domenica 17 luglio 2016

Un occhio nuovo per Iena "Plinsky"


Apparve dalle ombre in fondo al vicolo. 
Plinsky riuscì appena a scorgerne il capo e le spalle illuminate dalla Luna e indietreggiò, nascondendosi fra le colonne che costeggiavano l’edificio.
“Ti ho visto!” gridò, quello.
Intanto procedeva verso di lui. Braccia allargate, magre e muscolose, e un nervoso movimento delle dita.
Plinsky guardò il timer sul bracciale; non aveva munizioni e tempo da perdere. Quatto quatto, corse dall’altra parte della strada con la mitraglietta ben tesa verso lo sconosciuto, ma quando si girò per riprendere il suo cammino se lo trovò di fronte; dritto davanti al naso, tanto da urtarlo.
“Bùh!” gli fece questi, afferrandolo per il bavero e facendolo rovinare a terra con una testata.
Aveva la faccia dipinta di bianco e con un ghigno scuro che arrivava fino alle orecchie; una lunga, fradicia chioma nera gli copriva gli occhi.
Plinsky si ripulì dal sangue che gli colava a lato della bocca e, facendo leva sul gomito con cui teneva alzato il busto, tentò di rimettersi in piedi, ma Faccia dipinta gli aveva già spinto uno stivale sul petto.
“Aspetta!” ordinò.
Lo scontro aveva fatto volare la mitraglietta da qualche parte, nell’oscurità.
“Non ho intenzione di farti del male”. Riprese.
Plinsky si voltò a sputare altro sangue e saliva.
“Ah,… sì ?! Lo vedo.” disse.
Faccia dipinta alzò lo sguardo e interrogò il corvo che stava svolazzando sopra di loro. Questo, attraverso una migliore, più estesa e condivisa visione notturna, gli mostrò dove era finita la mitraglietta.
“Lì c’è la tua arma.” disse. Poi si tirò indietro di un paio di passi per consentirgli di raggiungerla.
Plinsky, senza nemmeno rialzarsi, rotolò rapido su alcuni rifiuti e l’afferrò.
Tatatatatatata- tam! Fece partire una raffica al volto dell’uomo.
O meglio, su quello che era stato un uomo.
Capì, infatti e quasi subito, che ora si trattava di qualcosa di diverso; perché quello stava ancora in piedi, bello saldo, e tutti i pezzi di carne che erano schizzati via dalla sua testa si stavano ricomponendo.
“Hmmm… Cosa diavolo?!...” borbottò.
Faccia dipinta si mise a ridere. “Un Fantasma. Non hai mai visto un fantasma?! Uno come tanti, qui.” rispose. 
Tenendo un braccio dietro alla schiena si chinò e gli allungò pure la mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Questo silenzio…” proseguì poi, ieratico e facendo una breve pausa. “L’ho creato io. Che ne dici?”
La città era vuota, in effetti, e, a parte il crepitare di piccoli e grandi roghi che rimanevano sparsi e stranamente confinati un po’ ovunque, non si sentiva altro.
“Hai sterminato tutti?” chiese Plinsky.
“Già già!... La noia.”
Approfittò del fatto che ancora si stringevano la  mano.
“Piacere, comunque.” disse “ il mio nome è Eric. Eric Draven”
“Bene! E che altro avresti intenzione di fare, Eric, per vincere la noia?” chiese Plinsky.
Eric indicò l’uccello che stava evolvendo in ampi cerchi a una quarantina di metri sopra di loro.
“Uccidere anche quello.” disse. “Ma ho capito che non posso farlo personalmente. Qualcosa nel sistema me lo vieta, invalida ogni mia azione a riguardo.”
Afferrò Plinsky per le spalle, portandoselo davanti alla faccia.
Uno sguardo folle, spaventoso; le mani gelide, dure e forti come tenaglie.
 “E’ per questo che sei ancora vivo.”


Quando Danny Carson cominciò a insegnare i rudimenti dell’ hackeraggio al figlio tredicenne non immaginava certo che sarebbe arrivato così presto a entrare in DreamSpace con un download completo della sua mente. Anche perché era un’eventualità che neanche voleva credere possibile. Era risaputo, infatti, che la qual cosa poteva comportare danni psichici permanenti o il coma.
Eppure, era accaduto; grazie anche a un apprendimento accelerato che Jim aveva ottenuto applicandosi dei chip biologici alle tempie. Ma questa era una cosa che Danny non poteva sapere, come tante che il suo Jim gli teneva nascoste.
Tipo quelle incursioni nel deep web alla ricerca di snuff movie, di cui era un ghiotto estimatore.
DreamSpace, comunque, era iniziato con l’avvento dei primi calcolatori quantistici e conseguente evoluzione  di realtà virtuali e giochi come quello della serie GTA.
Gli utenti entravano con i loro elmetti muniti di microfoni, protesi e replicatori sensoriali di vario genere, e sperimentavano ogni tipo di situazione era loro in qualche modo preclusa o vietata nel mondo reale.
Perlopiù, una vasta gamma di atroci atti sessuali e criminosi.
Anche in quella dimensione, tuttavia, occorrevano i soldi. I crediti erano la benzina per spostarsi, estendere e plasmare a piacimento il proprio status. E i ragazzi erano disposti a fare qualsiasi cosa, una volta accettato il potenziale compromesso di morire o venire assorbiti dalla Rete. Erano sempre alla ricerca di bitcoin, escamotage per raggiungere rapidamente certi poteri. Invisibilità, volo, superforza… Si poteva avere davvero di tutto per rendere l’esperienza nel ciberspazio ancora più straordinaria.
Jim, proprio nel bel mezzo di una rapina virtuale, aveva incontrato un pezzo grosso; un modder. Un certo “Freddy”: cappello a tesa larga, pelle un po’ troppo rovinata dal caldo e guanto metallico munito di lunghe lame per ogni dito.
Era un umano, come lui, ma più vecchio e con un' enorme disponibilità di crediti e super facoltà; cose che sembrava elargire senza troppi problemi ai suoi sostenitori, a quelli che entravano a far parte della sua gang.  
Freddy aveva anche la competenza per baipassare la struttura interna di quel mondo, modificare e trasferire dati sul profilo di chiunque.
Il problemino, tuttavia, era che ogni tanto si riprendeva tutto, compresa l’anima di chi aveva ingrassato.
Ed ora, Jim, era così. Un sacco vuoto; catatonico e pieno di tubicini per alimentarlo e tenerlo in vita. Steso su un bel lettino ad aspettare che Plinsky lo riportasse indietro, nel suo corpo.


Quindi tu saresti la copia più fedele di quel personaggio cinematografico?” chiese Eric.
“No. Io SONO quel personaggio. Qualcuno si è preso la briga di strutturare la mia personalità esattamente come quella mostrata nel film di cui ti ho parlato.” rispose Plinsky.
"Sicuro? Spesso ho parlato con artificiali che non sapevano neanche chi fossero i loro creatori."
"Hmmm!..." fece Plinsky.
Non gli andava di portarselo appresso, sorbirsi tutte quelle domande, ma visto che era praticamente invincibile e poteva vedere nel buio di quella notte eterna pensò che poteva anche essergli utile.
“Tu, invece, nasci da un fumetto?” disse.
“Già.” fece Eric.
La mente di molti personoidi, in effetti,  era dissociata dalla rete globale che ospitava DreamSpace o tarata in modo che non potessero accedere a molte delle informazioni che li riguardavano.
“Così mi han detto un gruppo di farabutti, prima che li facessi a pezzi.” Si specchiò dentro una vasta pozza oleosa prodotta dal carico di un camion rovesciato.
“Poi, quanto io sia fedele all’originale, proprio non so dirti.” Proseguì. “Però, ho presto intuito che tutto il mio dolore e la mia immortalità dipendono in qualche modo da quello.” Indicò il corvo, sempre in volo o appollaiato nelle vicinanze. “In molti hanno cercato di acciuffarlo e farlo fuori.”
“Proprio!...” commentò Plinsky. Per cercare di accontentarlo aveva sprecato due caricatori, quando questo sembrava a una distanza abbastanza buona da colpirlo.
“Attirarlo con del cibo?” chiese.
“Non l’ho mai visto a terra o mangiare qualcosa.” rispose Erick.
Plinsky si sedette un attimo sul cofano di un’auto. Era da più di una mezzora che camminavano, cercando di studiarsi l’un l’altro.
“Senti, bello,…” disse. Sfilò dal taschino del giubetto in pelle una cicca e se la accese.
“Capisco che ti sei stancato di esistere, che hai anche l’illusione di un paradiso artificiale in cui poterla rivedere,…”
Eric gli aveva raccontato della morte e delle violenze subite dalla sua amata Shelly.
 “ma io devo trovare in fretta questo Freddy e cavargli l’anima del ragazzetto. Capisci che intendo?!” gli mostrò il bracciale e i suoi caratteri numerici che scorrevano inesorabilmente verso lo zero.
“Certo, se avessi ancora a disposizione  un aliante o qualsiasi altro tipo di mezzo aereo le cose sarebbero più semplici; volerei dritto alla ricerca della  singolarità che lo ospita e cercherei di parlarci, convincerlo a modo mio, ma visto che nel mio passato di celluloide non ci posso tornare a prenderlo ho bisogno del tuo amico.”
“il mio amico?!” replicò Eric.
“Sì. Il corvo… E’ soltanto un’idea, magari non funziona; però, ho pensato che se può sorvolare la zona, può anche mostrarti dove si trova la fabbrica infuocata. Così evitiamo di esplorare tutta la città.”
Guardò fisso Eric, con il suo unico occhio.
“Mi hai detto che puoi farlo, no?! Che vedi quello che vede lui.”
“Sì, è così.” rispose Erick.
Plinsky annuì compiaciuto.
“Bene! …Il padre del ragazzetto mi ha detto che la singolarità è aperta nell’interrato di quell’edificio; il piano caldaie. Che lì si trova “l’ufficio” di Freddy.”
“Sì, uno stabile quasi interamente coperto dalle fiamme.” disse Erick.  “Lo vedo. Non è molto lontano da qui. C’è pure un grande cono di luce gialla a indicarne l’ingresso.”
Poi tornò alla sua visione e si scostò i capelli dal viso. Aveva il solito sguardo da pazzo.
“Questo Freddy ci sta aspettando; pare sia al corrente delle tue intenzioni… Ora che te l’ho detto cosa mi dai in cambio?” chiese.

Anche Danny, l’hacker che aveva catturato e moddato lo stato di Plinsky era abbastanza conosciuto e abile nella rete, ma DreamSpace, quella sezione particolare di DreamSpace, per lui era troppo pericolosa. Occorreva, infatti, quel più che rischioso  download  della propria mente per entrarci. Così, aveva deciso di agganciare da un sito esterno Iena, ovvero Plinsky, e dotarlo di quel ricatto da polso; il timer. Un programma che cancellava e riduceva rapidamente ai minimi termini qualsiasi tipo di intelligenza artificiale.
Semplicemente, il personoide veniva rapito dal contesto virtuale a cui apparteneva e costretto a viverne un altro. Danny lo aveva fatto perché sapeva che Plinsky era abile a muoversi in ambienti come quello, “la città dei fuochi”,  e portare a termine missioni cronometrate. Certo, la copia numero uno, Plissken, avrebbe offerto maggiori garanzie di successo, ma aveva un' alta protezione ed era quasi impossibile da modificare o costringere a fare qualcosa.


Prese la ricetrasmittente che si era trovato in tasca al suo risveglio in quel luogo e spostò sull’accensione l’unico tasto di cui  era dotata.
“Ricevo, Plinsky. Hai individuato il covo?” chiese Danny “C’è una schermatura molto potente che m’impedisce di conoscere la tua posizione e osservare il territorio.”
“Ho incontrato un altro artificiale che può esserci d’aiuto; dice di potermi condurre alla fabbrica.”
“Possiamo fidarci, rischiare di perdere tempo con lui?” chiese Danny.
“Io non mi fido di nessuno, stronzo, e con un cazzo di elicottero e munizioni infinite neanche sarei stato ad ascoltarlo!... Ma visto che non sei stato in grado di fare nulla di utile, qui, devo arrangiarmi come posso.“ 
"Ti ho detto che l'ambiente è schermato, imbecille!" ringhiò Danny. "Non posso intervenire con alcun tipo di trucco. E faresti bene a stare alla larga da quello!"
“State parlando di me, immagino?!” disse Eric.
Plinsky gli diede subito le spalle per escluderlo, sebbene la conversazione fosse perfettamente udibile.
“La città è vuota, in ogni caso, non sembrano esserci altri pericoli.” proseguì.
Eric, intanto, saliva su una delle auto parcheggiate vicino al marciapiede.
“Ehi ciclope! Non servono alianti o elicotteri.” disse.
Plinsky si voltò al rumore di chiusura della portiera e lo vide abbassare il finestrino, agitare le chiavi.
“’Al diavolo, Danny!...” disse. “te lo dico dopo, se era o meno il caso di fidarsi.”


Ogni volta che Freddy assorbiva una mente ne sperimentava ricordi ed emozioni e la costringeva a condividere le proprie. Quanto avveniva nel suo simulacro virtuale, quindi, era che gli occupanti divenivano schiavi dei suoi stessi sensi e, a un certo punto, pure esaltati partecipi della sua follia.
Per far soffrire i nuovi arrivati, allora, o quelli che ancora non si erano perfettamente integrati al suo ordine d’idee, spesso si praticava dei tagli sulle piaghe da ustione che gli ricoprivano il corpo oppure infilava nel naso le lame del suo guanto.
Ciò che faceva di lui un essere veramente mostruoso, davvero oltre la figura a cui s’ispirava, era la sua reale identità; quella di una ragazza di ventidue anni, straordinariamente bella e istruita. Una persona che non aveva mai subito traumi o condizionamenti psicologici tali da motivarne la crudeltà.
Ora stava osservando attraverso il corvo, quello che con un trucchetto aveva subito reso personale telecamera aerea, l’ingresso dei due personoidi nella fabbrica. Quelli come loro la spaventavano e affascinavano allo stesso tempo, avevano anime criptate da codici di cui non poteva impadronirsi e, forse, anche pensieri e sentimenti molto diversi da quelli umani; non sperimentabili.
Tranne Eric; di lui si diceva che era l’unico artificiale in grado di offrire questa opportunità. Qualcuno, nella Rete globale, lo aveva desunto dal fatto che la sua controparte cinematografica aveva quel potere e Freddy voleva appurarlo, sfruttarne tutte le implicazioni. Per questo si era insediato nella città dei roghi.

Questa scala…” disse Plinsky. “Seguimi!”
“Non mi hai ancora detto cosa riceverò in cambio.” rispose Eric.
Dalla scala passarono a un anfratto buio e irto di rottami,  ferraglie acuminate. Plinsky c’inciampo, facendo un gran baccano e rimanendo temporaneamente azzoppato dal dolore alla coscia.
“Dovremo scendere a patti con un mostro.” grugnì. “Magari sarà lui ad aiutarti.”
“Hmmm…” fece Eric. “Non mi è tanto di conforto, sai?!”
“Ma è quello che penso. Altrimenti, cosa ci è venuto a fare in un luogo dove ci sei soltanto tu?!” disse Plinsky.
Alla fine del tunnel li accolse una specie di vasto scantinato, pieno di macchinari e grandi tubature da cui uscivano fumigazioni e liquami di vario genere; tutto illuminato da una fioca luce rossastra.
“Ahahahahahahahahah!”
L’ombra di Freddy si allungò sul pannello di un generatore, dinnanzi al corridoio che stavano percorrendo.
Plinsky ci puntò la mitraglietta, poi, vedendo la smorfia beffarda di Erick, se la gettò alle spalle. Non sarebbe servita a nulla contro un modder umano che si era dimostrato così abile.
“Posso aiutarvi?” chiese Freddy.
Era entrato in scena con una giravolta, tre passi di danza e levandosi il cappello per salutare.
“lo sai cosa sono venuto a cercare.” rispose Plinsky.
Freddy si rimise il cappello e alzò il maglione a strisce verdi e rosse, uno dei peggiori accostamenti cromatici possibili, per mostrare le facce dei bambini e adolescenti che aveva rapito nel ciberspazio. Le loro mute espressioni urlanti gli sporgevano dal torso. Alcuni boccheggiavano come pesci.
Plinsky individuò subito quella di Jim, benché  orribilmente distorta dal dolore, avendone ricevuto dal padre un’ immagine e accurata descrizione.
Freddy, in ogni caso, se catturava qualcuno con aspetto diverso da quello reale, ne estrapolava la vera fisionomia dal download dei ricordi e se la faceva comparire sull’addome; sempre con gli occhi cavati, in modo da costringerlo a vedere soltanto attraverso i suoi. Non amava esibire avatar fra i suoi trofei.
“Ah!...” ridacchiò ancora. “Vuoi questo stronzetto?!”
Indicò il volto di Jim infilandoci una lama in bocca  che gli stava appena sotto l’ascella sinistra.
Mentre rideva, gli uscivano dalle labbra anche le urla del ragazzo.
“Perché?” disse poi, vedendo Plinsky annuire.
“Altrimenti il virus caricatomi da suo padre mi termina.”
Mostrò il braccialetto.
“Ho ancora una dozzina di minuti.”
Freddy si ricoprì la pancia e leccò la lama con cui proseguiva il dito indice; quella appena usata.
“Chiamalo!” disse.
Plinsky obbedì e tirò fuori la ricetrasmittente, ma invece di usarla la appoggiò a terra e la fece scivolare lungo il corridoio, lanciandola fino ai piedi del mostro.
“Fai tu!” disse.
Freddy si chinò e prese l’apparecchio, molto lentamente e con sospetto. Poi, dopo averlo azionato, se lo portò a quello che restava del suo padiglione auricolare.
“Plinsky?!” rispose Danny.
“No.” disse Freddy. “Sono il mentore del tuo ragazzo…” Avrebbe voluto far fuoriuscire dall’altra parte del ricevitore la sua lingua virulenta,  piena di piaghe e vesciche, per ficcarla in bocca al suo interlocutore, ma non era in suo potere plasmare anche la realtà.
“Freddy?!”
“ Già. Eheheheh!!... E la vuoi sapere una bella cosa?!  Forse me la metto al posto del culo la bocca di tuo figlio.” concluse. Poi buttò il ricevitore dentro un bidone.
“Plinsky! Plinsky!!” continuava a gridare Danny.  “Maledetto idiota! “ La sua voce si sentiva rimbombare nella lamiera.

 Facciamo così…” disse Freddy, rivolto a Plinsky.
 “Io non restituisco il download dello stronzetto e ti cancello il virus e la patch del bracciale. Se vuoi, ti ricarico pure un nuovo occhio al posto di quello cecato.”
Passò a Eric.
“Tu, invece...” proseguì.



"Permettimi, allora, d’interfacciarmi alla tua mente e avrai in cambio Shelly. Potrebbe essermi utile conoscere dall’interno la struttura dei vostri pensieri, le emozioni di voi artificiali.”
Eric guardò Plinsky.
“Avevi ragione, mister riarso mi stava aspettando.” disse.
Plinsky alzò le spalle e sorrise.
Secondo te cosa dovrei fare?” continuò Eric. “Non è che mi va tanto di toccarlo.”
“A me sta bene la sua proposta.”
“Ma non è edificante; il pupetto rimane prigioniero.”
“Ricorda che hai sterminato un’intera città!” rispose Plinsky.
“Erano tutti artificiali, chimere.”
“Come noi.” disse Plinsky.
 Si accese un’altra cicca. Uno sbuffo di fumo.
Nessuna umana pietà.” aggiunse poi.
Freddy si leccò le labbra e l’arcata superiore dei denti marci.” Era estasiato.
“Suvvia!...” gli esortò. “Mica è colpa vostra, del resto. DreamSpace pullula d’ingiustizie  e  stronzetti venuti qui proprio per uccidere. Loro amano delinquere. Loro… Sono… MOSTRI.”
 Il maglione cominciò a inzupparsi di lacrime, mosso dal brulicare di bocche e contorsioni facciali che stavano sotto, e Freddy ci ficcò in vari punti le lame del suo guanto.
“Buoni, buoni!” ghignò.
Eric non era del tutto convinto di poter riavere la sua amata a questo prezzo. Freddy se ne accorse e per sdrammatizzare alzò di nuovo il magione e fece un veloce upgrade del suo torace, in modo da celare con degli emoticon sorridenti le facce dei rapiti.
“Con me sono felici, vedete?!” disse. “Non dovete preoccuparvi.”


Jim raccolse tutte le sue energie e dato che così, ora,  il suo apparato vocale era praticamente inutilizzabile, sfociò ancora in un urlo assordante direttamente dalla bocca del suo carnefice.
“Guercio bastardo!!”  gridò a Plinsky. “Brucierai con me all’inferno!”
Nonostante i suoi tredici anni, aveva ancora un timbro di voce piuttosto infantile.”
Plinsky alzo il capo, calmo, a fissare l’intrico di tubi, lerciume  e ragnatele che pendevano dal soffitto.
Un altro sbuffo di fumo.
“Inferno?!...” disse. “Per noi artificilali c’è solo l’oblio.”







"Un occhio nuovo per Iena Plinsky"
Racconto e illustrazioni di Fabio Cavagliano 2016



FINE?

Questa storia si può idealmente collegare a “Mazinga bacato” e altre mie riflessioni e racconti pubblicati in questo sito. Potrebbe inaugurare una nuova sezione, forse, che ho pensato d'intitolare "Incontri impossibili", ma è ancora tutto a un livello molto fumoso ed embrionale. Vedremo!
Poi, Bhe!... Per quanto riguarda i crediti, naturalmente, c’è il personaggio creato da John Carpenter per il suo “1997 fuga da New York” (il cui vero nome è Jena Plissken o Snake) e “il Corvo” del fumettista  James O’Barr; nonché "Nightmare", "Blade runner" e "Matrix" con l'idea di poter trasferire o digitalizzare una mente nella Rete con tutti i suoi ricordi ed emozioni. Concetto, fra l'altro, presente anche nel più vecchiotto “Strange days” di James Cameron (1995).
Il concetto di “Personoide”, invece, come essere pensante totalmente artificiale, viene dalla lettura di un articolo di Stanislaw lem intitolato Non serviam  e dall’idea che si possa in qualche modo replicare l’intelligenza di un individuo conoscendone ricordi e tratti salienti della personalità.
Un testo non recente ma che tratta in modo più che esaustivo e interessante questo genere di argomenti, anche dal punto di vista filosofico,  è “l’io della mente”, pubblicato dalla  Adelphi Edizioni, di Douglas R. Hofstadter e Daniel C. Dennet. 

15 commenti:

  1. Allora... in effetti sa un po' di incompiuto, e secondo me questo lo guasta un po' però è buono. Secondo me tutti questi racconti devono molto all'idea dickiana e alla sua messa in crisi dei concetti di identità e di realtà (sogno o son desto?) - chiaramente adattati alla realtà virtuale. L'idea di digitalizzare e impiantare una mente, però, altro non è che l'aggiornamento di un concetto vecchio quanto l'uomo. Se ci pensi, l'idea di "possessione" è proprio questo; nel Novecento, Lovecraft coi suoi cervelli trapiantati (e versioni più tradizionali quali quella ne "L'ombra calata del tempo" o ne "La cosa sulla soglia") ne aveva già dato una rilettura fantascientifica. In tempi ancora più recenti, ma prima dell'epoca del virtuale, pressochè lo stesso concetto si trova in "Vertice di immortali" di Robert Silverberg (http://www.anobii.com/books/Vertice_di_immortali/011d55c0bae73701a3 )

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    1. Sì, è un tema molto presente nella fantascienza più o meno contemporanea. Io, senza poi allontanarsi troppo con dotti riferimenti o opere di un certo spessore, ho preso molto dal mondo dei videogiochi on-line. Il racconto, infatti, è un po’ un’estensione di quell’idea già presentata nel mio breve breve “il divertimento è appena cominciato”. Credo, fra l’altro, che queste intelligenze artificiali non siano poi tanto lontane dall’essere realizzate, aldilà di quelle che poi saranno le implicazioni (spero non prossime al “Terminator”); immagino, magari, fra un venti o trenta anni al massimo. Dal punto di vista etico, poi,… Boh!? Mi metto le mani fra quei pochi capelli che mi rimangono. Ti ringrazio della lettura, Roberto.

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  2. Scorre via ad alti ritmi narrativi, senza minimamente annoiare, e le illustrazioni ne aumentano ancor di più il livello qualitativo.
    Il finale, in effetti, mi ha lasciato un po' così... in sospeso.

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    1. Ti ringrazio per aver accolto il mio invito e soddisfatto dalla scorrevolezza del testo riscontrata, Beppe. Magari scriverò e disegnerò altro a riguardo, su questo tipo di pazza realtà virtuale, perché è un tema che davvero mi affascina.

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  3. A me è sembrato carino e simpatico ... forse la trama non è delle più originali, ma la tua capacità espressiva è eccellente, poi, arricchendo il racconto con le vignette lo rendono sicuramente più interessante e coinvolgente ... sei stato BRAVO!!!
    Secondo me puoi continuare la storia, se vuoi puoi anche lasciare un finale aperto, ma non in questo punto .... magari puoi trascinare il protagonista ad un bivio dove deve obbligatoriamente scegliere quale strada percorrere, così, sarà poi l'immaginazione del lettore a costruire un finale ...

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    1. Grazie Michela; molto apprezzata anche la tua partecipazione. Confesso che, in realtà, desideravo dedicare più tempo a questi due simpaticoni e magari cercherò di rimetterli in scena o collegare questa loro performance a un’altra storia con la stessa ambientazione.

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  4. Immaginifico e creativo. Il mondo delle realtà virtuali (a cui anni fa io avevo dedicato una storia suddivisa in ben 8 episodi)e delle intelligenze artificiali si prestano a mille storie. Questa in effetti, ha ragione chi mi ha preceduto, pare un po' troncata, ma resta tuttavia interessante nella sua ritmata avventuurosità. Un bel patchwork, un bel caleidoscopio di personaggi.
    E ora vediamo se riesco ad appare col mio nome (Massimo Bianco) e non come anonimo come mi era accauduto qui in passato. Ciao.

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    1. Bentornato. Pensa che, inizialmente, al caleidoscopio volevo aggiungere pure i colori di Pe Baracus, Bruce lee, Automan, Rambo, ecc… Per fortuna mi son fermato alla coppia dei bei tenebrosi e l’ustionato, forse.

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    2. Ciao Fabio. Andando a vedere il tuo commento ne ho approfittato per leggermi i tuoi crediti, che l'altra volta per la fretta avevo saltato, dove citi anche Matrix, e mi sono rivisto i commenti precedenti. Vedo ad esempio il buon Rubrus citare "Vertice d'immortali" che io non ho letto. Tuttavia è ovvio che nulla scaturisce dal nulla e quindi raffrpnti con opere precedenti si possono sempre trovare. Io mi permetto qui di citare un bel romanzo, per l'epoca in cui fu scritto (1970) abbastanza originale, del grande Clifford Simak: "L'immaginazione al potere" Ti riporto qui un breve passo del libro che ritengo esplicativo:
      "- E' il castello che tu sognavi da bambina e come lo hanno sognato milioni di altre ragazze.
      E non solo il castello, mi venne fatto di pensare. Nella terra in cui ci trovavamo abitavano tutte le fantasie create dalla mente dell'uomo attraverso i secoli. Qui Huckleberry Finn pilotava la sua zattera lungo un fiume che non aveva mai fine, qui Cappuccetto Rosso si addentrava saltellando nel bosco, qui Mister Magoo avanzava tentoni semicieco verso le sue più illogiche e assurde avventure"
      E se in questa scena del romanzo le creazioni fantastiche hanno trascinato il protagonista in una realtà esterna a quella reale, nel contempo tutti questi personaggi evolutisi dal pensiero umano stanno invadendo la Terra per sostituirsi "darwinisticamente" all'uomo come ultima e più innovativa forma evolutiva discendente diretta dell'uomo che l'ha creata. Interessante, vero?
      Quello che io invece trovo davvero interessante del tuo racconto è il suo abbracciare le tecnologie moderne per trasprortare in modo anche più razionale rispetto agli esempi passati (come quello di Simak), nell'oggi questa idea dell'avvento di personaggi fantastici e fittizi, i tuoi personoidi" a un esistenza in certa misura reale, anche se loro, mi pare, non possono ancora scavalcare la realtà virtuale per raggiungerci fisicamente nel mondo reale come avccade incece con Simak, cosa che nel tuo scritto potrebbe rappresentare magari un passo successivo. Trovo insomma che il tuo racconto si presti a molte promtettenti possibilità.
      A (s)proposito: a quando un tuo racconto su Neteditor? Il fatto di aver aperto un sito tuo non ti vieta di mettere qualcosa anche lì, ogni tanto, non credi? Di nuovo ciao da Massimo.

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    3. Bravo. Hai inteso perfettamente e mi piace molto l’esempio o citazione che hai portato. Jena non esiste realmente, ma mettiamo che qualche pazzo-genialoide o equipe di scienziati, neurolinguisti, psichiatri, ecc..., un domani, sulla base della psicologia che ne appare nel film, decida di codificarlo in un programma d’intelligenza artificiale (ma la stessa operazione potrebbe anche essere eseguita per animare qualsiasi personaggio di film, fumetti, letterario o reale di cui si abbiano abbastanza informazioni/dati comportamentali).
      In questo domani, allora, la mente di Jena potrebbe svegliarsi all’improvviso in un nero abisso privo di stimoli sensoriali e noi o quei programmatori comunicare con lui attraverso un computer.
      “Ciao soldato!”
      “Chi cazzo sei? Dove mi trovo?”
      “Sei in un programma d’intelligenza simulata”
      “Stronzate! Tirami fuori!”
      “Dobbiamo ancora dare una sistematina al tuo simulacro robotico… Vogliamo che ti somigli al 100%, capisci? Poi avrai organi di senso, potrai divertirti.”
      “Nel frattempo che faccio?”
      “Ti carico in un avatar e piattaforma di realtà virtuale; nel bel mezzo di una sparatoria, magari. Che ne dici? Così puoi provare un bel po’ di nuove armi…”
      “’Fanculo! Di cosa stiamo parlando, stronzo?! Sei un uomo del Duca? Cosa mi avete fatto? Perché non riesco a vedere, sentire il mio corpo?”
      E ti lascio immaginare il resto della conversazione.

      Per quanto riguarda le mie pubblicazioni altrove, invece, dico che preferisco avere la libertà di proporle a modo mio; senza livelli, oboli, il contorno di argomenti e centinaia di utenze che nulla hanno a che fare con i miei interessi. Posto che ritengo Net, in ogni caso, un ottimo luogo d’incontro per chi ama scrivere. Non a caso vi ho conosciuto gli ottimi autori che arricchiscono anche queste pagine.

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  5. Il racconto è pieno di rimandi e di porte che si aprono su altre dimensioni e davvero potrebbe estendersi in diverse diramazioni.
    Come?
    Ho pensato a come la sciamano Moore usa il manierismo creativo in Watchmen o in Swamp Thing, riprendendo i personaggi e riciclandoli in modo originale ESPANDENDO le loro contraddizioni...
    Rorschach, il moralista nichilista, fallisce e svanisce a causa della sua incapacità di giungere ad un compromesso con gli altri e con il mondo.
    Ozymandias Apollo Veidt è troppo razionale per comprendere l’irrazionalità del mondo, mentre il Comico Dioniso la comprende troppo bene per poter affermare se stesso in modo consapevole e lucido.
    Il Dr. Manhattan, infine, è semplicemente oltre i confini dell’umano: per lui “nulla finisce, nulla ha mai fine” e pertanto non riesce a salvare l'umanità nonostante sia l'unico ad avere degli effettivi superpoteri.

    Riprendendo la lezione del Bardo Alan Moore, anche i tuoi tre personaggi possono crescere ed espandersi esaminando con attenzione la loro aporia fondamentale, che s'innerva in tre diverse personalità: esseri artificiali che tentano e cercano di essere reali.
    Lavorando su questo nucleo la storia s'allarga a cascata...

    abbi gioia da Mosco

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    1. Beh, qui i personaggi sono programmati per agire e pensare seguendo uno schema comportamentale, quello che li fa assomigliare alle loro controparti cinematografiche; così, Iena non porta a termine la sua missione come dovrebbe, il Corvo ha la mente offuscata dal dolore per la perdita della sua amata. Non sono andato oltre questo, effettivamente, e un balzo in avanti si potrebbe fare con il loro tentativo di “combattere” il proprio schema o super io per divenire più “veri”, autentici e liberi di essere ciò che vogliono.

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    2. Concordo al mille per mille, Fabio.
      Vedo l'espansione di questa storia in una sorta di "Personaggi in cerca d'autore" pulp/pop e dovresti diventare un Pirandello weird, più Mooriano e immaginativo e intertestuale che cerebrale e filosofico come il grande drammaturgo siciliano.

      Icone pop che chiedono realtà, non so Iena Plinsky che si fa assumere come vigilante all'Amazon, perchè si è inamorato di una picker che lavora lì dentro, e poi gli girano le balle quando gli racconta come la sfruttano e la controllano con un GPS incollato al polso (così come certi gallinacci al potere hanno fatto con lui) ecc ecc
      Ehhheheh...ne hai da scrivere...

      un caro saluto

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    3. Urca, Mosco!... Quella dello Iena-vigilante-Amazon-innamorato è fantastica, oltre ogni mio delirio narrativo. Se ti metti a scriverla la illustro alla grande. Prometto!

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    4. E' una bella ideonza, Fabio! Dopo le feste provo a stendere una bozza col mattarello! Ahahahha!
      Scherzi a parte, la storia me gusta (anche se mi causerà qualche rialzo di pressione per iracondi ricordi ed esperienze personali), ma la faccio solo a patto che la facciamo a quattro mani! L'ideonzolla è venuta grazie a questo racconto, non dimentichiamolo!

      Abbi gioia e buona festa tra i tuoi e tra chi vuoi

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