Ispirato a una storia vera!
Eravamo tre pazzi che facevano a gara per portare il titolo trash senza precedenti, la perla d’inaudita demenza.
Il filone di questi nostri incontri, del resto, era stato inaugurato da boiate inconcepibili in cui gli squali piovono dal cielo; gli squali hanno anche i tentacoli; gli squali sono conficcati negli occhi di zombi giganti, oppure posseduti dal demonio.
B-movie prodotti con programmi di effetti speciali alla mano, quasi casalinghi e, spesso, la partecipazione di attori sconosciuti e scadenti.
Dopo un po’ di tale orrido percorso, comunque, anche spettacoli con altre bestie e non morti stavano cominciando a prendere un certo piede fra noi; così, in quella che poi si rivelò la peggiore, stramaledetta opportunità di farci due risate, avevamo deciso di sospendere le carneficine acquatiche per gustarci un’altra storia di tutto rispetto: “Scoiattoli zombi”.
Niente male, credetemi; in alcune scene gli animali sono addirittura e spudoratamente riprodotti con dei peluche mossi da attori inguantati. Lasciando per un attimo da parte tutto questo, comunque, forse è utile che io vi spieghi come si sono svolti realmente i fatti; parola per parola, fino a mostrarvi cosa ci ha impedito di apprezzarne anche il finale e, forse, anche in modo da provare una volta per tutte che non siamo davvero dei criminali.
Ebbene; intorno alle ventuno di quel venerdì ../../…., io e Giorgio ci presentammo davanti all’abitazione di Cristiano.
Anche in quella occasione, all’ingresso del suo ordinatissimo e asettico bilocale, non mancavano le pattine pronte ad accoglierci ed essere obbligatoriamente indossate prima di entrare.
“Forza!...” disse. Le pizze sono già arrivate.”
Indossava una specie di tuta azzurra, lucida e con Megaloman stampato sul petto; le sue solite puttanate da ragazzo mai cresciuto.
Ci togliemmo in fretta le scarpe e, in men che non si scriva, stavamo già a bere e sghignazzare, svuotare i contenitori di cartone dei nostri tranci.
“Occhio a non ungermi la tovaglia!” disse, facendo tintinnare la forchetta sul bordo del bicchiere per richiamare la nostra attenzione.
“Reggo la fetta con le mani, ma poi me le pulisco. Non ti preoccupare!” risposi.
Mi allungò subito la pila dei tovaglioli di carta.
Giorgio, invece, finse di perdere la presa sul suo boccone riafferrandolo poi al volo.
“Guarda che ti faccio succhiare il tessuto finché non torna lindo come prima!” lo fulminò.
La tovaglia, lucida e setosa come la sua tuta, era finemente ricamata da elaborati motivi floreali.
“ Ti sembra opportuna ‘sta roba?!...” chiese Giorgio. “Anche se non metti sul tavolo un arazzo del millequattrocento siamo contenti, sai?!”
“Ascolta:….” Rispose lui; difficile, fra l’altro, dire quanto stesse scherzando. “Io sono una persona di stile; mi piace fare le cose in un certo modo. Capisci che intendo?”
“Non del tutto. E nel caso, poi, mancherebbero anche i tartufi e il caviale ad accompagnare tutta questa eleganza.”
“Li credi opportuni con la pizza e il salame piccante?!”
“Io ce la posso fare, se li metti in tavola.” rispose Giorgio.
La conversazione, insomma, stava prendendo questa piega; il solito cumulo di cazzate. Finché a Giorgio non scivolò davvero uno dei gomiti con cui poggiava sul tavolo e ci andò a spiattellare il suo trancio.
Avvenne tutto con tanta rapidità e potenza che una pallina di sugo riuscì a raggiungere il muro alle sue spalle e macchiare la tappezzeria. Carta da parati, fra l’altro, elegantissima e impreziosita da fini rilievi dorati su uno splendido color perla.
Ovviamente, non posso riportare tutte le reazioni verbali di Cristiano all’evento, così lontane dal significato del suo nome (ma parecchio, parecchio lontane, credetemi!); tuttavia, furono abbastanza sonore, violente e improvvise da spaventarmi.
Tanto che, imbarazzato e per calmare gli animi, dissi: “E’ lavabile, immagino?!”
Giorgio, intanto, si massaggiava il braccio nel vano tentativo di suscitar compassione.
“Vuoi che abbia messo nel mio appartamento una merda di carta da parati qualsiasi?!!” ringhiò Cristiano.
Aveva già preso la spugnetta dal lavello dell’angolo cottura e, appena appena inumidita con due gocce di acqua e sgrassatore, si stava portando a rimuovere la macchia. I suoi movimenti nella porzione di parete interessata erano delicati, accorti e amorevoli, come quelli di una mamma che disinfetta una ferita; tuttavia, il risultato lo fece infuriare di nuovo.
“Si spande. Si spande, porca puttana!” gridò.
La tovaglia faceva paura, ma si poteva anche mettere in lavatrice.
“Posso?” chiesi, e mi avvicinai piano e con fare da esperto.
“Lui è pittore…” Lo rassicurò Giorgio. “Sa come cancellare anche prodotti molto macchievoli. Tipo i colori ad olio, giusto per intenderci.”
“Macchievoli?!!” urlò Cristiano. “Ma non dire puttanate, coglione! Guarda cos’hai combinato!”
In realtà, ora, c’era soltanto un alone appena percettibile di quella che era acqua e la schiuma dello sgrassatore.
“L’hai tolta.” dissi. “Appena si asciuga non vedrai più nulla.”
“Prendo il fon, allora.” rispose lui.
“Come preferisci.”
Prese l’asciugatore e, vedendo presto tornare tutto come prima, si mise quasi a sorridere. Appoggiò pure una guancia alla parete, e così rimase per qualche secondo, per assicurarsi che anche guardando di lato l’area trattata non ci fossero dei rilievi danneggiati, sbavature o altro genere d’imperfezioni.
La tovaglia fu abbondantemente, vigorosamente prelavata a mano con dosi massicce di sgrassatore e infilata nella lavatrice.
Poi e finalmente fu la volta di “scoiattoli zombi”, che arrivò come un balsamo a rompere il silenzio e dissipare quella tragedia.
Giorgio neanche volle finire la sua pizza; proprio non se la sentiva di riavvicinarsi al corpo del reato.
“Il divano è di pelle.” Ci avvertì Cristiano.
Era un sei posti elegantissimo e bianco panna.
“Se avete nelle tasche posteriori dei jeans delle chiavi o altre cose che possano pungere o tagliarlo, vi prego di posarle su questo tavolino.”
“Okay.” fece Giorgio. Aveva un falcetto da funghi e delle chiavi, in effetti, assieme a un paio di viti e matitine dell’Ikea.
“Sicuro che non c’è altro?” lo riprese Cristiano. Avrebbe voluto ucciderlo. “Magari le punte del trapano o dei cacciavite?”
“No, No. E’ tutto qui.”
Niente male, credetemi; in alcune scene gli animali sono addirittura e spudoratamente riprodotti con dei peluche mossi da attori inguantati. Lasciando per un attimo da parte tutto questo, comunque, forse è utile che io vi spieghi come si sono svolti realmente i fatti; parola per parola, fino a mostrarvi cosa ci ha impedito di apprezzarne anche il finale e, forse, anche in modo da provare una volta per tutte che non siamo davvero dei criminali.
Ebbene; intorno alle ventuno di quel venerdì ../../…., io e Giorgio ci presentammo davanti all’abitazione di Cristiano.
Anche in quella occasione, all’ingresso del suo ordinatissimo e asettico bilocale, non mancavano le pattine pronte ad accoglierci ed essere obbligatoriamente indossate prima di entrare.
“Forza!...” disse. Le pizze sono già arrivate.”
Indossava una specie di tuta azzurra, lucida e con Megaloman stampato sul petto; le sue solite puttanate da ragazzo mai cresciuto.
Ci togliemmo in fretta le scarpe e, in men che non si scriva, stavamo già a bere e sghignazzare, svuotare i contenitori di cartone dei nostri tranci.
“Occhio a non ungermi la tovaglia!” disse, facendo tintinnare la forchetta sul bordo del bicchiere per richiamare la nostra attenzione.
“Reggo la fetta con le mani, ma poi me le pulisco. Non ti preoccupare!” risposi.
Mi allungò subito la pila dei tovaglioli di carta.
Giorgio, invece, finse di perdere la presa sul suo boccone riafferrandolo poi al volo.
“Guarda che ti faccio succhiare il tessuto finché non torna lindo come prima!” lo fulminò.
La tovaglia, lucida e setosa come la sua tuta, era finemente ricamata da elaborati motivi floreali.
“ Ti sembra opportuna ‘sta roba?!...” chiese Giorgio. “Anche se non metti sul tavolo un arazzo del millequattrocento siamo contenti, sai?!”
“Ascolta:….” Rispose lui; difficile, fra l’altro, dire quanto stesse scherzando. “Io sono una persona di stile; mi piace fare le cose in un certo modo. Capisci che intendo?”
“Non del tutto. E nel caso, poi, mancherebbero anche i tartufi e il caviale ad accompagnare tutta questa eleganza.”
“Li credi opportuni con la pizza e il salame piccante?!”
“Io ce la posso fare, se li metti in tavola.” rispose Giorgio.
La conversazione, insomma, stava prendendo questa piega; il solito cumulo di cazzate. Finché a Giorgio non scivolò davvero uno dei gomiti con cui poggiava sul tavolo e ci andò a spiattellare il suo trancio.
Avvenne tutto con tanta rapidità e potenza che una pallina di sugo riuscì a raggiungere il muro alle sue spalle e macchiare la tappezzeria. Carta da parati, fra l’altro, elegantissima e impreziosita da fini rilievi dorati su uno splendido color perla.
Ovviamente, non posso riportare tutte le reazioni verbali di Cristiano all’evento, così lontane dal significato del suo nome (ma parecchio, parecchio lontane, credetemi!); tuttavia, furono abbastanza sonore, violente e improvvise da spaventarmi.
Tanto che, imbarazzato e per calmare gli animi, dissi: “E’ lavabile, immagino?!”
Giorgio, intanto, si massaggiava il braccio nel vano tentativo di suscitar compassione.
“Vuoi che abbia messo nel mio appartamento una merda di carta da parati qualsiasi?!!” ringhiò Cristiano.
Aveva già preso la spugnetta dal lavello dell’angolo cottura e, appena appena inumidita con due gocce di acqua e sgrassatore, si stava portando a rimuovere la macchia. I suoi movimenti nella porzione di parete interessata erano delicati, accorti e amorevoli, come quelli di una mamma che disinfetta una ferita; tuttavia, il risultato lo fece infuriare di nuovo.
“Si spande. Si spande, porca puttana!” gridò.
La tovaglia faceva paura, ma si poteva anche mettere in lavatrice.
“Posso?” chiesi, e mi avvicinai piano e con fare da esperto.
“Lui è pittore…” Lo rassicurò Giorgio. “Sa come cancellare anche prodotti molto macchievoli. Tipo i colori ad olio, giusto per intenderci.”
“Macchievoli?!!” urlò Cristiano. “Ma non dire puttanate, coglione! Guarda cos’hai combinato!”
In realtà, ora, c’era soltanto un alone appena percettibile di quella che era acqua e la schiuma dello sgrassatore.
“L’hai tolta.” dissi. “Appena si asciuga non vedrai più nulla.”
“Prendo il fon, allora.” rispose lui.
“Come preferisci.”
Prese l’asciugatore e, vedendo presto tornare tutto come prima, si mise quasi a sorridere. Appoggiò pure una guancia alla parete, e così rimase per qualche secondo, per assicurarsi che anche guardando di lato l’area trattata non ci fossero dei rilievi danneggiati, sbavature o altro genere d’imperfezioni.
La tovaglia fu abbondantemente, vigorosamente prelavata a mano con dosi massicce di sgrassatore e infilata nella lavatrice.
Poi e finalmente fu la volta di “scoiattoli zombi”, che arrivò come un balsamo a rompere il silenzio e dissipare quella tragedia.
Giorgio neanche volle finire la sua pizza; proprio non se la sentiva di riavvicinarsi al corpo del reato.
“Il divano è di pelle.” Ci avvertì Cristiano.
Era un sei posti elegantissimo e bianco panna.
“Se avete nelle tasche posteriori dei jeans delle chiavi o altre cose che possano pungere o tagliarlo, vi prego di posarle su questo tavolino.”
“Okay.” fece Giorgio. Aveva un falcetto da funghi e delle chiavi, in effetti, assieme a un paio di viti e matitine dell’Ikea.
“Sicuro che non c’è altro?” lo riprese Cristiano. Avrebbe voluto ucciderlo. “Magari le punte del trapano o dei cacciavite?”
“No, No. E’ tutto qui.”
Ci sedemmo, quindi. Non prima, tuttavia, che fu arrotolata la parte di prezioso tappeto in cui non era consentito posare i piedi.
Ora,…: Forse non è veramente utile che io stia qui a narrare anche le sequenze del film, ma permettetemi lo stesso di farlo, dedicargli un po’ di spazio; almeno alle prime o fino al punto in cui si presentò il vero, più serio problema di tutta la serata.
Scoiattoli zombi iniziava con la ripresa aerea di un bosco.
Ora,…: Forse non è veramente utile che io stia qui a narrare anche le sequenze del film, ma permettetemi lo stesso di farlo, dedicargli un po’ di spazio; almeno alle prime o fino al punto in cui si presentò il vero, più serio problema di tutta la serata.
Scoiattoli zombi iniziava con la ripresa aerea di un bosco.
L’obbiettivo poi si abbassò fino a tuffarsi nelle chiome degli alberi, sotto le quali si aggirava un tizio.
Un cacciatore, a quanto pareva, con tanto di fucile e cane da riporto. Questi era quasi calvo, ma non per questo apprezzava il suo fido compagno peloso, e veniva ancora ripreso dall’alto senza mostrarne altri connotati; sempre attraverso la soggettiva di qualche animale. Il passaggio, tuttavia, dalle prime inquadrature a questa fu troppo rapido e fluido e non ci accorgemmo subito che a osservarlo, ora, era uno scoiattolo.
Lui, naturalmente, a questo punto sentì e percepì qualcosa svolazzare da un ramo all’altro e alzò lo sguardo. Il primo piano del suo volto mostrava che effettivamente era quasi completamente pelato, se non per qualche ciuffetto biondo ai lati delle orecchie. Aveva pure la barba sfatta, vacui occhi grigio chiaro e un’ orribile e bisunta camicia lilla. A tutta prima sembrava il solito ubriacone appartenente a qualche depravata comunità rurale degli Stati Uniti.
Le creature che gli volteggiavano sopra, invece, passate da una a centinaia in pochi secondi, parevano scoiattoli volanti ma in realtà erano delle specie di lemuri muniti di membrane che univano i loro arti anteriori a quelli inferiori. Lui le osservava con beota meraviglia; a bocca aperta.
Scena da cui non mancammo di apprezzarne anche i pochi, marci e scheggiati denti, finché non gli arrivò una ghianda in testa.
Tuck! Era una grossa e dolorosa ghianda; la sentimmo impattare sul suo cranio, prima che uno stormo di quei cosi lo assalisse da tutte le direzioni.
Il cane non faceva che abbaiare, ovviamente, mentre quelli si avvinghiavano con le loro membrane pseudo alari al camicione del vecchio.
Grida e zoomate volutamente confuse tentavano di mascherare la staticità dei pupazzetti appesi all’indumento, in modo da far credere che i mostriciattoli stessero già cominciano a lacerarlo e insinuarsi con gl’incisivi nelle carni sottostanti.
Apparve, quindi, sovrimpresso e a grandi caratteri granguignoleschi il titolo del film accompagnato da un discreto pezzettino heavy metal.
Ci sembrò subito una gran cosa.
“Spettacolo!...” disse Cristiano.
Il trauma della macchia, tuttavia, non sembrava averlo davvero abbandonato.
Giorgio, infatti, aveva notato di come egli, dopo aver inserito il dvd, si era distratto più volte per controllare la parete. Lo faceva ogni quattro o cinque minuti perché non era sicuro d’individuare con precisione il punto colpito dalla pallina; dato che, per renderci più coinvolgente la visione del film, era anche stato costretto ad abbassare le luci.
Probabilmente, arrivò pure a pensare che se fosse stato un sugo fosforescente, tipo un blob o sangue di alieno, forse, lo avrebbe visto. Non poteva essere davvero scomparso così facilmente, dopotutto; magari era pronto a riemergere dall’intonaco come scritta diabolica o un fiume di sangue. Pronto a tormentarlo per sempre. La maledizione della pallina di sugo.
Scena da cui non mancammo di apprezzarne anche i pochi, marci e scheggiati denti, finché non gli arrivò una ghianda in testa.
Tuck! Era una grossa e dolorosa ghianda; la sentimmo impattare sul suo cranio, prima che uno stormo di quei cosi lo assalisse da tutte le direzioni.
Il cane non faceva che abbaiare, ovviamente, mentre quelli si avvinghiavano con le loro membrane pseudo alari al camicione del vecchio.
Grida e zoomate volutamente confuse tentavano di mascherare la staticità dei pupazzetti appesi all’indumento, in modo da far credere che i mostriciattoli stessero già cominciano a lacerarlo e insinuarsi con gl’incisivi nelle carni sottostanti.
Apparve, quindi, sovrimpresso e a grandi caratteri granguignoleschi il titolo del film accompagnato da un discreto pezzettino heavy metal.
Ci sembrò subito una gran cosa.
“Spettacolo!...” disse Cristiano.
Il trauma della macchia, tuttavia, non sembrava averlo davvero abbandonato.
Giorgio, infatti, aveva notato di come egli, dopo aver inserito il dvd, si era distratto più volte per controllare la parete. Lo faceva ogni quattro o cinque minuti perché non era sicuro d’individuare con precisione il punto colpito dalla pallina; dato che, per renderci più coinvolgente la visione del film, era anche stato costretto ad abbassare le luci.
Probabilmente, arrivò pure a pensare che se fosse stato un sugo fosforescente, tipo un blob o sangue di alieno, forse, lo avrebbe visto. Non poteva essere davvero scomparso così facilmente, dopotutto; magari era pronto a riemergere dall’intonaco come scritta diabolica o un fiume di sangue. Pronto a tormentarlo per sempre. La maledizione della pallina di sugo.
Quando la dissolvenza dei titoli ci fece tornare alla prima vittima, comunque, la vedemmo accasciata a terra. Supina e con i graziosi animaletti che gli scavavano nell’ addome. Alcuni si erano pure presi la briga di rosicchiargli la circonferenza della calotta cranica per estrarne le gustose cervella. Gl’interstizi, anche se ripresi a qualche metro di distanza, sembravano -e con tutta probabilità erano- proprio fila di salsicce.
La dinamica degli omicidi, tuttavia, mutò quando venne raggiunto il paese con il resto della sua esigua e depravata comunità.
Sì, perché i lemuri, una volta assaporata la carne umana, decisero di estendere il loro raggio di azione.
A questo punto, credo, vi starete chiedendo cosa c’entrano gli zombi.
Ebbene, questo non venne in alcun modo spiegato e neppure accennato nella parte che riuscimmo a vedere; perché, di fatto, non erano presenti. A parte il comportamento, lo sguardo assente e allucinato di coloro che sopravvivevano al morso delle bestiole. Comportamento che si riassume in una veloce metamorfosi comportamentale che portava questi individui ad arrampicarsi sui rami più alti degli alberi per poi a lanciarsi a braccia e gambe divaricate, come se avessero delle membrane adatte al volo planare.
Soltanto che non le avevano.
Nella scena migliore, una cicciona continuava a lanciarsi protetta dal suo stesso grasso che ne impedì subito il decesso e la rottura di tutte le ossa. Al primo schianto, però, si beccò una spanciata pazzesca da cui la vedemmo rialzarsi con gli occhi storti e il naso in poltiglia.
Seguirono altre cosucce di quest’ordine e non particolarmente degne di nota, finché decidemmo di fare una pausa.
Andammo al balconcino, quindi, per permettere a Giorgio di fumare.
Da lì, stando al piano terra, potevamo osservare l’ampio giardino interno e la recinzione in ferro che separava il tutto dal marciapiede e la strada.
“Torno subito.” disse Cristiano, anche se eravamo appena usciti.
Io e Giorgio pensammo che volesse ricontrollare il muro, ma senza darcelo a vedere come aveva fatto per tutto il tempo; forse imbarazzato dalla sua stessa monomania.
“Non è convinto.” dissi. “Non gli pare possibile di aver rimosso la macchia.”
“Me ne sono accorto.” rispose Giorgio. “Sappiamo com’è fatto, il ragazzo…: E’ un maledetto perfezionista!”
Poco dopo, però, Cristiano fece ritorno con tre bottigliette di birra. Se aveva potuto dar sfogo alla sua fissazione, quindi, era stata una cosa rapida.
“Allora, cosa ve ne pare del film?” chiese.
“Che dire?!!… Per me è la solita, pregevole boiata.” risposi, prima di mandar giù mezza bottiglia, e lo ringraziai. L’attenzione di Giorgio, invece, sembrava rivolta a un tizio che passeggiava fuori.
Fece anche un cenno veloce per indicarcelo.
Era un omone con una fitta barba scura e folti capelli ricci.
Abbastanza inquietante, a dir la verità. La cosa straordinaria, poi, era che indossava un pigiama e trascinava le ciabatte sul marciapiede con passo lento e psicotico, fissando il vuoto davanti a sé.
Cristiano prese in disparte Giorgio, in modo da farlo voltare subito, e gli disse a bassa voce: “Non guardarlo e non fare commenti, per favore! Abita qui ed è molto esaurito, pericoloso, anche quando sedato dai farmaci e dalle cure di sua madre.”
“Ce lo vedo bene in un film come quello che stiamo guardando.” commentai.
Anche senza il morso di scoiattoli di peluche posticci, o altri moventi particolari, in effetti, sembrava più che idoneo a compiere una carneficina.
“Vi ho detto di non guardarlo!” insistette Cristiano.
Ma d’un tratto quello si fermò, come se avesse intuito che stavamo parlando di lui, e si mise a sua volta a fissarci.
Io risposi semplicemente con un sorriso, ingoiai un altro sorso e mi voltai; poi rientrammo tutti nell’appartamento.
Ci attendeva il resto del film.
Cristiano tirò giù la tapparella.
“Hmmm...” fece.
Tra una lista e l’altra spiò l’uomo e vide che era ancora lì, immobile.
Il secondo tempo di Scoiattoli zombi, o meglio, quello che noi fissammo come tale, mostrava tutti i rappresentanti di spicco dell’insulsa comunità radunati a discutere sul come affrontare la minaccia. Sedevano a un lungo tavolo, nel salone principale della biblioteca. Fu interpellato in primo luogo il sindaco, che propose di contattare l’esercito o una squadra abbastanza efficiente di disinfestatori. Poi fu la volta del capo di polizia; che vantava di aver preso lezioni di tiro e arti marziali da Bill Norris, il cugino dello zio di Frank Norris; nessuno dei quali aveva assolutamente a che fare con Chuck.
Il suo era un altrettanto stolidissimo, insignificante, massiccio e rapido piano di disboscamento. In ultima, venne avanzata l’opzione del paleontologo; grande esperto di lemuri mutanti e direttore del museo locale.
Questi, armato di un moderno proiettore di diapositive mostrò tutta la sequenza di passaggi utili a creare un ibrido fra poiana, pitone e pterodattilo; un essere di non modeste dimensioni, ma lo stesso in grado d’infiltrarsi nella boscaglia e divorare tutta la popolazione di roditori.
“Non possiamo metterci al posto di Dio!” Commentò a riguardo il pastore, con l’approvazione di tutti gli altri membri della sua chiesa satanica.
“Perché?” chiese il paleontologo.
Nessuno di loro seppe rispondere.
Ci furono poi dei litigi e altre discussioni. Qualcuno avanzò pure l’idea di auto prodursi, con pezzi di trattore e lamiera, un’armatura come quella di Iron Man. Alla fine, comunque, si optò per la soluzione più semplice; ovvero, concretizzare il progetto del paleontologo.
I frammenti di dna dello pterodattilo, ovviamente, mancavano; così, fu ragionevolmente supposto di poterli estrarre dall’Ambra.
Ambra era una ragazzina gravemente malformata e schizofrenica, durante le cui crisi sosteneva di viaggiare nel tempo. In seguito a un’analisi del suo lobo temporale destro fu certificato che non mentiva; e per tale ragione, grazie anche all’ipnosi regressiva, fu indotta a rivivere tutta la sua catena evolutiva fino a quando era anfibia.
Le fu quindi estratto un campione di sangue, nel preciso istante della seduta in cui da anfibia passava a pseudo rettile, rettile, pseudo rettile volante, pseudo pterodattilo e vero ptero. Poi il campione fu rapidamente portato nel laboratorio di chimica della scuola media che frequentava quando i compagni di classe non la costringevano a tornare a casa, a sassate.
La sua diversità, ora, si stava dimostrando vincente.
Apprezzammo anche questo aspetto morale della questione, sganasciandoci a più non posso.
La madre, infatti, intenerita, durante il prelievo le accarezzò una delle mostruose bozze frontali e disse:
“Sapevo che eri importante, che prima o poi avresti avuto la tua occasione.”
Poi si beccò un morso che le tranciò di netto il polso, da quella che ormai era a tutti gli effetti (psichici, più che altro) uno pterodattilo.
Una scena splatter, fra l’altro, molto ben realizzata rispetto ad altre, che però non riuscimmo ad apprezzare appieno perché interrotti da un violento bussare. Quattro sonorissimi colpi.
TOCK!TOCK!TOCK!TOCK!
“Non aprire quella porta!” dissi. E, vista la circostanza, mi sembrò pure di essere divertente; benché fossimo tutti e tre visibilmente sorpresi e spaventati.
Cristiano si parò subito allo spioncino.
La dinamica degli omicidi, tuttavia, mutò quando venne raggiunto il paese con il resto della sua esigua e depravata comunità.
Sì, perché i lemuri, una volta assaporata la carne umana, decisero di estendere il loro raggio di azione.
A questo punto, credo, vi starete chiedendo cosa c’entrano gli zombi.
Ebbene, questo non venne in alcun modo spiegato e neppure accennato nella parte che riuscimmo a vedere; perché, di fatto, non erano presenti. A parte il comportamento, lo sguardo assente e allucinato di coloro che sopravvivevano al morso delle bestiole. Comportamento che si riassume in una veloce metamorfosi comportamentale che portava questi individui ad arrampicarsi sui rami più alti degli alberi per poi a lanciarsi a braccia e gambe divaricate, come se avessero delle membrane adatte al volo planare.
Soltanto che non le avevano.
Nella scena migliore, una cicciona continuava a lanciarsi protetta dal suo stesso grasso che ne impedì subito il decesso e la rottura di tutte le ossa. Al primo schianto, però, si beccò una spanciata pazzesca da cui la vedemmo rialzarsi con gli occhi storti e il naso in poltiglia.
Seguirono altre cosucce di quest’ordine e non particolarmente degne di nota, finché decidemmo di fare una pausa.
Andammo al balconcino, quindi, per permettere a Giorgio di fumare.
Da lì, stando al piano terra, potevamo osservare l’ampio giardino interno e la recinzione in ferro che separava il tutto dal marciapiede e la strada.
“Torno subito.” disse Cristiano, anche se eravamo appena usciti.
Io e Giorgio pensammo che volesse ricontrollare il muro, ma senza darcelo a vedere come aveva fatto per tutto il tempo; forse imbarazzato dalla sua stessa monomania.
“Non è convinto.” dissi. “Non gli pare possibile di aver rimosso la macchia.”
“Me ne sono accorto.” rispose Giorgio. “Sappiamo com’è fatto, il ragazzo…: E’ un maledetto perfezionista!”
Poco dopo, però, Cristiano fece ritorno con tre bottigliette di birra. Se aveva potuto dar sfogo alla sua fissazione, quindi, era stata una cosa rapida.
“Allora, cosa ve ne pare del film?” chiese.
“Che dire?!!… Per me è la solita, pregevole boiata.” risposi, prima di mandar giù mezza bottiglia, e lo ringraziai. L’attenzione di Giorgio, invece, sembrava rivolta a un tizio che passeggiava fuori.
Fece anche un cenno veloce per indicarcelo.
Era un omone con una fitta barba scura e folti capelli ricci.
Abbastanza inquietante, a dir la verità. La cosa straordinaria, poi, era che indossava un pigiama e trascinava le ciabatte sul marciapiede con passo lento e psicotico, fissando il vuoto davanti a sé.
Cristiano prese in disparte Giorgio, in modo da farlo voltare subito, e gli disse a bassa voce: “Non guardarlo e non fare commenti, per favore! Abita qui ed è molto esaurito, pericoloso, anche quando sedato dai farmaci e dalle cure di sua madre.”
“Ce lo vedo bene in un film come quello che stiamo guardando.” commentai.
Anche senza il morso di scoiattoli di peluche posticci, o altri moventi particolari, in effetti, sembrava più che idoneo a compiere una carneficina.
“Vi ho detto di non guardarlo!” insistette Cristiano.
Ma d’un tratto quello si fermò, come se avesse intuito che stavamo parlando di lui, e si mise a sua volta a fissarci.
Io risposi semplicemente con un sorriso, ingoiai un altro sorso e mi voltai; poi rientrammo tutti nell’appartamento.
Ci attendeva il resto del film.
Cristiano tirò giù la tapparella.
“Hmmm...” fece.
Tra una lista e l’altra spiò l’uomo e vide che era ancora lì, immobile.
Il secondo tempo di Scoiattoli zombi, o meglio, quello che noi fissammo come tale, mostrava tutti i rappresentanti di spicco dell’insulsa comunità radunati a discutere sul come affrontare la minaccia. Sedevano a un lungo tavolo, nel salone principale della biblioteca. Fu interpellato in primo luogo il sindaco, che propose di contattare l’esercito o una squadra abbastanza efficiente di disinfestatori. Poi fu la volta del capo di polizia; che vantava di aver preso lezioni di tiro e arti marziali da Bill Norris, il cugino dello zio di Frank Norris; nessuno dei quali aveva assolutamente a che fare con Chuck.
Il suo era un altrettanto stolidissimo, insignificante, massiccio e rapido piano di disboscamento. In ultima, venne avanzata l’opzione del paleontologo; grande esperto di lemuri mutanti e direttore del museo locale.
Questi, armato di un moderno proiettore di diapositive mostrò tutta la sequenza di passaggi utili a creare un ibrido fra poiana, pitone e pterodattilo; un essere di non modeste dimensioni, ma lo stesso in grado d’infiltrarsi nella boscaglia e divorare tutta la popolazione di roditori.
“Non possiamo metterci al posto di Dio!” Commentò a riguardo il pastore, con l’approvazione di tutti gli altri membri della sua chiesa satanica.
“Perché?” chiese il paleontologo.
Nessuno di loro seppe rispondere.
Ci furono poi dei litigi e altre discussioni. Qualcuno avanzò pure l’idea di auto prodursi, con pezzi di trattore e lamiera, un’armatura come quella di Iron Man. Alla fine, comunque, si optò per la soluzione più semplice; ovvero, concretizzare il progetto del paleontologo.
I frammenti di dna dello pterodattilo, ovviamente, mancavano; così, fu ragionevolmente supposto di poterli estrarre dall’Ambra.
Ambra era una ragazzina gravemente malformata e schizofrenica, durante le cui crisi sosteneva di viaggiare nel tempo. In seguito a un’analisi del suo lobo temporale destro fu certificato che non mentiva; e per tale ragione, grazie anche all’ipnosi regressiva, fu indotta a rivivere tutta la sua catena evolutiva fino a quando era anfibia.
Le fu quindi estratto un campione di sangue, nel preciso istante della seduta in cui da anfibia passava a pseudo rettile, rettile, pseudo rettile volante, pseudo pterodattilo e vero ptero. Poi il campione fu rapidamente portato nel laboratorio di chimica della scuola media che frequentava quando i compagni di classe non la costringevano a tornare a casa, a sassate.
La sua diversità, ora, si stava dimostrando vincente.
Apprezzammo anche questo aspetto morale della questione, sganasciandoci a più non posso.
La madre, infatti, intenerita, durante il prelievo le accarezzò una delle mostruose bozze frontali e disse:
“Sapevo che eri importante, che prima o poi avresti avuto la tua occasione.”
Poi si beccò un morso che le tranciò di netto il polso, da quella che ormai era a tutti gli effetti (psichici, più che altro) uno pterodattilo.
Una scena splatter, fra l’altro, molto ben realizzata rispetto ad altre, che però non riuscimmo ad apprezzare appieno perché interrotti da un violento bussare. Quattro sonorissimi colpi.
TOCK!TOCK!TOCK!TOCK!
“Non aprire quella porta!” dissi. E, vista la circostanza, mi sembrò pure di essere divertente; benché fossimo tutti e tre visibilmente sorpresi e spaventati.
Cristiano si parò subito allo spioncino.
Era il coinquilino esaurito. L’uomo delle caverne ibridato con un orso grizzly, probabilmente, in qualche laboratorio di scuola media ai confini della realtà.
“Ssssssssccccccch!....” fece Cristiano, ditino davanti alla bocca. “E’ quello di prima.”
“Ssssssssccccccch!....” fece Cristiano, ditino davanti alla bocca. “E’ quello di prima.”
Poi prese il telecomando e mise in stand bay la tv.
"Problemi?” sussurrò Giorgio.
“Non lo so.”
“Ha già le pantofole, comunque.” dissi. “Puoi farlo entrare.”
Altri quattro colpi.
Cristiano sibilò un paio di bestemmie.
“Zitto! Zitto!!” mi ringhiò.
“Se non apri butto giù la porta.” disse l’uomo.
Eravamo in tre, abbastanza forti da sopraffarlo in caso di colluttazione. Giorgio, quindi, che era il più robusto e sicuro di sé, suggerì di aprire.
“Proviamo a parlarci!” disse. “Vediamo cosa vuole!”
La decisione, tuttavia, fu forse troppo affrettata e ottimista. Ce ne rendemmo subito conto nel momento in cui Cristiano aprì.
“Cos’aveva da ridere, il tuo amico?” berciò il tizio.
Una peluria da gorilla gli fuoriusciva dal colletto del pigiama. La mano destra, poi, impugnava una bottiglia di Coca Cola, di quelle in vetro e ancora piena della bevanda.
“Ridere?”dissi io, portandomi una mano al petto.
“Sì. Prima; là fuori.” Indicò la porta che dava sul balcone.
“Stavamo raccontandoci delle cose divertenti. Barzellette.” intervenne Cristiano.
“Quali?”
“Ehmm… Quelle del…”
“Quelle del?” insistette barba nera.
Cristiano si voltò a cercare la nostra collaborazione.
“Falso! Falso!” gridò l’uomo. “SEI FALSO!!”
Il viso gli era diventato bordeaux. Cominciò a digrignare i denti e agitare le braccia.
“Okay. Cosa possiamo fare per te?” chiese Giorgio.
“Ho visto che stavate bevendo birra. Datemi della birra e io in cambio vi do ‘sta schifezza; l’unica cosa diversa dall’acqua che mi concede mia madre.” Alzò la bottiglia di Coca Cola.
Giorgio vide Cristiano dissentire.
“Se tua madre ti vieta gli alcolici ci sarà una ragione.” rispose. “Comunque, l’abbiamo finita.”
Barba nera si passò la mano fra i capelli, soffiò dalle narici.
“SEI FALSOOOO!!! FALSOOOO!” gridò.
Negli appartamenti vicini qualcuno stava sicuramente ascoltando e osservando la scena dagli spioncini, ma nessuno se la sentì di intervenire. Il b-movie, questa volta, aveva soltanto noi per protagonisti.
Cristiano tentò di richiudere la porta, ma Barbanera premeva contro e, come diversivo, attraverso lo spiraglio che stavamo creando, lanciò veloce la bottiglia.
Esplose dentro casa, inzuppando tappeto e pavimento. E doveva averla scossa bene bene, fra l’altro, visto che molto sprizzò tutt’attorno; sicuramente, anche nel punto precedentemente imbrattato dalla pallina di sugo.
“FALSO!”disse. “TUTTO FALSO!... SIETE SOLTANTO FALSI ED EGOISTI!”
Cristiano riaprì e gli sparò subito una gomitata in faccia. La faccenda della Coca gli aveva procurato un black out cerebrale e fatto saltare i nervi, così che tentare di dividerli divenne presto impossibile.
Io fui messo a tappeto con uno schiaffo alla tempia; giusto per servire, e mi beccai pure uno sputo nell’occhio, uno spintone e, una volta a terra, tre calci nello stomaco.
Oltre ad avere una forza brutale, infatti, bisogna riconoscere che quel tizio era anche agile, assai reattivo; non quanto ci avevano fatto crede i suoi modi e l’apatica camminata osservati all’aperto.
Cristiano, comunque, a un certo punto stava per essere strangolato sul divano. Protendeva una mano verso Giorgio.
"Problemi?” sussurrò Giorgio.
“Non lo so.”
“Ha già le pantofole, comunque.” dissi. “Puoi farlo entrare.”
Altri quattro colpi.
Cristiano sibilò un paio di bestemmie.
“Zitto! Zitto!!” mi ringhiò.
“Se non apri butto giù la porta.” disse l’uomo.
Eravamo in tre, abbastanza forti da sopraffarlo in caso di colluttazione. Giorgio, quindi, che era il più robusto e sicuro di sé, suggerì di aprire.
“Proviamo a parlarci!” disse. “Vediamo cosa vuole!”
La decisione, tuttavia, fu forse troppo affrettata e ottimista. Ce ne rendemmo subito conto nel momento in cui Cristiano aprì.
“Cos’aveva da ridere, il tuo amico?” berciò il tizio.
Una peluria da gorilla gli fuoriusciva dal colletto del pigiama. La mano destra, poi, impugnava una bottiglia di Coca Cola, di quelle in vetro e ancora piena della bevanda.
“Ridere?”dissi io, portandomi una mano al petto.
“Sì. Prima; là fuori.” Indicò la porta che dava sul balcone.
“Stavamo raccontandoci delle cose divertenti. Barzellette.” intervenne Cristiano.
“Quali?”
“Ehmm… Quelle del…”
“Quelle del?” insistette barba nera.
Cristiano si voltò a cercare la nostra collaborazione.
“Falso! Falso!” gridò l’uomo. “SEI FALSO!!”
Il viso gli era diventato bordeaux. Cominciò a digrignare i denti e agitare le braccia.
“Okay. Cosa possiamo fare per te?” chiese Giorgio.
“Ho visto che stavate bevendo birra. Datemi della birra e io in cambio vi do ‘sta schifezza; l’unica cosa diversa dall’acqua che mi concede mia madre.” Alzò la bottiglia di Coca Cola.
Giorgio vide Cristiano dissentire.
“Se tua madre ti vieta gli alcolici ci sarà una ragione.” rispose. “Comunque, l’abbiamo finita.”
Barba nera si passò la mano fra i capelli, soffiò dalle narici.
“SEI FALSOOOO!!! FALSOOOO!” gridò.
Negli appartamenti vicini qualcuno stava sicuramente ascoltando e osservando la scena dagli spioncini, ma nessuno se la sentì di intervenire. Il b-movie, questa volta, aveva soltanto noi per protagonisti.
Cristiano tentò di richiudere la porta, ma Barbanera premeva contro e, come diversivo, attraverso lo spiraglio che stavamo creando, lanciò veloce la bottiglia.
Esplose dentro casa, inzuppando tappeto e pavimento. E doveva averla scossa bene bene, fra l’altro, visto che molto sprizzò tutt’attorno; sicuramente, anche nel punto precedentemente imbrattato dalla pallina di sugo.
“FALSO!”disse. “TUTTO FALSO!... SIETE SOLTANTO FALSI ED EGOISTI!”
Cristiano riaprì e gli sparò subito una gomitata in faccia. La faccenda della Coca gli aveva procurato un black out cerebrale e fatto saltare i nervi, così che tentare di dividerli divenne presto impossibile.
Io fui messo a tappeto con uno schiaffo alla tempia; giusto per servire, e mi beccai pure uno sputo nell’occhio, uno spintone e, una volta a terra, tre calci nello stomaco.
Oltre ad avere una forza brutale, infatti, bisogna riconoscere che quel tizio era anche agile, assai reattivo; non quanto ci avevano fatto crede i suoi modi e l’apatica camminata osservati all’aperto.
Cristiano, comunque, a un certo punto stava per essere strangolato sul divano. Protendeva una mano verso Giorgio.
Mi è rimasta impressa questa immagine. Tuttavia Giorgio non poteva in alcun modo aiutarlo, messo ko da una testata; stava semplicemente accasciato in un angolo e privo di sensi, con occhi fissi e sbarrati da marionetta.
Dopo l’esplosione di rabbia iniziale, l’uomo ci aveva facilmente allontanati e si era avventato contro Cristiano. Aveva anche, sì, rimediato un bel taglio sull’arcata sopraccigliare, per via della gomitata, ma ora gli stava addosso, noncurante del sangue che gli colava sulla barba. A cavalcioni su di lui, forte del suo peso, continuava a stringere e a scuoterlo.
“Falso! Sei falso!” si ostinava a dire.
Da terra vedevo la testa di Cristiano infossata nei cuscini; il viso paonazzo, quasi pronto ad esplodere dietro a tutta quella pressione.
“Ghhhhhuuummmehgrrrr…” rantolava, con un po’ di schiumetta ai lati della bocca.
Ad un tratto, però, non si sa come, ebbe la forza di piegare un braccio all’indietro e prendere il falcetto da funghi che Giorgio aveva appoggiato sul tavolino. Nel compiere questa operazione fece anche cadere una costosissima lampada. Una bestemmia asfittica gli uscì dalle labbra, mentre portava l’altra mano dietro alla testa per estrarre la lama ricurva dal piccolo manicotto di legno.
Poi la piantò nella spalla dell’energumeno.
Il risultato fu che questi mollò la presa e si afferrò il deltoide in fiamme, grondante di sangue, gridando a squarciagola e attirando l’attenzione di tutto il vicinato.
Una gran bella spaventosa, penosa e imbarazzante figura. Nella confusione di gente accorsa e mentre stavo ancora a terra, parecchio dolorante, vidi che qualcuno se lo portava via tamponandogli la ferita con la mia giacca, e che piangeva come un bambino; un bambino di centoventi chili e con il potenziale di un rinoceronte.
Siamo ancora in ballo con avvocati, denunce varie per aggressione e disturbo della quiete, in ogni caso; aggravati dal fatto che la persona da cui abbiamo tentato di difenderci è un minorato mentale.
Scoiattoli zombi, perciò, rimane per noi, molto inclini alla superstizione e all’ ignoranza, un incubo. Tabù. Qualcosa da dimenticare. L’unica storia veramente maledetta, sfigata e di cui, ci siamo proposti, non vedremo mai il finale.
Dopo l’esplosione di rabbia iniziale, l’uomo ci aveva facilmente allontanati e si era avventato contro Cristiano. Aveva anche, sì, rimediato un bel taglio sull’arcata sopraccigliare, per via della gomitata, ma ora gli stava addosso, noncurante del sangue che gli colava sulla barba. A cavalcioni su di lui, forte del suo peso, continuava a stringere e a scuoterlo.
“Falso! Sei falso!” si ostinava a dire.
Da terra vedevo la testa di Cristiano infossata nei cuscini; il viso paonazzo, quasi pronto ad esplodere dietro a tutta quella pressione.
“Ghhhhhuuummmehgrrrr…” rantolava, con un po’ di schiumetta ai lati della bocca.
Ad un tratto, però, non si sa come, ebbe la forza di piegare un braccio all’indietro e prendere il falcetto da funghi che Giorgio aveva appoggiato sul tavolino. Nel compiere questa operazione fece anche cadere una costosissima lampada. Una bestemmia asfittica gli uscì dalle labbra, mentre portava l’altra mano dietro alla testa per estrarre la lama ricurva dal piccolo manicotto di legno.
Poi la piantò nella spalla dell’energumeno.
Il risultato fu che questi mollò la presa e si afferrò il deltoide in fiamme, grondante di sangue, gridando a squarciagola e attirando l’attenzione di tutto il vicinato.
Una gran bella spaventosa, penosa e imbarazzante figura. Nella confusione di gente accorsa e mentre stavo ancora a terra, parecchio dolorante, vidi che qualcuno se lo portava via tamponandogli la ferita con la mia giacca, e che piangeva come un bambino; un bambino di centoventi chili e con il potenziale di un rinoceronte.
Siamo ancora in ballo con avvocati, denunce varie per aggressione e disturbo della quiete, in ogni caso; aggravati dal fatto che la persona da cui abbiamo tentato di difenderci è un minorato mentale.
Scoiattoli zombi, perciò, rimane per noi, molto inclini alla superstizione e all’ ignoranza, un incubo. Tabù. Qualcosa da dimenticare. L’unica storia veramente maledetta, sfigata e di cui, ci siamo proposti, non vedremo mai il finale.
Lo spettacolo che evoca situazioni assurde e pericolose quanto i suoi contenuti. Il b-movie che si fa realtà, che trascina i suoi spettatori in un gorgo di follia.
Non guardate Scoiattoli zombi!
Non guardate Scoiattoli zombi!
Dedicato a Corra e le nostre “serate ignoranti” in compagnia di birra, grappa e film spazzatura.
N.d.r: Non guardate “Scoiattoli zombi”! Anche perché non esiste. Se volete farvi due risate, però, c’è la serie prodotta da Sam Raimi “Zombie Roadkill” e il film “Zombeavers”; che sono più o meno la stessa porcata e non vi porteranno, certo, ad affrontare energumeni armati di Coca Cola.
Niente di quanto narrato è avvenuto realmente. Perlomeno, non nell’ ordine e con i personaggi da me citati.
Scoiattoli Zombi
Racconto di Fabio Cavagliano (2016)
Scoiattoli Zombi
Racconto di Fabio Cavagliano (2016)
C'è un romanzo di Lansdale . ora non ricordo quale - in cui Hap deve vedersela con uno scoiattolo idrofobo. La scena è gustosa e divertente (tanto che in un altro romanzo Hap la ricorda) e soprattutto dimostra come non sia necessario ricorrere a chissà quale effettistica speciale per creare scene d'azione dinamiche e coinvolgenti, se la scrittura è abbastanza abile. Questo racconto, per la serie "la realtà supera la fantasia". dimostra, al di là di un certo gusto per il grottesco, come la lezione di Lansdale sia valida. I personaggi sono un po' maniaci, ma non pazzi furiosi; a ben guardare neanche il bruto lo è. Come dire che ci vuole poco perchè il reale sia assurdo e, l'assurdo, reale. Ben gestita l'autoironia, indispensabile in questo tipo di storie.
RispondiEliminaProprio così, Roberto. Anch’io, qui, non avevo alcun effetto speciale o tema rilevante da proporre; soltanto due situazioni: L’ordinaria e ridanciana serata in compagnia di amici e l’individuo in pigiama (che ho visto realmente e più volte passeggiare sotto casa, fra l’altro, quando abitavo in città, e somigliantissimo a quello dell’illustrazione). La filosofia di questa scrittura, quindi, è stata proprio quella di unire, esasperare, rendere un po’ comici e movimentati alcuni ricordi. Contento di averti trovato anche in questa mia, comunque. Quasi temevo che non avresti apprezzato, visto il carattere un po’ eccessivo della vicenda.
EliminaDivertente scritto,come sempre Fabio dimostra la sua abilità di scrittore,horror demenziale al top,il mio passaggio preferito è quello di Ambra,eccezionale
RispondiEliminaHai visto?!... Non è stata così terribile la lettura. Forse anche noi due e "Cristiano", pur non avendo vistose bozze frontali, riusciamo a regredire alla preistoria...
EliminaGrazie
Mitico! L'ho riletto con estremo piacere tutto d'un fiato..
RispondiEliminaAdoro come sai enfarizzare le caratteristiche dei tuoi personaggi immaginari... ;D
Grande Corra!!!... Sono contento di trovarti anche su queste pagine. (pure i draconiani e tutta Sirio esultano…)
EliminaChi non ha visto un film di serie B con gli amici? Ancora ricordo i sei Sharknedo, e allora ecco un esempio in cui le scene piovono come se piovessero squali. Grottesco, veloce, ben scritto. Cosa mi è piaciuto di più? La libertà di sbagliare, la libertà di eccedere, quella libertà che si cerca durante l'età dei miracoli, l'adolescenza, quella libertà di non essere perfetti, di non essere composti, e macchiare con un po' di sugo la tovaglia, e spingere sull'acceleratore della giovinezza, ridendoci sopra, senza grandi pretese ma non per questo senza grandi sogni. Tutto l'entusiasmo di scrivere SF...
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