Ai tempi, mio padre
aveva quattordici anni.
Viveva in un quartiere
di Palermo che, eccezion fatta per un paio di palazzi, era immerso nella
campagna. Si chiamava Cruillas ed ora, come il resto della città, è un mostro
di cemento, asfalto, spazzatura e degrado.
Tempi diversi, diversi
passatempi. Papà era un tipo tranquillo – e lo è tutt’ora – ed era solito
prendersi i suoi momenti di solitudine, lontano dalle due sorelle, in camera
sua a leggere un buon libro.
In estate – o in
primavera, quando l’aria era perfetta e il cielo terso – papà optava, invece
che per la sua stanza, per l’ampio balcone che dava sulla verdeggiante vastità
che circondava l’edificio in cui viveva.
Di tanto in tanto
interrompeva la lettura del libro per concedersi infiniti viaggi mentali
osservando l’orizzonte e la natura, da sempre ispiratrice.
Una sera estiva,
subito dopo cena, mio padre si piazzò sulla poltrona a leggere un vecchio
numero di Cortomaltese mentre, dentro casa, mia nonna puliva
le stoviglie aiutata dalle mie zie e mio nonno già sonnecchiava, stanco dopo
un’interminabile giornata lavorativa.
Fu intorno alle otto e
trenta che qualcosa catturò l’attenzione di mio padre.
Nella chiara serata estiva,
una luce improvvisa lampeggiò alta nel cielo. Il fumetto fu messo da parte e
papà si alzò dalla poltrona, raggiungendo il parapetto del balcone, gli occhi
puntati all’insù.
Le luci erano due.
Due punti, visibili
come fossero due stelle ma molto più luminose, si stagliavano nella volta
celeste e, dopo pochi istanti, cominciarono a roteare, l’una attorno all’altra,
in movimenti rapidi e apparentemente privi di significato.
Quando il movimento
finì, un solo punto fu visibile. Poco più grosso degli altri due – la logica
suggeriva che i primi si fossero uniti per formare questo nuovo punto – e più
luminoso. Stette immobile, a risplendere, per una manciata di secondi.
Mio padre non riuscì a
richiamare l’attenzione di nessuno, troppo preso da ciò cui stava assistendo.
Si tenne ben saldo
alla ringhiera quando il punto si mosse, rapidissimo, e sparì dietro le
collinette.
Non si udì nessuno
schianto.
Solamente un’enorme
esplosione luminosa e muta.
UFO? E chi può
saperlo: in giro, nessun'altro ne seppe parlare e, in più, papà non riuscì a
trovare traccia alcuna.
Qui, oltretutto, c’è quel momento di tersa ma comunque più che discreta oscurità serale, la distanza da cui è stata osservata la scena, a complicare il giudizio.
L’enorme lampo di luce finale lascerebbe supporre l’apertura di una scorciatoia o tunnel spaziale (come il raggio di curvatura dell’Enterprise, tanto per intenderci), ma anche qui ho davvero pochi elementi per esprimermi.
Credo che per te l’unico punto a favore resterà sempre, come è ovvio supporre, l’indubbia veridicità del racconto; dal momento che proviene da un testimone più che attendibile. Tuttavia, anche qui, non potremo mai conoscere la sua ingenua reinterpretazione visiva e mnemonica di un evento così strano.
Rivelatrice, però, nel contesto dell’interessante e ben narrata riproposizione dei fatti, potrebbe anche essere questa frase:
“Di tanto in tanto interrompeva la lettura del libro per concedersi infiniti viaggi mentali osservando l’orizzonte e la natura, da sempre ispiratrice”.
…Che poi è anche il gene della scrittura e dell’immaginazione che ti ha trasmesso.
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