venerdì 25 ottobre 2013

L'idea rubata





Gentile Signor Valentini,
Non possiamo riceverla in Redazione. Il suo progetto editoriale è senz’altro accattivante, ma manca di parecchie, utili informazioni. Inoltre si discosta enormemente dal format delle nostre pubblicazioni.
Le consigliamo tuttavia di provare a rivolgersi al signor Ovidio Gabba, direttore della nostra divisione periodici.
ovigab@gossippress.it
                                                                                                                                Cordiali saluti


Egregio Signor Gabba,
 ho parlato al telefono con un paio di persone, lì, alla Gossip Press, e inviato una e-mail (quella in allegato); per arrivare, infine, a ottenere la sua.
Mi hanno suggerito, inoltre, dacché fissare un appuntamento sembra alquanto improbabile, di spiegarle per sommi capi cosa ho in mente. Bene, lo farò con una certa riluttanza e omissione delle informazioni più gustose, riutilizzando proprio quelle già inviate ai suoi collaboratori, sperando d’indurla a desiderare una conversazione meno impersonale.
e-mail originale:
Spettabile Redazione,
Ho un’idea da proporVi. Si tratta di una rivista: “WORK IN PROGRESS”; pensata come un circolo di scrittori dilettanti, in cui vengono pubblicate opere di genere fantastico, che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di svilupparsi e migliorare.
La filosofia dei suoi redattori sarà perciò quella di premiare l’originalità e il talento narrativo, prima della forma e di quei tocchi di classe che distinguono lo scrittore affermato.
Al termine di ogni racconto verranno poi aggiunte le critiche dei “giudici” (personaggi umoristici di mia invenzione) e i consigli utili a perfezionare lo stile.
Naturalmente, si preferiranno sempre opere di un discreto livello; oppure quelle che, pur essendo abbastanza originali e avvincenti, mostrano gli errori più grossolani da evitare e offrono lo spunto per presentare un certo argomento didattico.
Ogni numero potrà contenere due o tre racconti al massimo, con relative illustrazioni, critiche e interventi dei lettori.
W.I.P è rivolta soprattutto agli amanti della narrativa di genere horror, fantasy e fantascientifico, e a tutti quegli artisti che non hanno mai avuto la fortuna e il coraggio di esporsi al giudizio del grande pubblico.   Se desiderate avere altre informazioni a riguardo...................................(segue mio recapito)
                                                         distinti saluti
                                                        Luigi Valentini






Arrivò puntuale all’appuntamento, con una valigetta piena di dattiloscritti e una faccia da fesso resa tale dalla timidezza.
Il signor Gabba, capo della divisione periodici, lo fece accomodare nel suo disordinato ufficio, pronto a smembrare ogni argomentazione relativa al progetto; aveva parlato con almeno due dozzine di aspiranti scrittori della stessa giovane età, e provato piacere a mortificarli con la sua esperienza.
-Quello che lei ha sottoposto alla nostra attenzione è interessante, ma terribilmente difficile da inquadrare in un prospetto incoraggiante di vendite...- incominciò Gabba, per metterelo subito alla prova.
Non tollerava le persone prive di carattere e incapaci di sostenere con intelligenza le proprie idee, soprattutto nel mondo spietato dell’editoria.
Luigi lo guardò perplesso. L’argomento era ormai divenuto familiare, e aveva paura di ripetere per l’ennesima volta lo stesso copione.
-Capisco... La percentuale dei lettori di narrativa è molto bassa in Italia, men che meno quella degli appassionati di racconti dell’orrore, ma in questa pubblicazione che io propongo di realizzare è il lettore stesso a ovviare in modo creativo a questa mancanza...-
-Mi perdoni se la interrompo.- disse Gabba, - Lei, nelle poche informazioni che ci ha inviato attraverso l’e-mail di presentazione, propone una rivista formata dai racconti dei lettori; qualcosa di molto simile ai pulp degli anni ’50. A questo punto, dobbiamo chiederci a che tipo di pubblico potrebbe rivolgersi, e costatiamo che i suoi fruitori potrebbero essere solo quelli che la scrivono, i pochi appassionati di letteratura horror, e gli eventuali parenti dei pubblicati. Possiamo escludere, altresì, l’interesse del pubblico femminile per questo genere di cose. Comprende la mia perplessità?-
Luigi tirò fuori un paio di tavole disegnate a china. -Non dobbiamo sottovalutare la componente narcisistica della cosa, però...- disse. -...tanti desiderano vedere pubblicati i propri racconti, e non è detto che tutti siano dei buoni lettori di questo genere letterario o dei buoni lettori in generale.-
Gabba sistemò la cravatta e sfiorò i folti capelli grigi, fingendo nervosamente di pettinarli col palmo della mano. -E questi chi sarebbero?- chiese, indicando i macabri personaggi disegnati sulle tavole.
-Questi sono i “giudici”: Doc Morteghin, Jonny Bara e Fiammello. Suggeriscono agli aspiranti autori un metodo per migliorare le loro storie. Ognuno di loro ha il suo stile, un modo particolare di valutare gli scritti. Doc Morteghin, ad esempio, è più severo nei confronti della grammatica; Jonny Bara preferisce soffermarsi sull’idea e l’originalità delle trame...-
- D’accordo!- lo interruppe Gabba. -Il concept della sua rivista è chiaro, simpatico e originale; lei vuole mettere un commento fumettistico alla fine di ogni storia. Tutta questa qualità, però, sotto certi aspetti è irrilevante. Mi rincresce dirlo, ma è così. Guardi quella copertina, ad esempio...- Indicò una delle numerose testate appese sulla parete. -Quella mi arriva a ventiseimila copie...-
-Interessante! E’ un mensile per ragazzi?- chiese Luigi.
-Già! Pieno di pettegolezzi sulle star televisive del momento, e di ridicoli consigli sul come migliorare il proprio look per fare colpo sugli altri. Un concentrato di banalità, sconcertante quanto il suo successo di vendite.-
-Bèh!...Non ho in mente di proporre qualcosa di altamente culturale; in fondo si tratta di un pulp magazine, come lei stesso diceva poc’anzi.- rispose Luigi, cercando rispettosamente di ricordarglielo.
-Eppure, risulta già troppo ostico per il nostro pubblico... col suo mostriciattolo che disquisisce di tecniche narrative, magari tirando fuori i libri di grammatica dalla sua polverosa cripta! Eh! eh! eh! eh!- ghignò il signor Gabba. Aveva già deciso, ed in modo molto eloquente, che non era il caso di proseguire.
-Mi sta consigliando di rivolgermi altrove, immagino.-
-Fervida e acuta immaginazione la sua; signor...signor Vela...-
-Valentini.- disse Luigi, rimettendo a posto le sue tavole.
-Aspetti per cortesia! Potrei farne una copia di quel Doc Morteghin? E’ davvero un personaggio simpatico e mi piacerebbe mostrarlo a mio figlio, quando torno a casa.- disse Gabba, e Valentini con ingenua e stupida bontà lo accontentò.
In tutto aveva passato solo quindici minuti in quella casa editrice, il record più basso, e ogni volta si chiedeva cosa diavolo lo ricevessero a fare.
Pensò che stava diventando frustrante dover assumere ogni volta un atteggiamento forte, quasi aggressivo, per mostrare la propria determinazione; non era nella sua indole. Quei colloqui lo ponevano sempre di fronte a individui preparati, che scandagliavano con severo cipiglio ogni sfumatura del suo linguaggio. Del resto, uno che si proponeva come scrittore non poteva mostrare lacune; almeno nel modo di formulare un discorso.
E lui lo sapeva. Quello era un esame, la cui importanza andava ben oltre quella della sua straordinaria creatività e dote artistica.


Qualche mese dopo un amico, anch’egli appassionato di letteratura fantastica, gli mostrò un acquisto fatto in edicola.
Era una pubblicazione realizzata con i racconti di scrittori non professionisti...e sulla copertina c’era il suo Doc Morteghin. Gli avevano tolto solo qualche dettaglio, per renderlo meno stomachevole.
-Gossip Press! Ma non è la stessa casa a cui hai parlato del tuo progetto?- chiese Tito.
Luigi barcollò per un istante, con il cuore bloccato da una ventata gelida di odio. -No!...Non è possibile...- disse, e si appoggiò alla parete dell’aula universitaria ormai quasi vuota; la lezione di filosofia della storia era appena finita e solo alcuni studenti erano rimasti a chiaccherare e scambiarsi appunti.
-Ti senti bene Lù?- chiese Tito.
-Mi siedo un attimo, scusa. La tua notizia mi ha colpito come una pugnalata.- rispose Luigi, e si mise a sfogliare con calma il giornalino.
In effetti, corrispondeva in tutto e per tutto al suo progetto.


-C’è un tale molto arrabbiato che vuole parlare con lei al telefono, signor Gabba.- disse Linda. Lo disse senz’alcuna partecipazione emotiva, poiché le era capitato altre volte di farlo e sapeva che queste notizie meritavano un tono distaccato, tale da non preoccupare il suo direttore.
-Il signor Velavicini, per caso?- chiese Gabba.
-Valentini...se ho ben capito.- rispose l’impiegata, e aggiunse: -Se vuole affrontare in un altro momento il problema, posso dire che lei è partito stamane per un meeting in Giappone.-
-No, passamelo pure.- rispose, lisciandosi i capelli con entrambe le mani;
La sua criniera brizzolata gli dava grinta.
-Buona sera, signor Valentini...- disse a voce alta, impugnando vigorosamente la cornetta e appoggiando i piedi sulla scrivania.
-Forse lo sarà per lei. Mi sono accorto della vostra nuova pubblicazione: “scrivi anche tu”, e non l’ho trovata una cosa onesta nei miei confronti.-
-Invii qualcuna delle sue storielle alla redazione... Provvederemo a pubblicargliele sul prossimo numero.- rispose Gabba, sorridendo.
-Finge di non capire il mio sdegno? Quella rivista l’ho ideata io. Avete addirittura messo in copertina il personaggio del mio disegno, quello che voleva mostrare a suo figlio. Ricorda questo, vero?- chiese infuriato Luigi.
-Certo. Abbiamo ritenuto opportuno non coinvolgerla nel progetto, considerate le ingenti somme investite per realizzarlo. Somme che magari, per lei, avrebbero costituito un pesante onere economico... Ma se sbaglio, e crede di poter contribuire anche sotto questo aspetto, siamo prontissimi ad assumerla; signor:..., signor Vanzoli...-
-Valentini!- gridò Luigi.
-Mi perdoni! In quanto alla sua idea, nessuno ha copiato niente, qui. Ci siamo semplicemente ispirati. Noterà, inoltre, che la nostra illustrazione di copertina differisce in molti particolari dal suo disegno.-
Gabba intanto si accese una sigaretta.
-Proverò che si tratta di un plagio, glielo assicuro!- rispose con decisione Luigi.
-Come desidera... Anche se credo che non ci sia alcun modo di farlo. Dovrebbe dimostrare che è stato il primo a pensarci, a ideare questo tipo di pubblicazione.-
Gabba era tranquillo. Sapeva di non correre alcun rischio, perché aveva previsto tutto nei minimi dettagli; ogni obiezione e controattacco.
-A presto signor Ga...Gaz..Gazza?!- chiese Luigi, e riappese.


Occorreva un testimone, una prova; ma più ci pensava, più si rendeva conto che non sarebbero bastati.
Forse era accaduto altre volte, e lui non se ne era mai accorto: aveva mostrato i suoi lavori ad altre case editrici, e qualcun’altro si era servito della sua farina. Era un rischio che aveva sempre considerato, dopotutto, e che non c’era modo di evitare. Altrimenti, avrebbe dovuto spendere una fortuna per registrare ogni sua idea o scritto, prima di esporli ad una valutazione.
Si chiuse nello scantinato-laboratorio, sotto l’abitazione dei genitori e continuò a rifletterci. Lì coltivava l’ hobby della scrittura e disegnava. C’era un enorme tavolo, un tecnigrafo, del materiale plastico e resine che suo padre utilizzava per creare gl’involucri di alcuni strumenti elettronici.
Guardò il ripiano delle gomme siliconiche e delle bottiglie di lattice.
Qualche mese prima aveva visto suo padre utilizzare quei materiali, per rivestire un pupazzo elettronico commissionato da una grande casa produttrice di giochi per ragazzi. Si trattava di un prototipo di gnomo parlante, che poi non aveva superato i test di sicurezza previsti dalle norme CEE. Ricordò che il vecchio si era dovuto rivolgere a uno scultore per realizzare lo stampo di quella creatura, mentre, per la miscelazione dei liquidi necessari ad ottenere il calco si era arrangiato da solo, e non era stato difficile.
 Il suo piano, però, richiedeva un talento maggiore.
Rovistò in alcune scatole finché non l’ebbe trovato. Era un pezzo di plastica, floscio come le maschere di carnevale. Giocherellò con quella cosa elastica, tirandola e appallottolandola nervosamente, animandola con le dita, pensando, sforzandosi di trovare un modo per punire Gabba.
Poi fissò con attenzione il piccolo viso di gomma dello gnomo; dietro c’erano dei forellini e degl’incastri utili all’inserimento dei meccanismi progettati da suo padre. Al cinema, quei trucchi per ottenere il movimento, venivano ottenuti applicando alcune porzioni di quella gomma direttamente sulla faccia degli attori; c’erano colle idrosolubili, non irritanti per la pelle, che permettevano di farlo. Gli vennero in mente i film più cruenti visti al cinema e s’immaginò una versione un po’meno umoristica del suo Doc Morteghin, mentre una rabbia diabolica piano piano s’impadroniva di lui; non aveva mai provato degl’impulsi omicida così intensi.
Gabba, invece, era sereno e soddisfatto del suo lavoro.
 Si trovava in un bar nei pressi dell’ufficio. Sorseggiò un martini e poi si mise a ridere tra sé e sé, ripensando alla conversazione avuta con Luigi.
-Che ti prende Ovidio?- gli chiese il collega, caporedattore di alcune sue testate, fra cui: “scrivi anche tu”.
-Niente... Pensavo a tutte quelle volte in cui ho dovuto inventarmi qualcosa di nuovo per risollevare il bilancio, alla pigrizia dei miei collaboratori...-
-Già! Però di questi tempi non possiamo lamentarci, tiriamo bene; anche se hai voluto realizzare un’altra rivista.- disse Alfonso.
-E’importante proporre sempre qualcosa di nuovo, prima che lo facciano gli altri. Le nostre testate vanno a gonfie vele, ma per i giovani mancava qualcosa e non ho saputo resistere alla tentazione di rischiare con questo nuovo prodotto.-
-Non ti sto affatto criticando, beninteso...- disse Alfonso, vedendolo lisciarsi nervosamente i capelli. -...le vendite sono in leggero rialzo e credo che presto con la pubblicità aumenteranno. Mi chiedo, piuttosto, come fai ad essere sempre così creativo. Come ci sei arrivato a “scrivi anche tu”?-
Gabba si guardò allo specchio che stava dietro al bancone e trovò la sua immagine affascinante. Soprattutto i capelli, folti e deliziosamente ondulati, sembravano scolpiti nell’argento. Quanti leccaculo, poi, contribuivano ad aumentare la sua autostima. Sembrava che tutti avessero timore di scontrarsi con la sua esperienza, il suo vigore intellettuale.
-Ho pensato a tutte quelle volte che da ragazzo desideravo vedere pubblicati i miei articoli... e non c’era nessuno disposto ad accontentarmi...- rispose Gabba, ghignando sadicamente nel profondo della sua anima. -...e mi son detto: perché non consentire anche ai meno esperti di provare questa soddisfazione?-
-Geniale! Geniale, davvero!- lo incalzò Alfonso e, contemporaneamente al suo superiore, bevve l’ultimo sorso di martini, lasciandogli le ultime due olive rimaste.


Lo scultore aveva fatto un bel lavoro. C’era voluto parecchio per trovare il suo numero nelle agende del padre, ma alla fine Luigi era riuscito a contattarlo, senza farsi notare. Era fondamentale che nessuno sapesse quello che aveva in serbo per Gabba, e che nessuno vedesse quell’orribile costume...: Aveva speso uno cifra vergognosa per ottenerlo, che gli avrebbe consentito di coprire almeno tre rate universitarie, senza contare che pure il suo scopo andava ben oltre la scala dei comportamenti approvati dalla sua famiglia. Lo provò, tremando dall’emozione; stava dando vita ad uno dei suoi personaggi. Sembrava una seconda pelle, sottile, morbida, perfettamente aderente ai suoi lineamenti. La maschera era così lunga ed elaborata da arrivare a coprire anche una parte del busto; mentre i guanti, sui quali erano riprodotti con sorprendente realismo tagli ed escoriazioni, arrivavano fino ai gomiti. Imbrattò di tempera rossa e verde alcuni vecchi abiti, e li strappò in alcuni punti, sfilacciandoli, bruciacchiandoli, facendo di tutto per farli sembrare quelli di un cadavere sanguinario e putrescente. Anche quella era arte, pensò, dipendeva dai punti di vista; anche se quello del signor Gabba, ne era certo, di lì a poche ore, forse non sarebbe stato il migliore.
Guardandosi allo specchio, con la testa interamente ricoperta dalla maschera, ripensò alle occasioni in cui aveva spesso sentito giudicare i suoi racconti e i suoi disegni troppo macabri, il frutto di una mente contorta. Era un luogo comune, sciocco, aveva sempre creduto, come pensare che Hitchcok e Agata Christie fossero degli psicopatici; ma ora che questo male stava uscendo dalla mera rappresentazione cartacea e artistica, per diventare qualcosa di molto più concreto, dovette ricredersi. Il suo comportamento aderiva follemente a questa tesi; la confermava.
Scoprì che in lui c’era effettivamente qualcosa che non andava; per far valere i suoi diritti esistevano tanti altri modi, meno allarmanti di quel costume da zombi e di quel coltello seghettato che aveva intenzione di prendere dalla cucina.


Gabba uscì dal suo ufficio alle sedici e trenta, ignaro del fatto che qualcuno spiasse, pazientemente il parcheggio della Gossip press da almeno una settimana; appostandosi là sotto in varie ore del giorno.
Mise in moto la sua berlina di lusso e dopo aver inserito il vivavoce chiamò la moglie.
-Andiamo a goderci il nostro weekend, cara! E’ pronto il mio completo da sci?-
-Se la domestica ha fatto bene il suo lavoro, nella tua valigia c’è tutto.- rispose seccata Katia, valutando se aveva steso con la solita, incredibile precisione lo smalto sulle unghie.
-C’è qualcosa che non va, cara?-
-Il ritardo!... Stamane hai detto che avresti smesso prima, affidando le ultime due ore al tuo galoppino di fiducia.-
-Imprevisti, cara. Appena arriviamo a Saint Moritz ti faccio un regalo, di quelli mozzafiato, che ti farà dimenticare presto questa mancanza.- disse Ovidio.
-Ottimo! Basta che la finisci con quel “cara”.-
-Suona un po’ mellifluo, daccordo. Eh! eh! Non me ne fai passare una.- Brutta bastarda di una sanguisuga, pensò.
Valentini intanto lo seguiva. Non aveva un piano preciso, anzi, benché avesse il suo costume nel bagagliaio, cominciava a sentirsi un po’ confuso.
Dove e quando lo avrebbe indossato? E perchè?
Pensava e ripensava a come mettere in scena quella mascherata; all’intonazione che avrebbe dovuto dare alla sua voce per ottenere l’effetto più ironico e maligno; a come muoversi e recitare la parte; alle conseguenze.
Tutto questo finché Gabba s’infilò in una vietta privata con l’accesso bloccato da una sbarra automatica e sparì alla sua vista.
Non gli restava che scendere dall’auto, quindi, e individuarne l’abitazione. Tuttavia nel lasso di tempo che impiegò per trovare parcheggio, indossare una barba finta, uno scuro paio di lenti a goccia, e incamminarsi verso il passaggio, lo vide uscire a bordo di un’auto più grossa e carica di bagagli.
Era assieme alla sua famiglia, pronto a godersi l’immeritata vacanza.
-Valeva la pena continuare a seguirlo?- si chiese, riattaccando bene un pezzo della barba. La sua pazzia ormai era arrivata a livelli tali da non essere più controllabile, anche se la sua coscienza continuava a subissarlo di domande.


Una elegante tavolata di sette persone, cenava nel salone della famiglia Gabba.
Le due coppie invitate, erano amici di katia; lavoravano nel suo megastore di abbigliamento.
-Allora vi piace la mia villa di montagna?- chiese la donna, prima d’infilarsi un boccone.
Ovidio intanto si alzò per riattizzare il fuoco del gigantesco camino. Non gli andava di sorbirsi quella conversazione, non era gente del suo rango, e non aveva gradito per niente quell’imprevista intrusione nella sua vacanza.
-E’ splendida, direi.- rispose Alfredo, uno dei ragazzi, parecchio effeminato.
Ovidio si voltò a guardarlo con disprezzo, mentre sistemava altra legna sulla brace. Pensava che gli omosessuali, in quanto vicini alla sensibilità femminile, fossero anche inclini alla menzogna.
-Io la trovo molto intima, poi, con quei fiocchi di neve che intravedo dalle tendine, mi sembra di stare in un sogno.- intervenne la ragazza che gli stava accanto. I due si tenevano per mano e scambiavano tenerezze.
-Dev’essere una lesbica...- pensò Ovidio, con divertito cinismo. -...Le tendine, i fiocchi di neve... Ma vaffanculo!-
L’altra coppia si limitava a mangiare, annuendo di tanto in tanto e sorridendo al ragazzino dei Gabba.
-Ecco: almeno ‘sti due stronzi stanno zitti.- pensò Ovidio.
-Stavamo per tornare a casa, ci hai avvisato appena in tempo del tuo arrivo!- disse Alfredo, appoggiando dolcemente una mano sulla spalla di katia.
-Perchè non vi fermate da noi questa notte? Sopra abbiamo due stanze libere.- disse la donna.
Ovidio si pettinò nervosamente con le mani.
-In qualità di autista del gruppo, accolgo l’invito. Nevica, dopotutto, e non mi sento sicuro alla guida.- rispose l’altro ragazzo. La sua compagna annuì. Non facevano complimenti, Ovidio gli aveva visti spazzare con voracità il tavolo e ora s’immaginava che volessero star seduti tutta la notte a chiaccherare o giocare a carte.
-Splendido!...- commentò Alfredo, abbaracciando la sua amica “lesbica” e ringraziando katia con un bacio sulla guancia. -...Dopo il dolce, allora, ci facciamo una bella partita a scala. Se non avete le carte, le abbiamo portate noi.- proseguì. -Stanno nel bagagliaio. Vero Ornella?-
-Si, ma non fatemi uscire a prenderle, con tutto quel freddo e quella neve! Chi possiede una casa in montagna ci tiene pure un mazzo di carte, immagino! ah! ah!- rispose la ragazza, con uno sguardo interrogativo rivolto a Ovidio e Katia
-Bèh! Anche in una casa al mare ci stanno bene... Mio cugino ha una casa al mare, per esempio, e lì non mancano le carte... Anche se ha solo dei mazzi da poker.- intervenne l’autista del gruppo.
Ovidio li guardò tutti, nauseato. -Diavolo! Chi se ne fotte di suo cugino?! Ma che cazzo di gente mi ha portato in casa, mia moglie? Sembrano dei dementi.- pensò. Poi si alzò nuovamente, con la scusa di uscire a prendere altra legna. Stava ammonticchiata in un piccolo rialzo, fuori dalla cucina.
Senti la sferzata di aria gelida colpirlo in faccia. Mise in fretta i guanti e si apprestò a riempire il cesto. Nessuno di quei fottuti si era offerto di uscire con lui ad aiutarlo, pensò, proprio dei cafoni.
Mentre borbottava insulti tra sé e sé, stando rannicchiato a raccogliere i tronchetti da terra, ricevette un fortissimo calcio al fegato, che lo fece rotolare dal rialzo e cadere sopra un vasto prato in pendenza, situato due metri sotto la casa. Vide il suo aggressore saltare giù e raggiungerlo con rapidità spaventosa. Tentò di urlare, ma non ne ebbe il tempo, poiché Doc Morteghin lo aveva già afferrato alla gola e colpito in bocca con un bel pugno. Sentiva il calore del sangue colargli sul mento. Passò la lingua sulla gengiva, e con molta lucidità fece una rapida stima dei danni: i due incisivi erano andati; pure il setto nasale aveva subito seri danni; qualche costola sembrava incrinata e la schiena durante la caduta aveva urtato contro qualcosa di piuttosto duro e appuntito.
-Zitto! Zitto!- ordinò Morteghin; la voce rauca al punto giusto e qualche goccia di sangue vero che si era appena aggiunta al costume lo rendevano molto credibile.
Gabba fece cenno di aver capito; era terrorizzato.
 Ora aveva il tempo di osservare con più attenzione il suo aggressore. -Lascia stare la mia famiglia, ti prego.- disse, gorgogliando, con un filo di voce. Sentiva dolore in tutto il corpo, ma possedeva ancora la speranza di trovarsi in un incubo.
-Prega chi di dovere, stronzo! Perché mi hai pubblicato senza il consenso e la collaborazione del mio creatore?- chiese Morteghin, alzandosi ed estraendo il coltello seghettato.


Ovidio rovesciò il capo all’indietro, affossando la testa nella poca neve che si era depositata. -Non far del male alla mia famiglia.- disse ancora.
Il mostro si ergeva scuro e incappucciato, sopra di lui, come le classiche rappresentazioni della morte.
-No. A loro non farò niente.- disse Morteghin, e si lasciò cadere a terra, affondando con entrambe le mani il coltello nel torace di Gabba.
Era una lezione un po’ scontata, proprio da creepy degli anni cinquanta, pensò Luigi. Le sue storie non avevano mai dei finali così inutilmente violenti e banali; però si stava divertendo.
Balenò anche a lui l’idea che si potesse trattare di un sogno, quindi si voltò a guardare la casa; qualcuno al suo interno parlava a voce alta e rideva di gusto. Un’allegra combriccola: anche quello era un cliché dei film dell’orrore, pensò. Generalmente finivano in un massacro quel tipo di storie.
 C’era ancora spazio per l’immaginazione, comunque, e quella era la sua storia; le idee poi non mancavano sul come portarla avanti… e nessuno gliele avrebbe rubate...
Lentamente si avvicinò all’entrata.




“L’idea rubata” (2004)   Racconto di Fabio Cavagliano 

1 commento:

  1. Violenza e ironia: queste sono le cifre stilistico-contenutistiche delle storie tipicamente grifabesche, e qui ne distribuisci in grandi dosi, con efficacia.
    Odioso il personaggio di Gabba, tanto che per il lettore è quasi una liberazione giungere allo scioglimento, quasi catartico, date le angherie subite da un protagonista che poi, alla fine, va oltre una vendetta narrativamente comprensibile; Valentini finisce per diventare il mostro creato da una società arrogante, arrivista, egocentrata - e, in ultima analisi, vittima di sé stessa.
    Canta qualcuno: "I'm your shit - you should be ashamed of what you have eaten..."

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