagnati.
Un paio di cani sbucarono a poca distanza.
Si alzò, veloce; fece sei o sette metri zoppicando di gran lena, e poi cadde da un piccolo dirupo di fango e pietrisco, rotolando fino alla strada.
Una bella corsa, seguita da un altrettanto bella botta sull’asfalto; abbastanza violenta, ma non tale da ferirlo.
A fatica riuscì ad alzarsi di nuovo e incamminarsi verso una jeep che lo stava raggiungendo.
“Porcaccia…!!” gridò il bifolco che la stava guidando, vedendoselo sbucare in mezzo alla strada.
E frenò, tuttavia Jack andò volutamente a sbattere contro l’auto, lanciandosi sul cofano e strisciando sulla carrozzeria fino ad aggrapparsi alla portiera; tutto questo con movimenti così convulsi e veloci che non lasciarono il tempo al guidatore di alzare finestrino e rimettersi in moto.
“Scendi stronzo!” gridò Jack, afferrandogli brutalmente un orecchio.
L’uomo, un anziano secco secco e dai lunghi capelli rossicci, lo fissò terrorizzato per alcuni secondi e poi perse i sensi, andando a sbattere la faccia sul volante.
BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEPPPP!!!.............
Il naso gli si era accartocciato sul clacson e colava sangue.
Jack lo tirò fuori e lo adagiò a terra, vicino a un paletto stradale.
“Ti auguro di essere soccorso prima che arrivi il big foot!” disse, e gli sfilò dal taschino interno della giacca un sigaro e dei soldi.
Mentre Chuck si fotteva Maghy, con abili e snodati colpi di anca, dovuti alla sua assidua pratica del tachi chuan, Arnold beveva whisky.
Stava ancora nel suo studio, da solo, preoccupato di come gestire il tempo libero e con quali amicizie. Forse il week end questa volta lo avrebbe passato andando a caccia o a pescare per conto proprio, pensò. Oppure nel suo ranch, in compagnia dell’amatissimo purosangue Speedy.
”Vada per il buon vecchio Speedy!…” decise. “…Magari mi alleno un po’ per la partita di polo di settimana prossima.”
Intanto un uomo della sicurezza entrò nella stanza. Quello che Arnold chiamava T 1000.
“Abbiamo uno spione sulla collinetta ovest, il versante che da sul museo.” disse.
Il museo era una specie di magazzino in cui Arnold custodiva alcuni dei “giocattolini” e dei costumi indossati nei film; fra i quali spiccava una pesantissima riproduzione in vero metallo dell’armatura di robocop. L’unica pellicola nella quale, in verità, non aveva recitato; pur essendo stato scritturato per il ruolo di protagonista principale.
Motivazione del rifiuto da parte del regista di assegnarli quel ruolo, avvenuto a pochi giorni dall’inizio delle riprese, era stata proprio la visita nel suo studio; la volta in cui il Mein kampf aveva fatto bella mostra di sé.
“E’ lo stalker che assomiglia a Lou Ferrigno?” chiese Arnold.
“No. Uno nuovo, credo…” rispose T 1000. “…Vuole dare un’occhiata, signore?”
Arnold prese il binocolo e si avviò in una stanza che dava sull’ala ovest della sua proprietà.
“Non lo conosco…” disse subito a una prima occhiata. “…Da quanto tempo è lì col cannocchiale?”
“Almeno quattro ore. Vuole che vada a farci due chiacchere, signore?”
“No. Aprite il cancello. Voglio vedere cosa fa.” rispose Arnold.
“Ma se entra?” chiese T 1000.
“Se entra, me la vedo io…” Appoggiò il binocolo e ritornò nel suo studio per finire il bicchierino di whisky. “…Arriva al momento giusto.”
“Magari un pazzo criminale non è proprio quello che le occorre per vincere la noia, signore.” lo seguì T 1000.
“Non sono cazzi che ti riguardano! Anzi, avvisa gli altri uomini della sorveglianza che oggi siete liberi; da ora!”
“Bene signore.”
“Voglio vedervi uscire… Subito! Richiamerò tutti in servizio quando mi gira.”
Arnold attivò il circuito interno di telecamere in modalità ripresa cinematografica multi angolo. In modo da filmare la sua battuta di caccia con l’intruso.
“Gli faccio vedere io a quel merdoso di Chuck cos’è ancora capace di fare questa palla di lardo!… E senza controfigure.” pensò “…Si mangerà il fegato dall’invidia.”
Jack entrò.
Naturalmente gli puzzava la facilità con cui era riuscito a farlo, il fatto che il cancello fosse rimasto aperto così a lungo dopo l’uscita delle tre berline degli agenti della sicurezza.
Lo vide chiudersi lentamente alle sue spalle, mentre se ne stava nascosto dietro a una grossa palma.
“Forse Arnold stava in una di quelle auto.” pensò, e si guardò attorno nella roccaforte.
Un lungo viale portava alla magione, costeggiato da una flora esotica lussureggiante e straordinariamente variegata; quasi come nel Jurassik park. S’infilò in mezzo alla fitta fascia di alberi e piante alla sua destra e, così nascosto, procedette in direzione della casa.
Arnold, tuttavia, che aveva spiato per tutto il tempo le sue mosse, si era già preparato ad affrontarlo indossando la mimetica e imbrattandosi la faccia con della fanghiglia cosmetica. Sapeva che per attraversate quel vasto e intricatissimo tratto di vegetazione occorrevano almeno una decina di minuti; dalla porta di servizio, quindi, da cui gli agenti facevano ingresso alla rimessa con gli attrezzi da giardinaggio, saltò fuori e rotolandosi a terra raggiunse inosservato quel mini bosco antistante la sua casa.
“Porca puttana!…” sbottò.
La mossa era stata eseguita con mirabile perfezione tecnica, ma gli era costata subito un pesante acciacco al fianco.
“Forse Chuck ha ragione…” pensò. “…Devo rimettermi a fare un po’ di ginnastica.”
Poi si guardò la pancia, che il suo giubottino mimetico indossato in “predator” oramai conteneva assai a stento, comprimendola ai limiti della sopportazione biologica. E poco dopo si appoggiò ad una palma per vomitare.
““’Fanculo!…” si disse. “…Mi sa che Chuck porta sfiga. Devo smettere di pensare a tutto ciò che fa, dice o potrebbe pensare di me; tanto, poi, le varie sequenze riprese dalle telemere posso tagliarle a piacimento.”
E questa era sicuramente una di quelle, anche se nessuna inquadratura effettuata dal ricco impianto di obiettivi esterni era riuscita ad insinuarsi così in profondità fra le ombre e i rami.
“Torno indietro, valà!…” pensò, ripulendosi con delle grandi foglie di felce dal vomito schizzato sul ginocchio e la punta degli anfibi.
“…Magari mi metto l’armatura di robocop, che se mi arriva un proiettile o una cartella da quel buzzurro è migliore a proteggermi; specie agli addominali…”
La sua “preda”, dopotutto, era molto più giovane; di almeno vent’anni, aveva stimato.
Quello che Jack vide, quindi, a un certo punto fu Arnold che sbucava dal fogliame, quasi zoppicando dal dolore procuratosi allo stomaco e alla milza, per raggiungere in fretta il suo cavallo Speedy.
Una scena davvero curiosa.
La osservò con calma, godendosela nel suo stupido e inesplicabile mistero. Erano altresì ridicoli l’abbigliamento e la foga con cui Arnold aveva slegato la bestia per poi montare in sella e allontanarsi.
“Cosa diavolo ci fa nel suo giardino, e conciato in quel modo?” pensò.
Galoppava in direzione del capanno che fungeva da magazzino”museo. Meno di duecento metri di strada.
“E che ci andrà a fare là dentro?!…” si chiese ancora.
Poco dopo lo seguì, zigzagando fra le varie cose adatte a nascondersi lungo il percorso.
Fuori il cavallo sbuffava e nitriva infastidito dalla calura.
Shwarzy l’aveva legato velocemente a un tubo che faceva da conduttura idraulica esterna al piccolo edificio.
“Maledetta bestiaccia.” pensò Jack.
Gli calciò addosso della polvere e del pietrisco che aveva sotto i piedi e sbirciò dal portone semiaperto, anche se non riuscì a scorgere granchè nella penombra silenziosa. Tornò, quindi, a guardarlo.
“Cosa ne dici di questa?” gli disse, sguainando la katana.
Speedy rimase per un attimo in silenzio. Distratto dal baluginare della lama. Poi battè seccato uno zoccolo a terra e si rimise a sbuffare, sventolare la coda.
Jack aveva intenzione di decapitarlo con un solo colpo, prima che Shwarzy potesse rifarsi vivo.
Si guardò attorno, preoccupato anche dal possibile rientro degli uomini della sicurezza.
“Fallo! Cazzo!! Dai!!!” gli gridava un’ immagine di Stan che aveva nella testa. Se lo immaginava legato a una sedia con spesse cinghie di cuoio mentre gli praticavano l’iniezione, il viso contorto da una smorfia ferina, gli occhi sbarrati e gonfi come se stessero per esplodere.
“FALLO!!!”
Pensò anche a Reeve.
Superman, però, gli faceva di no col ditino.
“FAAALLO!!!” insistette Stan.
Jack appoggiò un attimo la lama sulla criniera di Speedy, sfiorandola per prendere la mira, poi alzò l’arma con entrambe le mani.
In quel lasso s’immaginò anche Marion, coperta soltanto da quella stupida maschera di peluche, mentre ballava frenetica agitando chiappe e seno.
“FAAAAALLO!!!”
Fece la sua comparsa pure il pony che lo aveva sbalzato oltre lo steccato.
“FAAAAAAALLO!!!”
Ma non ce ne fu il tempo; Shwarzy scardinò con una pedata il portone, che comunque era già aperto, facendo la sua plateale uscita nelle vesti di Robocop.
Zzsssssuuu! Zsuuu! I pistoncini che seguivano le pieghe dei legamenti facevano suonare l’armatura.
Zsuuum! Zsuuumm!Zsuummm! Zsuuum! Zsuuumm!Zsuummm!
Shwarzy si portò al centro della scena sollevando un casino di polvere, dal momento che l’armatura pesava tantissimo; tanto da costringerlo a strisciare i piedi.
Il centro della scena, comunque, era il vialetto che dava accesso al magazzino; la parte ripresa con l’angolazione migliore dalle telecamere esterne.
“Vivo o morto tu verrai con me!” disse.
La voce era amplificata e distorta con un tono metallico dal microfono montato nell’elmetto.
Jack lo fissò incredulo, mentre gli puntava l’indice dei suoi guantoni corazzati. Shwarzy tremolava dallo sforzo utile a sostenere il braccio, così
lasciò cascare pesantamente l’arto, esausto, e si picchiò il petto con l’altra mano.
Tuck! Tuck!
“Guarda qui! E ‘ titanio rinforzato. Me la sono fatta fare su misura, mica come quel plasticone che indossa sul set la mezza sega di Peter Weller. Quindi, la katana puoi anche gettarla; mi fa un cazzo!”
Jack obbedì, un po’ inebetito dallo stupore.
“Anche i proiettili sono inutili; qualora dovessi avere una pistola.” proseguì Arnold.
“ Nessuna pistola!” rispose Jack.
“Prova a tirarmi qualche pugno, allora. Fammi vedere cosa sai fare!..” ordinò Arnold. “…Voglio vedere le nocche fracassarsi su di me. Le tue sozze mani si devono sbriciolare, ridursi una poltiglia… E continuerai a colpirmi finchè non ti rimarranno soltanto due moncherini sanguinanti.”
Da un piccolo portello situato sulla sua spalla destra, con un altro piccolo e veloce “Ptzsuuum” di meccanismi in moto, uscì un cannoncino mitragliatore.
“Lo devi fare ADESSO!” disse Shwarzy, vedendo Jack un po’indisposto ad accogliere la sua richiesta.
“Cosa mi aveva spiegato Fushi Cazzamura?!…” ripensò “…Se dovessi trovarti faccia a faccia co’qualcuno chiù grosso ie pesante di te, la sctrciategia migliore pe atterrarlo iè buttarsi a peso mortu colpendogli cun entrciambe i mani aperce il peccio all’altezza dellu sterno.”
E così fece.
Arnold si mise le mani sui fianchi e aspettò sadicamente di ricevere il primo pugno.
“Colpiscimi qui!” disse, indicando l’addome.
Jack, invece, lo spinse con tutto il suo peso; sbilanciandolo abbastanza da farlo cascare all’indietro.
Lo vide inclinarsi lentamente, dritto e rigido come un monolite.
TUUUMPF!!
Una botta terribile.
Andò giù senza poter muovere un flaccido muscolo.
Della polvere si alzò pure abbondante, circondandone con sarcasmo la robotica silhouette.
“‘Fanculo!” disse Arnold, sforzandosi di far leva sui gomiti per tornare in posizione eretta.
Il cannoncino si mise in automatico a sparare all’impazzata verso le nuvole, fino all’ultimo colpo.
Jack ghignò.
“Io ne avrei messo uno orientabile…” disse. “…Almeno avresti potuto colpirmi anche da terra.”
Poi, realizzando che Arnold imprigionato in quella zavorra di titanio super rinforzato non sarebbe mai riuscito a rialzarsi, si tirò giù la patta.
Prese anche una sigaretta, l’accese con calma e se la infilò in bocca.
“Questo è per Stan.” disse, prima di dare il via alla minzione su quell’unica parte di Robocop, proprio sotto la visiera, non coperta dal metallo.
“Beh , mio caro governatore…, con questo caldo, magari, avresti preferito una birra fresca…” disse.
“…Ma che ci vuoi fare?! E’ tutto quello che ho da offrirti. La birra comunque non manca, anche se è mischiata ad altro.”
Swarzy annaspava e gorgogliava elaborate bestemmie.
“Mi manca ancora qualcosa, però.” disse poi Jack con compassata arroganza. E raccolse la katana.
Speedy li stava osservando.
“Qualche bistecca del tuo amico equino e magari torni in forma!…Che ne dici?” chiese.
Intanto faceva roteare la spada scimmiottando alcune arti marziali.
Nessuna reazione da parte di Robocop, a parte convulse, inutili scariche di movimento da tartaruga rovesciata.
“Allora, buffone?” insistette Jack.
Shwarzy sputò le ultime goccie di “birra” rimastegli in bocca e nelle narici. Oltretutto stava lessando nel suo stesso sudore, scafandrato in quel modo, e la calura cominciava a rendere l’esperienza un po’ troppo appiccicosa e puzzolente.
“No. Il cavallo no.” implorò.
“Okay!”
Jack rimise a posto la katana.
“…L’hai graziato!” disse.
E in tutta calma si avviò all’uscita.
Era convinto di aver fatto abbastanza, tuttavia, proprio mentre stava oltrepassando il cancello, un fuoristrada coi vetri oscurati lo raggiunse e si fermò accanto a lui.
Dentro c’era un biondo e barbuto cowboy che, pensando di aver a che fare con uno della sicurezza, abbassò il finestrino ( facendo purtroppo uscire in tutta la sua potenza il volume di quella porcheria country che stava ascoltando) e chiese:
“Fra una corsetta e l’altra ho trovato il tempo per fare un’improvvisata a quella vecchia checca del tuo capo, visto che ha avuto il coraggio di sfidarmi di nuovo a scacchi. E’ in casa?”
E Jack annuì, indicandogli con un sorriso il lungo viale interno che portava alla magione.
Il killer di cavalli (2005) vignette tratte dal fumetto originale
Mauro Banfi ha commentato:
20/9/2014
È l'aggettivo giusto per il killer equino!
Per me sei un grande regista potenziale di exploitation, e questa è grande exploitation noir metapop!
Formidabile tutta la galleria dell'estetica metapop: Schwarzy nazista, Norris, Sasquatch, la ragazza Porn Pop e chi più ne ha più ne metta e Robocop il capo di tutti cloni metapop. Questa è l'arte della nostra epoca massificata, venduta, facile, seriale, ingegnosa, sexy, suggestiva, commerciale, escortiana.
Formidabile l'ironia lucida feroce, la chiave di tutto il suffisso meta-pop.
Formidabili i dialoghi piani-sequenza alla Quentin. Nei dialoghi dai il meglio (come già ti ho detto non mi convincono solo i tre punti alla Céline, meglio un bel trattino lungo stile Mursia-Sandokan, i baby-boomers italiani (gli -anta come me) te ne saranno riconoscenti.
Ora nell'exploitation il ritmo è dato dai dialoghi-piani sequenza e dalle fasi descrittive, quando la macchina stacca dall'azione e dai personaggi per spiegare le fasi d'intreccio della storia.
Ecco qua ti dilunghi un pò secondo me, devi essere più sintetico e inventivo.
Non so, del tipo far raccontare al parabrezza della macchina di Jack come il nostro tipo giunge da Arnold SS a fargli il culo.
Hai presente la prospettiva del corpo a terra o il "trunk shot" l'inquadratura dal bagagliaio di Quentin? Serve per sintetizzare e rendere immaginative le parti descrittive e narrative dell'intreccio.
Ovvio: se usassi il medium del fumetto risolveresti il tutto graficamente, come la tua grande tecnica del mix fumetto/foto reale.
Un colpo di biliardo e il lettore capisce il nesso della trama senza troppo lungaggini.
Comunque gran bel lavoro.
Abbi gioia
Yohv ha risposto:
20/9/2014
Hai letto Mosko?! Eheh!... Sono felice di averti regalato qualche risata. Poi, è vero, la tua disciplina formale è incontestabile e io dovrò togliermi l'abitudine dei puntini per sospendere e riaprire i dialoghi (ma è perché sono un po' come Loki; demenzialmente duro a rispettare le regole, sai?).
Quando riuscirò a far di un parabrezza voce narrante, comunque, allora sì, Tarantino mi farà davvero una pippa! Ehehehehehehehehehe!!!!
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