lunedì 7 dicembre 2015

Il giorno dei nematodi


Le strade e gli scheletri in acciaio dei palazzi. Non c’era altro. L’unica costruzione rimasta integra era una piccola struttura alta un piano e a forma di elle, sugli ottanta o cento metri quadrati, affiancata alla tettoia di una stazione di servizio.
Per trovarla aveva camminato parecchio, sotto un afoso e innaturale cielo plumbeo.
Era certo che fosse lì la risposta, al suo interno, se solo fosse riuscito a trovare un modo per entrarci; dal momento che resistenti saracinesche abbassate e porte metalliche promettevano di rendere la cosa assai difficile.
Poi, forse, sarebbe arrivata anche l’oscurità e con essa gli unici che mancavano all’appello in quella specie di scenario apocalittico: i mostri.
Per cui, forse, sempre forse, visto che su tutto regnavano dubbio e inquietudine, quel luogo avrebbe potuto funzionare anche come riparo.
Ci girò attorno, quindi, alla ricerca di un tubo o pezzo di metallo con cui potesse far leva o scassinare le sue barriere. Tuttavia, a parte l’altrettanto indistruttibile guardrail dell’autostrada che aveva percorso, c’erano solo erbacce. Erbacce nere e rigide, che al primo tocco si sbriciolavano come finissimi frammenti di vetro.
Frustrato e stanco, tornò per un attimo a guardare la linea dell’orizzonte. L’intelaiatura tetra e carbonizzata degli edifici che la definiva, le nuvole basse e cariche di particelle radioattive.
Potevano esser quelle la causa della sua cefalea? Pensò. 

Poi si accanì di nuovo e con selvaggia determinazione sull’ultimo pezzo di lamiera dello spartitraffico, proprio davanti alla stazione; prendendolo a calci, tirandone i bordi con tutte le sue forze.
Qualche secondo di quella quasi autolesionistica esplosione e constatò che era soltanto riuscito a deformarlo, ferirsi una mano, senz’alcuna possibilità di spezzare o separare alcunché dai paletti che uscivano dall’asfalto.




“Dannazione!” disse, allora, e si sedette appoggiando la schiena al muretto che divideva in due l’autostrada.


Com’era arrivato da quelle parti restava un mistero, qualcosa di cui non riusciva a capacitarsi.
Ricordava solo di essersi trovato con un amico, la sera prima, a discutere di un romanzo horror. Una di quelle cose con zombie e scienziati pazzi che creano virus per salvare il mondo dal sovrappopolamento ed esaurimento delle sue risorse.
“Guarda che non è poi così originale, Maurizio!...” gli aveva detto a riguardo, mentre sorseggiavano birra all’interno di un pub.
“Mi spiace dirtelo, perché so che ci hai messo molto a scriverlo, ma…”
“Ah! Non è originale, dici?” lo aveva interrotto questi.
“Sì, insomma, specie l’idea del virus…”
“Virus? Quale virus?!!” lo rimproverò Maurizio, estraendo una fialetta dal taschino interno del giubbotto. “Nel mio romanzo si parla di questo.”
Riccardo osservò l’oggetto; un tubicino lungo cinque o sei centimetri e contenente un liquido rosa pallido.
“Sai cosa sono i nematodi?” prosegui poi Maurizio, mostrando in controluce la fiala.
“Hmmm… No.”
“Dai un’occhiata tu stesso, allora!” disse, consegnandogliela.
A una prima, veloce analisi, Riccardo non riuscì a notare nulla di strano; poi, però, esponendola anch’egli alla luce, vide il filamento.
È un pelo, un capello?” chiese, prima di accorgersi che con molta lentezza quella cosa al suo interno si stava muovendo.
È molto sottile e chiaro per effetto del liquido.” Rispose Maurizio. “Comunque, quello è un verme parassita. Tale Paragordius varius. Predilige grilli e cavallette…”
“Bella porcheria!” Commentò Riccardo, più che sorpreso da quell’uscita.
“Normalmente i grilli vivono nei boschi, nelle foreste, nei campi ma non vicino ai corsi d’acqua. Quando vengono infestati dai nematoformi, mossi da una forza che non riescono a reprimere, accecati, guidati una misteriosa proteina che aggredisce le loro sinapsi neuronali, questi insetti si gettano in acqua, e affogano.” Prese a spiegare. “A questo punto, il grillo sembra morto e rimane sdraiato sul dorso, amorfo, con le zampette bloccate mentre un lungo verme gli perfora l’addome ed esce strisciando verso l’acqua che gli è necessaria per vivere e continuare a realizzare la propria vitalità. Il verme può arrivare a misurare dai dieci ai settanta centimetri di lunghezza; tuttavia, questo è soltanto al primo stadio del suo sviluppo e anche modificato geneticamente. 
È stato immerso in un enzima che gli fa secernere un alcaloide molto forte; vale a dire, quella che per l’uomo è una neurotossina dagli effetti incredibilmente allucinogeni.”
“E come te la sei procurata ‘sta roba?”
“A produrlo e venderlo in rete, tramite portali e chiavi d’accesso segrete accessibili solo a determinati gruppi hackers, è un certo Goodchild; sedicente chimico di alto livello e fanatico emulatore di personaggio di una serie televisiva degli anni settanta.”
“Hmmm… Ottimo substrato.” Commentò Riccardo. “Ma funziona veramente?”
“Certo! E con effetti strabilianti, mai visti, neanche attraverso sostanze potenti come Lsd. Questo campione arriva dal laboratorio di un’amica biologa, impegnata proprio in un dottorato sulla creazione e diffusione di queste nuove sostanze psicotrope.”
“Nel tuo romanzo, però, vengono descritti atti di cannibalismo non dei trip.”
Maurizio sorrise.
“Somministrati in un certo modo, infatti, siero e vermicello possono portare a uno stato di follia omicida assoluto. Non è originale, quindi, ma reale ciò di cui scrivo! Basato su qualcosa che ha un fondamento scientifico, più di qualsiasi altra speculazione tu abbia mai trovato in altre storie di zombi.”
“Bello show!...” disse Riccardo. “Clap! Clap!... Per la trovata della fiala e tutto il resto. Ma non me la bevo, e continuo a trovare il tutto poco originale. Soprattutto perché buona parte di queste informazioni non sono presenti nella storia e me ne stai parlando soltanto ora. Nel romanzo, infatti, il comportamento offensivo e cannibale dei "nonpiùumani" viene spiegato limitandosi all’attività parassita e ai secreti dei vermicelli. Ed è inverosimile, come ben saprai, vista l'enorme differenza di neuroni da gestire rispetto a grilli e cavallette.”
Maurizio si riprese il suo effetto speciale e sbatté una mano sul tavolo.




“Ah! Che pedanteria!” disse. “Perché soffermarsi su questo, mio caro, grigio e burocrate cavillatore e non osservare quanto è denso e chiaro nei suoi significati il messaggio di fondo, invece?”
“Cavillatore?! Ehm!... Già! Scusa. Lo sai che sono un nichilista.”
“Proprio! Comunque faccio lo stesso tesoro dei tuoi consigli per la prossima edizione, magari, visto che ho già in mente un seguito…”
“Un seguito?!! Ma se hai fatto sterminare tutto il genere umano!”
“Un’inezia. Ahahahahah!!!... Leggerai! Anzi, vedrai!”
“Tu sei pazzo.”
“A proposito…” continuò Maurizio. “Volevo anche chiederti, vista la tua abilità di grafico e illustratore, se puoi realizzarmi anzitempo la copertina. Mi servirebbe l’immagine di un nematomorfo…”
“Nematoche?!!”
“ Il nematomorfo è…”
“Okay, okay! Vediamo cosa posso fare.” Aveva cercato di stoppare Riccardo. Poi si era alzato con provvidenziale esigenza di urinare.



Ecco!...” pensò. “Può averlo fatto mentre stavo in bagno.”
Era questa l’idea che si faceva strada nella sua mente, via via che la febbre gli cuoceva il cervello. Sì, perché, nel frattempo, la temperatura del suo corpo si era alzata considerevolmente, aiutata anche da quella misteriosa calura senza sole.
“Ha versato quella porcheria nel resto della mia birra…”
Poi meditò sul fatto che, se davvero Maurizio aveva compiuto un’idiozia del genere, dal momento dell’ingestione erano passate diverse ore; ore nelle quali si era dedicato a diverse attività e senza alcun problema. E, di solito, come gli avevano insegnato alcune sue passate esperienze, gli allucinogeni, quelli veri, avevano una tempistica di reazione e assorbimento corporeo ben diversi da quello che era il suo stato attuale.
“Non può essere un’illusione! No.” borbottò.
Ne era più che convinto.
Si rialzò e picchiò pure un piede a terra, isterico, diverse volte, per assicurarsi della solidità del suolo.
Quella mattina, tuttavia, anziché nel letto, si era risvegliato sul marciapiede di una città che non era la sua. Un luogo riarso e completamente privo di vita.



Soltanto grazie al rumoroso e improvviso azionamento di un motorino evitò di suicidarsi. Ormai la pelle aveva cominciato a sfrigolare e squarciarsi in più punti. Poteva vedere falangi, falangine e falangette delle sue dita con i fasci tendinei e cartilagini che le tenevano unite. Da un buco sul palmo della mano sinistra, poi, venivano fuori le larve del Paragordius Varius, molto più in carne di quella osservata in vitro.
Ne sfilò un paio, così, per curiosità, costatando con orrore che erano proprio lunghe sui settanta centimetri e simili a spaghetti verdi e ben cotti.
“Arrivano i mostri!” disse.
Soltanto che il mostro era lui.
Poi alzò lo sguardo, in direzione della serranda che si era appena alzata.
Sulla porta c’era un uomo alto e robusto, con jeans, giubbino in pelle e un bel cappellino da baseball. Portava pure degli occhiali da sole molto grandi.
Si tirò un paio di pugni sulla fronte, strizzando bene gli occhi prima di riaprirli. Era proprio Maurizio.
“Vieni!” disse quest’ultimo. “Qui dentro c’è un bel freschetto!”
Riccardo arrancò, quindi, grattandosi via della polpa che gli stava fuoriuscendo da un taglio sul collo. Della roba con grasso e fibre brulicanti di nematodi, che fece proprio un disgustoso “Splatt!” cascando a terra.
“Hai ragione!” gridò, a mo di avvertimento. “Viene anche una gran fame…”
L’altro era già sparito all’interno, tuttavia, dove si era accomodato su una sedia di metallo; mani intrecciate dietro la nuca e piedi sul tavolo.



Entrando e vedendolo sorridere compiaciuto capì che già stava per attaccare con uno dei suoi sermoni pulp-post apocalittici.
Diede anche un’occhiata all’ambiente, che era buio, zozzo e spoglio, con l’intonaco tutto muffito e mancante in più punti. A terra c’erano cartacce e scarafaggi morti, alcuni grandi e freschi abbastanza da emanare ancora il fetore della decomposizione.
Una maggiorata dai capelli e il pube rossi come il fuoco, poi, sembrava lo stesse osservando con profondo disgusto da un calendario appeso vicino alla scrivania.
“Bella topona, eh?!” disse Maurizio, voltandosi appena per indicarla. “Come la nostra madre Terra, prima del… Verme. Ma non mi dispero, caro il mio Rick, qualunque scempio possa concepire il folle uomo tecnologico globale Lei saprà sempre andare avanti e autoregolarsi, scrollandoci di dosso dalla sua pelle come una malattia scabbiosa. Lo farà con i suoi tempi, ma lo farà: alla fine la tartaruga batte sempre Achille dal piè veloce.”
“Consoliamoci, allora, indipendentemente da un eventuale risveglio delle coscienze!” ringhiò Riccardo. “Ora, però, mi auguro tu abbia anche un antidoto alla porcheria che mi hai somministrato.”
“Il messaggio di fondo del dominio dei nematomorfi, quello che ho voluto trasmettere nel mio romanzo, è proprio questo; cioè che tutto ritornerà alle origini, i nematodi sono figli di madre Entropia che si riprende lentamente il suo cosmo…” riprese Maurizio, noncurante.
“Guarda che non me ne frega un cazzo! Comincio ad averne le palle piene delle tue stronzate.”
“Quello che mi atterrisce nel processo che coinvolge il nematode e la sua preda è il fatto che ciò che vuole il nematomorfo è voluto tanto quanto ciò che subisce il grillo. Il grillo è convinto di seguire un istinto sano nel buttarsi in acqua e non sa che qualcuno lo sta manipolando a seguirlo.
Questo mi porta a pensare che non è l’uomo a contrapporsi alla natura, che il disboscare, l’inquinare con i pesticidi, l’estinguere specie animali segue un terribile programma della stessa natura che ha programmato l’uomo affinché producesse la cultura che l’ha snaturato.
Questo è stato il terribile pensiero che mi ha accompagnato mentre mi appassionavo e mi divertivo a comporre l’opera: e se tutti i disastri ambientali fossero architettati dietro le quinte dalla stessa natura?”
“Vaffanculo!” gridò Riccardo, tirando un calcio al tavolo.
Aveva urlato con tanta forza che le tonsille gli erano esplose ed erano pure state espulse assieme a un paio di denti.
Maurizio, invece, si era capottato e schiacciato l’addome e le gambe con le assi del tavolo, finendo faccia a terra.
“…L'aggressione dei nematodi rappresenta lo scatenarsi del caos e dell'imprevedibile; la gente oggi come sempre tende a dare le cose per scontate e VIVE SENZA PENSARE.” disse, sputacchiando i resti di uno scarafaggio su cui aveva sbattuto le labbra. “Poi succede qualcosa, i nematodi, che le costringe a pensare. Questo sono i parassiti: tutto ciò che non possiamo capire e controllare, non solo in ciò che ci circonda ma anche e sopratutto nel mondo dentro di noi, dietro gli scudi protettivi che usiamo per sopravvivere e che ci isolano dagli altri.”
Finì il suo discorso con calma, steso sul pavimento, poi si levò di dosso il tavolo e piano piano si rialzò. Questa volta, però, era ancora più alto. Troppo.




E il giubbotto di pelle nera aveva preso vita, un po’ come quella cosa che si avviticchia al corpo di Venom, il nemico dell’uomo ragno.
Colava, o meglio, si aggrappava e strisciava sul resto del suo corpo, incatramandolo di un icore lucido, scuro e peloso. 
Anche la sua testa si era allungata e gonfiata attorno alle orbite. In modo da permettere lo sviluppo di due grossi e liquidi occhi rossi. Occhi che poi parvero solidificarsi e ricoprirsi di mille sfaccettature esagonali.
“Mostri, pandemie, cataclismi, nuovi o vecchi dei che importa?” domandò la creatura, a cui stavano spuntando qua e là varie zampe e strumenti di tortura, alcuni dei quali abbondantemente uncinati e ricchi di lingue e tentacoli urticanti. “la divinità, trascendente quanto panteistica, mistica quanto immanente, punisce le colpe del genere umano a un certo punto… Sempre.”
“Amen!” gridò ancora Riccardo, e gli saltò addosso.
Puntando lì, dove avrebbe dovuto esserci la giugulare.




AAAAAAAAAARRRRRRRRGH!!!...



Cloropromazina e un pizzico di Wolbachia! Sì, c’è l’antidoto, amico mio.” disse Maurizio.
Riccardo si era appena svegliato con l’amico che gli sorrideva davanti.
“Tranquillo! Per evitare guai ti ho portato a casa mia mentre eri in piena crisi e, fra qualche minuto, tornerai completamente alla normalità.”
Indicò la siringa e la boccetta con il siero appoggiate sul comodino, usate una mezzora prima.
“ Anche se, da come mi stai fissando, ho quasi l’impressione di essere una cosa ancora abbastanza orribile per i tuoi sensi alterati. Ahahahah!!!...”
“Maledetto!...” bisbigliò Riccardo, madido di sudore, debole.
“Magari mi vedi come una gigantesca forma larvale o insettoide; tipo la mosca del film di Cronenberg, ce l’hai presente? Oppure i nonpiùumani del mio romanzo…”
“Maledetto! Questo è proprio il genere di cose che non posso perdonare.” Si sforzò Riccardo.
“Come? Non ho capito, Rick, perdonami, ma per ora fai fatica pure ad articolare bene le parole. Comunque, tornando alla mia idea della copertina…” riprese a spiegare Maurizio, “So che puoi sentirmi e che sei l’unico a poterla realizzare come si deve; soprattutto ora, dopo questa poderosa esperienza e visione d’assieme che ho voluto offrirti. L’illustrazione, quella con il nematomorfo, per intenderci…: Tieni conto che il nematomorfo è l'esatto contrario di uno zombie.
Lo zombio è tutto estrovertito, perde pezzi maciullati, sporca in giro, azzanna, fa un gran casino e sinistri rumori. Il nematomorfo, invece, è introvertito: come i bacelloni degli ultracorpi ma con fattezza umane, sguardo gelido da amministratore di una multinazionale di armi o di petrolio, con un filo di vermiciattoli che pendono dalle narici o dai padiglioni auricolari o da altri orifizi... Ahahahahahah!!!... Ci siamo capiti, no?! Eccoti, allora, altre mie impressioni libere sui nematomorfi, per suggerire e non per indicare come dovrai disegnarlo, ovviamente.”
Gli diede una pacca sulla spalla.
“Abbi gioia caro amico!”disse.
Poi si strofinò velocemente le mani, davanti alla bocca, prima di tirar fuori una cartelletta con tanti fogli fitti d’informazioni e idee da sviluppare nel prossimo libro.





-FINE-





Dedicato al mio amico e caro Lettore 
"il Moscone"
In un certo senso, si può dire che lo abbiamo scritto assieme...


"il giorno dei nematodi" Racconto e illustrazioni di Fabio Cavagliano. 

il Dr. Goodchild

Altre storie di nonpiùumani, ragazzi?!...:


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n.d.r. l'immagine iniziale è stata presa dal web e poi rielaborata con l'aggiunta di una mia foto.

4 commenti:

  1. Ah Ricky, sono il Mauri, dimenticavo...
    Ieri sono andato a vedere Heart of the sea, e ho capito che cosa significa l'aggressione del capodoglio agli uomini avidi di profitto e distruzione.
    L'uomo, predatore apparentemente senza predatori rivali alla sua altezza, dimentica di avere in realtà un predatore tra i più feroci ed efficienti: sè stesso.
    Nella frenesia di demolire, massacrare, depredare, uccidere, saccheggiare, devastare, discriminare, vandalizzare e annientare, nella sua ostinazione a inventarsi qualsiasi mezzo per distruggere il pianeta senza il quale non potrebbe vivere, l'homo sapiens(?) prova che la predazione è la sua legge, la sua unica legge. Homo rapax semmai.
    La natura usa la nostra stessa natura per toglierci dalla sua epidermide come se fossimo dei fastidiosi parassiti, perchè siamo una malattia e ci rivolterà come un guanto, inesorabile.

    La natura non è nè buona nè cattiva. Essa è.
    Tanti miei amici ecologisti sbagliano pensando che sia animata da forze benefiche, come sbagliano altri "metafisici" o "scienziati" nel pensare che sia animata da forze malefiche.
    Essa è.
    Il Martin Pescatore è.
    Il Capodoglio è.
    Fanno davvero ridere quelle antropomorfizzazioni New Age che sostengono che la natura sia in grado di vendicarsi delle offese subite.
    Noi non siamo nella natura per soggiogarla, come sostiene la follia millenaria del Genesi dell'Antico Testamento; noi siamo la natura e in natura i predatori che esagerano a predare il loro ambiente s'estinguono.
    Ci sono centinaia di prove a sostegno di questo fatto.
    C'è solo una speranza per noi: rifiutarci di essere degli animali predatori.
    E' un equilibrio difficile: accettare la nostra natura di mammiferi escludendo la possibilità di infliggere sofferenza a un altro essere vivente.
    Per far questo bisogna aumentare la propria presenza nel mondo e smettere di vivere, nel mondo, fuori dal mondo.
    Solo in questo modo, con coraggio ed essenziale presenza, possiamo comprendere l'Anima del Mondo. Per questo piedi, gambe e cuore vengono prima, ma molto prima, della testa, che sa solo dividerci dall'Anima del Cosmo.

    La tua strepitosa ironia, caro amico Rick...Fabio, mi salva dal diventare un predatore...ahahahhahahhah!
    Lunga vita al Weird, che il Weird ci benedica!

    Abbi gioia

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    1. E’ l’anima del discorso. L’idea del racconto, infatti, viene proprio da un tuo scritto sui nativi americani e nostro scambio di opinioni a riguardo, che qui vengono brevemente riproposte in chiave tragicomica. Naturalmente, mi allettava anche il contesto horror & non morti in cui inserire il tutto; scenario che le tue fantasie e informazioni sui vermicelli hanno stimolato a riprodurre anche graficamente. Certo, pure qui ho voluto riservati una parte ignobile, grottesca, ma comunque possente; un ammirato omaggio a quel tuo Demone, mostruosa passione per la scrittura e capacità di coinvolgere in certe tematiche.

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  2. Ottimo racconto! Ambientanzioni allettanti e ben descritte, cura nei dettagli mai monotoni nè troppo lunghi. Molto originale, complimenti!

    Riccardo

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    1. Visto?!... Per rimandare al personaggio principale di "The walking dead" ti ho pure scippato il nome. Grazie del passaggio.

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