“Ciao, lo sai che la mia vita è una merda?”
L’immancabilmente fulminea risposta fu:
“Mi dispiace che tu ti senta così. Sappi che esistono molte persone vicine a te che possono aiutarti, se solo tu volessi confidarti con loro“.
niente di troppo diverso dalle risposte delle volte precedenti, giusto qualche variazione nella sintassi.
Bisogna ammettere che le prime volte che Luca aveva utilizzato l’ AI come valvola di sfogo, quelle parole di conforto sembravano procurargli un certo sollievo. Capiamoci, non che fossero una miracolosa panacea, ma sempre meglio di niente. Ora invece gli sembravano vuote esternazioni, pregne di un moralismo finto quanto i sentimenti dell’algoritmo che le aveva generate.
Mentre, seduto sul divano, chiacchierava con il proprio surrogato digitale di un amico immaginario Willy gli si arrampicò sulle gambe e ci si accoccolò sopra. Quasi contemporaneamente iniziò a produrre fusa rumorose e ritmate. Luca osservò il gatto per qualche secondo, poi pensò ad alta voce
“Sono il tuo procacciatore di cibo ufficiale; è per questo che mi stai appresso, non è vero piccoletto?”.
Sentendo il suono della voce il gatto si voltò nella sua direzione; a giudicare dal suo sguardo non sembrava aver capito il senso più profondo di quella frase. Del resto come avrebbe potuto? Era un gatto domestico come tanti, che si limitava a fare le cose tipiche della sua specie.
La quintessenza della normalità nell’ambito degli animali da affezione.
“Proprio come me” pensò Luca.
Del resto non siamo tutti animali domestici? Ci allevano, ci nutrono, ci educano e ci puniscono quando sbagliamo. È un processo che dura tutta una vita e che vede avvicendarsi tutta una serie di mentori più o meno qualificati per il ruolo assegnatogli non si sa bene da chi.
Genitori, insegnanti, la Società stessa.
Tutti impegnati ad indicarci la giusta via da seguire e il modo migliore per percorrerla; ognuno depositario dei migliori principi etici da applicare nelle varie circostanze, costi quel che costi.
E tu ci credi a quegli insegnamenti perché, cazzo, quello è il branco, il clan, la tribù di appartenenza; dovrà pur contare qualcosa, giusto?
Quindi ti applichi e ti impegni finché non riesci e ottieni il plauso altrui che, alla fine dei conti, sembra essere l’unica cosa importante.
Fino a un certo punto.
Perché poi una mattina ti svegli, come sempre; è un giorno come tanti, senza niente di particolare. Vai in bagno, ti guardi allo specchio ed è li che succede.
Succede che quello che vedi allo specchio non sei tu. O meglio, sei tu, solo che non sai più cosa voglia dire essere Te. Perché quell’immagine riflessa sembra essere, più che altro, il banale contenitore di sentimenti, modelli comportamentali e opinioni di altri.
Troppi altri.
Nel frattempo il Te, o quello che una volta era Te, se ne sta sul fondo del contenitore, schiacciato da della roba che, nella migliore delle ipotesi, è semplice merda fumante.
Sapete, quando succede questa cosa capita che quella specie di sgorbietto, il tizio che tanto tempo fa abitava il tuo corpo, si animi.
All’inizio si muove giusto un po', diciamo che prende confidenza con l’ambiente. Poi inizia a grattare via tutta la spazzatura che lo circonda, cerca di emergere in qualche maniera.
E mentre gratta e scalcia, cercando di risalire la china, smuove tutta quella massa di preconcetti, norme morali e altre puttanate che non ci stanno mica a farsi scalzare così.
Oh no, loro oppongono resistenza e si gonfiano ed emettono questo fetore insopportabile che, lasciate che ve lo dica, non c’è doccia che tenga, non te lo levi mica di dosso.
È uno sconquasso totale quando succede, un autentica Apocalisse, roba da manuale di psichiatria, per intenderci.
Almeno a Luca era capitato così, una mattina come tante.
Di recente.
Per caso.
Prima, a vederlo, nessuno si sarebbe aspettato un tracollo del genere. Una persona tanto educata e controllata, anche nelle peggiori situazioni. C’era stata quella volta prima della crisi, per esempio; quando sarà stato? Diciamo non più di dieci giorni fa.
Fu la volta del lampo di luce, un evento di cui si ricordano tutti, per ovvi motivi. Ne avevano parlato in TV, nei mesi precedenti; c’era la concreta possibilità che accadesse, dicevano. La gente si era preoccupata parecchio all’inizio, come era previsto dalle convenzioni sociali. Poi aveva ripreso le proprie attività come di consueto. Del resto non ci si può permettere di vivere nel terrore troppo a lungo, quando si hanno da seguire i propri sogni di successo.
Quel pomeriggio Luca era a casa, in pausa dal lavoro, quando il lampo arrivò. Era lontanissimo, eppure il bagliore fu talmente forte da accecarlo per diversi secondi. Tutti, giù in strada, si misero a correre. Le automobili in sosta attivarono i loro allarmi all’unisono; l’aria era pervasa da una cacofonia assordante che sembrava non dover avere mai fine. Le persone urlavano disperate durante la fuga, aggiungendo una nota tragica al caos generale.
Luca, una volta riacquistato il dono della vista, non si era scomposto neanche di un millimetro.
Aveva preparato il caffè, ecco cosa aveva fatto. Quando la caffettiera aveva iniziato a gorgogliare se n’era riempito una tazza e si era seduto alla finestra. Aveva osservato a lungo il cielo nel suo inedito colore sanguigno, mentre avvertiva sul volto il mortifero vento causato dall’esplosione.
Le strade erano deserte da giorni ormai. Da principio si avvertiva, in lontananza, il suono ovattato delle ambulanze, poi neanche quello.
Inaspettatamente sia la linea elettrica che la connessione internet non erano collassate. Forse era merito dei cavi nel sottosuolo, forse della Divina Provvidenza. Fatto sta che, mentre tutto cadeva a pezzi e la dispensa si svuotava lentamente, il magico modo del World Wide Web offriva un tiepido rifugio a chiunque fosse in possesso di un dispositivo per usufruirne.
Luca emerse dai ricordi degli ultimi giorni come se si risvegliasse dal sogno di qualcun altro. Rimase seduto sul divano per qualche minuto, mentre Willy gli ronfava in grembo. Dopo un po' l’animale iniziò a tossire; rivoli di sangue presero a colargli dalle narici e dagli angoli delle fauci. Era da qualche giorno che gli capitava.
Luca considerò che animali di ridotte dimensioni, come i gatti, presumibilmente risentono delle radiazioni prima degli esseri umani. Era dispiaciuto per la sorte del suo coinquilino, mentre il fatto che ne avrebbe presto condiviso il destino lo lasciava piuttosto indifferente. A quanto pare aveva ritrovato la sua proverbiale calma, alla fine.
Cautamente spostò Willy dalle proprie gambe e andò alla finestra per ammirare nuovamente quel cielo cremisi che sembrava voler restare così in eterno.
Pensò che la vita è breve ed è effettivamente un gran cumulo di merda, ma almeno adesso l’avrebbe vissuta sentendosi definitivamente se stesso.
Poi iniziò a tossire.
A me questo racconto piace molto, pur essendo assai stringato e con qualche buco. Esprime un concetto attualissimo:
Hai aperto con Luca che consulta la IA ed è curioso notare che questa, a conti fatti, è la stessa “merda“ (contiene e ricombina tutto il sapere e le opinioni di altri) solo che non ha il terribile dono di esserne consapevole e quindi non soffre. Buona idea, poi, far notare che l’unica cosa a rimanere attiva e bella funzionante, anche con l’apocalisse in fieri, è la connessione internet (la nuova, vera, radiazione cosmica di fondo). Ciao Roberto e ben tornato su queste pagine.
( Ti ritrovi con il concetto di "ricombinazione sterile del Sapere”?… Una mia interpretazione, naturalmente).
Roberto Carta ha risposto:
... Negli ultimi anni mi sono dedicato alla divulgazione scientifica. Inizialmente scrivevo articoli su quasi tutte le branche della scienza. Poi, piano piano mi sono avvicinato all'universo complottista. L'ho fatto utilizzando il metodo scientifico, la cui prima fase è l'osservazione. Quel che ho notato è che , escludendo quelli del complottista DOC, i bias cognitivi dell' " uomo della strada" , quindi dell' utente medio dell'habitat Internet, seguono gli stessi pattern. È lecito concludere che, almeno in parte, esiste uno svilimento generale del livello e della qualità della conoscenza in buona parte della popolazione. In base alla mia esperienza questo non è legato al ceto sociale di appartenenza o provenienza . Cosa ancora preoccupante è il fatto che manchi un confronto paritario tra parti contrapposte. Questo è favorito dal fatto che gli algoritmi dei social propongono ai vari utenti quasi solo contenuti che siano in linea con le loro opinioni. Ne consegue che non c'è un vero scambio di informazioni proprio nell' ambiente che le informazioni le contiene tutte. Questo porta al fatto che venga a mancare l'analisi di ciò che ci viene proposto, l'autocritica del proprio pensiero, la nascita di idee nuove che stiano in quella ampia banda di grigio compresa tra il nero e il bianco. Concludo citando un fattore secondo me importantissimo: si leggono pochissimi libri.
Complotti o non complotti, oppure algoritmi che favoriscono la divulgazione di un certo tipo di contenuti piuttosto che altri, penso che questa conoscenza con cui stiamo imbalsamando le IA potrebbe non evolvere davvero; in una prospettiva come quella che ho colto nella tua storia, per esempio, si limita solo a ricombinare fino alla catastrofe (proprio come un virus). Anche il DNA umano, in effetti, durante la riproduzione necessita di ricombinarsi con altro e nuovo DNA (altrimenti va in contro a un processo di degenerazione o impoverimento). Ecco, il tuo racconto potrebbe esprimere questa tesi: se affidiamo a un museo senz'anima o contenitore d'informazioni il nostro progresso siamo fottuti, non ci sarà affatto l'evoluzione che immaginiamo.
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