Si era ripromesso di non cascarci e invece…
Di lì a qualche anno, di lei avrebbero detto “come Anna Falchi” che era per metà romagnola e per metà finlandese, però era solo il 1982 e Anna Falchi, ancora, non la conosceva nessuno.
E, comunque, Guido non avrebbe detto “come Anna Falchi” neppure se la Falchi fosse stata già famosa. Semmai, avrebbe detto “come Kristina Hallberg” a proposito di Anna Falchi.
Perché Guido si era ripromesso di non cascarci e invece ci era cascato.
Si era preso una cotta per Kristina.
A quattordici anni, parlare di “amore” era eccessivo. Guido non ne avrebbe parlato, anzi, non sarebbe stato capace di parlarne più di quanto fosse capace di tirare un rigore in una partita di calcio coi ragazzi dei bagni Ondina a Pinarella di Cervia. E Guido non tirava mai rigori. Anzi. Nessuno voleva Guido in una squadra di calcio. Mai.
Era una cotta, comunque. Non faceva male come una scottatura, ma non si poteva lenire spalmandosi la crema solare o il doposole. Era piuttosto come stare in panchina mentre gli altri giocavano, con la differenza che, a quello, Guido si era rassegnato.
Al fatto che Kristina gli dedicasse meno attenzione che allo stecco di un ghiacciolo dopo che il ghiacciolo era finito, però, non si rassegnava.
Perché si era ripromesso di non cascarci e, invece, ci era cascato.
Per questo gli era venuta la scimmia del Kalevala.
Come dicevo, era il 1982: l’Italia aveva vinto i Mondiali e, diciamocelo, chi se lo aspettava?.
Così, quella mattina, quando Kristina, invece di correre in acqua, si era messa sotto l’ombrellone con un libro in mano e una fronte corrugata come il mare sotto il garbino, lui le aveva chiesto che cosa non andasse.
E lei gli aveva risposto: «Devo scrivere una tesina sul Kalevala».
Penserete che fosse la prima volta che gli rivolgeva la parola. No. Era la seconda. La prima volta che Kristina aveva parlato a Guido gli aveva detto: «Puoi spostare la tua sdraio che io devo tirare la mia al sole?».
Ok, non era stata una gran conversazione, ma, se ce n’è una seconda, potrebbe essercene una terza e… dopotutto era il 1982, l’Italia aveva vinto i Mondiali e chi se lo aspettava?
Così a Guido era venuta la scimmia del Kalevala.
Provocava una reclusione volontaria nella biblioteca cittadina perché, allora, di internet neanche a parlarne. C’erano libri da leggere, enciclopedie da consultare, appunti scarabocchiati e il massimo dell’esercizio fisico era andare dal banco di consultazione a quello della bibliotecaria che, ogni volta che Guido le voltava le spalle, scuoteva la testa.
Non era tanto male.
Sempre meglio di quell’odiosa crema solare che lo ungeva tutto e che Guido detestava.
E poi, a calcio non lo avrebbero fatto giocare mai.
Una volta guarito, Guido era corso da Kristina, le aveva sventolato sotto il naso un blocchetto per gli appunti e le aveva detto: «Sai che è stato composto da Elias Lönnrot nella metà dell'Ottocento sulla base di poemi e canti popolari della Finlandia (soprattutto in careliano, un dialetto strettamente correlato al finlandese), che allora questa operazione, il creare poemi nazionali più o meno fittizi era abbastanza frequente (pensa ai canti di Ossian) e che Kaleva è il nome del mitico progenitore e patriarca della stirpe finnica, ricordato sia in questo testo che nella saga estone del Kalevipoeg?».
Tutto d’un fiato.
Coloro che non facevano giocare Guido a calcio su una cosa si sbagliavano: il fiato l’aveva.
Kristina aveva guardato Guido come… avente presente il famoso stecco del ghiacciolo? Bene, metteteci il ghiacciolo intorno. Giallo limone andrà benissimo. Adesso immaginate che sia caduto nella sabbia e sia pieno di formiche che se lo stanno mangiando. Il pezzo mancante, nell’angolo a destra, è il morso di un topo. Il ghiacciolo deve aver fatto schifo anche a lui perché non ce ne sono altri.
Ecco, Kristina aveva guardato Guido peggio di così. Molto peggio.
Non dev’essere piacevole sentirsi raccontare che il tuo poema nazionale è stato costruito a tavolino ed è molto poco “autentico” (come la maggior parte dei poemi nazionali, ma ormai era tardi per aggiungere quella postilla).
Non dev’essere piacevole sentirselo raccontare mentre sei in spiaggia che ti stai godendo gli ultimi giorni di vacanza e cerchi di non pensare ai compiti che ti aspettano insieme alla solita vita.
Non erano riflessioni particolarmente acute e, in condizioni normali, Guido le avrebbe formulate senza problemi, ma, se ti prendi una cotta, certe funzioni cerebrali si disattivano a tutto vantaggio di altre.
Guido lo sapeva e, per questo, aveva cercato di non cascarci.
E invece.
Il resto dell’estate passò nel solito modo.
Nessuno fece giocare Guido a calcio, anche se il fiato l’aveva.
La cotta, invece, non passò.
A essere diverso fu l’ultimo giorno.
Come ogni estate, la fine delle vacanze si sarebbe conclusa con un falò sulla spiaggia. Era il 1982 ed erano ancora consentiti. L’Italia era sempre campione del mondo e lo sarebbe rimasta ancora per un po’.
I ragazzi del Bagno Ondina, però, quest’anno avrebbero potuto parteciparvi. Avevano quattordici anni, era la prima volta e, come insegna l’aritmetica, sarebbe stata anche l’unica prima volta.
C’era Kristina e c’era anche Guido. Seduto vicino a lei, perché tanto non faceva differenza.
«Lo facciamo anche noi, ma all’inizio dell’estate» disse Kristina.
Juhannus. Il ricordo riaffiorò nella mente di Guido. Postumi della scimmia del Kalevala.
Anche in Italia c’era qualcosa di simile: i falò di S. Giovanni. La Chiesa cattolica aveva sovrapposto le proprie credenze a riti più antichi il cui scopo era dare forza al sole.
Sul Mediterraneo, estate e inverno erano una cosa, ma lassù, dove il freddo e il buio non scherzavano...
Scorse un velo sugli occhi di Kristina.
Forse stava pensando all’estate che finiva, alle vacanze concluse, al tempo che passava o ai lunghi mesi di oscurità che, pazienti, l’attendevano.
Nessuno dovrebbe pensare all’inverno in agosto: è come un presagio di morte pensò.
Ma non lo disse. Aveva imparato la lezione.
Durante lo Juhannus i ragazzi saltavano tra le fiamme come prova di virilità e celebrare la Vita.
Qualcosa luccicò sulla guancia di Kristina.
«Farò in modo che tu non debba mai pensare all’inverno» disse Guido spiccando il balzo.
Perché si era ripromesso di non cascarci e invece ci era cascato.
Ne ricavò ustioni di secondo grado e un danno permanente alla vista.
Gli torna in mente dopo tutti questi anni.
Gli sembra persino di vederla tra le fiamme.
Forse è colpa di quel danno alla vista.
Macché.
È suggestione, associazione di idee.
Fenrir.
L’hanno avvistata quattro anni fa e, da tre mesi a questa parte, la nostra stella appare come un’abat-jour coperta da un velo molto spesso.
La temperatura sull’intero pianeta è scesa, in media, di due gradi e mezzo.
Tra due mesi sarà peggio.
Fenrir, come uno spiritosone l’ha chiamata pensando al lupo gigantesco che, nei miti nordici, divora il sole durante Ragnarok, non se ne andrà tanto presto. Forse un anno, forse sedici mesi.
Tanto, non la puoi spazzare o soffiare via, nè le puoi sparare come a un meteorite da strapazzo. Non le puoi fare niente.
Se la piglia con calma e rimarrà il tempo che deve rimanere.
La civiltà ci sta impiegando molto meno a scomparire.
Guido guarda le fiamme sulla spiaggia dove si allargano chiazze di neve. Al largo, qualcosa biancheggia. Potrebbe essere ghiaccio. È ottobre.
Non crede che Kristina sia sopravvissuta. Deve essere brutta, lassù.
Quello che sapevamo, quello che potevamo fare, non è servito a niente. Non più dei falò di San Giovanni o dello Juhannus.
Saltiamo tra le fiamme sperando che il ciclo della natura continui. È sempre stato così, ma non si sa mai.
Amiamo sperando di essere amati, ma non si sa mai.
Ma non si può fare a meno di cascarci.
Guido prende la rincorsa e salta.
Nuove glaciazioni. Bello.
RispondiEliminaLe cose vanno come vanno, mi vien da dire, oppure sono come sono; aldilà di tutte le più o meno folli idee o azioni che possiamo compiere per opporci, tentare di raggiungere i nostri sogni.
Ben costruito sulla contrapposizione freddo-morte VS vita-calore (o passione accecante, sentimento che non permette di vedere o, “coraggiosamente”, non vuole tener conto dei fatti e del reale). Perlomeno, è quanto ho compreso io del testo.