Alla tv trasmettevano un b-movie dell’orrore, di quelli tutto sangue e ragazze pom pon pronte al macello; lui si era addormentato però, anche se lo spettacolo non avrebbe consentito di rilassarsi neppure a una mummia. La giornata era stata densa di avvenimenti stressanti e, in ogni caso, dopo i suoi pasti abbondanti ciò accadeva in fretta; questa volta si trattava di un grosso fagiano cacciato da suo padre, il signor Amelio Dandige.
Al contrario di molti, Giuseppe non disprezzava la caccia e nemmeno suo padre, ma il fatto che in tutte le sue gustose prede ci fossero anche un discreto numero di piombini da digerire.
Il sonno, quindi, si era fatto pesante.
Intorno alle 23 e 45 Fabiano Tovedra riaccompagnò la sua ragazza davanti al portone di casa e si mise in viaggio per tornare alla sua, a qualche chilometro di distanza.
Intorno alle 23 e 45 Fabiano Tovedra riaccompagnò la sua ragazza davanti al portone di casa e si mise in viaggio per tornare alla sua, a qualche chilometro di distanza.
Accompagnando quel breve tratto autostradale a un paio di energici pezzi blues, ripensò alla serata.
Era stata piacevole e confortante nella sua normalità; c’era stato spazio per il dialogo, e dell’altro naturalmente, ma tutto all’insegna del buon senso. Quando invece si trovava in compagnia degli amici questo non poteva accadere ed ogni cosa era sull’orlo di quel rischioso stato dello spirito che uno di loro, di cui faremo conoscenza più avanti, aveva poeticamente definito: “il tramonto della ragione” e che, molto più appropriatamente, la scienza medica considerava pazzia.
Ripensò anche al fatto che Doriana aveva avuto più volte occasione d’incontrare alcune di queste persone ed era stata addirittura gentile con esse, apprezzandone la compagnia, incapace di notarne gli evidenti aspetti psicopatologici, trovandoli addirittura simpatici.
Si chiese dunque, se in questa forma di accondiscendente, muta e ignara partecipazione, non ci fosse anche in lei una forma di pazzia, magari ancora più vasta. Forse, era tutto collegato da una rete inestricabile di finissimi rapporti, apparentemente normali, che provavano chiaramente quanto poco ci fosse di sano pure in lui.
Smise di pensare, quindi, evitando che questi pensieri si concatenassero e si mise a fissare l’uniforme, ipnotico manto stradale.
Fortunatamente, poco prima di correre il rischio di andarsi a schiantare a causa di un colpo di sonno, ricevette una telefonata.
-Dobbiamo vederci, Fabiano. Ho avuto una visione...- disse.
Fabiano si mise a contare con calma le monetine del pedaggio. Il casello stava a un centinaio di metri.
-Che genere di visione?- chiese, inserendo prudenzialmente il viva voce.
- ...Bruttissima! Una in cui, prima tu e poi tuo fratello vi stavate facendo la mia ragazza. Ti rendi conto! Voi, i miei maledetti amici!- gridò.
Il casellante tese l’orecchio all’interno della vettura, guardando Fabiano, divertito.
-E’ solo un incubo...Non un evento reale.- rispose quest’ultimo.
-Okay, ma sembrava così vero, una specie di squarcio del futuro, capisci?- disse Giuseppe.
Fabiano salutò con un’occhiataccia il casellante impiccione.
-Non ho mai visto la tua ragazza e credo che la stessa cosa valga anche per Maurizio; però non ho dubbi sul fatto che qualunque possa essere il suo aspetto, non me la farei mai in compagnia di mio fratello. Ho ancora dei valori... Ergo, non può essere uno “squarcio” attendibile.-
Sotto certi aspetti, la logica di questa risposta poteva apparire confortante e sorretta da solidi principi morali, valutò Giuseppe.
-Non possiamo parlarne di persona, scusa? Ho bisogno di confidarti altre cose.- insistette.
-Altri particolari del sogno? No, perché,... vedi,...sarei un po’stanco. Non riesci a condensare, adesso, al telefono?- chiese Fabiano.
La richiesta non fu accolta e i due s’incontrarono in una spiazzo nei pressi dell’abitazione di Giuseppe. Si era rivestito in malo modo e sotto la scollatura della camicia s’intravedeva un pezzo del ridicolo pigiama, decorato da centinaia di minuscoli orsacchiotti.
-Dimmi tutto!- esordì con aria seccata Fabiano, dando una rapida occhiata all’orologio. Attorno, non c’era un’anima. Il silenzio di una desolata piazzetta di paese.
-Credo che il mio incubo e gli altri avuti in precedenza, siano generati dal sospetto di un tradimento; un sospetto talmente forte da rendermi le giornate insopportabili.- disse Giuseppe, picchiettando nervosamente il palmo della mano destra sulle nocche delle sinistra.
Fabiano lo squadrò, un po’ perplesso.
-Che genere di sospetti?- chiese, camuffando con una straordinaria smorfia uno sbadiglio.
-Béh!...Ecco, io credo che si diverta a prendermi in giro: trovo il suo cellulare sempre occupato e non risponde quasi mai con immediatezza ai miei sms.- iniziò Giuseppe.
- Non mi sembra una motivazione ragionevole.- commentò in tutta onestà Fabiano.
-Tu non puoi capire: siamo sempre stati mielosi da far paura fra di noi, mica un rapporto di quelli ordinari; ed ora, lei si comporta in questo modo freddo e incomprensibile.- disse Giuseppe.
Fabiano si guardò attorno, sforzandosi di non mostrare indifferenza al dramma a cui stava assistendo, posò una mano sulla spalla del suo amico, e per farla breve disse: -Conosco qualcuno che può aiutarti.-
Questo “qualcuno” era Nicola Patella, uno schizofrenico di trentacinque anni che aveva avuto un passato di tenente nell’arma della polizia.
Carriera stroncata proprio dall’insorgere della sua malattia.
Nicola, era convinto che nel suo ambito ci fossero soltanto ladri e criminali, e che quindi fosse utile indagare sulla vita privata di chiunque venisse in contatto con lui. Aveva raccolto centinaia di rapporti, scritti di suo pugno, sui membri della sua famiglia, i pochi amici e il vicinato. Li teneva in una voluminosa scrivania del suo squallido monolocale, dove
la macchina da scrivere era l’unica cosa a tenergli compagnia; ogni tanto ci parlava pure o la percuoteva furiosamente. Aveva cancellato i caratteri stampati su alcuni tasti, per tenere in esercizio la memoria, sicché spesso gli capitava di dimenticare qualcosa e non poteva tollerare lacune nelle sue indagini. I fogli, quindi, erano pieni di correzioni ed errori di battitura; al punto che lui stesso, a distanza di pochi giorni, era incapace di ricostruirne la sintassi e il significato.
Fabiano non conosceva lui, direttamente, ma il fratello; Carlo Patella.
Diede a Giuseppe il suo numero e disse:
-Telefona a questo mio amico. Lui ha un fratello che ha lavorato nella polizia, un tipo in gamba... Così appassionato del suo ex lavoro che si offrirebbe d’indagare anche gratuitamente sulle abitudini della tua ragazza.-
-Vuoi che la faccia spiare?- chiese Giuseppe, battendo nervosamente le nocche col palmo della mano destra, quasi offeso dalla proposta.
-E’ l’unico modo per scoprire se ti tradisce, credo...- disse Fabiano. -...e chi può farlo meglio di uno sbirro-
-Ma sei sicuro che é gratis?- chiese Giuseppe, preoccupato.
L’indomani decise di mettersi in contatto con questo Carlo, per avere informazioni più precise. L’idea di sfruttare un detective avrebbe presto fugato ogni dubbio, pensò, ma nel contempo, se lei avesse capito di essere spiata... Come sarebbero andate le cose? Lo avrebbe mollato, ovviamente.
L’indomani decise di mettersi in contatto con questo Carlo, per avere informazioni più precise. L’idea di sfruttare un detective avrebbe presto fugato ogni dubbio, pensò, ma nel contempo, se lei avesse capito di essere spiata... Come sarebbero andate le cose? Lo avrebbe mollato, ovviamente.
Era un pensiero terrificante.
La chiamò per avere conferma che non sarebbe mai accaduto, ma lei non rispose poiché il suo cellulare era spento. Quindi, irritato da ciò, decise di ritornare sui suoi passi e chiamò Carlo.
-...So già tutto della tua storia…- disse questi, dopo neanche quattro secondi di conversazione, e si massaggiò una delle sue lunghe basette.
-…Stamattina ho incontrato Fabiano e mi ha dato qualche ragguaglio.-
-Ottimo! Allora?- chiese Giuseppe. - E’ disponibile tuo fratello?-
-Nicola non lavora più nella polizia, da tre anni. E’ sicuramente all’altezza dell’incarico, anche se non potrebbe accettarlo... Capisci che per esercitare la sua professione, illegalmente, si assume dei rischi che vanno pagati... Anche poco, ma vanno pagati.- rispose Carlo.
-Quanto poco?-
-All’incirca duecento, per ogni settimana d’indagini.- Si massaggiò l’altra basetta.
-Cinquanta e il mio ventiquattro pollici, più le casse dell’autoradio. Ti sta bene?-
-Gli stai offrendo un baratto?- chiese interdetto Carlo.
-Più o meno. E’ sempre merce che può rivendere. Io faccio un sacco di soldi con le cose che non mi servono più. Se hai bisogno di un tostapane, ad esempio, o di un cellulare quasi nuovo... Offro a prezzi modici.-
- Non so che dire, amico. A Nicola potrebbe interessare un telefonino, magari, dal momento che non c’è modo di contattarlo quando è fuori casa. Tuttavia, se le indagini dovessero protrarsi oltre una settimana, credo che la tua offerta non potrebbe accontentarlo. Lo stesso dicasi per me, che sono il suo manager e incasso una piccola parte dei suoi profitti; che in questo caso sarebbero solo i cinquanta euro di contante. Non posso dirti dove abita, comunque. Ci tiene a non farlo sapere. Se vuoi parlarci, ogni mattina, alle nove, lo trovi a Ruginello nell’unico bar di piazza S.Rocco.- disse Carlo. -... E non far caso se ha deciso d’iniziare la sua giornata con un bel cicchetto: resta un acuto osservatore, dal cervello scattante come una cavalletta.-
Giuseppe salutò e chiuse ringraziando, confuso dall’analogia fra una mente brillante e il balzo di un insetto. Un altro colore si stava per aggiungere al pittoresco “tramonto della ragione”.
-Ho visto degli uomini biondi, vestiti elegantemente, alcuni di loro indossavano dei polsini azzurri con incisi dei simboli...- disse Nicola al barista. -...Antico ebraico, credo.-
-Ho visto degli uomini biondi, vestiti elegantemente, alcuni di loro indossavano dei polsini azzurri con incisi dei simboli...- disse Nicola al barista. -...Antico ebraico, credo.-
Teo, il barista, gli sottrasse il cognac e lo versò nel lavabo. Poi sciacquò il bicchiere e asciugandolo frettolosamente disse:
-Ancora quella storia Nick? Quella degli angeli dell’apocalisse? Ne ho abbastanza! Se mi capita d’incontrare tuo fratello, glielo racconto.-
-Okay! Verrà il momento che di questa faccenda ne pagheranno tutti le conseguenze...- rispose Nicola, pestando due monete sul bancone e avviandosi all’uscita.
Teo scosse il capo, con un sorriso di disapprovazione. -Un mitomane! Un beone mitomane! Ecco cosa sei!- disse, additandolo.-
Nicola nel voltarsi a guardarlo, andò a sbattere contro Giuseppe appena entrato nel bar.
Il bavero del giaccone, alzato; una grossa sciarpa grigia; spessi occhiali da miope e un cappellino di quelli con la tesa rotonda, ben schiacciato sul capo. Giuseppe non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerlo, considerate anche le descrizioni fatte dal fratello, tanto che passo subito alle presentazioni.
-Perbacco, lei ha proprio l’aspetto di un investigatore!- disse.
Nicola si voltò a guardare il barista e, prima che questi potesse commentare, accompagnò subito fuori il suo potenziale cliente.
-Venga con me. Andiamo a discutere in privato.- disse.
Si spinsero fino ai giardini pubblici e Giuseppe, durante il tragitto, notò il leggero incedere claudicante del suo accompagnatore.
Invero, gli sembrava più un coglione che una persona dotata di acume; anche nel modo di parlare: balbettava con voce molto nasale, girando spesso il mento verso la spalla destra.
Comunque lo seguì e in breve si accomodarono su una panchina.
-Vedo che lei è affetto da un tic...- disse Giuseppe. -...mi perdoni se sono indiscreto, ma pure io ne soffro.- proseguì, picchiettando le nocche con l’altra mano.
-Ebbene? Non creda che le persone molto nervose siano le meno indicate ad analizzare con attenzione il comportamento degli altri.- commentò Nicola.
-No! Assolutamente. Immagino che abbia risolto parecchi casi, anzi. L’ho detto semplicemente per creare una specie di comunione...-
-Sarò ancora più simile a lei quando avrò nelle tasche parte del suo denaro, vale a dire il mio compenso.- disse Nicola, slacciandosi la sciarpa e tirando fuori dalla tasca interna del giaccone una matita e un taccuino.
-Mi ha già parlato di questo, suo fratello.- disse Giuseppe.
-Bèh!... Non so di preciso cosa le abbia detto, ma non accetto sconti o soluzioni di atro tipo che mi evitino d’intascare i miei duecento euro alla fine della settimana. Sta bene il concetto?- chiese Nicola, fissando il suo cliente con determinazione.
Giuseppe non rispose subito, limitandosi ad annuire, preoccupato. L’investigatore, con quello sguardo così severo non sembrava più tanto scemo.
-Sta bene, signor Dandige?- ripeté Nicola.
-...Si.- rispose con esitazione Giuseppe. Teneva molto alla “sua” Claudia, e nell’immediato non era in grado d’immaginare altre soluzioni per scoprirne i motivi dell’improvviso distacco.
-Bene! Allora, veniamo alle domande.- disse Nicola, preparandosi ad annotare qualche informazione.
-Ho saputo che ha dei dubbi nei confronti della sua ragazza...Giusto?-
-In effetti. E’sempre più schiva e ha dei comportamenti strani. Ultimamente non riesco mai a capire dove si trovi e con quali persone. L’altro giorno, ad esempio, mi ha detto che doveva andare con una sua amica al centro commerciale “Il globo”, invece, i miei genitori l’hanno incontrata all’Esselunga.- disse Giuseppe.
- A che ora si sarebbe dovuta recare al Globo con la sua amica?-
-Non me l’ha detto.-
-Allora, come facciamo a sapere se prima è andata lì e poi all’Esselunga? O viceversa.- disse Nicola.
Giuseppe si grattò la fronte, un po’confuso. -Non capisco, scusi. Può ripetermi la domanda?-
-Bene. Lei ha detto che la sua ragazza doveva andare all’Esselunga, mentre i suoi genitori dicono di averla incontrata al Globo...-
-No. No! Il contrario.- disse Giuseppe, innervosito, indicando il libretto di appunti dell’investigatore. -Controlli pure.-
Nicola diede una rapida occhiata a quanto aveva appena scritto.
-Lei non si smentisce. Ho fatto questo giochetto per valutare quanto sia attendibile la sua ricostruzione dei fatti. Capisce?-
-Perché dovrei darle delle informazioni false, scusi? Sarebbero a mio discapito.- commentò Giuseppe.
-Io non mi fido di nessuno; neanche della mia defunta madre. Capisce?- chiese Nicola.
-... Deformazione professionale?-
-Proprio così! Solo in questo modo si arriva ad analizzare con scrupolo ogni singola frase pronunciata dai propri interlocutori, fino a scovarne le eventuali perplessità, contraddizioni, menzogne…- rispose Nicola.
-…La sua ragazza dove abita?- proseguì.
-A Cuparolo, In via Monterosso sette. Si chiama Claudia Schizzo, se può interessarle.- rispose Giuseppe.
-Certo che m’interessa! altrimenti come faccio a pedinarla? Ora mi parli del suo lavoro, delle sue abitudini.-
-Sono un tecnico elettronico e mi diverto a...-
-Non le “sue” di lei, signor Dandige. Quelle della sua ragazza!-
-Claudia fa la ceramista in una grossa ditta di vasellame artistico e nel tempo libero si dedica alla tassidermia; è il suo hobby preferito. Il mese scorso ha impagliato un gatto che ha trovato morto sulla provinciale.-
-Interessante...- commentò l’investigatore.
-Prosegua pure.-
-Non ha altri hobby, grazie a Dio...-
-Tutto quì?-
-Tocca a lei scoprirlo...- rispose Giuseppe -...Le ho detto tutto quello che so.-
Nicola rimise in tasca il suo taccuino, sistemò la tesa del cappello, si accese una sigaretta e appoggio una mano sulla spalla del suo cliente.
-Abbiamo a che fare con un bel caso... Non si preoccupi signor Dandige. Le darò presto una risposta.- disse.
Poi si avviò verso una vecchia e arrugginita Fiat 127, beige e come se non bastasse piena di ammaccature. Due persone con strane gobbe, grandi come se tentassero di nascondere delle ali sotto la giacca, e con dei polsini azzurri pieni di merletti ricamati da misteriosi simboli, stavano discutendo nel parcheggio, ma l’investigatore non le vide poiché era troppo concentrato a ripassare mentalmente le informazioni appena ricevute.
A Giuseppe, invece, sembrava strano che quelle poche domande fossero sufficienti a dare il via alle indagini.
-Dove stavate voi, sabato pomeriggio?- chiese qualche ora più tardi ai fratelli Tovedra, mentre giocava con loro a biliardo.
-Dove stavate voi, sabato pomeriggio?- chiese qualche ora più tardi ai fratelli Tovedra, mentre giocava con loro a biliardo.
Fabiano alzò lo sguardo dal tavolo, sospendendo la mira.
-Perché vuoi saperlo?-
-Mi sembra giusto agevolare l’investigatore, evitandogli qualche interrogatorio...- rispose Giuseppe. -...Risparmierò il suo tempo e il mio denaro.-
-Comunque, io stavo al Globo.- rispose Maurizio.
- E io all’Esselunga.- disse Fabiano.
-Avete saputo della mia conversazione con l’investigatore?- chiese, immaginando che lo stessero prendendo in giro.
-No. Di che avete parlato?- chiese Fabiano.
-Avanti! Dai! Non fate gli stronzi. Sapete già tutto.- insistette.
-No. Davvero! Perché dici questo?- chiese Maurizio, chinandosi e colpendo la sua palla, sinceramente all’oscuro della faccenda.
A questo punto Giuseppe, convinto che i due continuassero a recitare, prese la sua stecca e la gettò sul tavolo.
-Andate affanculo! Non siete dei veri amici.- disse.
-Come?!... Ma che ti prende?- chiese Fabiano.
- ...E se scopro che i miei incubi rappresentano qualcosa di realmente accaduto, ve la faccio pagare, bastardi!- gridò, scaraventandoli addosso una sedia e uscendo in fretta dal locale.
Era un tipo abbastanza robusto, decisero dunque di lasciarlo allontanare rimandando a un momento migliore la richiesta di delucidazioni a riguardo.
Erano le ventuno e trenta e Nicola non aveva ancora raccolto un indizio.
Erano le ventuno e trenta e Nicola non aveva ancora raccolto un indizio.
Se ne stava accartocciato su una scomoda e lacera poltrona di stoffa bordeaux nel suo “studio”, con in mano una birra. Aveva, sì, studiato con attenzione gli appunti presi durante la conversazione con Giuseppe, ma non trovandoci alcuna probabile associazione col caso degli “angeli dell’apocalisse”, credette inutile lavorarci sopra. Il mistero degli angeli era più importante; decisivo per l’umanità. Non poteva sospenderlo per quisquilie sentimentali di quart’ordine. Certo, quei duecento euro gli avrebbe guadagnati comunque, raccontando balle; non era la prima volta che gli capitava di farlo, da quando l’avevano licenziato, e ciò gli permetteva con discreto successo di tenere testa a tutti i suoi creditori. Avrebbe mentito pure a suo fratello, che aveva ospitato un paio di ore prima. Carlo si era mostrato molto curioso di conoscere tutte le informazioni fornite da Giuseppe, e sembrava in qualche modo voler contribuire all’operazione. Inoltre aveva insistito a lungo affinché Nicola s’interessasse al caso e cominciasse le sue indagini proprio quella sera.
-Si fa vivo solo quando sente l’odore dei soldi, quello!- pensò di lui e, per un attimo, sembrò proprio intenzionato ad accantonare la faccenda.
Dopo aver preso questa strada, però, trascorsa pigramente a bere, scrivere appunti e rimuginare, soprattutto ai suoi recenti imbrogli, si chiese infine che aspetto potesse avere questa Claudia. Magari era carina, valeva la pena darci un’occhiata; dopotutto era giustificato dal suo incarico a farlo.
Se la immaginò nuda mentre si sciacquava i lunghi capelli biondi sotto la doccia e, a questo punto, si rese conto che nemmeno aveva chiesto una foto di lei al suo cliente; un comportamento inaccettabile per qualsiasi poliziotto, che gli avrebbe reso difficile individuarla anche se ne avesse avuto realmente intenzione.
Questo lo portò ad interrogarsi ancora una volta, preoccupato, alla sua condotta; ai limiti che avrebbe raggiunto con la sua malattia, se non avesse tenuto in esercizio la memoria e l’intuito. Era già caduto abbastanza in basso, riconobbe; non poteva andare avanti così, forse doveva davvero fare qualcosa. Si alzò a fatica, e con una punta di orgoglio decise di uscire. Probabilmente era giusto. Una specie di sfida con sé stesso. Doveva scoprire chi fosse quella ragazza per poi arrivare a qualcosa di molto più grande, forse.
Si erano fatte le dieci. la luna era alta nel cielo, parzialmente coperta dalle nubi, e per un attimo il suo bagliore fu attraversato da una creatura volante, molto simile ad un angelo, ma l’investigatore impegnato alla guida non riuscì a vederla.
Si erano fatte le dieci. la luna era alta nel cielo, parzialmente coperta dalle nubi, e per un attimo il suo bagliore fu attraversato da una creatura volante, molto simile ad un angelo, ma l’investigatore impegnato alla guida non riuscì a vederla.
Seguendo le indicazioni dello stradario, piano piano si era allontanato dal centro per finire in mezzo ai campi e ai i ruderi dei contadini. Notò che qualcosa di scuro e parzialmente nascosto da un cupo intreccio di rami si ergeva a circa duecento metri da lui.
Quando la raggiunse, vide che “grande”, in effetti, l’abitazione di Claudia lo era. Sembrava una specie di maniero, annerito dallo smog di almeno un secolo.
Credette di aver sbagliato a trascrivere l’indirizzo. Sicuramente, nessuno poteva abitare in quell’area desolata del paese e la casa sembrava vuota, nonché prossima alla demolizione; c’erano alcuni cartelli attorno che ne vietavano l’accesso all’ampio giardino, infestato da erbacce di ogni tipo.
Siccome nessuno stava nei paraggi, si avvicinò lentamente al cancello valutando quanto egli fosse indifeso in caso di pericolo. Aveva portato con sé il nunchaku, naturalmente, l’unica arma di cui poteva ancora disporre dopo il ritiro del porto d’armi, ma non era più abile come un tempo ad utilizzarlo.
L’unica confortevole presenza era quella di una stazione di servizio e di un mini market ad un centinaio di metri da lì, sebbene a quell’ora fossero entrambi chiusi.
Scavalcò il modesto metro e venti del cancello e si fece strada tra le erbacce, alcune delle quali erano molto più alte, mentre qualcuno passò rapidamente dietro a una finestra situata nella torretta del secondo piano.
Ci puntò la torcia, ma a quel punto vide soltanto un misterioso e buio spazio rettangolare a cui mancavano vetri e finestre.
-Non aver paura!...- si disse, ed in effetti non ne aveva. Il coraggio veniva dallo stordimento ancora efficace procuratogli dalla birra, che gli faceva vivere quella situazione come una specie di sogno.
Due grandi assi sbarravano l’ingresso; le tirò e ci diede qualche calcio, tentando di schiodarle. Finché qualcosa o qualcuno saltò giù dal piccolo balcone che stava proprio sopra la porta. Nicola lo sentì schiantarsi a terra come un grosso pupazzo pieno di sassi; un tonfo terribile, che avrebbe ucciso chiunque. ...Poi la cosa si alzò, lentamente, ripulendosi le grandi braccia muscolose dal terriccio su cui era appena caduta.
Nicola aveva effettivamente sbagliato indirizzo ed era scappato davanti al pericolo.
Nicola aveva effettivamente sbagliato indirizzo ed era scappato davanti al pericolo.
-... E adesso vorrebbe da me quei duecento euro.- gridò Giuseppe.
Fabiano sembrava un po’ preoccupato di far brutta figura coi Patella. -Ma com’è possibile? Spiegami bene cosa è successo.- chiese, sedendosi sui gradini attorno al monumento.
-Ha scritto: via Monterosa, anziché Monterosso, ed è finito davanti a una vecchia casa disabitata che dista quasi un chilometro da quella di Claudia. Poi dice di aver incontrato una specie di fantasma... Che razza d’idiota mi hai rimediato, santo Dio?!-
-Non vuoi pagarlo, in sostanza. E’ questo che gli dirai-
-Certo! Con questo buffone ho chiuso.- rispose Giuseppe, abbastanza soddisfatto di avere almeno un pretesto per non cacciare i soldi. Poi guardò scocciato l’orologio del campanile. Si erano dati appuntamento, lì, in piazza, per discutere la faccenda, ma i Patella non erano ancora arrivati.
La situazione si stava complicando; anche se il problema era futile, ma difficile da gestire a causa dell’evidente squilibrio mentale delle persone coinvolte, Fabiano si rese conto di quanto fosse inutile immischiarsi. Sbuffò una densa nuvoletta nel gelo invernale per liberarsi da ogni responsabilità.
-Non credo che la prenderanno bene, comunque...- disse, vedendoli uscire da un vicolo con la loro 127 scassata.
In effetti, Nicola li raggiunse subito con aria minacciosa, seguito a poca distanza dal fratello impegnato a grattarsi nervosamente una basetta.
-Lei non mi ha avvertito del fatto che in quel dannato paese esistano almeno due vie dal nome simile! E’ plausibile confondersi. Non crede signor Dandige?- chiese gridando.
-E’ plausibile quanto la sua storia di fantasmi... -
Carlo intervenne: -Quali fantasmi Nick? Credevo che fosse finita con questo genere di cose.- lo rimproverò. Non tollerava le sue fantasticherie; temeva che favorissero il peggioramento della schizofrenia.
-Ma questa volta è vero, io l’ho visto!... Possiamo tornarci assieme, se non mi credete.- rispose Nicola.
-...C’era questo tizio, alto almeno due metri, grosso quanto un sollevatore di pesi, col viso coperto da una maschera molto aderente...-
-Allora, non era un fantasma.- commentò Fabiano.
Nicola non riusciva a immaginare cos’altro potesse essere. Lo aveva visto schiantarsi a terra da un’altezza di circa sei metri, in un modo che avrebbe spezzato la spina dorsale a chiunque.
-Non potevo affrontarlo, in ogni caso. Qualunque cosa fosse, dimostrava di possedere una forza sovraumana.- pensò, ma non disse nulla.
-Daccordo, però, tutto questo, cosa c’entra con la mia ragazza?- chiese Giuseppe.
Carlo guardò negli occhi suo fratello e capì che la possibilità di guadagnare qualcosa stava sfumando; urgeva quindi una trovata per aiutarlo a uscire da quella situazione imbarazzante e proseguire in modo credibile le indagini. Gli fece l’occhiolino, senza farsi notare da Giuseppe, e disse: -Una relazione c’è... In realtà non ha voluto dirgliela per motivi che riguardano la sua incolumità...-
-La mia incolumità?!- sbuffò Giuseppe, interdetto, interrogando con un’espressione cattiva l’investigatore.
-Perché non gli hai detto come stanno realmente le cose?- insistette Carlo.
Nicola affondò le mani nelle tasche del giaccone, abbassando il capo, sforzandosi di trovare una risposta.
-Cosa mi deve dire?- lo incalzò Giuseppe.
-Avanti! Perché non spieghi cosa c’è sotto?- riprese a domandare Carlo, scotendolo dalla sua penuria d’idee.
-Non ce la posso fare da solo a risolvere il caso...- rispose a questo punto Nicola. Era serio, quasi triste. -...Naturalmente può chiedere aiuto alla polizia, se lo ritiene opportuno... Oppure...- esitò, in cerca di una frase ad effetto che non sarebbe mai arrivata.
-…Oppure attende il momento giusto per avere queste informazioni, e ci lascia concludere con calma il nostro lavoro... Perché sappiamo tutti quanto è facile giudicare, quando non si sanno le cose!...- disse ad alta voce Carlo.
Giuseppe sembrava un po’ confuso e preoccupato.
-Di ché stiamo parlando, scusate?- chiese, rivolgendosi a tutti quanti.
-Ho bisogno di qualcuno, molto forte e molto veloce.- disse Nicola.
-...Che venga con me in quella casa. Mi creda, anche se non posso rivelarglielo ora, c’è un legame con lo strano comportamento della sua fidanzata e quello strano avvistamento di cui parlavo...- proseguì.
-Io conosco un tipo che fa per voi.- intervenne Fabiano.
-Volete spillarmi a tutti i costi dei soldi?- chiese Giuseppe, battendo le nocche sul palmo.
-Lasciamo perdere Nick! Prima o poi la scoprirà da solo la verità...- disse Carlo, prendendo a braccetto suo fratello e avviandosi nervosamente alla macchina.
-... E si tenga pure i duecento che mi dovrebbe per i rischi che ho corso fino adesso!- commentò Nicola, accelerando strategicamente il passo (calpestò pure un’antica pergamena su cui erano scritte delle cose molto interessanti, in antico ebraico, ma non ci fece caso, scambiandola per cartaccia spazzata dal vento).
Giuseppe li vide allontanarsi assieme alla speranza di riavere l’affetto della sua Claudia.
-Aspettate!!- gridò.
“Qualcuno molto forte e molto veloce” era, secondo l’immaginazione di Fabiano, mister Elio Turturro; soprannominato dagli amici: Elettro, forse a causa delle piccole scariche elettrostatiche che a volte si ricevevano toccandolo, oppure per via del fatto che una volta aveva seccato d’infarto una mucca semplicemente accarezzandole il muso.
“Qualcuno molto forte e molto veloce” era, secondo l’immaginazione di Fabiano, mister Elio Turturro; soprannominato dagli amici: Elettro, forse a causa delle piccole scariche elettrostatiche che a volte si ricevevano toccandolo, oppure per via del fatto che una volta aveva seccato d’infarto una mucca semplicemente accarezzandole il muso.
Gino, il proprietario, aveva visto crollare in quel modo uno dei suoi animali soltanto a causa dei fulmini.
...A ben pensarci, in realtà doveva essere quest’ultima l’origine del soprannome; poiché le scariche elettrostatiche erano un fenomeno della fisica abbastanza noto e sperimentabile da tutti.
Un’altra spiegazione, altrimenti, poteva essere il suo diploma di elettrotecnico. Quello che era certo, in ogni caso, era che l’alto e magro Turturro non avesse alcun potere soprannaturale. Neppure poteva essere di grande aiuto all’investigatore, ma visto che Fabiano aveva la strana abitudine di raggruppare psicolabili, ora si trovava coinvolto in questa faccenda.
Si presentò a casa di Carlo, tutto vestito di nero e con un paio di occhiali scuri; come il protagonista del film di fantascienza “Matrix”, a cui era convinto di assomigliare.
Era tutto gasato perché gli si stava offrendo l’occasione di evadere dal suo puzzolente mondo di vacche, porci e galline, per dedicarsi a qualcosa di molto più avventuroso. Gino ci mise poco a licenziarlo e trovarsi un altro aiutante in fattoria.
-Col mio diploma troverò un posto migliore, non si preoccupi!- disse a Carlo.
-Glielo auguro. Perché, vede, noi, dopo la soluzione del caso, non abbiamo altre cose da proporle.-
-Questa me la pagate bene, comunque?-
-Vedremo cosa possiamo fare... Certamente, verrà ricompensato nella maniera giusta; visto l’elevato grado di pericolosità dell’operazione.-
-In cosa consiste?- chiese Elettro, specchiandosi nel bicchiere e sistemando l’acconciatura eccessivamente indurita dal gel.
-Fra poco verrà a prenderla mio fratello Nick e le spiegherà tutto.- rispose Carlo.
Elettro, dopo aver bevuto il suo drink si alzò dalla sedia e cominciò a fare alcune lente mosse di Tai Chi Chuan, per riscaldarsi e preparare il suo spirito, mentre Carlo lo guardava perplesso.
-... e così, lei avrebbe folgorato una mucca?- chiese.
Elettro si fermò di scatto e lo fissò da sopra gli occhiali.
-Preferirei che non si venisse a sapere questa storia...- disse con aria grave.
-Perché? Questo è il suo punto di forza, il motivo per cui l’abbiamo chiamata.- disse Carlo.
- Già, quelli come noi, tuttavia, fanno paura alla gente. Meglio non sbandierare le proprie capacità...e rimanere nascosti. Ha presente il film “x-men”, quello dei mutanti, pieni di tutti quegli straordinari poteri?-
-No, non amo questo genere di pellicole. Lei è convinto di essere un mutante?-
-Più o meno...- rispose Elettro, riprendendo il suo lento balletto.
Carlo era d'accordo sul fatto che questi dovesse nascondersi.
Con tali premesse, qualche minuto più tardi, l’investigatore se lo caricò in macchina per raggiungere il luogo dell’avvistamento.
La cosa interessante era che il vero oggetto dell’indagine, Claudia, ancora non era stato preso in esame.
Zio Barbavuncia entrò barcollando e sbattendo la porta nell’appartamento di suo nipote Carlo; era spaventosamente ubriaco, qualcosina più del solito. Poi fece un gran rutto e si sedette al tavolo della cucina.
-Portami qualche cazzo di roba da mangiare, porc.....- bestemmiò.
-Qual buon vento, vecchio lercione?...- chiese divertito Carlo. -...Non ti vedo da mesi... Speravo fossi morto.- proseguì.
Barbavuncia scoreggiò. -Questo vento mi porta!- disse, poi si staccò dai baffi dei pezzi di cibo rinsecchito.-...Ho saputo del nuovo incarico di tuo fratello.- ruttò, rigurgitando un rigagnolo di vino ai lati della bocca.
-Ah!... Brutta merda inzuppata di piscio, sei venuto a batter cassa?- chiese Carlo, offrendogli una fetta di
mascarpone e del prosciutto cotto.
-Cazzo! Sono vostro zio, porca puttana...., volete farmi morire di fame? Si capisce che quando trovate un lavoro vengo a complimentarmi...-
-A proposito di complimenti, che ne dici delle mie basette, zio? ti sembrano simmetriche?... Le ho rifilate stamane, sottili come i baffi.-
-Cazzo, ma sono magnifiche!- rispose Barbavuncia.
-Nick, comunque, non ha ancora preso un soldo- disse Carlo, allontanando dalla tovaglia alcuni insetti caduti dalla folta capigliatura dello zio.
-Dove sta quel coglione, ora? Voglio parlare con lui.- tossicchiò, sputando dei pezzi di mascarpone.
-E’ andato a stanare una specie di fantasma a Cuparolo, in via Monterosso sette. Vuoi raggiungerlo? Magari ha con sé qualche spiccio...- rispose Carlo, sperando di levarselo in fretta dalle palle. La stanza cominciava a puzzare di piedi, sudore stantio, e qualcos’altro di peggiore.-Hai solo questa roba da offrirmi?-
-Purtroppo, zio.-
-Neanche un dolcetto, porc...?- bestemmiò di nuovo.
-Ho solo un barattolo di nutella, ma è scaduta da cinque giorni.- rispose seccato Carlo.
-Dammela! Dammela!!- urlò Barbavuncia.
Era un goloso. Dall’emozione tirò una bella sgassata che gli sporcò un pochetto il già lurido mutandone.
-Allora ci vai a trovare Nick?- insistette Carlo, porgendogli il barattolo.
Barbavuncia ne svitò avidamente il tappo e ci ficcò dentro un mano.
-Aspetta che ti dia un cucchiaio, brutto schifoso!- gridò Carlo, disgustato.Allo zio penzolavano delle flosce stalattiti di nutella dal labbro inferiore e dalla barba.
-...Se riesco a beccarlo sul lavoro, credi che qualche soldino lo scucirà?-
-Non lo so, zio. Provaci! In fretta, però.- disse Carlo. -...Sai com’è veloce Nick a spendere i propri guadagni!-
-Cuparolo hai detto?- chiese Barbavuncia, pulendosi le mani sui capelli.
-Proprio! In via Monterosso sette. Vuoi che te lo scriva?-
-Ma che cazzo devi scrivere, che non sai neanche leggere?! Brutto, inospitale finocchio! Lo ricordo da me il posto.-
Barcollò fuori, ruttando e con una tripletta di brevi ma sonore scoregge.
-Portami qualche cazzo di roba da mangiare, porc.....- bestemmiò.
-Qual buon vento, vecchio lercione?...- chiese divertito Carlo. -...Non ti vedo da mesi... Speravo fossi morto.- proseguì.
Barbavuncia scoreggiò. -Questo vento mi porta!- disse, poi si staccò dai baffi dei pezzi di cibo rinsecchito.-...Ho saputo del nuovo incarico di tuo fratello.- ruttò, rigurgitando un rigagnolo di vino ai lati della bocca.
-Ah!... Brutta merda inzuppata di piscio, sei venuto a batter cassa?- chiese Carlo, offrendogli una fetta di
mascarpone e del prosciutto cotto.
-Cazzo! Sono vostro zio, porca puttana...., volete farmi morire di fame? Si capisce che quando trovate un lavoro vengo a complimentarmi...-
-A proposito di complimenti, che ne dici delle mie basette, zio? ti sembrano simmetriche?... Le ho rifilate stamane, sottili come i baffi.-
-Cazzo, ma sono magnifiche!- rispose Barbavuncia.
-Nick, comunque, non ha ancora preso un soldo- disse Carlo, allontanando dalla tovaglia alcuni insetti caduti dalla folta capigliatura dello zio.
-Dove sta quel coglione, ora? Voglio parlare con lui.- tossicchiò, sputando dei pezzi di mascarpone.
-E’ andato a stanare una specie di fantasma a Cuparolo, in via Monterosso sette. Vuoi raggiungerlo? Magari ha con sé qualche spiccio...- rispose Carlo, sperando di levarselo in fretta dalle palle. La stanza cominciava a puzzare di piedi, sudore stantio, e qualcos’altro di peggiore.-Hai solo questa roba da offrirmi?-
-Purtroppo, zio.-
-Neanche un dolcetto, porc...?- bestemmiò di nuovo.
-Ho solo un barattolo di nutella, ma è scaduta da cinque giorni.- rispose seccato Carlo.
-Dammela! Dammela!!- urlò Barbavuncia.
Era un goloso. Dall’emozione tirò una bella sgassata che gli sporcò un pochetto il già lurido mutandone.
-Allora ci vai a trovare Nick?- insistette Carlo, porgendogli il barattolo.
Barbavuncia ne svitò avidamente il tappo e ci ficcò dentro un mano.
-Aspetta che ti dia un cucchiaio, brutto schifoso!- gridò Carlo, disgustato.Allo zio penzolavano delle flosce stalattiti di nutella dal labbro inferiore e dalla barba.
-...Se riesco a beccarlo sul lavoro, credi che qualche soldino lo scucirà?-
-Non lo so, zio. Provaci! In fretta, però.- disse Carlo. -...Sai com’è veloce Nick a spendere i propri guadagni!-
-Cuparolo hai detto?- chiese Barbavuncia, pulendosi le mani sui capelli.
-Proprio! In via Monterosso sette. Vuoi che te lo scriva?-
-Ma che cazzo devi scrivere, che non sai neanche leggere?! Brutto, inospitale finocchio! Lo ricordo da me il posto.-
Barcollò fuori, ruttando e con una tripletta di brevi ma sonore scoregge.
Elettro lo seguiva strisciando come un ninja lungo le pareti. C’erano poche cose all’interno; qualcuno aveva già fatto manbassa degli oggetti più preziosi. Rimanevano degli orribili quadri paesaggistici, dei giganteschi e scuri mobili marcescenti, e qualche vestito sparpagliato qua e là.
La tappezzeria, piena di assurdi e disarmonici motivi floreali, era scollata in più punti e macchiata di vari liquami. Si sentiva pure un fortissimo odore di muffa, incenso e orina.
- Qualcuno probabilmente si è radunato qua dentro, e non per recitare il rosario...- disse l’investigatore.
Elettro si mise accanto ad una porta, contò fino a tre, poi con un calcio violentissimo la spalancò.
Si aprì facilmente, poiché non era chiusa a chiave.
-Che diavolo sta facendo?!- chiese l’investigatore. Non c’era alcun motivo di fare tutto quel casino.
Elettro non rispose subito; non lo sapeva nemmeno lui. Stava solo cercando di emulare qualche scena vista nei film.
-Se qualcuno mi sta preparando un brutto tiro, capisce che non scherzo, che sono un professionista...- disse, entrando con circospezione.
L’investigatore rimase sul pianerottolo, guidandolo con una torcia.
Vuota. C’erano soltanto alcune figure oscene disegnate sulle pareti, e un logoro tappeto al centro del pavimento.
-Che facciamo adesso? Abbiamo ispezionato tutto.- disse Elettro, un po’ deluso dalla mancanza di azione.
L’investigatore alzò perplesso il sopracciglio e si girò di scatto verso le scale da cui erano saliti.
-Ho sentito qualcosa!- bisbigliò.
Elettro fece ruotare le braccia, emise un grido strozzato, e si precipitò giù dalle scale saltando con un calcio volante gli ultimi quattro gradini; anche se davanti a lui non c’era niente da colpire.
Nicola invece scese con calma, puntando la torcia dove gli pareva che provenisse il rumore.
Videro rotolare un bottiglione di vino, aperto, mentre ne usciva parte del contenuto. Proveniva da un angolo inosservabile dalla loro posizione.
Si avvicinarono all’ingresso, l’investigatore tirò fuori il nunchaku, e con l’altra mano fece cenno a Elettro di starsene buono buono in disparte.
In mezzo ad un corridoio, giaceva supino e immobile un uomo.
-E’ morto?- chiese Elettro, eccitato.
L’investigatore si avvicinò ancora un po’ per illuminare la figura.
-E’ mio zio!- disse, incredulo.
Barbavuncia aveva gli occhi spalancati e faceva delle piccole bolle di saliva.
-Ma che gli prende?- chiese Elettro.
-Non lo so, dannazione! Perché non prova a rianimarlo con una piccola scossa al torace?- gridò, innervosito.
Elettro si guardò le mani, ricordando i poteri che gli venivano attribuiti, poi pestò un colpo abbastanza forte sullo sterno di Barbavuncia.
Claudia era appena uscita dal suo appartamento. Non era bionda e neppure carina come se la era immaginata Nicola. Anzi…, Era preferibile non soffermarsi troppo in una sua accurata descrizione.
Portava una maglietta rossa come i suoi stopposi capelli e con il suo nome scritto in grandi caratteri rosa proprio davanti; una minigonna a quadretti gialli e verdi, e degli stivali di plastica, molto lucidi, color giallo limone.
Non tradiva Giuseppe per il gusto di farlo, ma per professione, ed ora stava andando proprio a esercitarla.
Via Monterosso sette, terzo piano, Quel qualcuno o qualcosa che la stava pedinando era riuscito ad entrare nel palazzo e l’aveva vista uscire dalla porta targata con il suo cognome, Schizzo, per cui doveva essere la persona giusta; lo diceva pure la maglietta. Si mise quindi a seguirla fino al vicolo più solitario, poi indossò la maschera.
Non aveva alcuna intenzione di farle del male, ma solo di spaventarla e rubarle qualche spiccio; decise quindi di correre nella sua direzione, ringhiando come un animale.
Lei si voltò, fredda, senz’alcuna paura, aspettò di averlo abbastanza vicino, poi estrasse con rapidità una pistola e gliela puntò dritta sul naso.
L’aggressore s’inchiodò a pochi centimetri dalla canna, alzando le mani molto lentamente.
-...Ti possono piacere quelli come me?- chiese.
-No.- rispose Claudia.
-Ho tanti soldi, però.-
-Per chi mi hai preso?-
-Scusa! Pensavo che....-
-Costo poco, io.- chiarì la ragazza.
-Ci divertiamo, allora?-
-Prima voglio sapere perché gridavi in quel modo.- disse Claudia, senza distogliere la mira.
-Della maschera non t’importa nulla?-
-Forse.-
Che diavolo di risposta era “forse”? Non si poteva replicare, pensò, e con una delle mani alzate indicò qualcosa che stava dietro di lei.
Non appena Claudia si girò istintivamente a controllare, la colpì con una violenta spallata che la scaraventò contro alcuni sacchi di rifiuti.
Intanto Barbavuncia si era ripreso.
Non era ben chiaro all’investigatore cosa ci facesse in quella casa. Cadendo lo zio aveva battuto la testa e perso temporaneamente la memoria. Naturalmente aveva cercato di aiutarlo a ricostruire l’accaduto, ma le risposte risultavano sempre sciocche e contraddittorie, poiché all’amnesia si aggiungeva l’effetto dell’alcol.
-Che cosa ti pare di aver visto? Pensaci bene!- chiese di nuovo l’investigatore, facendogli aria con un pezzo di cartone trovato a terra.
-Te l’ho già detto, porca troia! Ho visto una pantegana. Una grossa pantegana!-
-E questo ti avrebbe spaventato al punto di perdere i sensi?-
-Si. Mi fanno orrore quegli animali! Sono troppo sporchi...- rispose Barbavuncia.
-Troppo sporchi?- chiese divertito Elettro, aggiungendosi alla discussione e squadrandolo dalla testa ai piedi.
-Già!...Per dirla tutta, vuoi sapere da che altro nasce la mia avversione?...Una volta, messo alle strette dalla fame, ne ho pure mangiata una che stava mezza sbudellata vicino ad un tombino... e sono stato malissimo. Quasi crepavo dai crampi allo stomaco.-
Nel ricordarlo, Barbavuncia si vomitò sulle scarpe.
Era chiaro che non sarebbero venuti a capo di niente e che quel luogo, a parte i sordidi rituali che ogni tanto lo animavano, non nascondesse altri segreti.
-Dobbiamo andarcene!- disse Nicola, disgustato, aiutando lo zio a rialzarsi.
-...E di lui cosa ne facciamo?- chiese Elettro.
-Vorrei che me lo dicesse lei! Sinceramente non credevo e tantomeno speravo che riuscisse a salvarlo.-
-Sorprendente, vero? Gli ho dato una bella scossetta!...ma, a parte questo, non le viene in mente che potrebbe essere lui “l’uomo mascherato”?-
-Mio zio?-
-Ma che cazzo dici figliolo?!- commentò Barbavuncia.
-Non è possibile!- disse Giuseppe, entrato di soppiatto nella casa.
I tre si voltarono a guardarlo, spaventati.
-...La mia ragazza è stata derubata, meno di un’ora fa, da un tizio che corrisponde perfettamente alla sua descrizione del “fantasma”.- proseguì, rivolgendosi all’investigatore. -...ed ora esigo delle spiegazioni; visto che Claudia sembra essere troppo scioccata per parlarne.- concluse, minaccioso.
-Cosa vuol sapere, signor Dandige?- chiese con calma l’investigatore.
Giuseppe si guardò attorno, turbato dal tetro squallore della casa, e rispose: -Voglio sapere quale rapporto lega Claudia al suo misterioso aggressore.-
Nicola rifletté sul fatto che davvero esisteva questo legame, benché lui e suo fratello lo avessero semplicemente inventato.
-Credo c...che...- balbettò incerto, mentre un’altra persona si aggiungeva alla scena.
-Ma che razza di posto è questo?!- disse Fabiano, aprendo maggiormente la porta d’ingresso e facendo cadere una delle travi montate sullo stipite.
Giuseppe si allontanò con un balzo dalla nuvola di polvere alzatasi.
-Anche lui, qui. Come se la faccenda non fosse già abbastanza confusa!- pensò.
-Ci siamo dati appuntamento, ragazzi? Stiamo lavorando, se non vi dispiace...- Nicola tentò di farsi valere, liberare il campo.
Nascosta sotto un’asse del pavimento leggermente sporgente, a un metro da lui, c’era una strana spada, riccamente decorata da incisioni che riproducevano il giudizio universale. Fatta di un materiale mai trovato sulla terra, era la prova inequivocabile dell’esistenza di un ordine superiore, anche se non riuscì a vederla.
-Inquinate le prove, cazzoni!- commentò Barbavuncia, concludendo la frase con un peto.
-Perdonatemi. Volevo curiosare; sapete, amo le storie di spettri, case infestate, ...- disse Fabiano.
-Questo non è un set cinematografico, coglione!- lo interruppe Barbavuncia.
Nicola gl’intimò di stare calmo, vedendo che tremava e sbrodolava del cibo rigurgitato.
-Lascia stare, zio...- disse. -...In ogni caso, prendere le mie difese non ti consentirà di ricevere in cambio del denaro.-
Barbavuncia arrossì dalla rabbia e si mise a berciare istericamente, insulti di ogni tipo, poi ebbe un altro conato di vomito e svenne.
-Lascialo così!- gridò l’investigatore, notando Elettro pronto alla stimolazione cardiaca. -Ha avuto un’altra congestione; si riprenderà da solo.-
-Un altro dei suoi assistenti?- chiese Giuseppe, ironicamente, indicando l’esanime Barbavuncia.
Nicola si avvicinò serio, picchiettandogli l’indice sul suo petto:
-Ancora una battuta, un commento denigratorio, e me ne vado! Abbandono il caso, senza concederle nemmeno una parola di quello che ho scoperto.- disse.
Giuseppe si sedette avvilito, sull’unica, impolverata sedia dell’atrio.
-Credo di aver almeno diritto a qualche informazione, dopo quanto è successo. Non le pare?- chiese, quasi pregandolo.
L’investigatore si grattò il pizzetto, indeciso. Non aveva uno straccio d’idea sul come gestire quella situazione.
-Aspettiamolo!- disse.
-Aspettiamo chi?- chiese Giuseppe.
-Il mostro...-
-L’unione fa la forza.- commentò Elettro, esprimendo la sua adesione con un veloce movimento di braccia in perfetto stile Shao lin.
-Volete combattere un fantasma?- chiese stupito Fabiano.
-Era un uomo, quello che ha derubato Claudia.- lo rassicurò Giuseppe.
-Nel dubbio, preferisco consultare una mia vecchia conoscenza...- disse Fabiano, attivando la rubrica del suo cellulare.
Giuseppe guardò la faccia inebetita dell’investigatore, avendo per un attimo la consapevolezza che questi non aveva la più pallida idea di ciò che stava cercando; poi guardò Elettro, intento a praticare una strana tecnica di respirazione utile ad accumulare un certo voltaggio, a suo dire; guardò anche Barbavuncia, steso in una pozza del suo stesso vomito, e a questo punto si chiese: -Chi starà chiamando adesso, Fabiano?-
Lo accolsero con stupore e ammirazione; a parte Nicola, preoccupato di dover dividere la sua parcella pure con lui.
Arrivò dopo una ventina di minuti dalla chiamata di Fabiano; sembrava una specie di santone albino, con al collo un medaglione pieno di pietruzze su cui erano incise delle rune.
Aveva lunghi capelli lisci, barba e baffetti da manciù, e indossava un abbondante saio bianco che arrivava in parte a coprire dei dozzinali sandali in gomma, di quelli che si usano per andare in spiaggia.
-Questo è il tramonto della ragione...Sacrilegio!!- urlò, appena entrato, alzando le mani al soffitto e spalancando gli occhi. Tutti ammutolirono, in una sorta di rispetto reverenziale.
A nessuno sembrava il caso di fare domande, e lui li scrutò in silenzio, con sguardo da pazzo.
-Il mago Pandoro.- disse Fabiano a mo di presentazione.
Poi Giuseppe prese coraggio. -Ha sentito qualcosa, maestro?- chiese.
Pandoro socchiuse gli occhi, arrotolandosi le maniche sugli avambracci.
-Maestro di che? Rispondi!...Da cosa desumi il mio sapere?-
Giuseppe si grattò la fronte, intimidito.
-Pensavo che un vero “mago” avesse appreso degl’insegnamenti tali da...- tentò di confutarlo.
-Allora continua a pensare, traendo da solo le conclusioni.- lo freddò Pandoro, sgarbatamente; poi rivolse lo sguardo a Elettro, che chinò subito il capo mettendosi a braccia conserte, per non sottoporsi a disanima, come se volesse racchiudersi in sé stesso.
Il mago tuttavia gli fece soltanto l’occhiolino, poiché aveva capito di avere davanti a sé un altro cialtrone come lui.
-Affidiamoci pure alla superstizione ora! Basta che alla fine mi venga dato ciò che mi spetta.- proruppe l’investigatore, lanciando un’occhiataccia a Giuseppe. Quel clan di buffoni lo stava innervosendo.
Pandoro gridò ancora -sacrilegio!- lanciando qua e là della polverina bianca che teneva nelle tasche.
Anche gli altri cominciarono a pensare che non fosse del tutto a posto.
-Voi vedete soltanto quello che volete vedere...- proseguì, avviandosi alle scale con l’intenzione di celebrare i suoi riti al piano superiore.
-Humm... E lei cosa vede?- chiese l’investigatore.
-Che lui è già qui.-
Elettro si mise in guardia; gli altri si guardarono attorno; Barbavuncia alzò un ginocchio e poi rotolò da un lato, scoreggiando. Si era ripreso.
-Io non vedo nessuno.- disse l’investigatore, puntando la torcia anche nell’angolo più buio della stanza.
-Non potete vederlo perché a nessuno di voi piace guardare in faccia la morte...- commentò il mago.
Barbavuncia si palpò i testicoli scoreggiando ancora, come se avesse premuto delle palline piene d’aria. -...La morte di chi, porca puttana?!!- disse, rialzandosi a fatica, con dei pezzi di mascarpone rigurgitato attaccati ai capelli.
-Niente, zio. Non stavamo parlando di te.- rispose Nicola.
-Perché non mi avete fatto la respirazione bocca a bocca, porca puttana? potevo crepare, brutti bastardi!...- proseguì, sputando un po’ di bile mischiata a dell’ottimo barbera. -...Se ora vi denunciassi per omissione di soccorso potrei pure guadagnarci un bel risarcimento in denaro, ma sono buono, porco ..., e vi chiedo soltanto una piccola mancia di trenta euro a testa.-
Il mago sentendolo bestemmiare gli tirò addosso dell’altra polverina, gridando:
-Sacrilegio!-
-Trenta euro che cazzo sono per degli uomini in gamba come voi?- gridò a sua volta Barbavuncia, istericamente, gesticolando all’impazzata e smerdandosi addosso a causa della violenta reazione emotiva.
Elettro si allontanò disgustato.
-Trenta euro, porca puttana!...- insistette Barbavuncia, gridando sempre più forte. I suoi malridotti jeans stavano visibilmente inzuppandosi di diarrea.
Fabiano e Giuseppe si tapparono il naso, con indignazione.
-Solo trenta euro, cazzo!!!- gridò, pestando i piedi per terra, calciando il suo bottiglione contro una parete.
Il mago continuava a spargere la sua polverina, recitando in un latino palesemente inventato alcune formule.
Nicola vide tutti loro, in rapida successione, teso allo spasimo da quella sciarada di comportamenti stupidi, folli; erano degli esagitati, volevano il suo denaro, criticavano, sghignazzavano, urlavano come degli ossessi, non erano di alcun aiuto, pensò (anche se il mago, benché l’investigatore non ebbe mai occasione di saperlo, conosceva un tizio in possesso del sacro gral e di una versione apocrifa della bibbia, su cui erano riportate sconvolgenti informazioni sui cavalieri dell’apocalisse).
-TRENTA EURO, datemi questi fottuti TRENTA EURO!!!- insisteva suo zio, inarrestabile; ormai c’era solo da legarlo e chiamare un medico.
Nicola si tappò le orecchie, schiacciandole come ventose, digrignando i denti.
-Trenta! Solo trenta, solo...-
Non lo fece finire; gli corse in contro e gli assestò un bel calcio negli attributi, poi con altrettanto vigore lo colpì sulla testa unendo le mani come una mazza, e ancora e ancora e ancora, fortissimo, alla nuca, sulla faccia, nei fianchi.
Concluse l’opera con una randellata della sua arma cinese.
-Ora si ragiona.- pensò, esausto, mentre gli altri osservavano atterriti.
Barbavuncia era nuovamente a terra, silenzioso e nella stessa pozza di vomito da cui si era alzato.
Fuori, l’oscurità, lo squittio dei pipistrelli, un fruscio di passi pesanti.
Nessuno si mosse, quel gesto era stato così violento e improvviso da lasciarli sgomenti, finché la porta d’ingresso fu spalancata con uno schianto e cadde a terra, scardinata.
Un’ombra si allungò davanti all’investigatore, superandolo e salendo imponente e minacciosa sulla parete dietro di lui, fino al soffitto.
Proiettata dalla luna, proveniva dall’ energumeno appena entrato. Nicola si voltò di scatto, risoluto, a cercare la collaborazione dei presenti.
-Adesso è il suo turno!- disse, indicandolo.
Il mago scese in fretta dalle scale, e si dispose assieme agli altri nel semicerchio formato attorno all’investigatore. Erano tutti pronti per la sfida finale. Nicola prese a far roteare il nunchaku sopra e sotto le braccia; Elettro descriveva ampi cerchi con le mani e aveva alzato una gamba nella classica posizione della “gru assassina pronta a sfolgorare la sua potente zampata di fuoco”; Fabiano teneva in mano i cocci del bottiglione di Barbavuncia, mentre Giuseppe si era tolto il giacchino e lo aveva arrotolato per usarlo come un’arma da strangolamento.
Il mostro fece un passo, due passi, lentamente, sempre più vicino a loro; era alto, grosso, ma la sua muscolatura informe sembrava posticcia e gli traballavano le gambe.
-Sacrilegio!- gridò il mago, dando il via allo scontro.
Un combattimento furioso, fatto di calci, pugni e randellate, sotto la nebbiolina di polvere e imprecazioni lanciate da Pandoro; attivo con frasi efficacissime del tenore di: “soccombere et mostrum terribilis sottum le nostra mazzatum”; “disinfestas questum casularum”; “favoriscium potenti dei l’umanum gruppettus di guerrieris nel combattimentum”; “tramontatis ratione poi risorgis, sennum finisce che ci portazian dentro”; ecc... Intercalate spesso da “sacrilegio!”.
Il “fantasma” era un ammasso di placche di metallo, protezioni da hockey e cuscini di stoffa, che si reggeva su dei trampoli da mezzo metro.
Lo colpirono da ogni parte, fino a smontare poco alla volta questa specie di armatura, i cui pezzi caddero da sotto i vestiti, facendolo diventare sempre più piccolo e inoffensivo. Aveva atterrato con un solo pugno Elettro, rotto un braccio a Fabiano, ma non era stato in grado di contrastare la prestanza di Nicola e Giuseppe unita alle fastidiose raffiche di polverina scagliate dal mago. In breve fu ridotto all’impotenza e immobilizzato.
-Gliela tolgo io la maschera!- disse Giuseppe, afferrandole con rabbia il lembo elastico sotto la mascella.
...E videro che si trattava di Carlo.
-L’avete organizzata assieme questa pagliacciata?- chiese Giuseppe.
-L’investigatore guardò in faccia suo fratello, incredulo. Ora capiva come l’imbottitura di quel costume lo avesse protetto dalla terribile caduta del primo avvistamento.
-No, è tutta opera mia...- rispose Carlo, sputacchiando sangue; gli erano partiti due ponti e un canino. -...Volevo dare a Nick la possibilità di lavorare, di spendere le sue energie mentali in qualcosa di diverso dagli “angeli dell’apocalisse”.- disse. Pensò pure che Giuseppe, messo al corrente delle vere abitudini della sua ragazza, forse non avrebbe rivoluto gli sporchi soldi da lui rubati.
Pandoro gli fece cadere un po’di polverina sulla testa. -Ti assolvo! L’hai fatto per amore fraterno.- disse.
-Un corno! Quel brutto bastardo mi hai rotto un braccio..., andrebbe almeno denunciato.- si lamentò Fabiano.
Tuttavia questo era il minimo che potesse accadergli con delle conoscenze del genere.
Carlo si leccò la punta del naso e capì che la polverina del mago era dolce e banalmente inutile zucchero a velo. Sorrise a suo fratello per sdrammatizzare e con un filo di voce, il labbro gonfiato dalle botte, disse:
-Ho scoperto cosa fa Claudia per arrotondare...-
Nicola tuttavia non sembrava interessato e si allontanò subito da lui, sapeva perfettamente che “l’amore fraterno” in questa faccenda era plausibile quanto un koala laureato in ingegneria elettronica (con il massimo dei voti) ad una gara di pattinaggio artistico, in compagnia di Shakespeare e Robocop.
Preferì prestare soccorso ad Elettro, a cui diede un paio di schiaffetti nel tentativo di risvegliarlo; mentre a suo zio, su questo non c’erano dubbi, occorreva un’ambulanza che gli altri decisero suo malgrado di chiamare.
-Sia ben chiaro:...- commentò Giuseppe, rivolgendosi a tutti loro -...Io non sgancerò un quattrino!-
-Fine del primo episodio-
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secondo episodio: LA SONDA EXTRATERRESTRE
Le due. Ancora un paio di barboni al tavolo; tre vecchi stronzi ridanciani immersi nella briscola in quello accanto, e il pensieroso Patella in fondo al bancone.
-E’ vuoto Nick!... Vuoto da circa due ore, e non c’è alcuna speranza che torni a riempirtelo...- disse Teo, slacciandosi il gonnellino a scacchi da sopra i jeans; era stufo di quella giornata, voleva chiudere.
-...Mi chiedo cosa ti è passato per la testa, fissandone immobile la sua trasparenza per tutto questo tempo!- aggiunse.
Nicola si grattò nervosamente il pizzetto, sperando di evitare il peggio.
Teo Festa era robusto, schietto e a volte scortese; soprattutto con quelli che non pagavano nell’immediato le consumazioni.
-Vedo parecchie cose, quando fisso i bicchieri vuoti.- rispose a bassa voce, fingendo di udire il suo interlocutore da un’altra dimensione.
-Guardami Nick!!...- Teo lo riportò bruscamente alla realtà martellando una tazzina sul bancone. -...Sono qui! Mi percepisci?!... Bene! Credo sia ora di finirla.-
-F...Finirla?!..- balbettò Nicola.
-Già!... Mica perché ho dei problemi a vederti in questo stato, beninteso, sono abituato del resto a questo genere di spettacoli, ma per via delle continue raccomandazioni di tuo fratello...-
-Lui la paga per non darmi da bere? Oppure per evitarmi di fissare i bicchieri vuoti?- chiese Nicola, alzandosi a fatica. Era uno di quei momenti, quelli giusti per andarsene.
Teo passò uno straccio sul rubinetto di ottone e subito dopo lo lanciò seccato nel lavandino.
-No, lui non paga, ma neanche ORDINA; ALMENO!...- rispose.
Nicola si annodò al collo la spessa sciarpa grigia e si strinse con rapidità nel logoro giaccone di pelle.
- Saldo tutto col prossimo conto, non si preoccupi.- disse.
-Mavvvacagare! Domani non farti vedere Nick... e neppure dopodomani. Diciamo per tutta la settimana, anzi.- rispose Teo, indicandogli la porta.
-Grande risolutezza!...- pensò Nicola -...ma gli restano ancora quei vecchiacci da espellere, al caro Festa.-
Fuori faceva freddo, davvero freddo, ed era buio.
S’incamminò verso casa, ancora abbastanza padrone di sé, riflettendo su quanto gli aveva detto Teo a proposito di suo fratello. Era da tre mesi, da quell’ultima volta che lo avevano riempito di botte credendolo una specie di mostro, che non ne aveva notizie.
Gran brutta storia quella, a ripensarci; rovinosa per la reputazione di famiglia.
D’accordo, Carlo l’aveva organizzata per farlo uscire dall’apatia, per consentirgli di guadagnare qualche spiccio trasformando la banale storia di rottura amorosa di un suo cliente in qualcosa di molto più misterioso e terrificante, tale da giustificare lunghe e proficue indagini, ma a che prezzo? Le conseguenze del bluff erano state tutt’altro che positive; al punto da guadagnarci soltanto uno stato di apatia peggiore, di quella che, per esempio, ti può far fingere di udire i tuoi creditori da un’altra dimensione.
Non poteva perdonarglielo, perlomeno adesso e nei mesi a venire, eccetto che lui non si fosse ripresentato con dei soldi; gesto sicuramente più utile del continuare a fingersi preoccupato della sua salute, pregando i baristi della zona di non offrirgli da bere alcolici.
Il buon vecchio Nick sapeva badare a sé stesso.
-Che si fotta!...- pensò. -...Per fortuna esistono ancora persone come il burbero e generoso Teo Festa, capaci di stillare qualche goccia di sollievo nei momenti giusti, pur facendo di tutto per non mostrarsi troppo accondiscendenti. Persone con le idee chiare sulla vita.-
Si appoggiò per un attimo a un lampione, ringraziando l’immaginaria presenza di Teo Festa, poi riprese a camminare.
l’abitazione stava quasi dietro l’angolo; in quella vecchia corte dietro alla chiesa di San Rocco. Un paio di ragazzini appoggiati a un ciclomotore lo fissarono mentre armeggiava con le chiavi del portone.
-Vuole una mano, signore?...- si offrì uno. -...Vedo che è in difficoltà.-
-L’ accompagno fino a sopra, se vuole...- proseguì.
Nicola alzò un braccio in segno di ringraziamento. -Lasci stare. Il mio monolocale è più vuoto delle sue tasche!- Diffidava, come sempre.
-Non sono un ladro, davvero... e guardi che non c’è alcun problema, lo faccio con piacere.- insistette il ragazzino, avvicinandosi.
-Lo vedo che non c’è problema...- rispose Nicola, estraendo il nunchaku dalla tasca interna del giaccone. -...ma se insiste, potrebbero crearsene alcuni piuttosto sgradevoli-
Il ragazzino gli vide penzolare l’arma dalla mano.
-Come vuole, signore.- disse, tornando al suo motorino.
Il portone, fra l’altro, era già aperto. Nicola vi entrò, salendo piano piano le due brevi rampe di scale che portavano all’appartamento.
Lassù, però, qualcosa non andava; se ne accorse avvicinandosi alla porta d’ingresso. Qualcuno l’aveva forzata fino a piegare il chiavistello e l’interno puzzava di un odore nuovo, benché orrendamente familiare...
Il tanfo di un uomo che non si lavava da mesi, arricchito di sterco e orina.
Era suo zio, introdottosi come un ladro e impegnato a frugare nella dispensa buttando a terra barattoli e scatolette.
Nicola si tolse in fretta uno stivale e glielo scagliò sulla schiena.
-Cosa diavolo ci fai, qui?!! Barbone schifoso!-gridò.
Barbavuncia cadde in ginocchio, portandosi le mani ai capelli.
Gli arrivò addosso l’altro stivale.
-Aspetta! Aspetta! ...Fammi spiegare.- si fece schermo con una grossa padella di quelle gettate sul pavimento.
Nicola estrasse nuovamente il nunchaku. -Tornerai all’ospedale, giuro! Niente ti dà il diritto di entrare in casa mia.-
-Aspetta! Aspetta! ...Questa volta arrivano i soldi. Una valanga di soldi!- promise Barbavuncia.
Sembrava sincero.
Nicola abbassò l’arma. -Di cosa stai parlando?-
-Ho una storia da raccontarti... Di un tale che ho conosciuto durante la degenza; un certo Dario Fragolini...- rispose Barbavuncia, riponendo la padella sul pavimento.
-Cosa mi offre il signor Fragolini?- chiese Nicola; voleva concedergli qualche secondo, poi forse lo avrebbe scaraventarlo giù dalle scale.
-Conosce un tizio che custodirebbe una sonda extraterrestre...
Uno mezzo matto,... che non vuole rivelarne al mondo l’esistenza.-
-E quindi?- Nicola riprese ad agitare nervosamente la catena del nunchaku.
-Ma come?!... Non capisci? Se troviamo quell’affare, e ne diamo subito notizia, diventiamo ricchi.- disse Barbavuncia, grattandosi via una crosta dalla guancia.
-Esci subito da qui.- ordinò Nicola.
-Se sei infastidito dalla puzza, mi passo il deodorante; così poi discutiamo con calma l’argomento...- insistette Barbavuncia. -...ne ho trovato uno che copre pure la piscia di gatto...-
-ESCI SUBITO DA QUI!-
-...Ma io, porca putt...-
-ADESSO!-
Barbavuncia estrasse dal lurido taschino della camicia un foglio di giornale tutto appallottolato e lo gettò stizzito sulla scrivania, accanto alla vecchia macchina da scrivere.
-Leggilo!...- disse, prima di andarsene.
Nicola lo accompagnò alla porta, sbattendogliela alle spalle; poi ci spinse contro il divano per assicurarsi che stesse ben chiusa.
-... Mi mancano soltanto i guai promessi dalle folli trovate di quel barbone.- pensò, avvicinandosi al tavolo e srotolando il pezzo di carta. Non credeva per niente a quel racconto, ma tanto per passare il tempo e combattere l’apatia si accasciò sul divano e ci diede lo stesso un’occhiata.
l’articolo cominciava così:
“Qualcosa precipita dietro alle colline di Montevecchia. Alcuni anziani, fra cui i proprietari di una piccola falegnameria vicina al luogo dell’avvistamento, descrivono un oggetto infuocato, delle dimensioni di un’automobile, impegnato a solcare il cielo con una traiettoria discendente a spirale, simile a quella/”. Nient’altro.
Mancava un pezzo della pagina; così, si alzò a cercarla vicino alle varie cose sparpagliate a terra.
Il ritrovamento di una sonda extraterrestre poteva effettivamente garantire discreti progressi al suo livello di autostima.
Guardò e riguardò con attenzione;lì attorno, tuttavia, non c’erano altri frammenti del giornale.
Quelle poche righe erano comunque bastate ad entusiasmarlo, e sebbene non fossero sufficienti ad avviare un’indagine, lo indussero a riconsiderare più seriamente il racconto dello zio. Se davvero Barbavuncia aveva conosciuto un testimone, infatti, esistevano pure concrete possibilità di mettersi sulle sue tracce ed interrogarlo.
Il problema, ora, era come riavvicinare quello zozzone, dopo averlo cacciato in quel modo da casa. Sicuramente stava ancora nei paraggi, a zonzo per le strade; non era un tipo dalla camminata veloce. Anzi, spesso si buttava come un sacco d’immondizia al primo angolo e ci restava per ore a elemosinare o dormire.
Doveva quindi raggiungerlo al più presto e scusarsi.
Ci pensò bene qualche minunto, dibattendosi in sgradevoli ragionamenti sulla strategia da adottare per coinvolgerlo, senza doverlo avere troppo tempo fra i piedi. Tuttosommato, al momento non sembrava così difficile, valutò assai superficialmente; sarebbe bastata la promessa di un po’di cibo e qualche bicchiere di vino.
Si precipitò giù dalle scale a cercarlo.
Pandoro non conosceva neppure uno di quei banali trucchetti che si fanno alle feste per divertire i bambini, e quando tentava di riprodurli inevitabilmente sbagliava. Una volta, in Piazza del Duomo a Milano, aveva addirittura cercato di raggranellare dei soldi facendo danzare alcuni omini di carta legati ad un filo quasi invisibile, una cosa piuttosto semplice, anche per un non prestigiatore, eppure lo avevano sorpreso e deriso tutti a causa di un piccione rimasto impigliato durante lo show.
Comprava di tanto in tanto dei libri di esoterismo e manuali pratici di magia, di quelli che, per esempio, si trovano all’edicola accanto alle riviste di cucina e kung fu, ma in nessun caso riusciva mai a trovarci quello che sperava.
Di fatto, neanche lui sapeva bene cosa stesse cercando; era più che altro la sensazione di muoversi in questa direzione a motivarlo.
“La magia doveva pur esistere da qualche parte”.
Con questa certezza, entrò per l’ennesima volta in una di quelle librerie del centro, dove si hanno buone speranze di acquistare volumi più importanti di quelli esposti solitamente in edicola.
Il commesso lo riconobbe subito, del resto era mentalmente impossibile rimuovere un tipo come lui, e gli andò incontro; prontissimo a intortarlo con le ultimissime novità librarie.
-...Il testo che le propongo oggi, signor Pandoro, è a tiratura limitata, molto speciale, mi creda...- si sistemò la cravatta, serissimo. Un atteggiamento impeccabile, da grande professionista; soprattutto quando attorno il resto della clientela sogghigna (la presenza di un barbuto albino col saio bianco, del resto, suscita sempre una certa ilarità).
-Certamente!-
Il commesso lo condusse allo scaffale B4, quello riservato ai fanatici dell’occultismo.
-Eccolo.- disse.
Pandoro stupefatto prese a tastarne la copertina in rilievo; c’erano impressi dei simboli e degli strani motivi floreali.
-Bello, vero?- chiese il commesso con misurata enfasi; evocativa, ma non troppo, dell’intrinseco valore artistico dell’opera.
-Pare prezioso. Di che argomenta?-
-Descrive i rituali scoperti da Democlitostene Cevioebuzio di Fidia per evocare i demoni dell’ade. Tratta poi di altre branche della magia che, onestamente, non mi competono...-
-...E’ roba antica, quindi?- chiese Pandoro.
Il commesso annui.
-Il testo originale pare fosse greco, del quinto secolo dopo Cristo. La leggenda vuole che sia rimasto racchiuso dentro una statua fino al millequattrocento, per motivi a noi ignoti che tuttavia affascinano e accrescono il suo valore commerciale...-
Pandoro alzò un sopracciglio, si frugò nelle tasche.
-...Dopo il suo ritrovamento, ad opera del mercante d’arte Balduccio Lanfranco di Vicenza, fu consegnato ad un certo Ummio Canzio, avente fama di alchimista e grande conoscitore delle antiche arti divinatorie, che lo tradusse in volgare per suo diletto e per diffonderne la conoscenza ad un pubblico più vasto; costui si prese anche la briga, per ragioni a noi ignote, di bruciare l’originale...-
-E’scritto in volgare, quindi?- lo interruppe Pandoro, pensando che il testo fosse pieno di parolacce.
-No. In seguito se ne occupò anche la curia romana, precisamente un certo Pollicimio Primo, arcivescovo e saggista, esegeta dell’arcano, che lo tradusse in latino per dargli un tono più rispettabile; costui, contribuì nondimeno ad aggiungere e togliere parecchie inesattezze, fino a sconvolgere totalmente la struttura originaria del libro...- il commesso diede un’occhiata alle note in quarta di copertina.
-...La traduzione non incontrò tuttavia il favore della critica, e siccome gli eruditi in grado di leggerlo avevano ben altro da fare, fu ben presto riproposto in un linguaggio accessibile a tutti. Questa edizione, infine, risale al millenovecentossessantadue, e si basa sulla ricostruzione, invero assai romanzata, del latinista Lucillo Tribusi. Ci sono, tuttavia, parecchie illustrazioni e formule magiche che sembrano davvero magiche...-
Pandoro si accarezzò la barba, perplesso.
-Non sono molto interessato.- disse.
-Allora le propongo: “Xardacus mi ha insegnato un altro mestiere”, l’incredibile storia di un ex macellaio di Detroit che è riuscito a mettersi in contatto con alcuni esseri di un’altra dimensione, attraverso una comunissima boccia per pesci rossi...-
-Questo m’intriga. Posso vederlo?- chiese Pandoro.
-Ma certo! mi segua.- rispose il commesso. Il libro stava nello scaffale E2,
quello riservato alle opere inclassificabili.
Nicola servì quel poco che aveva nel frigo e si sedette di fronte a lui, osservandolo mangiare, disgustato.
-...Hai solo queste bomboniere al cocco?- chiese Barbavuncia.
-Dopo ti vado a prendere la pizza.-
-Dopo quando?!... Quando sarò morto di fame?-
-Sulla pancia hai una scorta di grassi abbastanza ricca da sopravvivere almeno due mesi senza cibo.- rispose Nicola.
-...Ma un cazzo!-
Barbavuncia si tirò la maglia sull’addome; era corta, esaltava la sua obesità.
-Dove li hai messi i miei vestiti?- chiese.
-Li ho calcati bene bene in fondo alla pattummiera. Credo che la mia tuta sportiva ti stia molto meglio.-
-Opinioni! A me stringe le palle, fa sentire ridicolo...- disse Barbavuncia, portandosi le mani al basso ventre. -...e poi guarda: mi schiaffa in prima pagina il problema!-
-Vogliamo discutere di cose più serie, zio? E’ questo lo scopo del nostro incontro.-
-Certo, si capisce che tu voglia soltanto fregarmi delle informazioni...-
-Appunto! Quelle che ci consentiranno di “diventare ricchi”.-
-Dopo la pizza, ragazzo. Dopo la pizza! ...Ti caco tutto quello che vuoi sapere, come un fiume in piena. Ti porto pure dal Fragolini, se vuoi.
-A proposito di fiumi... Com’era l’acqua, zio?- chiese Nicola.
Il tanfo persisteva.
-Tiepida e riluttante a levarmi lo sporco. Ho dovuto lavorare sodo con la spugnetta, credimi...-
-Davvero?! Hai avuto fortuna, comunque. A volte non esce nemmeno dai rubinetti.-
Barbavuncia si guardò attorno; l’appartamento in effetti era decrepito, e il fatto che qualche suo impianto fosse ancora agibile aveva del miracoloso.
-...il bagnoschiuma alla mela verde però, per la puttana, era poco. Ho dovuto allungartelo con un po’del mio muco...- Sghignazzò, sputacchiando qualche pezzettino di cocco.
-...E’ dello stesso colore, comunque!-
Fragolini stava raccogliendo alcune fragole cresciute spontaneamente nel suo giardino. Paonazzo e col gigantesco naso pieno di punti neri; poteva avere una cinquantina d’anni o giù di lì. Per alzarsi fece leva con il gomito sulla staccionata e sbuffò, sistemandosi i due ciuffi di capelli grigi posti sopra le orecchie. Aveva solo quelli, ma ben lunghi e folti.
-Che cristofer vuole quel ciula intafanato?- si chiese, vedendo arrivare i due.
-Vedi come se la passano bene i miei amici?- chiese Barbavuncia, indicandolo; alludeva alla proprietà.
Nicola salutò.
Al contrario di ciò che potevano supporre riguardo alla sua ospitalità, Fragolini non li fece oltrepassare la staccionata e rimase dietro a ricambiare il saluto.
-Questo è mio nipote!...- disse Barbavuncia, appoggiando fiero la grossa mano pelosa sulla spalla di Nicola. -... E’nella polizia.-
Nicola allungò una mano attraverso le assi.
-Piacere.- disse Fragolini, stringendogliela. -Anche il nipote della cugina di mia moglie è un poliziotto...- Si girò verso una delle finestre spalancate.
-Eusapiaaaaaaaa!!!.....-gridò.
Eusapià uscì poco dopo.
-Il Giovanni è ancora nella polizia, vero? ...A proposito: quanti anni ci ha adesso?! Mica che mi confondo col Pierluigi...-
-Non riesco a trovare la tua pipa!- rispose la donna.
-Va dentro a metterti l’ apparecchio; che mica ci ho voglia di far scenette davanti alla gente!- gridò ancora Fragolini.
-Ho già controllato in mansarda...- disse Eusapia, facendo un cenno di saluto a Nicola e Barbavuncia. -...Quelli sono tuoi colleghi?-
-NO. NON SONO COLLEGHI! MA COSA TE LO DICO A FARE? VA DENTRO, CRISTOFER!-
La donna comprese solo l’irritazione del marito e tornò alle sue faccende domestiche.
-Cazzo, non preoccuparti Dario...- intervenne Barbavuncia.
Fragolini scosse il capo, amareggiato. -Scusate... E’ una buona massaia, ma sorda come una talpa.- disse.
-Le talpe sono pure sorde?- chiese Nicola, approfittando di quel lapsus per incominciare l’interrogatorio.
Fragolini sorrise. -Meno male che il tuo poliziotto ci ha voglia di scherzare!- disse, rivolgendosi a Barbavuncia.
-Puoi stare tranquillo...Vuole sapere soltanto dell’ufo.-
-Oufff!!!... Che ci ho già il culo pieno di questa storia! Cosa posso aggiungere?- chiese l’uomo.
-Mi racconti nel dettaglio quello che ha visto.- disse Nicola.
-Bene, ci posso provare, ma mica è facile ricordare tutto nel dettaglio.- rispose Fragolini, tirando su i calzoni e pettinandosi con le mani.
-... Io e il Bagiggia, ad ogni modo, stavamo accompagnando il Lele dalla Irma. Il Lele è un cane; un volpino, credo. Se aspetta un attimo ci chiedo a mia moglie di che razza è.-
-Non ha importanza!- rispose Nicola.
-Bene. Ecco, allora...a questo punto, ci siamo quasi dietro alla villa della Irma, e la si vede affacciata sul pendio che sbatacchia briciole da una tovaglia. Ci ho detto allora al Bagiggia che dovremmo farci pagare, ogni volta che li riportiamo il cane alla contessa. Mica si può essere sempre gentili con quelli che lasciano gli animali per strada, col rischio che poi vengano investiti... Anche il Bagiggia infatti ci ha il cane, ma se lo cura, e quando non gli obbedisce ci tira dei calciazzi tosti sulle zampe...-
-Cosa succede, quindi?- riprese Nicola.
-...Succede che il Lele comincia ad abbaiare...-
-E poi?-
-Poi arriva il bello... Succede che Il Baggiggia il giorno dopo ha letto sul giornale dell’ufo, e allora abbiam capito perché il Lele abbaiava. Gli animali ci hanno un sesto senso...mica me la invento io sta cosa.-
-Sì, noi però vogliamo sapere cosa cazzo hai visto...- lo incalzò Barbavuncia, vedendo Nicola spazientirsi.
-...Raccontagli quello che hai raccontato a me, Dario.- proseguì.
Fragolini si tirò via un grosso cappero dal naso e lo impastò sulle natiche.
-Non ci abbiamo visto una Madonna, per dirla giusta, perché il lele abbaiava tanto da concentrare tutta la nostra attenzione su di lui; però sappiamo che la contessa ha visto qualcosa. Lo dicono tutti in paese.
Anche il Bagiggia, che ci ha un figlio che da ragazzo giocava a pallone da quelle parti...Il Gustavo, che ora ci ha quasi trentasei anni... La settimana scorsa è venuto giù da Calozio per festeggiare l’apertura di un negozio di scarpe, e ci ha detto in confidenza che la Irma ha smesso di bere, quindi può aver visto davvero qualcosa... Poi, queste storie qui, uno le può prendere come vuole. Cristofer! Sappiamo tutti che il Gustavo, ad esempio, non ha mai ciulato la Cucinotta, anche se continua a raccontarlo...-
Nicola guardò negli occhi suo zio, con molta irritazione.
-Guardi, io ci ho molto rispetto di voi della polizia, ma non posso mica testimoniare di cose importanti senza il mio avvocato; che se poi dico qualche ostiata finisco pure in galera, magari. Capisce?-
-Insomma, lei ha visto o non ha visto l’astronave?- insistette Nicola.
-La Irma..., chiedete alla Irma. Cristofer! Non mettetemi in difficoltà, vi prego, che ci ho pure un’unghia incarnita e non riesco...-
-Dove abita questa “Irma”?- lo interruppe Nicola.
Tack! Tack! Tack!...Tachete! Tachete! Tachete! Tachete! Tachete! Tack!...
Dita pesanti e spesse come salsiccie battevano sui tasti di un portatile.
Erano quelle di Irma Demanagon, un donnone alto due metri, con la corporatura di un orso grizly, capelli biondo platino a spazzola e lineamenti duri, accentuati da una mandibola piuttosto squadrata. Questo la faceva assomigliare in modo assai preoccupante a Ivan Drago, sebbene non avesse mai boxato (sembrava tuttavia perfettamente in grado di farlo; forse, addirittura in grado di decapitare un uomo con una sberla).
Viveva da sola, come avrebbe fatto qualsiasi saggia ereditiera dotata di un simile, spaventoso aspetto fisico, e non aveva alcun bisogno di lavorare; per questo dedicava molto del suo tempo a scrivere inconcepibili romanzi gialli, dai titoli emblematici come: “ancora un anno d’astinenza”; “ho spappolato un ragazzino col mio seno”; “sulle tracce di un pervertito di colore”; “assassinio a luci rosse” (di quest’ultimo dovette cambiare una parte, onde evitare il plagio, trasformandolo in: “assassinio alla poca luce di una bajoure coperta da un fazzoletto rosso”).
Ora stava lavorando a qualcosa di definitivo, probabilmente idoneo ad una lettura che non fosse unicamente riservata a sé stessa. Si trattava di qualcosa dalle potenzialità inaudite, tale da metterla in uno stato di grande esaltazione, utile a quella fertilità d’idee che ogni aspirante scrittrice auspica. Era la storia di un serial killer con l’attitudine a cospargere di marmellata, coriandoli ed escrementi le sue vittime, per poi trafiggerle con settecento spiedi e appenderle a testa in giù dentro una gabbia collegata ad un alimentatore con alto voltaggio. Tutto a causa di gravi complicazioni psicologiche insorte durante il suo sviluppo puberale, in gran parte dovute al mancato completamento della collezione dei puffi. Gliene mancavano soltanto tre: “puffo palombaro”,perso durante un trasloco, “puffo verde” e “puffo esibizionista”.
Puffo esibizionista era uscito in omaggio con Playboy, a tiratura molto limitata; soltanto che lui a quell’epoca era troppo giovane per poterlo chiedere all’edicolante, senza provare un forte imbarazzo, per cui lo aveva perso.
Puffo verde, invece, forse neanche esisteva; seppure di recente avesse trovato nel web alcune informazioni molto credibili a riguardo, che lo laceravano ancora di dubbi (c’erano anche parecchi annunci di vendita dei frammenti di ciò che puffo esibizionista aveva da esibire. Probabilmente dei falsi ben realizzati. Un testicolo, un glande, mezzo apparato, ecc... Aveva passato ore a confrontarne le proporzioni con la foto originale del puffo, per valutare quanto fosse opportuno possederne almeno un raro pezzetto, ma le immagini non lo convincevano affatto).
Mentre puffo palombaro, su questo non c’erano quasi sicuramente più dubbi, sembrava irrimediabilmente scomparso dalla circolazione, e quei pochi che ancora lo possedevano, col suo adorabile cappuccio e calzoncini ingialliti dal tempo, se lo tenevano stretto stretto e ben nascosto.
Per capire quanto la gente arrivi a tali livelli di spietato collezionismo, faceva notare l’autrice a questo punto del romanzo, basti pensare che il serial killer aveva addirittura inviato una lettera alla polizia, promettendo che avrebbe smesso di uccidere se qualcuno gli avesse procurato o ceduto almeno un paio di questi puffi, ma nessuno si era fatto avanti.
Una cosa davvero terribile, in effetti.
Il campanello suonò, proprio mentre la Demanagon si decise a riscrivere questa parte, ritenendola un esempio di crudeltà forse troppo superiore a quella dell’assassino; magari tale da indurre i lettori a simpatizzare con lui.
-Vengo!!- urlò seccata. Interrompersi e alzare i suoi centonove chili dalla sedia non era bello, dopotutto.
La sedia smise di scricchiolare.
-Chi è?-
-Polizia! Siamo qui per farle delle domande...- rispose deciso Nicola.
La Demanagon aprì senza indugio. Conoscere dal vivo i metodi e le abitudini dei poliziotti l’avrebbe aiutata a rendere più credibili i personaggi dei suoi racconti.
-Lei è la signora Irma Demanagon?- chiese Nicola.
Per qualche strano tipo di coincidenza, davanti a quella gigante si sentiva un puffo.
-Sì. La contessa...- rispose la donna, -...Entrate pure.-
Pensò che fossero in borghese, perché non avevano l’aria di essere proprio dei poliziotti.
-Noi stiamo cercando notizie dell’ufo precipitato.- intervenne Barbavuncia. Voleva guadagnarsela, la sua parte.
-Non ho granché da dire.- rispose la donna.
-Come?!- chiese Nicola.
-Nel senso che l’ho visto precipitare vicino alla falegnameria del Gioachino Bargelli, e non credo che fosse un ufo...-
-Non crede?!-
-Si. Sembrava piuttosto una meteora, non più grande di un televisore da ventinove pollici.-
Barbavuncia si lasciò scappare una scoregetta, deluso.
-Ma è sicura, signora?- chiese.
-E’ avvenuto troppo rapidamente; non ci giurerei, ma da quel poco che ho visto...- Li condusse vicino alla finestra che dava sull’ estesa proprietà del Bargelli. -...è finito dietro a quella collinetta lì.-
-Ha notato qualcuno raggiungere il luogo dell’impatto? Prelevare qualcosa?- insistette Nicola.
-No. Mi spiace non potervi aiutare. Posso offrirvi un caffè? Gradirei lo stesso approfittare della vostra compagnia per parlarvi un po’del mio lavoro di scrittrice...-
-...Ma porca putt... Hèm!... Certo! Di che ha bisogno, signora? Siamo tutt’orecchi!- rispose Barbavuncia, fissandole il seno e tirandosi via una sostanziosa pallina di cerume.
La poltrona era davvero comoda e ben fatta; c’era da meravigliarsi che un buffone come lui potesse permettersela.
La picchiettò soddisfatto sui braccioli e dopo aver acceso la lampada si mise a sfogliare le prime pagine di “Xardacus mi ha insegnato tutto”.
Sfogliare è sicuramente il termine più appropriato, poiché Pandoro non riusciva a leggere un libro dall’inizio alla fine. Anzi, spesso saltava interi capitoli e in ogni caso tutte quelle parti la cui comprensione avrebbe richiesto l’uso di un dizionario; aveva infatti sperimentato più volte quanto, ogni interruzione utile alla ricerca del significato di un vocabolo, lo portasse invariabilmente a dimenticare le cose lette in precedenza.
In sintesi, comunque, i fatti narrati nel libro, quei pochi che aveva letto e ben capito, erano questi:
Bill Bosby O’Neil , il 25 aprile del 1986 stava pestando della carne sopra un asse, all’interno della sua macelleria, per poi sezionarla in vari punti ed esporre i pezzi di prima scelta nella vetrina sotto il bancone.
Faceva questa cosa con gran classe e perizia, scartando con rapide coltellate il grasso e tutte quelle parti che avrebbero inficiato il bell’aspetto di quelle bistecche. Notò lui stesso la destrezza e l’abilità con cui riusciva a compiere questa operazione e se ne compiacque.
Allora si mise a fischiettare; dapprima una melodia a casaccio, poi delle cose via via più elaborate, frutto della sua fantasia. Trovò quindi che queste composizioni fossero piuttosto belle e che non avrebbero sfigurato davanti a certe opere di Mozart e Beetowen.
Siccome la sua vita scorreva tranquilla, si sentiva un ganzo, era riuscito a rimanere scapolo e non aveva altro di meglio a cui pensare, gli venne in mente di dare alcuni piccolissimi pezzettini di quella carne al suo pesce rosso. Può sembrare un pensiero un po’strano da partorire durante una simile attività, ma è così. Dopotutto, quello era l’unico essere a tenergli compagnia; discreto, sincero, allegro, sebbene molto ammalato a quei tempi: aveva la pinna caudale quasi totalmente distrutta da un’infezione e della muffetta bianca vicino alle branchie.
Forse quella carne, così succosa e ricca di proteine, lo avrebbe guarito; aveva pensato. Dopo il lavoro, tornò a casa e gliela diede.
Il pesce, tuttavia, morì subito dopo averla mangiata, gettandolo nel più totale sconforto che un uomo senza guai e senza moglie potesse provare. Solo allora, Bill Bosby O’Neil si rese conto di essere davvero un coglione; uno che non la sapeva affatto lunga, che non era un ganzo come si credeva in giro. Uno che aveva fatto crepare d’inquinamento (la carne sciolse parecchio sangue bovino nell’acqua) e d’indigestione una bestiola innocente.
A questo punto, però, la sua vita ebbe una svolta; di quelle che possono trasformare anche uomini mediocri e stupidi come lui in personaggi di storica importanza.
Mentre piangeva davanti alla boccia ormai vuota, infatti (da qualche tempo lo faceva almeno un paio di volte al giorno), emettendo vari mugugni e singhiozzando, vide comparire qualcosa all’interno della stessa.
Qualcosa d’indistinto che in breve divenne una faccia brutta, spelacchiata e con un solo occhio. Poteva certamente trattarsi di un fenomeno strano, e a tratti inspiegabile, ma aveva la sua logica.
Durante il pianto, mugugnando questa serie di lettere: “mmmooh...mgh..ohoom..ghmgh..mmmhoommgh...eahmmmgh...hamgh” aveva inconsapevolmente pronunciato un’efficacissima formula magica che in un dimenticato slang assiro-babilonese stava a significare “si aprano le porte del demone Ardashacu (Bill, affetto da dislessia, nel suo racconto preferisce chiamarlo Xardakus).
Xardakus era un buon demone; un’entità che non disdegnava materializzare soltanto il suo volto all’interno di oggetti sferici (il suo corpo, dopotutto, non aveva quei requisiti di spettacolarità che tali apparizioni richiedono), ma pure oscenità di vario genere, scelte con cura e sarcasmo dai vari mondi e universi visitati. Riguardo alla boccia, va detto che in passato aveva trovato supporti più nobili, naturalmente, come lo specchio dorato di Paracelso, le sfere di cristallo e le ampolle di Cagliostro, ma che neppure si formalizzava certo davanti a problemucci di qest’ordine; ogni cosa all’occorrenza era utile a rifletterlo e ospitarlo.
L’ unico punto a suo sfavore, a voler essere pignoli, era questo:
Xardakus non dava mai le risposte che volevi
Non era come il solito genio servizievole della lampada, pronto a soddisfare i desideri altrui; Xardakus diceva o faceva quello che gli saltava in mente. Per questo era sconsigliabile fargli domande.
A lui, invero, la maggior parte delle volte andava di rendere noto ciò che nessuno avrebbe mai voluto sapere.
Se, per esempio, la tua ragazza ti tradiva, non mancava di svelartelo alla prima occasione.
Se, invece, era il tuo ragazzo a tradirti, diceva agli eventuali presenti che eri un finocchio.
Se, ancora invece, eri una ragazza, innanzitutto si meravigliava tantissimo del fatto che tu potessi leggere qualcosa su di lui (e magari trovarla pure divertente), poi raccontava a tutti del tuo ragazzo finocchio e di come lo tradivi.
Se, infine, non avevi il ragazzo, raccontava delle tue abitudini e attrezzature atte a simularne la presenza.
Era buono, sì, ma pure un gran bastardaccio di demone, il buon vecchio Xardacus.
Bill se ne accorse presto, e dopo aver ricevuto parecchi utili insegnamenti, fuse la sua boccia di plastica e non ne volle più sapere (quei giochetti che faceva ogni tanto coi salami, non erano certo belli da venirsi a sapere).
Nell’ambito dei fenomeni occulti e magici contemporanei, rimane comunque lo scopritore del metodo più rapido ed efficace per evocare un demone; tanto che la sua opera viene menzionata anche sul “grande manuale medianico” di Rosemary Altea.
Pure Pandoro a lettura ultimata ebbe la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di notevole, che andasse perlomeno sperimentato, quindi s’ingegnò a cercare in breve tutto l’occorrente.
Una boccia di vetro trasparente stava nell’atrio del condominio; era quella della lampada posta sopra l’ingresso. La raggiunse quatto quatto; valutando dapprima come salire fin là sopra, poi circospetto si allungò verso l’alto e appoggiando un piede sulla maniglia del portone la prese.
Non era il caso di spendere soldi per qualcosa che stava ancora nel campo delle ipotesi, pensò, infilandosela velocemente sotto il saio.
Non era un gran mago, ma certe cose sapeva benissimo come farle sparire (soprattutto quando si trovava sui vagoni affollati della metropolitana. Anche far credere alla gente che nelle tasche o nelle borsette ci fossero ancora i loro portafogli era illusionismo, del resto).
Barbavuncia si ripulì dal caffè sbrodolato sulla barba, appoggiò la tazzina sul tavolo e si guardò attorno, mentre la contessa parlava del suo libro. Gli arredi, i soprammobili, i quadri dell’ottocento; tutto gli faceva supporre che fosse davvero molto ricca.
-Secondo voi, quale strategia potrebbe adottare un buon poliziotto per incastrarlo?- chiese la donna. Stava cercando di capire in che modo agissero dei professionisti.
Nicola ci pensò sopra un attimo, poi giunse le mani come aveva visto fare al tenente Colombo in alcuni episodi del telefilm. Era un movimento che oltre a simulare concentrazione dava un certo spessore alle risposte.
-Il movente del suo criminale, signora, non è plausibile; neanche nella finzione di un romanzo.- disse. -Nessuno ammazza per dei puffi.-
Plausibile gli sembrava un bel termine, adeguato, efficace.
-C...Crede?!-
-Cazzo, guardi che noi ne abbiamo visti di criminali!- intervenne Barbavuncia. Voleva fare colpo; aveva sempre sperato di conoscere una persona così facoltosa, e risultare abbastanza seducente da scroccarle per un po’ di tempo vitto e alloggio.
Irma Demanagon si pestò una mano sul coscia, innervosita. Non gli andava di revisionare quel capitolo; credeva fosse buono.
-Volete dell’altro caffè?- chiese.
-No, grazie! Magari qualcosa da spizzicare...- disse Barbavuncia, e Nicola gli gettò un’occhiataccia.
-Non abbiamo il tempo di “spizzicare”!-
-Va bene, allora niente... Sarà per un’altra volta, signora.-
-Prima che ve ne andiate, posso leggervi almeno una pagina del mio libro? Quella che riguarda le prove indiziarie dell’investigatore Mason? Così mi dite se almeno queste vi sembrano plausibili...- disse.
-E va bene!- rispose Nicola, quasi sbuffando.
-...”E va bene” un cazzo! Mason è copiato da Perry Mason! Nessuna scrittrice darebbe al suo investigatore quel nome...- commentò Barbavuncia.
-...Senta signora, ...- aggiunse dopo, in toni più pacati -...Trovo che lei abbia dei problemi a scrivere un poliziesco coi controcazzi. Se vuole resto quà io a leggere quella roba, a darle dei consigli di stile; così il mio collega può portarsi avanti con le indagini.-
Gli arrivò un’altra occhiataccia, seguita dal rapido ripensamento che fosse meglio assecondarlo e cogliere in fretta l’occasione di levarselo dai piedi.
-Ottima idea! Intanto io vado alla falegnameria.- disse Nicola, salutando con una timida stretta di mano la Demanagon.
-Bravo, portati avanti... Non puoi sbagliare; ti ho messo sulla strada giusta. Se trovi l’ufo, poi ci mettiamo d’accordo sulle spettanze...-
-Okay Bob!-
-Bob?!! ...E chi cazzo è “Bob”?- chiese Barbavuncia.
-Sei tu. E’ il tuo nome di copertura!-
-Cristo!... E’ vero! Scusami. Me lo ero dimenticato.-
Si rivolse scherzoso alla contessa -...Noi cambiamo sempre identità, per la puttana! A volte neanche mi ricordo dove abito, chi diavolo è mia madre, quale paio di mutande indosso, e via discorrendo... Capisce?!...Una vita difficile, quella del poliziotto!-
Nicola lo guardò con disprezzo e compatimento.
La collaborazione di quel barbone non gli era stata di alcun aiuto.
“mmmooh...mgh..ohoom..ghmgh..mmmhoommgh...eahmmmgh...hamgh”
Pandoro si mise davanti alla boccia e provò un paio di volte a mugolare la formula, ma mancava qualcosa o forse c’è troppa luce, pensò, non vedendo comparire alcun demone.
Prese allora un paio di candele e le mise sul tavolo, illuminando la stanza soltanto con quelle, poi ripeté daccapo; lentamente e con maggiore entusiasmo.
Il volto di Ardashacu comparve. Senza ghirigori o scintille. Immoto e dotato del suo unico occhio.
-AAAAAAARRRRGH!!!....Santo Iddio! Sacrilegio! Che diavolo ho combinato?!!!- gridò Pandoro, atterrito.
Non si aspettava che funzionasse davvero. Sotto un aspetto puramente romantico e subcosciente, magari, ma non nella realtà.
Ardashacu sbatté un paio di volte la palpebra, perplesso, facendo roteare bene l’occhio per studiare l’ambiente circostante.
-Sicuramente non é cristallo di Boemia, o la sfera di qualche mago importante.- pensò.
Intanto Pandoro prese un pugno del suo zucchero a velo e lo gettò sul tavolo. Se aveva funzionato la formula, e quello era davvero un demone, andava esorcizzato.
-Cosa stai facendo?- chiese con una strana voce vibrante, Ardashacu.
Il suo evocatore aveva sì, l’aria dell’ occultista, ma anche quella del perfetto imbecille.
-SACRILEGIO!- insistette Pandoro, gettando altro zucchero a velo.
-...E va bene, vaffanculo! Vuoi che scompaia per sempre?- chiese Ardashacu, deciso.
-No! No!... Aspetta!!!- Gridò Pandoro, ora spaventato dalla possibilità che l’unica vera magia della sua vita potesse finire.
-Tu sei Xardacus, vero?- chiese.
Allora per te sarò Xardakus.- rispose il demone, poi materializzò al posto della sua faccia un culo di scimmia.
-Oppure sarò questo!-
-Posso farti delle domande?- chiese ancora Pandoro.
-Basta che non siano inutili come questa!...- Il culo sparì dietro a una miriade di cazzettini colorati e saltellanti. -...Posso informarti soltanto riguardo al passato e al presente; il futuro è incerto.- proseguì Xardakus.
-Quindi non pensare di chiedermi la schedina vincente o altre banalità di questo genere...-
Pandoro si grattò il capo; non gli parevano granché i poteri del demone.
-Pensi solo al tuo passato e presente! Per questo mi sottovaluti. Se invece t’interrogassi anche su quello degli altri, capiresti che potendo conoscerlo avresti dei vantaggi enormi su di loro.- commentò Xardacus, rispondendo in tempo reale ai suoi pensieri.
Pandoro ne fu sbalordito, e in effetti non ci aveva pensato a questa eventualità.
-Vuoi dire che posso spiare le vite altrui?- chiese.
A rispondergli fu qualcosa che assomigliava ad una pustola verde sul testicolo di qualche animale preistorico.
-Si! Puoi vedere cosa sta facendo un tizio qualsiasi, o qualcuno fra i tuoi conoscenti...- disse, sprizzando un po’ di pus. -...Se io ne ho voglia, chiaramente!-
Pandoro distolse per un attimo lo sguardo dalla sfera. Era schifato, ma voleva assecondare la disgustosa follia del demone, mostrandosi indifferente ai suoi giochetti ed evitando qualsiasi commento che avrebbe potuto infastidirlo.
Aveva in qualche modo bisogno di trarre profitto da quell’esperienza.
-Puoi mostrarmi la persona giusta?- chiese.
Xardakus ritornò al suo posto, serio.
-Buona domanda. La persona giusta al momento giusto! Capisco cosa vuoi dire; tutti sperano d’incontrarla, prima o poi...-
Chiuse l’occhio per migliorare la concentrazione delle sue facoltà ubicue.
-...Nel tuo caso è qualcuno che hai già conosciuto: un bel pollo da spennare!...-
Dentro la sfera apparve l’investigatore in cammino verso la falegnameria del Bargelli.
-Si, lo conosco. E’uno che mi deve dei soldi; un certo Nicola Patella.- disse Pandoro. Scettico all’idea che si potesse cavare qualcosa ad un reietto simile.
-E’ sulle tracce di un oggetto assai prezioso, che si crede provenga dallo spazio...- proseguì Xardakus con un mezzo ghigno. Poi gli mostrò altre scene di quello che stava accadendo.
Pandoro vide il Bargelli afferrare la spalla del figlio e strattonarlo.
-Guarda che danno! Guarda, vacca zozza! Guarda!!...-
Il ragazzo si avvicinò, impassibile. Aveva tagliato il profilo di un asse, ondulato anziché dritto.
-Spegni, vacca zozza! Lo vuoi sapere quanto mi costa quel pannello? Lo vuoi sapere?-
Il ragazzo lo fissò senza rispondere.
-Lo vuoi sapere, vacca zozza?!-
-Okay, dimmelo.-
-Trentacinque euro, mi costa... e ora lo devo buttare! Lo devo buttare!-
Il ragazzo spense con calma il macchinario. Non dava segni di sconforto.
-A te non frega niente qui, vero? Vero, vacca zozza?... Sopra il lavoro di tuo padre ci butti merda, vero? - imprecò l’uomo.
Il ragazzo annuì debolmente. Sembrava più che altro stufo e intontito dai vari rumori attorno.
-Cosa vuoi che faccia, adesso?- chiese a suo padre.
Gli arrivò furiosa la risposta.
-Levati dai coglioni, vacca zozza! Torna dalla mammina... Aiutala a passare la cera, vacca zozza!-
Il ragazzo si accese una sigaretta e si trascinò via lentamente, senza rispondere. Nicola se lo vide passare accanto, ancor meno sconfortato di prima.
-Quella è la falegnameria del signor Bargelli?- chiese.
Un portellone gli aveva permesso d’intravedere il lavoro all’interno.
-Sì: un vero stronzo! Faccia attenzione.- rispose il ragazzo, tornando sui suoi passi.
Nicola tirò fuori una piccola macchina fotografica e scattò la prima istantanea.
Il Bargelli sbirciando se ne accorse e uscì veloce.
-Cosa sta fotografando, lei?- gridò minaccioso.
-Polizia!.. Stia calmo. Facciamo rilevamenti sull’area dell’avvistamento.- rispose Nicola, scattando un’altra foto.
Stava progressivamente riacquistando quel tono deciso e autoritario che aveva in servizio.
-Rilevamenti di che genere?! Ho già spiegato alla stampa come sono andate veramente le cose...-
-Dica pure a me; sono fresco d’incarico.-
-Per quale distretto lavora, innanzitutto?-
-Non sono tenuto a darle spiegazioni, l’indagine è top secret.- rispose Nicola.
-Come può tener segreto qualcosa che dimostra di non conoscere?-
Nicola si tolse gli occhiali e ci diede una pulitina con la maglia, per prendere tempo.
-Non siamo a conoscenza di alcuni fatti, ma del velivolo alieno sappiamo tutto!- disse.
All’improvviso il volto di Xardakus prese il posto della scena, interrompendola.
-Che tu ci creda o no...- disse, -...questa è la persona giusta!- poi scomparve, teletrasportando Pandoro da quelle parti.
-Veivolo alieno?!!...- Il Bargelli si mise a ridere. -Venga con me, vacca zozza!- aggiunse, conducendolo vicino a una piccola baracca di legno dietro alla segheria.
Conteneva un modellino di aliante semidistrutto, con buona parte dell’ala destra e della coda bruciate. Nicola realizzò in un attimo; scosso, quasi come da un piccolo attacco apoplettico.
-L’ha costruito mio figlio, imitando il telaio di alcuni giocattoli che stiamo realizzando per un cliente: sembra che l’apparecchiatura inserita nella cabina di pilotaggio abbia preso fuoco, sotto l’effetto del calore. La mammoletta infatti ha recuperato i componenti del radiocomando da una discarica! Figuriamoci che bell’impianto ne è venuto fuori.
Le ali, poi, mi sembrano pure un po’storte...- ripensò al pannello -...Vacca zozza!-
-Quindi?- commentò Nicola.
-Precipitava descrivendo piccoli cerchi nell’aria e con un’angolazione tale da riflettere il sole a intervalli regolari, in modo che la luce sembrasse lampeggiare, vista da lontano. Uno spettacolo sicuramente insolito, ma perfettamente naturale. Se poi a tutto questo aggiungiamo il fatto che l’oggetto era infuocato, ci rendiamo conto del perché molte persone abbiano avuto la sensazione che fosse un meteorite o qualcosa di proveniente dallo spazio...-
Un cespuglio si mosse a poca distanza dalla baracca, attirando subito la loro attenzione.
-Suo figlio è maggiorenne?- chiese Pandoro, uscendone.
Nicola nel riconoscerlo ebbe un altro discreto attacco apoplettico che lo irrigidì e scosse con un fremito.
-Sono il testimone... Lei non può permettere a un minorenne in sua custodia di costruire alianti irregolari.-
-Il testimone di che?!! Vacca zozza! Di cosa sta parlando?-
-Ho seguito tutta la discussione, e credo che il misfatto andrebbe denunciato...- proseguì Pandoro, rivolgendosi all’investigatore. -...Quell’affare, spinto dal vento poteva cadere nel bel mezzo dell’autostrada, che dista poche centinaia di metri da qui, e creare un disastro.-
-Adesso la sporgo.- rispose Nicola, un po’ confuso. Gli sembrava di avere le traveggole, o di trovarsi in qualche stupido sogno, pur sentendosi realmente deluso dal risultato delle indagini.
-Vuole pagarla in posta o direttamente a noi, la multa?- chiese Pandoro.
-Cheeeeeee?- urlò il Bargelli. -Se non ve ne andate immediatamente, sarò io a denunciarvi, maledetti cretini! Non ho mica tempo da perdere...-
Il “Trippa”, un suo dipendente alto quasi due metri e sopra il quintale, sentendolo gridare uscì dalla falegnameria.
Reggeva un tronco abbastanza largo e lungo, e aveva il gigantesco torace sporco di segatura.
-Ha bisogno di aiuto capo?-
-Si: levami dai coglioni ‘sti due pirla.-
-Sacrilegio!!!...- disse Pandoro alzando le braccia e mettendosi in fuga, e Nicola lo seguì..
Il movente del serial killer ora, dopo le correzioni apportate al romanzo da Barbavuncia, era decisamente più realistico.
Uccideva perché, soffrendo d’incontinenza, spesso si cagava addosso e tutti lo prendevano in giro. La gente, quella stupida gente che almeno una volta nella vita aveva provato questa brutta sensazione, e non aveva capito quanto fosse terribile; sudare freddo, non trovare un bagno nelle vicinanze, sentire quei dolori atroci allo stomaco, respirare e camminare più lentamente per evitare sforzi e contrazioni, entrare in un bar e chiedere , sentendosi obbligati ad ordinare almeno un caffè, scendere in fretta dall’autobus, tastarsi continuamente il sedere per verificare l’umidità e l’estensione della macchia, ecc... Era quanto bastava per indurlo a rapire le sue vittime, legarle ad una sedia, e costringerle ad ingurgitare delle bevande ghiacciate; puntandogli un ventilatore sullo stomaco e stando lì a fissarle, finché non si smerdavano.
-Intanto le riprende con una videocamera e si masturba. Che ne dici?- chiese la contessa.
Barbavuncia annuì con vigore.
-Mi sembra un’ottima idea...- disse. -...Dobbiamo insistere su questi aspetti sessuali della faccenda, perché, vede, cazzo, alla gente piacciono queste porcherie morbose.-
-Dammi pure del tu,caro.-
Era un “caro” assai malizioso ed invitante; abbastanza da meritare un principio di erezione.
-Credi che dovremmo fargli avere pure qualche rapporto completo all’assassino?- insistette la donna.
-Sì. Molto violento... Non sò se mi spiego, cazzo: certe cose sono difficili da descrivere per chi non le ha provate...-
-Tu le hai provate?-
-Ho provato di tutto. Emozioni vere... che mi hanno arricchito dentro...- trattenne una scoreggia, per caricare il discorso di altri significati.
-...Ho avuto addirittura una relazione con una super trombona ninfomane che ti somigliava come una bottiglia d’acqua...-
-E ti piaceva?- chiese la Demanagon, slacciandosi piano la camiciona.
-Per la puttana se mi piaceva!... Me la smammellavo di continuo.- rispose Barbavuncia, al culmine dell’arrapamento. La sua strategia dialettica, per quanto rozza, stava sortendo l’effetto desiderato.
-Se il tuo collega torna con le prove del disco volante, che facciamo?-
-Lo lasciamo fuori ad aspettare...- fissò sbalordito gli enormi seni della contessa esplodere fuori dal reggiseno. -...Ho per le mani cose più concrete degli alieni, adesso.-
Il caso di cui si era occupato Nicola, in effetti, si era dimostrato alquanto inconsistente; il prodotto di un’ingenua interpretazione di un frammento di giornale.
-Quel tipo andrebbe davvero denunciato...- riprese Pandoro.
Si erano allontanati dalla falegnameria, abbastanza da rallentare il passo.
-Forse la discussione avrebbe preso una piega diversa, senza quell’assurda richiesta di denaro.- commentò Nicola.
-Ho cercato di aiutarla... Volevo essere la persona giusta al momento giusto, capisce?-
-No, per niente! Neanche capisco cosa ci facesse dietro a quel cespuglio.- Si grattò il pizzetto, innervosito.
-E’ una storia un po’ complessa... Presuppone che lei creda nella magia.- rispose Pandoro.
-Allora non me la racconti; al momento non sono disponibile.- Si mise le mani in tasca e proseguì a camminare.
-Ora dove andiamo?- chiese Pandoro.
-Io vado per la mia strada.-
-...Ci siamo divertiti quella volta!...-
-Quale volta?-
-Quando abbiamo scoperto che suo fratello si mascherava per farla lavorare...- rispose Pandoro, tentando di stabilire un legame.
-...A proposito: come sta il ragazzo? Si è ripreso da tutte le botte che gli abbiamo dato? E suo zio?-
-Senta, non ho voglia di parlarne, non mi sono divertito affatto in quella occasione. Forse lei sta sbagliando strada.-
-Quell’altro matto, invece, ...“ Elettro”! Come se la passa? Ha lavorato ancora per lei?- insistette Pandoro.
-No, e neppure ci tengo a parlarne, se lei riesce ad avere l’intelligenza di capirlo.-
-Come vuole. Chiederò di loro a Xardakus, magari. Lui può farmeli vedere...-
-Chieda a chi le pare! Basta che la finiamo qui.-
-Mi spiace che abbia seguito una pista falsa.- proseguì Pandoro. -Capita! Non è il caso di prendersela, comunque; ci sono altre buone prospettive di guadagno...-
Nicola accelerò il passo.
-...Se non ci sono riusciti gli ufo, infatti, potrebbe essere Xardakus a farci guadagnare molti soldi...-
-Se li tenga pure tutti.- gridò Nicola.
-E’ stato lui a farmi comparire dietro a quel cespuglio... Voleva che c’incontrassimo di nuovo.- lo inseguì Pandoro.
Una sporca indagine (2006)
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